Giunto alla sedicesima edizione, l’audace festival romano dei linguaggi contemporanei Short Theatre è pronto a un cambio di pelle. Il passaggio del testimone alla direzione artistica si è concretizzato in una curatela condivisa tra la direttrice uscente Francesca Corona e quella futura Piersandra Di Matteo, connotando l’appuntamento come un momento di passaggio ma anche come una summa di quanto proposto negli ultimi anni.
Abbiamo intervistato Di Matteo durante le giornate conclusive del festival per misurare la temperatura di quanto vissuto in questa fine d’estate 2021 e per cogliere qualche intuizione per le stagioni a venire.
Ph. Claudia Pajewski
Ph. Claudia Pajewski
Iniziamo dal titolo di questa prima edizione del festival da lei co-curata con Francesca Corona, «The voice this time». Perché lo avete scelto?
È una frase pronunciata senza un verbo, con una parola che apre a una moltitudine di significati. Lo intendo come un tentativo di spostare l’attenzione sulla dimensione dell’ascolto, un’ecologia della risonanza. Pensiamo al festival come a uno spazio vibrazionale in cui i corpi si rinviano reciprocamente, questo comprende tanto i corpi di chi performa quanto quelli del pubblico, le superfici urbane e gli ambienti che abbiamo attraversato: WeGil, Pelanda, Teatro India.
Ci è sembrato importante intrecciare questa connessione con la città lavorando per echi, rimandi fantasmatici, sommovimenti tellurici. L’ascolto è uno spazio in cui poter rivendicare qualcosa dal punto di vista politico, perché anche in quella dimensione possono attivarsi forme di agonismo, è un campo elastico e dinamico che può anche interdire e ostruire l’ascolto di altre voci.
C’è qualche aspetto in particolare del suo bagaglio di esperienze che vorrebbe introdurre in questo festival?
Sin da giovanissima ho sentito l’urgenza di essere a contatto con i linguaggi più innovativi attraverso un’attitudine teorica, di studio e di ricerca, ma anche con una conoscenza molto pratica e operativa di cosa significa stare in scena e di che cos’è una drammaturgia. In quest’ultimo caso mi riferisco in particolare alla grande palestra che ha rappresentato per me il lavoro con Romeo Castellucci e il mondo operistico, quindi con grandi macchine di produzione che però permettono di vedere con chiarezza quali sono le necessità.
Le due dimensioni interconnesse, la teoria e la pratica della scena, sono quindi ciò che porto con me in un festival come Short Theatre, che in questi anni è stato un bacino importante per rilanciare i nuovi linguaggi che avrebbero avuto difficoltà ad arrivare in Italia. Inoltre il lavoro curatoriale che ho svolto negli ultimi anni per il Teatro Nazionale ERT ovvero Atlas of transitions biennale, un progetto che metteva in relazione arte, migrazione e cittadinanze, mi ha permesso di approfondire questo nesso importante. Ci siamo messe in contatto con una serie di associazioni diffuse nella città, come Matemù, Lucha y Siesta, Asinitas, Carrozzerie n.o.t, per immaginare insieme ad alcuni artisti internazionali progetti che potessero creare delle forme di meticciato e di incontro indipendenti dagli spettacoli.
Nella programmazione ci sono molte artiste afrodiscendenti ed extraeuropee, dal suo punto di vista cosa stanno immettendo nel campo delle arti performative occidentali?
Sì, ci sono Chipaumire, Beugré, Menzo, Mussie, Piña e altre. Credo che il loro sguardo, la loro concezione del corpo e della presa di parola nello spazio pubblico sia in grado di mettere a problema il sistema collaudato del privilegio e della subalternità, ridisegnando i confini dell’immaginario e proponendo una critica nei confronti della neocolonialità. In particolare poi sono tutte donne che lavorano sulla rappresentazione del corpo femminile nero e su cosa significa portarlo in scena, con delle posture e delle possibilità di manifestazione impreviste.
Roma è considerata una realtà piuttosto difficile per l’azione culturale, com’è andata fin qui e qual è la sua relazione con la città?
Sicuramente è una città complessa e straordinariamente ricca sotto tutti i punti di vista, di informazioni, input e possibilità. È a questa Roma che mi piace rivolgere lo sguardo, ad una metropoli con un immaginario stratificato, che ha delle specificità a seconda dei quartieri in cui la vita urbana si definisce. Bisogna imparare a conoscerla giorno dopo giorno e nei mesi passati ho intensificato la mia conoscenza che pure avevo già. Poi credo comunque che oggi si possa lavorare artisticamente soltanto se si è in molti e se si è insieme, in una collettività.
In questa edizione del festival c’è stato qualche momento che l’ha colpita in particolare?
C’è un continuum di intensità, WeGil convoca delle pulsioni molto chiare per la natura del luogo, abitare quell’edificio in stile fascista richiede ogni volta una strategia. Abbiamo inaugurato la rassegna con l’affacciarsi al balcone di Sofia Jernberg, un’altra artista afrodiscendente con un discorso tutto declinato vocalmente, lei è una cantante sperimentale che mescola il bel canto con la tradizione dell’Etiopia. Mi è sembrata una giusta accensione per questo festival. L’intensità si è andata poi snodando tra quelli che sono i momenti intercapedine ovvero ciò che accade tra le performance, tra gli spettatori, tra uno spettacolo e un talk, in quello spazio vibrazionale che costituisce la relazione.
Sta avendo delle idee per i prossimi anni, qualche elemento su cui agire e rilanciare?
Le idee arrivano in continuazione, ci sono delle linee di tensione che mi animano e questa edizione ne ha alcune tracce come il progetto ReciproCity, che vuole intrecciare un rapporto sempre più stretto tra i linguaggi della performance e la città. Mi interessa anche comprendere il nesso tra teatro e poesia, dopo tanti anni in cui la centralità è stata posta sul teatro di narrazione; infine lavorare su formati aperti, che da un punto di vista organizzativo sono più complessi, ma per me è molto importante creare situazioni in cui le persone siano coinvolte e possano condividere uno spazio e un tempo.
Lucrezia Ercolani è nata a Roma nel 1992. Interessi e mondi diversi hanno sempre fatto parte del suo percorso, con alcuni punti fermi: la passione per le arti, soprattutto quelle dal vivo; l’attenzione per le espressioni sotterranee, d’avanguardia, fuori dai canoni. Laureata in Filosofia all’Università La Sapienza, è stata redattrice per diverse riviste online (Nucleo Artzine, Extra! Music Magazie, The New Noise, Filmparlato) e ha lavorato al Teatro Spazio Diamante. Ultimamente collabora con Il Manifesto.
Il Consiglio d’Amministrazione di Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Nazionale, presieduto da Giuliano Barbolini e composto da Mauro Casadei Turroni Monti, Irene Enriques, Remo Mezzetti, Anna Maria Quarzi, Maria Grazia Scacchetti e Joan Subirats, nella seduta del 16 gennaio 2021 ha deliberato all’unanimità, pienamente supportato in questo indirizzo dai Soci Fondatori (Regione Emilia-Romagna e i Comuni di Modena, Cesena e Bologna), di procedere attraverso un Avviso di selezione per il conferimento della Direzione della Fondazione, con la conseguente responsabilità generale della programmazione e della gestione di tutte le attività istituzionali dell’Ente.
Ai fini dell’ammissione alla selezione, i candidati dovranno possedere una comprovata esperienza nel settore teatrale e una comprovata esperienza nell’organizzazione e direzione manageriale e/o artistica maturata nel settore dello spettacolo dal vivo. Le domande possono essere inviate all’indirizzo di posta elettronica certificata selezionedirezione@pec.emiliaromagnateatro.com a partire dal giorno 18/01/2021 ed entro il termine perentorio delle ore 13:00 del giorno 08/02/2021 allegando il curriculum formativo e professionale.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
La programmazione al chiuso del Teatro Arena del Sole di Bologna ricomincia all’insegna di un allestimento dicotomico e affascinante: Romeo and Juliet. Melo – Drama di Teodoro Bonci del Bene, produzione ERT Emilia Romagna Teatro, in scena dal 10 al 20 Settembre. Il regista, giovane e dalla formazione insolita (è infatti il primo allievo italiano del Teatro d’Arte di Mosca) porta, nella sua versione della tragedia shakespeariana, uno sguardo attento e critico alla drammaturgia originale, sulla quale innesca la propria visione.
Di fronte a un nuovo allestimento di Romeo e Giulietta una domanda sorge spontanea: cosa si può aggiungere a quella che è forse la più incastonata nell’immaginario comune delle opere shakespeariane? Proprio da questa riflessione parte lo spettacolo: nel prologo iniziale il dilemma viene palesato e allo spettatore viene chiesto apertamente quale sia la ragione di tornare a vedere una storia che si conosce già. La novità più importante del lavoro di Teodoro Bonci del Bene forse è proprio questa: Romeo and Juliet è una messa in scena che ascolta non solo le esigenze del pubblico, ma anche quelle dei suoi protagonisti.
Romeo e Giulietta vengono liberati da una certa fissità iconica, con cui spesso vengono ritratti e investiti di tutte le fragilità violente dell’adolescenza. Il regista plasma i suoi personaggi portandoli nella contemporaneità, senza però privarli della grazia senza tempo del verso shakespeariano e realizzando una spassionata dichiarazione d’amore per l’età adolescenziale e i suoi congeniti chiaroscuri. In un allestimento in cui il focus è sulla tragicità di Giulietta, vengono sollevati drammi nuovi del personaggio, tutti i fantasmi e le paure che rendono giustizia all’eroina tridimensionale plasmata da Shakespeare.
Lo spettacolo viene definito melo-drama: le scelte musicali accompagnano la messa in scena, raccontano le intenzioni dei personaggi. E lo fanno attraverso i suoni scanditi, autentici dei vinili, scelta suggerita al regista dalla sua adolescenza, da una certa estetica anni ’90 che fa parte del suo immaginario, ma che inevitabilmente travolge lo spettatore, indipendentemente dalla sua età anagrafica.
Utilizzando in maniera disinvolta la specificità dei codici espressivi presenti in scena che si intrecciano costantemente senza sovrastarsi, in una messa in scena essenziale, il regista dipinge tre differenti generazioni di adolescenti. In scena Carolina Cangini, Jacopo Trebbi e lo stesso Teodoro Bonci del Bene che in questa intervista racconta Romeo and Juliet. Melo – Drama.
Fra gli aspetti più interessanti dello spettacolo emerge sicuramente la sensazione che la storia sia realmente raccontata dal punto di vista di due adolescenti e che, al tempo stesso, la sua realizzazione risulti accattivante per un pubblico di giovanissimi. Come si arriva a raccontare gli adolescenti attraverso i loro occhi?
Nel momento in cui ho deciso di lavorare su Romeo e Giulietta la scelta è caduta su questo testo proprio perché mette a tema l’adolescenza e alcuni traumi e conflitti tipici di questa fase della vita. Ho subito chiesto al teatro di mettermi in contatto con una classe, volevo che fosse una classe e non dei ragazzi singoli, perché non mi sarebbe corretto parlare di loro senza interpellarli.
Sentivo il bisogno di guardarli meglio e fare un percorso con loro. Loro sono depositari di una serie di codici ed informazioni che a noi sono oscure, inaccessibili, sono dei geroglifici. All’interno dello spettacolo ci sono tutta una serie di cose che la classe del Liceo Galvani di Bologna, ha fatto con me ed è entrata nello spettacolo, sto parlando di alcune battute dello spettacolo, quando gli adolescenti vedono che noi parliamo di loro con cognizione di causa, non perchè ho voluto dare una semplice soddisfazione agli alunni.
Parlando dell’utilizzo dei mezzi tecnologici, c’è una sorta di antitesi/connubio tra digitale e analogico. Cosa racconta questa scelta?
È nato tutto in maniera nebulosa, è andato definendosi progressivamente, ma tutti gli elementi in scena erano presenti già dal primo momento di ideazione, perché l’antitesi è in qualche modo la cifra di questo lavoro. Il giradischi appartiene alla mia adolescenza, è legato allo stereotipo di dj depositato nella mia memoria, mentre l’elemento digitale appartiene alla generazione di adolescenti di adesso.
Per quanto riguarda gli attori in scena: quanto c’è di autoriale nel loro lavoro in questo spettacolo?
Gli attori di questo spettacolo sono persone con cui lavoro da molto tempo, quindi ho cercato di immedesimarmi nel loro modo di pensare. In questo lavoro non c’è improvvisazione, ogni singola posizione sul palco è scandita da un piccolo pezzo di scotch sul palco che indica, in quella scena, dove deve stare l’alluce del piede destro in modo da dover dare un certo tipo di tre quarti del viso. Un lavoro maniacale che non lascia spazio all’improvvisazione.
A proposito dell’operazione sul testo con Gerardo Guccini, come si è strutturata questa collaborazione?
Gerardo mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto leggere molto, mi ha fatto comprendere non solo in maniera teorica, ma anche pratica come Shakespeare sia arrivato a Romeo e Giulietta, ovvero attraverso una stratificazione di testi e scritture che partiva da molto prima. Queste letture, a tratti quasi spiacevoli, hanno permesso di guardare i personaggi di Romeo e Giulietta da altre angolazioni e di smitizzare la faccenda, di riportare tutto su un piano più concreto, mettendo in risalto come l’operazione di Shakespeare sia prima di tutto di carattere poetico.
Si parla della lingua, del verso, della bellezza della lirica amorosa messa in bocca a degli adolescenti che si sposano di nascosto. Dove invece le fonti precedenti a Shakespeare partono dicendo che Romeo e Giulietta hanno avuto una giusta morte “perché si sono abbandonati a passioni basse e lascive, aiutati dai malevoli consigli di adulti intriganti” la storia è la stessa, il giudizio cambia. Allora mettere in bocca a dei ragazzini, che vanno contro la famiglia, delle parole meravigliose mi ha permesso di capire che il verso doveva essere esaltato e che c’era la possibilità di riportare tutto su un piano molto concreto.
La presenza sul palco del regista è quella di un personaggio un po’ ibrido, un po’ Romeo, un po’ burattinaio degli eventi. È una scelta che è arrivata subito o in corso di lavorazione dello spettacolo?
Non volevo nascondere il backstage, anzi avrei voluto ancora più “tecnica” sul palco. C’è questa dimensione di un dentro e di un fuori, la tecnica non può che essere tutta vista, io sono innamorato del dietro le quinte e secondo me il backstage è un momento molto affascinante, anche per il pubblico giovane di cui sopra, sicuramente uno dei riferimenti che io spero di vedere a teatro.
Viviamo in un tempo molto voyeuristico, dunque la dimensione di poter spiare qualcuno mentre realizza davvero qualcosa nella mia idea avrebbe potuto agganciare il pubblico e creare un elemento di interesse. Volevo mettere in primo piano assoluto Giulietta, perchè in tutti i Romeo e Giulietta, Romeo prevale sempre e fa sempre un po’ di più una bella figura.
Riguardo alla tua formazione al Teatro d’Arte di Mosca, cosa ti porti dietro dell’esperienza russa e cosa la scena contemporanea italiana può rubare alla Russia e viceversa?
Quello che mi porto in prova sono delle cose che affiorano alla memoria in un modo difficile da definire, alcune suggestioni semplici, accanto a riflessioni poco traducibili e spiegabili: ad esempio, un certo tipo di atteggiamento da assumere nel momento in cui un personaggio dà una notizia, la capacità di aspettare che il compagno di scena interiorizzi la notizia, la reazione non deve essere intenzionale, ma deve scaturire dall’ascolto. L’importanza di non essere in contatto con la tua idea del personaggio e dell’opera e l’idea che l’attore non è un vettore che ritorna a sé stesso ma che tutti i vettori colleghino le persone sul palco e poi il palco e la platea.
La scena italiana può rubare alla Russia il lavoro sull’energia, per cui la scena contemporanea ha sempre vinto sul teatro tradizionale. Le grandi avanguardie del novecento, sono portatrici di un’energia, di un motore interno che scalda il pubblico, ho avuto modo di lavorare in accademia quasi esclusivamente sull’energia, in un ambiente in cui le note a fine spettacolo non riguardano appunti tecnici, ma la capacità di instaurare un dialogo energetico con il pubblico, e questo è ciò che spero di riuscire a portare sul palco.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Dialoghi, incontri e seminari online con studiosi, curatori e artisti internazionali, gratuiti e aperti a tutti in streaming su Facebook e Youtube: è il ricco programma previsto per Performing Resistance. Dialogues on Arts, Migrations, Inclusive Cities, che si terrà dal 16 al 20 giugno.
Atlas of Transitions Biennale – Right to the City | Diritto alla Citt – Unleashing ghosts from urban darkness
Organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna e Cantieri Meticci, Performing Resistancerappresenta una riconfigurazione alternativa e digitale della Summer School, momenti teorici e di dibattito previsti a giugno 2020 all’interno del programma della terza edizione di Atlas of Transitions Biennale, il festival dedicato alle migrazioni realizzato a Bologna nell’ambito del progetto Creative Europe “Atlas of Transitions, New Geographies for a Cross-Cultural Europe” e che a causa dell’emergenza in corso è stato in parte ripensato.
Le giornate di Performing Resistance, che si collocano nel solco tracciato negli ultimi due anni da Atlas of Transitions Biennale, si pongono l’obiettivo di indagare il rapporto tra arti, migrazioni e cittadinanze, riflettendo su come le pratiche performative siano capaci di creare spazi di resistenza, forme di sovversione, narrazioni altre, processi collettivi di riappropriazione e immaginazione dello spazio pubblico; fino a giungere all’attuale situazione di crisi per riflettere criticamente sui confini e la mobilità.
«La forza tifonica della pandemia in pochi mesi – afferma la curatrice artistica Piersandra Di Matteo – ci ha chiamati a vivere trasformazioni radicali. È una mutazione epocale che opera, a tutta prima, una drastica riduzione del reale. Tutto si complica enormemente nel quadro, paradossale, di una contrazione brutale del tempo e dello spazio in cui viviamo. Se i nostri corpi sono stati frenati dal lockdown e dall’incertezza che tiene in scacco il campo del possibile, disinnescati dal confinamento coatto, intorpiditi dalla colpevolizzazione individualizzata, una tonalità emotiva fondamentale caratterizza questi giorni: è un desiderio dei corpi, uno stato affettivo che non investe soltanto i corpi umani ma ogni corpo, animale, vegetale, minerale, qualsivoglia porzione di materia. È un voler essere irrimediabilmente un corpo – tra – corpi. In relazione. Per avere cura di questo desiderio, le azioni di Atlas of Transitions Biennale non verranno semplicemente posticipate in autunno ma ripensate attraverso un esercizio di immaginazione che tenga conto dell’attuale sentire. Si tratta di pensare ed esercitare le arti performative come l’avamposto per un allenamento corporeo, affettivo, collettivo alla collettività, capace di reinvestire lo spazio pubblico, il diritto alla città, lo spazio domestico tenendo conto delle nuove condizioni per smarginarle attraverso altre alleanze, parentele non normative, posture corporee intensificate dalle differenze, contro ogni feticizzazione del migrante».
La Summer School Internazionale era rivolta a 30 partecipanti selezionati attraverso un bando pubblico. La risposta e l’interesse riscontrato sono stati straordinari: più di 130 persone, da Cuba all’Afghanistan, dal Brasile al Messico, hanno sottoposto la propria candidatura. L’attuale situazione ha però spinto il gruppo di lavoro, guidato da Pierluigi Musarò (Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna) a invertire il piano e quindi a riformularne una dimensione online.
«Una proposta di alto valore politico, aperta e inclusiva, come tutta la conoscenza dovrebbe essere. Un programma che – afferma lo studioso Pierluigi Musarò – punta oltre i confini dell’emergenza, da quella del nemico invisibile da poco sbarcato in Europa a quella più cronica e spettacolarizzata che migranti e richiedenti asilo vivono sulla loro pelle. Perché l’emergenza sanitaria passerà, e probabilmente non sarà l’ultima. Lascerà molte vittime sul campo, per le quali occorre nutrire profondo rispetto. Ma starà a chi resta il compito di rimboccarsi le maniche e re-immaginare il lavoro da fare. In primis inventando narrative diverse per definire quel che è accaduto, sperimentando schemi e discorsi capaci di aprire nuove possibilità di solidarietà e giustizia sociale, senza più ignorare un comune destino di vulnerabilità. Un destino, volenti o nolenti, senza frontiere».
Da queste premesse nasce la Summer School Performing Resistance. Dialogues on Arts, Migrations, Inclusive Cities ̶ curata collegialmente da Piersandra Di Matteo, Pietro Floridia, Melissa Moralli e Pierluigi Musarò ̶ , in cui studiosi, attivisti, curatori e artisti internazionali avranno l’occasione di confrontarsi ed esplorare le modalità attraverso cui le arti performative possano costruire spazi di resistenza, dando vita ad azioni capaci di declinare altre visioni delle e nelle città contemporanee, promuovendo processi collettivi di partecipazione, riappropriazione e immaginazione dello spazio pubblico. Partendo dalla decostruzione di posizioni paternalistiche, neocoloniali ed esotizzanti che stigmatizzano la figura del migrante, gli incontri approfondiranno anche questioni come il confine tra arte e attivismo, la creazione di dispositivi alternativi al sapere codificato, forme di cittadinanza “affettiva” e di riconfigurazione attuale dell’arte pubblica, in relazione con lo spazio urbano, sia reale che immaginato.
Il programma è composto da due lezioni al giorno in inglese, più una lezione organizzata da uno dei partner internazionali di Atlas of Transitions (Théâtre de Liège, Powszechny Theatre di Varsavia, Le Channel di Calais con l’Università di Lille e Tjeter Vizion di Elbasan, Albania) in una lingua europea, un modo per abbracciare la ricchezza culturale e creativa del network che ha dato vita al progetto. Ogni incontro, della durata di un’ora, sarà caratterizzato da uno spazio dedicato al pubblico di ascoltatori che potrà partecipare con domande e commenti.
GLI INTERVENTI
Tra gli interventi in inglese, la studiosa greca, Lilie Chiuliaraki, docente alla London School of Economics and Political Sciences – nota per il suo libro Lo spettatore ironico. La solidarietà nell’epoca del post-umanitarismo – indaga i processi di rappresentazione simbolica delle “vittime” nell’attuale pandemia, focalizzandosi su una puntuale analisi delle retoriche populiste. Da un’altra prospettiva, Nikos Papastergiadis, direttore del Research Unit in Public Cultures dell’Università di Melbourne, propone una riflessione sugli scenari futuri dell’arte pubblica e del suo ruolo chiave nella condivisione di immaginari e pratiche di collaborazione nel contesto urbano post-pandemico. Il sociologo e politologo italo-belga Marco Martiniello, direttore del Center for Ethnic and Migration Studies dell’Università di Liège, rivolge la propria attenzione alla generazione “post-razziale” che si manifesta nello spazio urbano attraverso pratiche artistiche di collaborazione radicate localmente ma interconnesse a livello transnazionale. Il teorico politico e attivista Sandro Mezzadra dell’Università di Bologna e il filosofo statunitense Michael Hardt della Duke University discutono dell’esperienza di Mediterranea #Saving Humans di cui sono entrambi promotori, punto di partenza per affrontare temi cruciali che riguardano l’attuale politica migratoria: dalle mutazioni dell’umanitarismo alla crisi dei diritti umani, dalla libertà di movimento all’autonomia della migrazione.
La giornalista finlandese-nigeriana Minna Salami indaga la nozione da lei coniata di “Afropolitanismo” e la necessità di attivare una “conoscenza sensibile” (Sensuous Knowledge) e femminista capace di inaugurare approcci decoloniali e antirazzisti. Daniel Blanga Gubbay, co-direttore del Kunstenfestivaldesarts, indaga i dispositivi della conoscenza attivi in alcuni progetti educativi ideati all’interno dell’istituzione artistica capaci di produrre spazi e modalità di trasmissione per forme e saperi “invisibilizzati”. Spostandosi dai centri urbani alla periferia dell’Europa, la studiosa dell’Università di Westminster, Federica Mazzara, analizza le strategie messe in atto dagli artisti per sfidare le narrative che stigmatizzano negativamente i migranti, concentrandosi in particolare sul tema delle morti in mare. La socio-antropologa finlandese, Karina Horsti, docente all’Università di Jyväskylä, propone una riflessione critica su come istituzioni e operatori culturali, artisti e attivisti possano rendere visibili i confini invisibili, analizzando le conseguenze che ne derivano.
A partire dalla nozione di “ribelle” formulata da Saidiya Hartman, il dramaturg and lecturer afro-americano Tunde Adefioye riflette sugli spazi occupati dalla gente di colore con i propri archivi in Europa, suggerendo l’urgenza di una fondazione drammaturgica nera, capace di osservare chi occupa le città europee, chi è autorizzato a farlo o ne è escluso.
A questi interventi, si aggiungono i dialoghi con artisti e studiosi organizzati dai partner internazionali del progetto. Una riflessione su politica ed etica del “rifugio” è condotta dalla ricercatrice dell’Università di Lille, Sophie Djigo e da Camille Louis a partire dall’esperienza della giungla di Calais; lo studioso albanese Hektor Ciftjarifletterà sul rapporto tra mezzi di comunicazione di massa e inclusione sociale, mentre traiettorie, esperienze e strategie artistiche in rapporto alle narrazioni e rappresentazioni della diversità e della migrazione saranno l’oggetto degli incontri con la regista e performer francese Léa Drouet, il drammaturgo siriano Mohammad Al Attar e la regista polacca Weronika Szczawińska.
I dialoghi sono moderati da esperti, tra i quali Pierluigi Musarò (Università di Bologna), Piersandra Di Matteo (Università Iuav di Venezia, curatrice artistica di Atlas of Transitions Biennale), Annalisa Frisina (Università degli Studi di Padova), Emanuela Piga (Università di Bologna), Ilenia Caleo (Università Iuav di Venezia e Master Studi e Politiche di Genere di Roma Tre), Francesca Guerisoli (Università degli Studi Milano-Bicocca, curatrice e giornalista) e Melissa Moralli (Università di Bologna), Emilie da Lage (Università di Lille), Edith Bartholet (Théatre de Liège), Ardiana Kasa (ong TVO) e Paweł Sztarbowski (curatore Teatr Powszechny).
Performing Resistance. Dialogues on Arts, Migrations, Inclusive Cities è parte di Atlas of Transitions. New Geographies for a Cross-Cultural Europe, progetto europeo che promuove traiettorie comuni tra residenti italiani, residenti stranieri e nuovi arrivati, sperimentando altri modi di interazione e reciprocità tra culture diverse. Il progetto coinvolge artisti, curatori, ricercatori, esperti e attivisti di sette paesi con l’obiettivo di favorire spazi di convivialità urbana attraverso la cultura e le arti performative. Oltre a Emilia Romagna Teatro Fondazione, Università di Bologna e Cantieri Meticci, il progetto è promosso a livello europeo da: Backa Theater e Università di Gothenburg (SE), Le Channel Scène Nationale e Università di Lille (FR), Motus Terrae e Università di Atene (GR), Théâtre de Liège, DC&J Création and CEDEM (Center for Ethnic and Migration Studies) presso l’Università di Liège (BE), Powszechny Theatre e il CMR (Center of Migration Research) presso l’Università di Varsavia (PL), Tjeter Vizion e Università di Elbasan (AL).
Performing Resistancesupporta Mediterranea #Saving Humans, piattaforma della società civile presente nel Mediterraneo centrale con una nave battente bandiera italiana, che svolge attività di monitoraggio e di salvataggio. Il suo obiettivo principale è quello di essere là dove è necessario, testimoniare e documentare ciò che sta accadendo e salvare chi rischia di morire, affrontando enormi pericoli nell’assenza di soccorsi, nel silenzio e nella complice indifferenza di tutti i governi. Mediterranea è attiva anche con una rete di “equipaggi di terra”. https://mediterranearescue.org
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Con i teatri chiusi, le precarie tutele lavorative per i professionisti delle arti sceniche, gli spettacoli e i festival annullati in tutta Italia fino al 3 aprile in ottemperanza alle nuove disposizioni di contrasto alla diffusione del “Coronavirus” del DPCM del 4 marzo 2020, risulta difficile non parlare dei problemi che stanno mettendo in ginocchio il settore.
Eppure, a fronte di un momento di crisi senza precedenti per il sistema teatrale c’è chi, con lucidità di pensiero e spirito d’iniziativa, tenta soluzioni sperimentali per far fronte all’impossibilità delle rappresentazioni pubbliche.
È il caso del Teatro Piccolo Orologio, spazio comunale di Reggio Emilia gestito dal Centro Teatrale MaMiMò, che ha lanciato l’iniziativa MaMiMò On Demand, pubblicando sul proprio sito web i video integrali di tutte le produzioni, visibili gratuitamente fino a quando resterà in vigore il DPCM del 4 marzo 2020.
Un esperimento radiofonico è stato proposto dal Festival Vie, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione, alla luce dell’annullamento della XV edizione. Su Radio Città del Capo è stata proposta la performance radiofonica Daily Kepler della compagnia Kepler-452. Daily Kepler si svolge nell’ambito di Così sarà La città che vogliamo, il progetto di teatro partecipato dedicato ai ragazzi tra gli 11 e i 25 anni. ERT tenta inoltre, attraverso il progetto iBliz, di non perdere il legame con la scuola. Con questa iniziativa il teatro si mette a disposizione degli insegnanti per sostenere la didattica a distanza.
Il Teatro Regio di Torino è stato costretto ad annullare il debutto dell’opera Violata, capolavoro di Korngold nell’allestimento firmato da Pier Luigi Pizzi e diretto da Pinchas Steinberg con il Coro delRegio di Torino. In accordo con OperaVision, piattaforma video europea interamente dedicata all’opera lirica, lo spettacolo sarà trasmesso gratuitamente in streaming e on demand dal 28 febbraio al 28 agosto 2020.
Il Teatro Biondo di Palermo decide di far fronte alla chiusura con tre proiezioni streaming sul suo canale Youtube (@TeatroBiondo): fino a domenica 8 marzo, dalle 17 alle 22, sarà possibile assistere gratuitamente allo spettacolo Viva la vida di Gigi Di Luca, con Pamela Villoresi e con Lavinia Mancusi (musiche) e Veronica Bottigliero (body painter). Mezz’ora prima di ogni proiezione, sulla pagina Facebook del Teatro Biondo, saranno pubblicate le interviste live dietro le quinte insieme a ospiti speciali, uno per ogni giornata.
Teatro a porte chiuse è la risposta del Teatro Studio Uno, casa romana del teatro indipendente, all’emergenziale chiusura delle attività. In comune accordo con le compagnie in scena, si è scelto di offrire la visione degli spettacoli trasmettendoli in diretta sulla pagina Faceboook di Teatro Studio Uno. A sostegno dello spazio e degli artisti, è stato aperto un conto paypal tramite il quale poter effettuare una donazione per la diretta dello spettacolo, oltre a prevedere la possibilità di acquistare dei biglietti virtuali dal sito eventribe.
Il contagio dilagante può destare meno paura se il virus che si diffonde è quello dell’arte. È quanto cercano di fare alcuni artisti che, attraverso la neonata pagina Facebook Il bel contagio, condividono dei brevi video in cui declamano stralci di opere per riaffermare che la cultura, lo spettacolo e la bellezza sono indispensabili (e devono essere virali).
In apertura del programma radiofonico Radio3 Suite, la giornalista Laura Palmieri insieme al team di Radio3, ha avviato un’iniziativa di sostegno agli artisti che consiste nella possibilità di usufruire di un palcoscenico sonoro della durata di 15 minuti. Dal lunedì al venerdì, dalle 20:10 alle 20:30, andranno in onda pillole teatrali in cui gli artisti potranno condensare creativamente gli spettacoli sospesi o annullati.
TeatroTedacà
C’è chi ha scelto di non interrompere la propria proposta culturale seguendo la disposizione ministeriale di garantire un metro di distanza tra gli spettatori. È il caso del Teatro Trastevere e del Teatro Furio Camillo di Roma, del Teatro Faraggiana di Novara e del TeatroTedacà di Torino.
Anche il Teatro dell’Opera di Roma non si ferma. Per il prossimo fine settimana, che va dal 13 al 15 marzo, in programma tre appuntamenti musicali dall’emblematico titolo R/Esistere aperti al pubblico nella sala del Costanzi.
Questa parziale mappatura delle iniziative di contrasto a un’emergenza che piega un settore fragile quale quello dello spettacolo, è un chiaro segnale lanciato da un sistema a rischio che, sul filo della precarietà, cerca di restare in equilibrio senza arrendersi. Richiamando artisti e operatori a unirsi, nella difficile condizione sanitaria che attanaglia la nazione, il teatro italiano si spoglia delle vesti ufficiali, portando avanti la necessità di fare cultura e condividere bellezza.
Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
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