Angelica Corporandi D’Auvare è la nuova presidente della Fondazione Piemonte dal Vivo

Angelica Corporandi D’Auvare è la nuova presidente della Fondazione Piemonte dal Vivo

Angelica Corporandi D’Auvare è la nuova presidente della Fondazione Piemonte dal Vivo, protagonista in ambito regionale della diffusione della cultura teatrale. La nomina è stata approvata oggi dalla giunta della Regione Piemonte, che ha anche provveduto a nominare Vittorio Ghirlassi e Debora Pessot consiglieri dell’ente.

“Rinnoviamo la governance di Piemonte dal Vivo, per proseguire il percorso di crescita di questa istituzione, sempre più importante per lo sviluppo dello spettacolo dal vivo sul nostro territorio”, commenta l’assessora alla Cultura della Regione Piemonte, Antonella Parigi.

Le nomine seguono le dimissioni del precedenti cda, concordate con la Regione dopo la morte di Anna Tripodi. La neo presidente dell’ente, 49 anni, è la vedova di Alberto Musy, consigliere comunale ucciso in un agguato sotto casa. Laureata in Lingue straniere, è appassionata di opera, balletto, teatro, musica ed è stata membro del Consiglio di indirizzo della Fondazione Teatro Regio di Torino dal 2014 al 2018.

AS-SAGGI DI DANZA #18 – La danza di confine di Luca Silvestrini

AS-SAGGI DI DANZA #18 – La danza di confine di Luca Silvestrini

Border Tales – Racconti di frontiera

Border Tales – Racconti di frontiera

Border Tales Racconti di frontiera è il titolo della performance della compagnia londinese Protein, diretta da Luca Silvestrini e basata sul tema della migrazione e dell’integrazione nel Regno Unito. Questa produzione è il risultato di una ricerca iniziata nel 2013 con migranti e rifugiati nei vari paesi e sviluppata attraverso un laboratorio con il Centre for Refugees and Migrants di Londra, e portato a Torino grazie alla Fondazione Piemonte dal Vivo e Associazione Filieradarte, Associazione Didee e Università degli Studi di Torino.

Il coreografo e regista ha analizzato la sua esperienza di artista italiano residente da diversi anni all’estero: nell’intervista con Rita Maria Fabris, nell’incontro Scuola dello Spettatore organizzato prima dello spettacolo, Silvestrini ripercorre i diversi approcci con i soggetti che ha incontrato nella fase di ideazione dello spettacolo, senza distogliere l’attenzione dai grandi stravolgimenti politici degli ultimi anni (la Brexit, l’elezione di Trump, la deriva populista in Europa). Uno spettacolo che apre con una potente suggestione sul tema del confine, con un danzatore che danza in bilico su una linea che divide il palco in tutta la sua lunghezza. Se questa scelta può sembrare troppo dichiarata rispetto al tema dello spettacolo, non lo è stata la trattazione fisica e tematica di questo confine: i sei danzatori – e il musicista, sempre presente sul palco – definiscono il confine del loro corpo, difendendolo dagli altri, ma proteggendo anche il proprio spazio personale con una danza dalla potente dinamica e dominata da un forte senso di propriocezione.

I vari personaggi presentano sé stessi attraverso quelli che sono gli stereotipi legati alla loro cultura, in un’esasperazione continua di stilizzazioni e monologhi iperbolici, rimanendo comunque aderenti a un approccio teatrale che amalgama danza e parola in modo strutturale in tutto lo spettacolo.

Il fulcro centrale è l’ambientazione di una festa, dove il “maestro di cerimonie” è il tipico uomo inglese che accoglie i propri ospiti ingabbiandoli in quelli che presume possano essere le loro preferenze musicali, religiose e alimentari (ad esempio, il saluto alla ragazza cinese con l’inchino e del tè al gelsomino, o chiedere all’ospite arabo se fosse di religione musulmana). Questa volontà di integrazione, velata dal falso perbenismo di chi non vuole mancare di rispetto rimarca però forti differenze e distanze (Just saying…). I punti culturali dove corrono i binari dello scontro culturale sono la religione, la differenza fra paese di nascita e paese di origine, le domande continue sulle motivazioni dello spostamento e le risposte che circoscrivono l’individuo a uno spazio “riservato” a lui. Un’accoglienza “condizionata” che però nello spettacolo viene ribadita in maniera prolungata ed insistente fino a toccare momenti attoriali iperbolici: in alcuni punti fanno perdere l’effetto di straniamento desiderato.

Border Tales – Racconti di frontiera

Border Tales – Racconti di frontiera

I danzatori incorporano egregiamente il senso di dislocamento che hanno provato nella loro famiglia di origine o dal loro paese: l’uso dello spazio aperto, circoscritto e condiviso apre il senso di questa percezione nei confronti dello spettatore. La musica del colombiano Anthar Kharana, eseguita in parte dal vivo, è strutturale alla solida drammaturgia dello spettacolo e lascia spazio ai danzatori per creare uno spazio di comunicazione ampio.

Questo lavoro, in conclusione, è un’eccellente dimostrazione di come la danza possa rendersi consapevole dei cambiamenti sociali, ma soprattutto delle influenze antropologiche che questi cambiamenti causano. Scoprendo come l’Arts Council of England abbia finanziato un progetto di questo spessore sociale, rimane da chiedersi quanto in Italia potremmo imparare da questo modello di creazione veramente “contemporanea”: una progettualità nata non da un’elaborazione esclusivamente intellettuale, ma da un’esperienza laboratoriale che va ad operare in precisi contesti sociali e li porta a conoscenza di un pubblico preparato.