#Incontri: Arkady di Anonima Sette. Un viaggio nel mondo post-comunista

#Incontri: Arkady di Anonima Sette. Un viaggio nel mondo post-comunista

Dopo il debutto a Carrozzerie n.o.t, la compagnia Anonima Sette, torna a Roma presentando al Teatro Trastevere dal 23 al 26 gennaio ore 21.00, Arkady, spettacolo nato dall’estro drammaturgico di Giacomo Sette con la regia di Azzurra Lochi. Insieme a loro e ad alcuni degli attori e delle attrici/musiciste della compagnia abbiamo ragionato intorno alla genesi e all’evoluzione scenica dell’opera per conoscere meglio le storie dei protagonisti di questo viaggio in camion attraverso il mondo post-comunista.  

 

Arkady è un giovane camionista di origini moldavo-russe. La sua è una tratta molto particolare. Consegna tessuti a Le Havre (Francia) e Cabo de Roca (Portogallo), partendo da Taranto. Circa 40 ore di viaggio, con strettissime pause per mangiare e riposare. Il suo viaggio descrive un triangolo perfetto per l’Europa Occidentale. Ma Arkady avrebbe voluto fare il poeta e, soprattutto, è terrorizzato dalla prospettiva di un colpo di sonno. Il Sonno è il suo grande nemico. Per vincere la paura e superare indenne il suo viaggio, Arkady parla da solo. Lo troviamo che parla delle fatiche affrontate per corteggiare e conquistare Alina, laureanda in Storia Contemporanea con una tesi sulla nostalgia dei russi per l’Unione Sovietica. La personalità chiusa e incerta di Arkady incontra non poche difficoltà nell’impresa. Ad aiutarlo ed ostacolarlo ci sono suo Padre, (un ex dissidente sovietico, costretto alla miseria e all’emigrazione dopo la caduta del muro di Berlino), e una misteriosa ragazza, Azazael, narratrice onnisciente. Personaggi reali o semplici proiezioni? In un abitacolo sempre più simile alla mente di chi lo guida tutto è possibile: i piani e i temi si confondono, le voci si accumulano e la strada va, inesorabile. Con il Sonno. Davanti ad Arkady un bivio: la consegna precisa e puntuale dei tessuti o il volo meraviglioso nel paradiso dei camion? La strada da scegliere è tutta qui: chiudere gli occhi, o no.

 

Come nasce la storia di Arkady?

Risponde Giacomo Sette: « Il testo di Arkady è nato su richiesta di Giulio Clerici che è l’attore per cui è stato scritto e per un mio interesse sul mondo comunista e post-comunista per capire come l’ideologia del comunismo si sia strutturata al livello burocratico, militare e statale e come poi – nello specifico per la storia di Arkady – sia stato il dopo. Il comunismo sovietico ha rappresentato per settant’anni un’alternativa al sistema capitalistico. C’era una superpotenza, la Russia, che era il contraltare degli Stati Uniti poi da un giorno all’altro questa cosa non c’è stata più per cui si sono verificate una serie di conseguenze. Negli anni ’90 in quella parte dell’est europeo c’è stata  una ubriacatura per cui si è iniziato a spendere e spandere. Il passaggio al capitalismo è stato immediato, da un giorno all’altro come il crollo del muro in qualche modo. Dal momento che si è sciolta l’URSS c’è stato un cambiamento radicale; in un primo periodo c’è stato una grande ebbrezza per questa cosa ma poi sono arrivate le conseguenze. La cosa che interessava a noi era parlare di queste conseguenze non di natura economica ma morale, psicologica e sociale, al di là del confronto di due tipi di vita materiale. Volevamo capire cosa provano queste persone nei confronti della loro storia. Una cosa affascinante di cui in Italia si parla pochissimo, proprio qui dove ci sono centinaia di migliaia di persone che hanno un trascorso molto problematico con questa storia per cui almeno la metà del mondo russofilo dell’ex URSS è nostalgico e sente la mancanza del regime ma non come ad alcuni degli italiani manca il fascismo che non l’hanno nemmeno vissuto e conosciuto dal momento che questi due fenomeni storico-culturali rappresentano due realtà politiche completamente diverse. Il fascismo nasce da un’idea dell’umano totalmente distorta e malata mentre il comunismo, per quanto male possa essere applicato, nasce da un’idea di uguaglianza sociale fra tutte le persone che è giusta. Oltre l’economia e la politica, è proprio un discorso teorico: queste persone avevano un codice che a un certo punto è scomparso e questo enorme sistema di valori che ha rappresentato settant’anni di storia di quella parte del mondo che veniva a sua volta da un altro impero che era quello degli Zar con quella forma mentis della superpotenza, da un giorno all’altro si è trovata ad essere svenduta. Il lavoro che cerchiamo di fare è più sottile, non vogliamo stare da questa parte o dall’altra: noi vogliamo capire esattamente cosa è successo a queste persone e come il capitalismo, a differenza degli altri sistemi economici della storia, entra in testa e ti cambia psicologicamente e vederlo sul campione di queste persone che hanno vissuto questo passaggio è molto interessante.
Per la stesura del testo ho letto un libro che si chiama Tempo di seconda mano, di Svjatlana Aleksievič Premio Nobel per la Letteratura 2015 in cui l’autrice ha raccolto interviste di russi, bielorussi, ucraini sondando tutto il passaggio dallo scioglimento dell’URSS definitivo del ’94 fino all’intervento dei russi nel Donbass. Dal libro si rileva che la maggior parte della popolazione rimpiange in qualche modo quel periodo in cui nonostante vi fosse molta povertà i rapporti umani erano veri, ora invece che possono avere tutto sentono umanamente di non avere più niente. Una cosa che loro non si spiegano mentre per noi è all’ordine del giorno. Inoltre abbiamo lavorato su un saggio di Paolo Borgognoni “Capire la Russia” in cui si trovano numeri e statistiche ben dettagliati».

Dal testo alla scena: quali sono gli elementi utilizzati per affrontare questo passaggio?

Risponde Giacomo Sette: « A noi piace dire che è punk o in questo caso noise, cioè c’è tantissimo suono – è un regia di suono, giocata sul suono e sul ritmo. Il discorso di Arkady che è sempre al microfono viene constantemente ritmato da Ana Kusch con il violoncello e anche dalla cantante Alice Giorgi che suona continuamente attraverso la voce e anche il corpo – tipo body percussion». Continua Azzurra Lochi: « Il suono che viene prodotto lo vedo come il sesto personaggio in scena come se fosse la coscienza collettiva di tutti questi personaggi. Quando gli attori parlano la musica magari arriva a sottileneare la cosa che stanno portando o altrimenti, per assurdo, ci racconta l’altra faccia della medaglia. Ci sono dei passaggi precisi in cui gli attori lasciano il proprio posto e questo viene fatto con un ritmo, non sono mai lasciati al caso, come fosse veramente un viaggio. Arkady, per tutto il tempo, sta guidando un camion ed è come la musica dello stereo che accende e lo accompagna e muta l’atmosfera».

Come si è integrata la partitura musicale all’interno della dimensione attorale?

Risponde Alice Giorgi, attrice e cantante: « Le musiche vengono dalle nostre improvvisazioni quindi dal sentire e dall’osservazione di cosa avviene in scena riportandolo attraverso lo strumento e la voce. Un lavoro di costruzione collettiva e di sperimentazione fra l’immagine e il suono. Il lavoro sulla ritmica è partito dalle improvvisazioni: a volte venivano date delle sensazioni anche a partire dal testo per cui si partiva da un suono e poi cercavamo noi tre di amplificarlo, ognuno col suo strumento. Io mi sono accorta che anche con Giacomo non dovevo solo cantare ma che potevo esprimere il senso di quello che stavamo creando anche con dei suoni più umani, come può essere tossire oppure fare un verso che non era semplicemente un canto. Noi tre insieme siamo come il microfono che amplifica le parole di Arkady e ciò che avviene in scena; in un certo modo le nostre vibrazioni portano lui a cantare e le sue parole portano noi a vibrare. Un passaggio ulteriore è arrivato quando abbiamo deciso che io sarei stata anche il personaggio di Alina, quindi il mio canto è diventato anche il canto di Alina, quello che faccio col mio corpo è quello che fa il mio personaggio col corpo mentre aspetta Arkady. Si è caricato tutto di significato diventando più netto».

Rispetto alla co-direzione registica dello spettacolo come vi siete trovati a lavorare insieme?

Risponde Azzurra Lochi: « Io e Giacomo, pur provenendo da formazioni diverse, abbiamo in comune un’attenzione agli spazi, siamo innamorati dei luoghi che incontriamo. Ci siamo conosciuti un anno fa in una residenza artistica facendo un progetto di site specific dove ci siamo connessi e ci siamo legati particolarmente. Molto spesso ci incontriamo nelle proiezioni che facciamo: ci sono stati momenti di blocco perché ci sono due visione diverse e insieme si cerca di plasmarle. Poi effettivamente sono gli attori che ti rivelano qual è la scelta giusta. Noi abbiamo lavorato tantissimo dando molto spazio agli attori e in un quest’anno passato insieme sono cresciuti tantissimo. Arkady era dentro di Giulio perché è stato scritto per lui e oggi Arkady è uscito fuori ed è rappresentato dal corpo di Giulio. Così per il personaggio di Alina che è nato con l’arrivo in compagnia di Alice. Tecnicamente ci sono stati dei momenti in cui abbiamo lavorato in diverso modo: alcune volte dividevamo gli attori per cui Giacomo ha lavorato a stretto contatto con le musiciste mentre io lavoravo con Simone Caporossi alla figura del padre lavorando sul portare la favola degli omini di polvere. Infine provavamo tutti insieme e così sono nate le influenze: le musiciste sentivano la storia e improvvisavano oppure il padre si lasciava influenzare dalla musica proposta, quello che lasciavamo agli attori si incontrava e lì avviene una forma di selezione naturale. E’ il primo studio e veramente si rivelano tantissime cose durante la prima rappresentazione e non vediamo l’ora di vederli in scena dopo mesi e mesi di lavoro. Ci teniamo a ringraziare carrozzerie n.o.t, in special modo  Maura e Francesco, perno di ciò che c’è di buono nel panorama teatrale romano, che ci hanno dato una fiducia enorme».

 

ARKADY

di Giacomo Sette
regia Azzurra Lochi
con Giulio ClericiSimone CaporossiAlice GiorgiAna Kusch
musiche Alice Giorgi e Ana Kusch
luci Pietro Frascaro
collaborazione alla regia Giacomo Sette
ph Giulia Castellano Ph
locandina e grafica Beatrice Fonti
comunicazione Chiara Preziosa
DURATA 50′