Associazione Entròpia, un’esperienza di partecipazione attiva

Associazione Entròpia, un’esperienza di partecipazione attiva

L’occasione che si è creata intervistando Andrea Baldoffei, attore, autore e direttore artistico dell’Associazione Entròpia è stata foriera di un viaggio, di quelli che attualmente si possono fare ad intermittenza, quando le condizioni e l’allentamento delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria lo consentono. Entròpia è un gruppo di giovani artisti e operatori culturali che costantemente realizzano l’obiettivo di fornire un’offerta culturale in una realtà di provincia, mantenendo però un respiro internazionale e aperto all’influenza con diverse culture. Si occupano di organizzazione, didattica e produzione e oltre ad essere un’associazione culturale, sono anche una compagnia teatrale. Tra i progetti futuri c’è in cantiere una programmazione teatrale al Teatro del Combattente e delle rassegne.

Attraverso questa conversazione abbiamo conosciuto e approfondito meglio la realtà di un territorio da scoprire. Quello dell’Alto Lazio, della Tuscia e della Sabina. Ne viene fuori un ritratto che accomuna tutte le province d’Italia. Così vicine, così lontane. Così desiderose di un anelito, di nutrimento per l’anima, di Cultura e di Teatro. E allora è bello constatare che la provincia può anche essere uno stato mentale, ma ancor più bello è quando si creano i legami, quando avviene uno scambio di umanità e di esperienze, quando con le parole e con  le azioni si costruiscono percorsi, strade, ponti tra le persone. Quando si abbattono i confini e la paura delle diversità, quando si riduce la separazione e il senso di vuoto che, soprattutto in questo periodo, fa sentire tutti un po’ più soli.

Plus Dialoghi sul futuro è diventato un appuntamento fisso nel presente, con uno sguardo rivolto al futuro. Di cosa si tratta nello specifico?

Plus è una rassegna di interviste che vuole avvicinare le persone al Teatro del Combattente, alle attività dell’Associazione Entròpia per riunire attorno a sé un pubblico vasto. Non per forza legato alla Sabina e alla Tuscia, due province del Lazio adiacenti, ma approfittare del mezzo virtuale per espandersi e per far conoscere la realtà altrove. Essere un ponte. Abbiamo scelto un format più concentrato di quaranta minuti circa, con domande mirate e in ogni puntata si affronta un tema diverso di attualità. 

Tra i nostri ospiti diversi nomi della cultura: Elena Arvigo e Gioia Di Cristofaro Longo hanno dialogato con noi sulla diversità mentre con Ilaria Drago abbiamo parlato dei sogni per la ripartenza. Con Carlo Boso abbiamo sviluppato il tema del Carnevale, in relazione con il genere teatrale della Commedia dell’arte. Abbiamo intervistato Davide Conti dell’Archivio Storico del Senato, il senatore Vasco Errani che è stato anche Presidente dell’Emilia Romagna. Con quest’ultimo si è parlato di partecipazione sociale, due parole che per noi del teatro Combattente sono molto importanti e di come recuperare la fiducia nelle istituzioni. Poter parlare con Titti Postiglione che è Dirigente del Servizio Civile Universale per le politiche giovanili del Ministero è stata una bella esperienza. 

Con Erri De Luca abbiamo parlato di un argomento a parer mio molto bello, l’importanza e la scelta delle parole. Il tema dell’incontro era “Perché leggere, perché scrivere?”. Un altro scrittore che abbiamo intervistato è Mario Fortunato, il quale è stato candidato al Premio Strega, è molto conosciuto anche all’estero e, tra l’altro, risiede in Sabina, una terra da scoprire. Con Plus, abbiamo voluto attivare una serie di incontri con delle realtà molto importanti. Per la puntata sul tema dell’identità abbiamo ospitato Susanne Andreasen, la Direttrice del Teatro Nazionale di Groenlandia e Klaus Geisler, uno degli attori. Con loro nello specifico abbiamo parlato di identità nel mantenere la tradizione, di come essa si evolve nel presente. Loro hanno una cultura affascinante, in perfetta sintonia con l’ambiente che li circonda. Anche il loro modo di esprimersi scenicamente in qualche modo gode di questa influenza. 

Abbiamo anche intervistato Chintan Pandya, attore, performer e regista indiano, fondatore di Fanatika Theatre Company. Questi ed altri dialoghi rappresentano per noi un modo per incontrare il mondo al di fuori dell’Italia. Colleghi amici con cui dialogare, creare delle cose quando sarà possibile farlo, lasciandoci influenzare da culture diverse. Il risultato di questa unione è la nostra missione.

In che direzione andrà e come evolverà la rassegna Plus?

Plus terminerà in estate e posso dire che forse riprenderà con un nuovo formato, diverso. Stiamo capendo che essere presenti sul web significa non solo avvicinare le persone al teatro, utilizzare la realtà virtuale come un amplificatore, ma abitarla come un non luogo che si sviluppa con una propria autonomia, una propria identità. Abbiamo scoperto dei nuovi modi di utilizzo del web, complementari e paralleli, per sviluppare progetti culturali. Ci stiamo interrogando su come unire queste due strade o come farle viaggiare insieme. 

Sempre riguardo a Plus possiamo dire che è un’occasione per il pubblico non solo della zona dell’Alto Lazio, ma anche dell’Umbria, è un modo per creare una rete tra le persone e i vari esponenti del mondo della cultura. Non solo grandi nomi, non solo artisti esperti. Ci piace fare far incontrare e conoscere le nuove proposte con le loro esperienze. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di fare luce sulle nuove realtà. Non abbiamo grandi pretese, però amiamo ripetere che voliamo basso, ma costantemente. Ci alziamo in volo gradualmente. 

Di cosa si occupa l’Associazione Entròpia?

La nostra associazione è anche un collettivo teatrale. L’idea è di continuare a fare, quando si potrà, quello che abbiamo iniziato prima del lockdown, più di un anno fa, e che da marzo 2020 abbiamo dovuto sospendere. Provare, avere modo di incontrarci, con le dovute accortezze, mettere nello spazio le nostre idee, ritornare a scrivere. Un teatro costantemente aperto, insomma. La nostra associazione è stata pensata come un contenitore; ci occupiamo di organizzazione, di didattica e di produzione. Abbiamo realizzato corsi di Teatro concepiti per coloro che non lo fanno come professione, abbiamo lavorato con il Centro socio educativo di Castellana coinvolgendo persone con disabilità. 

Entròpia non è abitata soltanto da artisti, ma anche da persone che nella vita si occupano di scienza, di valorizzazione dei luoghi di cultura attraverso delle progettualità continue e strutturate. Tutto questo deve essere il teatro che stiamo valorizzando e, infine, ci occupiamo di produzione. Il nostro primo spettacolo prodotto è stato Memme Bevilatte salvata da Teresa, uno spettacolo che parla della storia di Teresa Giovannucci e Pietro Antonini che hanno salvato due famiglie di religione ebraica dalla deportazione nei campi, nascondendoli nella loro casa di Riano in provincia di Roma.

L’idea è nata in seguito all’incontro con lo scrittore, giornalista, editore Italo Arcuri, il quale aveva scritto un saggio romanzato dal nome Memme Bevilatte. Grazie a lui ho conosciuto la vera Memme, ovvero Miriam Dell’Ariccia che porta in giro per l’Italia la sua testimonianza. È nato così un monologo legato alla Shoah, in scena eravamo io e Alessandro Giannone un musicista e chitarrista. Per due anni lo abbiamo portato in una quarantina di scuole, tra istituti, scuole medie e superiori, allestendolo in diversi spazi. 

Uno dei progetti a medio lungo termine è quello di collaborare con un’attrice spagnola e un attore belga insieme a Kamila Straszyńska che curerà la regia per un testo che stiamo scrivendo. Per quanto riguarda il settore dell’organizzazione della nostra associazione, l’idea è sempre stata quella di creare dei punti di incontro tra il lavoro scenico attoriale, il lavoro con la musica e la realtà del territorio. Chi sta in provincia, infatti, non può godere di centri culturali; spesso e volentieri i paesi scarseggiano di una progettualità culturale pensata e realizzata proprio dai giovani. Vorremmo formare un gruppo che promuova l’andare in questa direzione.

In questo contesto di riferimento, uno spazio di rilievo è il Teatro del Combattente. È diventato la sede territoriale, la casa della cultura?

Molto pragmaticamente ci serviva un posto dove provare, dopo un’accurata ricerca avevamo trovato un teatro completamente ristrutturato ma vuoto. Non poteva andare bene come cosa e così abbiamo ideato un piano di lavoro che abbiamo presentato al comune di Collevecchio. L’amministrazione comunale è stata molto aperta, ci ha accolti e ascoltati, non ci ha guardato dall’alto in basso prendendoci per pazzi. Insieme con loro abbiamo realizzato un progetto che si chiama Presenza Valore. Il nome è fin troppo esplicativo, significa sentirsi parte di una comunità attiva che partecipi e si prenda cura dei propri spazi. 

Volevamo essere presenti e abbiamo attivato il Teatro del Combattente come spazio culturale, con l’obiettivo di farlo diventare un centro di riferimento nonostante siamo stati messi a dura prova dalla pandemia. Un luogo di ospitalità: la nostra idea è quella di aprire gli spazi, mediante progetti mirati, ad altre compagnie dando loro la possibilità di fare in futuro anche delle residenze che prevedano uno scambio di esperienze, di know how e una serie di corsi didattici per la comunità. Quello che sentivo e che mi mancava era proprio un posto dove sentirmi a casa, dove poter progettare e fare. Per adesso l’abbiamo trovato. 

La provincia viene considerata come un luogo dove un determinato tipo di spettacoli non possonocircuitare; è in debito rispetto rispetto alle proposte culturali che offrono le grandi città. Il fatto che ci sia un teatro classico del 1800 in provincia a me dà molta speranza. Lo stabile era stato già ristrutturato perché a Collevecchio c’era stato il terremoto. È un luogo  può diventare un simbolo, un punto di riferimento anche per giovani operatori nel campo della cultura. Noi vogliamo coinvolgere i giovani, farli venire a teatro, alle presentazioni, farli partecipare in tutto e per tutto. Questo vorrebbe essere tutto quello che stiamo facendo.

Quanto spazio viene riservato ai giovani oggi, nel settore della Cultura in Italia?

Non mi sento di elargire critiche o giudizi nonostante io abbia un pensiero. Sono stanco di cercare colpevoli, nonostante sia giusto trovare la falla e riparare l’ingranaggio primo che ha incancrenito tutto il sistema. Ci sono inevitabilmente dei problemi, non possiamo negarlo, io però penso a fare. Mi piace informarmi, guardarmi attorno, formulare dei pensieri rispetto a tutto ciò che succede. Mi viene da dire che la prima cosa da fare, soprattutto in questo periodo, è non lamentarsi o se proprio è necessario, farlo per poco, giusto il tempo di scaricare un’emozione, canalizzarla e ricominciare. Anche sbagliando, perché ovviamente non c’è una formula giusta da seguire. 

Penso che chi vuole fare l’attore inevitabilmente deve sapere dialogare con le Istituzioni e questo significa che bisogna essere informati anche su ciò che non riguarda il proprio settore specifico. Collettivi come il nostro, spesso, non si possono permettere il personale di una grande compagnia. Un attore, quindi, si ritrova a dover vendere i propri spettacoli. Quando ho iniziato a vendere i miei, non mi sono messo nella posizione di lamentarmi, aspettando che qualcuno risolvesse il problema al posto mio. Consapevole del fatto che che i giovani spesso non sono ascoltati, ho chiuso gli occhi, ho fatto finta di niente e ho iniziato a contattare, a comunicare. Più lo facevo e più imparavo a saper comunicare con gli interlocutori istituzionali, ad esempio. Un singolo o un gruppo di artisti arriveranno a comprendere che una persona che sta nell’Ufficio Tecnico del comune non parla la stessa lingua dell’attore. Ognuno ha il suo lavoro e dunque quando viene illustrato uno spettacolo in quelle sedi è dal quadro economico che si parte.

A chi vuoi dare voce mediante i tuoi spettacoli e i tuoi progetti?

Mi piace trovare quei sentimenti, sensazioni, tematiche o aspetti della personalità degli esseri umani che accomunano i “culturalmente diversi”. Mi interessa adocchiare alcuni argomenti storici, questo per quanto riguarda l’aspetto creativo ad ora.  Mi interessano le contraddizioni che come persone abbiamo tutti noi.
Vorrei che tramite l’associazione si desse voce e spazio al pubblico, per creare un rapporto con gli spettatori approfittando del calore e della vicinanza che esiste ancora nei paesi. Un lavoro sul territorio, passa anche dalla conoscenza delle varie realtà del paese, delle persone. A Collevecchio stiamo facendo qualcosa del genere con il Centro Anziani, stiamo girando un documentario su di loro, con loro. 

Mi piace l’idea che le persone possano trovare nelle proposte di Entròpia un non luogo in cui poter discutere, avanzare proposte, pensieri, poter essere propositivi e attenti, con un occhio allenato alla visione. Mi piace mettere a confronto le varie età. Per quanto riguarda invece gli operatori in campo artistico e culturale mi piacerebbe che l’associazione fosse un luogo di incontro, di scambio. Non solo di conoscenze, ma di possibilità da creare. Dopo l’Accademia, come per tutti gli attori, ci sono state delle volte in cui mi è mancato sentirmi in compagnia, sentirmi continuamente “parte di”. A me piace stare in solitaria, lanciarmi, propormi, fare esperienza verso l’ignoto però amo anche avere un’isola felice in cui potermi fermare e tornare. Mi è sempre piaciuto l’incontro con le persone, le diverse culture e conoscenze, il doversi adattare. La stasi è nemica di questo mestiere, io non voglio chiudermi all’interno del Teatro del Combattente ma voglio portare fuori e dentro la mia e le altrui esperienze.

Tutto questo passa attraverso l’incontro e lo scambio intergenerazionale?

Mi piace l’idea di creare delle possibilità di incontro con artisti giovani e non, di sentirsi fuori dal tempo. Abbiamo costruito un gruppo di direzione artistica in cui ci sono anche Massimo Iacobini del Comune di Collevecchio, Francesca Gemma e Serena Grandicelli che è tra le fondatrici del Teatro Argot di Roma insieme a Maurizio Panici. Noi crediamo nel dialogo intergenerazionale. Ho conosciuto Serena nel momento in cui da Roma si è trasferita a Collevecchio. Crediamo in questo scambio e così si è creato un bel gruppo di lavoro insieme con Clara Lolletti che si occupa della parte organizzativa. 
Cerchiamo di concretizzare quello che spesso e volentieri si sente soltanto teorizzare, ovvero l’incontro tra giovani e adulti. A me sembra di vivere quasi un’utopia ultimamente. Non so se preoccuparmi, tuttavia sono molto contento. 

Si può guardare la realtà delle cose con altri occhi?

Forse ci si può allenare a farlo. Si inizia sempre con la consapevolezza di non saperlo fare. È un punto di arrivo. Può risultare una frase fatta perché ognuno guarda con i propri occhi mettendo a fuoco quelle che sono le proprie convenienze. E poi sta nel processo umano e personale di ognuno di noi riuscire a guardare anche con gli occhi altrui, non non solo propri.