Intervista a Luca Ricci e Tiziano Panici ideatori di Dominio Pubblico
Martedì 30 maggio inaugura la quarta edizione di Dominio Pubblico_la città agli Under 25. ( > Scopri il programma della prima giornata ). Quest’anno il Festival multidisciplinare ha incrementato notevolmente la propria rete di partnership anche a livello nazionale, dalla collaborazione con il progetto Migrarti, al riconoscimento del bando Siae/SiIllumina, al patrocinio del V Municipio di Roma, permettendo il coinvolgimento di artisti di rilievo del panorama artistico italiano e l’attivazione di progetti interculturali nelle periferie urbane di Roma attraversando luoghi come MONK, Teatro Quarticciolo e Cinema Aquila al Pigneto.
Giulia Caroletti ha intervistato Luca Ricci e Tiziano Panici, curatori del progetto.
Intervista a Luca Ricci. La mente da cui e nata l’idea:
Cos’è Dominio Pubblico e come è nata l’idea del progetto under 25?
Il progetto è nato da una sfida, a dire la verità. Ero stato chiamato dal teatro di Tiziano, l’Argot, a fare un mio spettacolo, ma c’era un fisso da pagare per poter portare in scena lo spettacolo. Mi arrabbiai con Tiziano, pensai che fosse davvero assurdo, una cosa folle. Tiziano mi spiegò che un teatro di cosi piccole dimensioni, che ha 3.000 euro al mese di affitto da pagare non è una cosa facile da gestire ed io, allora, gli dissi che il problema stava nel fatto che, molto probabilmente, ancora non si erano trovati i progetti giusti su cui investire. Cosi, parlando con Tiziano, mi venne in mente l’idea di un progetto sui giovanissimi, una fascia su cui nessuno investe. L’idea, dunque, è nata cosi, da una sfida. Nello stesso periodo, inoltre, ho avuto modo di conoscere anche Fabio Morgan che aveva da poco preso la direzione dell’Orologio e aveva bisogno di dare un’identità nuova a quel luogo, dopo che l’aveva completamente persa diventando una sorta di affitta camere. Anche Morgan era alla ricerca di un’idea e allora pensai di proporgli di lavorare sul progetto, già esposto a Tiziano, che comportava fare un investimento su una generazione completamente sconosciuta.
Cosi è nato Dominio Pubblico. Questo, nel suo esordio, era costituito da due parti: da un lato, c’era la programmazione, dall’altro lato, il progetto sugli under 25. L’idea di fare una programmazione venne allo scopo di permettere ai ragazzi di vedere degli artisti contemporanei che a Roma non circuitavano più moltissimo. Tra l’altro, quattro anni fa, era anche chiuso l’India e la città viveva una fase particolare della sua esistenza che, senza dubbio, giocò a nostro favore. Con l’idea, incentrata sugli under 25, invece, si voleva mettere i ragazzi nella condizione di sperimentarsi su una cosa che veniva messa effettivamente nelle loro mani.
Come in molti già sanno, a San Sepolcro, con I Visionari, lavoro già ad un progetto che vede un gruppo di spettatori scegliere un pezzo della programmazione del festival. Facendo una cosa del genere con degli under 25 ho pensato che ci si potesse spingere anche oltre. Cosi ho pensato che, invece di limitarsi a far scegliere loro gli spettacoli, sarebbe stato interessante dare ai ragazzi tutte le chiavi della macchina, di tutto il processo che porta alla creazione di un evento. Questo era Dominio Pubblico nella sua prima formula. Ricordo che, il primo anno, con la programmazione di durata annuale a cavallo tra i due spazi, abbiamo portato a Roma soggetti che non venivano da cinque o sei anni. Adesso sono convinto del fatto che, sia a causa della nuova direzione del Teatro di Roma sia per la nascita di nuovi spazi e sia per il fatto che l’Argot e l’Orologio si sono presi la funzione che originariamente era della programmazione, di quel pezzo del progetto non ci sia più bisogno in realtà.
La formazione e lo sviluppo del pubblico è oggi al centro delle politiche culturali europee. Cosa distingue il festival under 25 di Dominio Pubblico dalle tante iniziative basate sul concetto di spettatore attivo?
Non credo che bisogna fare eccessiva retorica su questo tema del ruolo attivo dello spettatore. Riconosco sia strano che a dirlo sia proprio io, tra i primi a portare nel nostro Paese questo tema, ad immaginare la possibilità di un ribaltamento di prospettiva che si verifica quando si pensa un progetto dai suoi destinatari prima ancora che dalle esigenze dell’organizzazione o degli artisti.
Io credo fortemente nell’idea che il teatro sia una costruzione sociale. Occorre, dunque, che recuperi questo ruolo. Può essere fatto molto di più affinché il teatro incida nella vita sociale del nostro tempo più di quanto non accada adesso. Penso che il teatro possa recuperare la sua funzione sociale solo attraverso dei processi in cui il pubblico non è considerato come un vaso da riempire, ma come un soggetto pensante, sensibile, capace di avere una visione delle cose, un proprio punto di vista. Questo processo che porta al rafforzamento della fiducia e delle competenze del pubblico, tra l’altro, non deve avvenire in maniere cattedratica, ma grazie ad uno sporcarsi le mani insieme. È questo elemento dello sporcarsi le mani che riconosco come la caratteristica più specifica dei progetti che mi interessano, di cui anche Dominio Pubblico è un esempio.
Inizialmente, Dominio Pubblico era il progetto principale e il festival l’iniziativa secondaria. È cambiato qualcosa nel tempo?
Si, lo schema al momento è totalmente invertito. Comunque, a dire la verità, non sono del tutto convinto che fosse secondario il progetto del festival. Diciamo che, al momento della sua nascita, non avevamo ancora fotografato alla perfezione il potenziale di quell’evento finale realizzato dai ragazzi. È vero, senz’altro, che il progetto è nato con una forte enfasi sulla parte della programmazione per varie motivazioni: la questione dell’identità dell’Orologio da ridefinire, la sfida nata con Tiziano, la quale intendeva provare il fatto che se si fosse lavorato su una programmazione forte si sarebbe potuto intercettare sia spettatori paganti che potessero, quindi, costituire una piccola economia sia finanziamenti pubblici che potessero comprendere il valore di quello che si stava facendo. Tuttavia, devo ammettere, che non avrei mai dedicato energie al progetto se non ci fosse stata la parte degli under 25. Per me è sempre stato chiarissimo, come per tutti noi, che quel pezzo li era il potenziale più originale del progetto. Avevamo bisogno, semplicemente, di tempo per capirlo, testarlo. Non sapevamo che tipo di risposta ci sarebbe stata o che tipo di materiale sarebbe arrivato dai giovani artisti, di che qualità questo fosse stato.
Con la prima edizione del festival abbiamo capito, ad esempio, che occorreva cambiare strategia per il lancio del bando, allo scopo di aumentare la qualità del materiale e dare ai ragazzi la possibilità di selezionare all’interno di un corpus di materiali più interessanti le opere da programmare. Sono stati necessari questi esperimenti per capire il reale potenziale del progetto. Quello che si è andato a verificare non è un ribaltamento, ma semmai un consolidamento. Quel pezzo del progetto, destinato agli under 25, ha trovato col tempo la propria pienezza. Ritengo, inoltre, che il concept sia molto netto, chiaro, leggibile e che abbia dei margini di crescita ancora molto forti. Con qualche economia in più per potenziare il risultato può solo crescere. Riguardo l’altra parte del progetto, quella della programmazione, penso invece che, al momento della sua nascita, questa provasse a rispondere ad un’esigenza dei luoghi che oggi appare superata e tentasse di risolvere una necessità della città che, passata la difficile fase storica che ha attraversato, ora può dirsi finalmente passata.
Come è evoluta la risposta delle istituzioni al festival?
Il contesto romano e laziale è davvero un contesto delirante, partiamo da questo assunto. Conosco molto bene il contesto toscano per il fatto che ho un progetto li, quello umbro e molti altri a causa del fatto che, all’interno di C.Re.S.Co, mi sono occupato per tre anni di coordinare il tavolo dei finanziamenti. Dunque, qualche idea a proposito ho avuto modo di farmela. Devo dire che la situazione del Lazio è una delle più folli d’Italia. È folle perché i tempi di pagamento sono stati per anni in super ritardo e se adesso hanno leggermente recuperato, si è comunque molto indietro. I tempi di deliberazione, cioè quando tu sai quando il contributo ti viene concesso e in che entità, sono ancora più imbarazzanti. Nello stato attuale delle cose si è ben lontani dal permettere a chi lavora in questo settore di essere nelle condizioni di fare realmente una programmazione. Non si può fare una programmazione con dei risultati che escono ad ottobre. Un altro esempio della follia del sistema viene dal bando del Comune di Roma che, quest’anno, prevede di finanziare tutti gli eventi dopo il 30 giugno e quindi escludere chiunque faccia un’attività di festival prima del 29 giugno. Questo che senso ha? Si crea, cosi, una conseguente stupidissima inflazione dell’offerta nella seconda parte dell’anno, tanto è vero che a settembre si accavalleranno decide e decine di festival tutti insieme. Anche tanti festival storicamente collocati ad aprile o maggio saranno spostati verso la fine dell’anno. Dominio Pubblico, il festival finale dei ragazzi, ha subito proprio questa cosa. Non abbiamo avuto il contributo del Comune di Roma perché l’evento ha luogo prima della fine di giugno. Non abbiamo neanche presentato la domanda, non aveva alcun senso.
Un’altra cosa folle è che non si finanzia nulla che non sia un evento, non vengono concessi contributi a qualcosa come la strutturazione durante l’anno di un progetto. Non esiste più la programmazione di Dominio Pubblico perché, oltre al fatto che, come ho già spiegato, di quella parte del progetto non c’è più bisogno, il Comune e la Regione finanziano solo l’eventismo dei festival e difficilmente una programmazione distribuita durante tutto l’anno. Nonostante tutto ciò premesso, occorre riconoscere il fatto che Dominio Pubblico, per essere un progetto abbastanza giovane, ha subito ottenuto un’attenzione positiva da parte degli enti pubblici di una città affollata di proposte come Roma. Sicuramente abbiamo fatto un buon lavoro nel raccontare le specificità del progetto e, senza alcun dubbio, c’è stata una disponibilità da parte degli enti pubblici nel voler capire cosa effettivamente si stata muovendo.
Quali crede che siano i punti di forza e gli argomenti del progetto sui quali maggiormente investire per coinvolgere partner, istituzioni e per fare in modo che il festival diventi una realtà ancora più grande?
Secondo me, sono i temi dell’accessibilità. Dominio Pubblico è un progetto che favorisce l’abbattimento della percezione del non è per me perché questa cosa io non la so fare, non la posso capire, non so come si fa. L’altro tema è quello della partecipazione, una tematica molto forte nel dibattito sociale di questi tempi, non solo nell’ambito delle performing arts e della cultura, ma in senso generale. Si pensi alle esperienze politiche di partecipazione democratica per cui i cittadini possono scegliere, ad esempio, come fare la statua di un giardino oppure, in ambito agricolo, agli orti solidali. Il terzo tema è difficile da condensare in una sola parola, ha a che fare con il rispetto dei ruoli. Credo che il punto forte del progetto stia nel fatto che ci sia un lavoro vero, e soprattutto non episodico, che viene richiesto a delle persone e in particolare a degli under 25. Siamo in un’epoca in cui tutti possono mettersi a fare i giudici di qualcosa. Occorre, invece, recuperare il rispetto per chi ha fatto un atto artistico e, quindi, dobbiamo imparare a metterci di fronte a quell’atto artistico con il tempo e il rispetto che quel lavoro richiede. I ragazzi si guadagnano il proprio ruolo facendo un lavoro concreto, vero, di attenzione, di sensibilità e di sguardo aperto verso tutto ciò che gli artisti propongono. Non mi interessa il potere agli spettatori per il potere. Cosa vuol dire questo? Che tutti possono improvvisarsi a far qualcosa senza competenze. Io credo nel lavoro, nel fatto che le persone si prendano un impegno e lo portino a termine con la serietà che merita. L’impianto del progetto under 25 è tale per cui i ragazzi, in maniera responsabile, abbiano la possibilità di capire di stare a prendersi un impegno serio. A me interessa formare persone che riescano a comprendere che dietro l’atto artistico ci sia tutto un processo che occorre rispettare. È dal rispetto che nasce l’amore per le cose.
Intervista a Tiziano Panici. Il direttore artistico:
Si sono già concluse tre edizioni del festival. Dal primo anno all’ultimo è stata riscontrata una crescita in termini di partecipazione da parte del pubblico all’iniziativa?
Il terzo anno, indubbiamente, è stato l’anno più forte a proposito, nel quale è stata registrata una notevole crescita di pubblico in percentuale. Sono stati programmati trenta eventi in quattro spazi: l’Orologio ha investito una sala di cento posti, l’Argot una sala da sessanta posti e l’India una in grado di contenere fino a duecento posti. Tre giorni sono stati programmati all’India e due giorni tra l’Orologio e l’Argot. Quasi tutte le serata sono state sold out, quindi facendo una media sommaria siamo arrivati a coinvolgere più di duemila spettatori. Anche il secondo anno ha goduto di una buona partecipazione. É stato il primo anno quello più debole da questo punto di vista, anche se c’erano i musei di mezzo, spazi molto attraversati e per di più ad accesso gratuito, per cui è difficile fare calcoli veramente precisi.
Va considerato, inoltre, anche l’audience development, secondo me fondamentale, che passa attraverso la formazione dei ragazzi come spettatori. Ogni anno, la call pubblica ha raccolto almeno cinquanta ragazzi, questo vuol dire che, in tre anni, siamo arrivati a parlare con una comunità di centocinquanta, duecento ragazzi all’incirca. Quasi tutti hanno seguito la parte legata alla visione degli spettacoli e dopo aver vissuto l’esperienza del festival molti sono rimasti anche spettatori fedeli. Si è andata, dunque, a creare una piccola comunità di spettatori che parlano lo stesso linguaggio e che sanno a che tipo di programmazione voglio assistere e vanno a ricercarla all’interno di Roma. Se prima di Dominio Pubblico non conoscevano alcuni spazi teatrali come Carrozzerie n.o.t. o eventi come il Romaeuropa Festival, ora seguono con molto interesse anche tutte le varie attività culturali del territorio, consapevoli di poter sfruttare la loro giovane età per accedere a prezzi vantaggiosi. Sommando questa comunità di nuovi giovani spettatori a tutte le persone che sono state coinvolte nel progetto di Dominio Pubblico, anche indirettamente, arriviamo a contare un totale di quasi trecento nuovi spettatori.
In queste tre edizioni, quanti progetti artistici hanno avuto la possibilità di entrare a far parte dell’offerta artistica del festival?
Abbiamo avuto sempre una media di un centinaio di proposte l’anno, divise tra le varie discipline artistiche: musica, teatro, arti visive, danza. Quest’ultima disciplina, a cui teniamo molto, risulta sempre essere la più debole. È per questo che nel progetto regionale abbiamo anche inserito una formazione di danza contemporanea come Cie Twain, la quale collaborerà con Dominio Pubblico per incrementare la ricerca di spettacoli, della fascia d’età richiesta, che possano essere interessanti.
Al festival, poi, arrivano una media di trenta progetti artistici, programmati ogni anno tra le varie discipline. Il terzo anno sono stati scelti sette spettacoli di teatro sui quaranta circa che ne erano arrivati, cinque opere d’arte visiva sulle venti che erano state mandate, uno spettacolo di danza su sette, sette spettacoli musicali su venti e altri sette audiovisivi sulle venticinque proposte dei giovani registi che avevano risposto al bando.
Alla direzione artistica under 25 spetta il compito di selezionare i giovani artisti che rappresenteranno, con le loro opere e performance, l’offerta artistica complessiva del festival. Quali linee di indirizzo consiglia ai ragazzi di seguire per guidarli nella selezione?
Il compito della selezione degli artisti è la prima grande responsabilità di fronte la quale si trova il gruppo. I ragazzi arrivano a questo momento dopo un percorso di visione che è fondamentale per il fatto che riuscire a formare un senso dell’estetica, acquisire un certo linguaggio e un certo tipo di sensibilità non è facile, ma è una cosa necessaria. Il percorso di visione è funzionale proprio a questo, a sviluppare quella sensibilità. È un’attività che accompagna i ragazzi e non deve essere abbandonata se è loro l’intenzione fare questo lavoro. Il teatro va visto e va vissuto. Di solito, durante la selezione, va tutto molto bene, ma credo sia anche molto importante che ci si pongano determinate difficoltà, che si consideri, ad esempio, il fatto che il gusto non corrisponda sempre al gusto personale. Vanno considerate, inoltre, tutte le questioni che derivano dalla necessità di programmare in più spazi. Un conto è programmare all’interno dell’Argot o dell’Orologio, spazi off che hanno determinate caratteristiche, un contro è programmare in una sala come quella dell’India, con esigenze e caratteristiche completamente diverse. È importante, quindi, saper discernere i vari livelli di spettacolo e, entrando nel merito delle cose, arrivare ad una scelta sia considerando le qualità artistiche del progetto sia la natura produttiva di quest’ultimo, altrettanto fondamentale.
Il festival rappresenta un trampolino di lancio per molti giovani artisti under 25. A quanti ragazzi la partecipazione a Dominio Pubblico ha aperto le porte di altre opportunità?
Il festiva ha avuto un adesione artistica molto forte già dal primo anno. Sono stati programmati molti spettacoli interessanti. Alcuni artisti della prima edizione, dopo l’esperienza di Dominio Pubblico, hanno continuato a collaborare con noi, anche al di fuori del festival, come Giovanni di Giandomenico, pianista e compositore giovanissimo che poi ha prodotto alcuni lavori con l’Argot, ha partecipato al Kilowatt Festival ed altre manifestazioni suonando spesso in contesti di piazza, comunque molto aperti. Ha, inoltre, composto le musiche per uno spettacolo di Luca Ricci e iniziato a lavorare con me ad un progetto su Le città invisibili di Calvino. Tra gli spettacoli teatrali che hanno ottenuto un maggior successo dopo l’esperienza di Dominio Pubblico possiamo poi parlare di Diario di una casalinga serba di Ksenija Martinovic che è volato a New York ed è stato preso in produzione dallo stabile CSS di Udine, un’istituzione molto importante, e Albania casa mia di Aleksandros Memetaj, uno spettacolo che, dopo il festival, è esploso, iniziando ad essere selezionato in grandi programmazione, come quella del Franco Parenti di Milano, e vincendo il bando 20 30 e il Premio Museo Cervi – Teatro per la Memoria 2016.
Il festival under 25 comporta, ogni anno, la gestione di un gruppo composito di giovani e giovanissimi. Che tipo di sfida rappresenta per lei la gestione di un progetto con questo genere di caratteristiche in termini di fattore umano?
Sicuramente non è una cosa facile. È difficile stare dietro ad un gruppo soprattutto molto esteso di persone. Ti insegna che non si può lavorare da soli. In quanto responsabile di un gruppo sono responsabile di tante cose, anche del fatto, per esempio, di non essere sempre amato. Ho un ruolo difficile, quello di dire cosa non va e cosa va fatto in un altro modo. Non sono un genitore, una figura paterna nei confronti dei ragazzi e neanche un maestro, sono solo una persona che già vive di questo mestiere quindi le mie indicazioni devono aiutare e servire a rendere più funzionali e precisi gli strumenti dei ragazzi. Come direttore artistico del progetto, invece, devo saper mantenere una visione orizzontale e aperta su tutto il processo, se mi focalizzassi solo sulla comunicazione o solo sulla promozione non sarei di alcun aiuto. Tuttavia, aldilà della difficoltà, è anche molto stimolante lavorare al progetto. È un’esperienza che ha accresciuto le nostre, le mie capacità personali. In questi anni mi ha dato la possibilità di imparare ad usare diversi linguaggi e di imparare a modificare il mio linguaggio a seconda delle occasioni. Se parlassi con i ragazzi come un vecchio professore probabilmente non riuscirei a raggiungere risultati. Il nostro è un lavoro che, alla base, si compone di rapporti. Questa è una caratteristica propria del lavoro a teatro, il quale si costruisce attraverso l’incontro e il dialogo. Se questo non c’è non si può avere la possibilità di arrivare a costruire qualcosa insieme.
“Dominio Pubblico – la città agli under 25” è un modello unico in Italia?
Attualmente si. In questo momento, visto che chiaramente sia l’Europa sia l’Italia ci chiedono di investire sui giovani, stanno nascendo in diversi Paesi europei e italiani dei progetti che hanno sicuramente delle forti analogie con Dominio. Alcuni esempi in Italia sono la Consulta under 25 del festival Trasparenze di Modena, la giuria under 30 del Teatro Sociale Gualtieri, i festival di cittadinanza coinvolta non necessariamente under 25 e il festival 20 30 di Bologna. In nessuno di questi casi vediamo un festival interamente gestito e organizzato da ragazzi di questa età, quindi si, Dominio Pubblico è il primo, l’unico in Italia.
Intervista di Giulia Caroletti
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