Il teatro degli infanti neotenici e delle cadute perpetue: Il paradosso del gatto imburrato
“[…] Da qualche parte, dentro di noi, lo sbadato fanciullo neotenico continua il suo gioco regale. Ed è il suo giocare che ci dà tempo, che mantiene aperta per noi quell’intramontabile illatenza che i popoli e le lingue della terra, ciascuno a suo modo, vegliano a conservare e a differire – e a conservare solo nella misura in cui la differiscono.”
(Idea dell’infanzia, Giorgio Agamben)
Nel 2002 Giorgio Agamben consegna alle stampe un geniale saggio dal titolo Idea della prosa al suo interno, attraverso trentatrè piccoli trattati, cerca con voluta leggerezza le nuove forme e radici del pensiero prosastico contemporaneo. Le parole che aprono questo articolo sono tratte dal capitolo Idea dell’infanzia, in cui l’autore compara un cucciolo di una larva esotica all’evoluzione di un individuo umano, sottolineando la tendenza congenita del secondo a conservare e differire al contempo.
Pensando alle evoluzioni del teatro emergente contemporaneo, l’immagine di un infante che costantemente si rigenera e si conserva sembra particolarmente calzante. In un universo cristallizzato, come quello della scena contemporanea infatti, si stagliano dei nuovi sbadati fanciulli neotenici, che continuano il loro gioco di riflessione sui linguaggi, rinnovandoli, come un serpente che cambia pelle per rimanere vivo e uguale alla migliore immagine di sé.
La scorsa domenica ha debuttato al Teatro Nero di Modena lo spettacolo Il paradosso del gatto imburrato scritto e interpretato dalla giovane attrice Marica Nicolai e diretto dalla stessa, assieme a Nicoletta Nobile. Entrambe le interpreti sono diplomate presso la scuola di teatro Iolanda Gazzerro. Lo spettacolo riflette attivamente sui linguaggi, senza paura di essere, come dice Marica stessa, sull’orlo costante della caduta.
Scrivere uno spettacolo da giovane e indipendente rappresenta sempre di più un banco di prova importante, anche con sé stessi, come è stata la genesi di scrittura di questo spettacolo?
Marica Nicolai: Forse il trucco è non pensarci. Io non ci ho pensato molto. Ho sentito la necessità di farlo e l’ho fatto. É da quando sono piccola che mi piace scrivere, ma negli ultimi anni avevo abbandonato la scrittura per una sorta di timore delle parole scritte. Che restano. Durante il primo lockdown, complice il fatto che stessi vivendo con Sonia Soro che mi ha aiutata in qualità di dramaturg nel periodo di genesi del testo, ho colto l’occasione per riprovarci. Abbiamo iniziato ragionando sul concetto di deformità, di errore, abbiamo studiato il mondo del burlesque, quello di teasing, il mettersi a nudo di fronte allo sguardo altrui e il congiuntivo ludico come spazio di possibilità infinita.
Un giorno, poi, ho messo da parte tutto questo e ho iniziato a scrivere il monologo di una ragazza che cade in un mondo immaginario in cui un gatto le impedisce di fare ciò che dovrebbe. Inizialmente pensavo non c’entrasse niente e invece è diventato il nucleo fondativo del testo. Da lì ho scritto di getto, senza pensare alla teoria di cui avevamo tanto parlato. Per scoprire poi che tutto si era depositato magicamente e tutto tornava.
Cosa racconta il paradosso del gatto imburrato? Da dove nasce l’idea? Il periodo pandemico ha influito sulla scrittura? Sarebbe uno spettacolo diverso in un momento diverso?
M.N.: Nel 1993 John Frazee inventa Il paradosso del gatto imburrato: prendiamo un gatto, e leghiamo una fetta di pane sul suo dorso, ora lasciamo cadere il gatto. Indovinate cosa succede. Mentre la bestia tenderà ad atterrare sulle zampe, la fetta di pane imburrata, per la legge di Murphy, tenderà a cadere dalla parte del burro, a questo punto si creerebbe un moto di caduta perpetuo, per cui sia il gatto, sia la fetta di pane, continuerebbero a ruotare all’infinito, senza mai toccare terra. Il Paradosso del gatto imburrato è un monologo sull’orlo costante della caduta, è un inno al fallimento e alla bruttezza, una bruttezza che esplode di brillantini, un costante tentativo di equilibrio.
Nel periodo in cui ho scritto il monologo ero ossessionata con i gatti, avevo appena finito di leggere Il Maestro e Margherita che mi ha illuminata, sia per il titolo, sia perché mi ha ricordato che nella creazione tutto è possibile e plausibile, credo che anche la struttura onirica, dove il personaggio cade costantemente ed inesorabilmente da una bolla all’altra, derivi inconsciamente da lì. Il periodo pandemico ha influito sulla scrittura nel suo essere un tempo sospeso. La possibilità di fermarsi è stata, per un’iperattiva cronica quale sono, preziosissima per dare tempo alla creazione.
In un mondo nel quale la creazione artistica è sempre più obbligata a stare dietro ai tempi rapidi di produttività, il tempo è un bene troppo sottovalutato. Sono convinta che il teatro, essendo profondamente umano, abbia estremo bisogno di tempo e di cura. Durante quei mesi a casa ho ricominciato a leggere un libro dopo l’altro, a vedere i film, credo che questo elemento sia fondamentale per creare, perché il proprio mondo non basta, c’è bisogno di rubare dai mondi degli altri.
Quale è stata la difficoltà maggiore nel conciliare il lavoro drammaturgico e attoriale? Hai litigato con te stessa o è stato un connubio pacifico?
M.N.: Nel momento in cui scrivevo, essendo io attrice, ovviamente vedevo tutto già incarnato. Nella scrittura stessa era già forte un impianto di messa in scena, sia registico che attoriale. Quando però mi sono dovuta mettere effettivamente in bocca le parole che avevo scritto, a volte sentivo che le ragioni della drammaturga che voleva difendere le sue parole scritte andavano in conflitto con quelle della Marica attrice. Successivamente ho licenziato la Marica drammaturga. Fondamentale è stato il ruolo di Nicoletta. (co-regista dello spettacolo n.d.r.).
Essendo un monologo, ed essendone io l’autrice e l’interprete era fondamentale per me avere qualcuno con cui condividere lo sguardo registico, lo sentivo proprio come un dovere morale al lavoro, una forma di rispetto. Avevo bisogno di uno sguardo esterno che si inserisse nel testo e ne aprisse possibilità altre, che io non vedevo. Credo che il teatro non si possa mai fare da soli, sarebbe povero e fascista. Nicoletta si è inserita con estrema cura, rispetto e determinazione ed è stata a mio avviso bravissima a scovare, come un sommozzatore, le possibilità nascoste in quello che si è trovata davanti.
Come hai lavorato da co regista in relazione a un’idea scenica già definito? Come ti sei inserita in questo processo? quanto è importante un occhio creativo ulteriore a quello di chi scrive la drammaturgia?
Nicoletta Nobile: Marica mi ha chiesto di curare la regia a quasi un anno dal concepimento dello spettacolo. È stato interessante perché il mio lavoro è stato di accompagnamento e messa in valore (non trovo un termine migliore) di un’idea drammaturgica e registica già definita, alla quale mi sono completamente messa a servizio. Marica e io abbiamo un gusto abbastanza simile sul piano estetico: estroverso, brillante e surreale, per cui non ho avuto difficoltà ad inserirmi nel suo linguaggio. Devo dire, inoltre, che uno sguardo femminile su un testo scritto e recitato da una donna in questo caso ha tutto un suo sapore. Spesso diciamo che lo spettacolo è molto femminile nel suo senso più positivo e propositivo. È nato e si recita sotto il segno dell’abbondanza, dell’intimità e della tenacia contemporaneamente.
Quando chi ha scritto la drammaturgia la recita anche, uno sguardo esterno può essere un grande arricchimento, perché quando si scrive può capitare di dare per scontato significati che sono più complessi per chi recepisce dall’esterno. Al contempo, la scrittura può nascondere elementi a cui non avevamo pensato e che possono stupire le drammaturghe e i drammaturghi stessi. Alla fine incontrare un/una regista è un po’ come incontrare il tuo primo pubblico, in questi casi! Poi per quanto riguarda l’esempio di Paradosso del gatto imburrato l’arricchimento è stato in primo luogo il mio: si tratta di una scrittura estremamente generosa, così come lo è stata l’attrice. Ti porta con sé attraverso salti e capitomboli dentro l’intimità di una donna che ce la mette tutta nonostante il suo commovente sentimento di essere troppo ingombrante per la vita. Un po’ come tutte e tutti noi, del resto.
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.