É intitolato Mycrosistems il nuovo progetto di Equilibrio Dinamico, compagnia fondata e diretta da Roberta Ferrara, nata nel 2011 per offrire concrete possibilità di formazione e tirocinio per giovani danzatori del Sud Italia. Dal 2014 la compagnia, con sede operativa a Bari, si apre alla collaborazione di un piano di produzione e distribuzione diretto da Vincenzo Losito. La mission della compagnia è da subito la volontà di un repertorio versatile, eclettico e trasversale con prime italiane a firma di coreografi e direttori di caratura internazionale.
Microsystems nasce dalla collaborazione con il Maestro Benedetto Boccuzzi, nell’intento di investigare ambienti sonori molto diversi fra loro compressi in uno spazio ridotto dove tutto accade all’istante fino a collassare. In reazione al blocco delle attività, causato dall’emergenza sanitaria, questo progetto si basa sulla volontà di intraprendere uno studio e renderlo fruibile come oggetto di studio stesso. Il Maestro ha composto inediti Microsystems per ciascun danzatore che ha potuto sperimentare liberamente le partiture, definendone la personale ricerca. Le performance di Beatrice Netti, Camilla Romita , Nicola De Pascale, Salvatore Lecce, Serena Angelini , Silvia Sisto e Tonia Laterza sono sette microcosmi che girano attorno alla musica. Fondendosi in un unico elemento, in un solo corpo. Il risultato di ciascuna ricerca è un oggetto di studio in perpetuo cambiamento, reso fruibile attraverso delle riprese video.
In questa intervista, Roberta Ferrara racconta genesi e obiettivi di Microsystems.
Il vostro nuovo progetto è intitolato Microsystems. Da dove si origina la necessità di dare vita a nuovi spazi di creazione artistica?
Credo che ogni artista necessiti di momenti di quiete per riflettere ed entrare in ascolto di sé stesso. Abbiamo accolto questo tempo come un momento di cambiamento prezioso e necessario per raffinare la nostra poetica. Da direttore ho pensato subito che fosse un ottimo momento per suggerire ai miei danzatori di dedicarsi all’ascolto e alla ricerca personale. Microsystems è un’idea nata dal Maestro Benedetto Boccuzzi, un progetto che ho subito accolto. Il M° Boccuzzi ha due qualità in comune con Equilibrio Dinamico: ecletticità ed entusiasmo. Le parole d’ordine per portare avanti questa iniziativa sono state qualità e ascolto. Per chi vive il mondo dell’arte, è necessità naturale dare vita a nuovi spazi di creazione.
Il blocco delle attività causato dalla pandemia, vi ha portato a sperimentare metodi alternativi d’indagine creativa privilegiando l’idea di studio. In che misura questo percorso di ricerca può essere fruibile per il pubblico come oggetto di studio?
Studiare significa osservare attentamente, esaminare, sforzarsi di fare qualcosa che possa essere condivisibile con un pubblico che, in questo caso, è in rete e perciò rintracciabile in tutto il mondo. Provenendo da studi umanistici mi è sempre interessato assaporare quello che precede un’opera finita. Mi innamoro del processo creativo perché mi lascia in sospeso, dando al pubblico la possibilità di creare una strada fatta di immaginazione e sensazioni dirette che, in questo caso, possono scaturire da uno schermo. In quanti sguardi o paesaggi ci perdiamo quando guardiamo un film o una semplice clip? Il Maestro Boccuzzi ha composto personalmente 7 musiche per ogni danzatore. Ogni traccia diventa un tappeto sonoro in cui il danzatore si rifugia per sperimentare uno spazio che si fa vivo attraverso una poetica personale.
Microsystems prevede una forte interazione tra composizione musicale e composizione coreografica, lasciando ampi margini di espressione individuale ai danzatori che hanno preso parte al progetto. Come nasce la collaborazione con il Maestro Benedetto Boccuzzi e come si traduce nell’immagine video questo lavoro?
Il M° Boccuzzi ha collaborato con noi lo scorso anno per una produzione firmata dal coreografo ospite Riccardo Buscarini, nella quale il Maestro suona live, al pianoforte, 50 minuti di musica classica. Le musiche composte per Microsystems sono di origine elettronica, dimostrando una duttilità che appartiene contemporaneamente al Maestro e alla nostra compagnia. Necessitiamo di danzatori versatili e consapevoli. Nei video è tangibile come una musica elettronica, apparentemente astratta, possa prendere una forma, una sostanza, un volume che nasce da un connubio tra spazio sonoro e spazio fisico. Questi brevi video rappresentano per noi una piccola gemma; segnano il possibile inizio di un progetto parallelo che potrebbe divenire una costante nei prossimi anni: ossia lasciare che i danzatori si cimentino in brevi creazioni in cui sviluppare un’identità e una poetica proprie.
Equilibrio dinamico nasce con la volontà di offrire possibilità di formazione a giovani danzatori del Sud Italia. In che modo potrà essere portata avanti questa missione in un momento così delicato per tutto il settore artistico?
Affronto ogni missione come se stessi guidando una barca a vela: bisogna essere attenti a dominare il vento! Ho imparato che i cambiamenti fanno parte del ciclo naturale delle cose, l’importante è che da questi cambiamenti scaturisca un miglioramento. In questo periodo di lockdown ho studiato, ho ascoltato, mi sono posta molti quesiti su come fronteggiare questo mutamento e arricchirmi di nuovi strumenti che, inevitabilmente, il settore artistico ad oggi richiede. Abbiamo lavorato senza sosta, perché dietro a una creazione, un progetto, una qualsiasi idea si muovono tante figure. La prima cosa che ho ritenuto indispensabile è stata riformulare il team. Ora più che mai il gioco di squadra è necessario per rielaborare idee, mantenendo la qualità del lavoro artistico come priorità.
BIOGRAFIA DI ROBERTA FERRARA
Roberta Ferrara è artista freelance; il suo bagaglio artistico si struttura nel tempo tra Italia ed estero, grazie ad uno studio di più linguaggi e tecniche, necessari per avviare un processo creativo e di scoperta. Roberta dirige, dal 2014, la sua compagnia di repertorio Equilibrio Dinamico e il suo progetto educational Ed Ensemble nel Sud Italia. I suoi lavori sono stati selezionati in festival internazionale come Masdanza, FIDCMX, Cortoindanza, Network Danza Urbana XL e Vetrina della Giovane Danza D’Autore Anticorpi XL, Premio InDIVENIRE, BallettGala Staatstheater Bremerhaven, Solo Coreografico, Lucky Trimmer, Sid Festival Seattle, Solo Tanz Theater Festival dove riceve il premio migliore coreografa e premio residenza dal direttore artistico R. Fernando, Staatstheater Ballet Augsburg. Le sue produzioni sono state ospitate in festival e stagioni di danza internazionali tra cui Italia, Città del Messico, America, Albania, Kosovo, Belgio, Germania, Croazia, Singapore, India, Giappone, Corea, Brasile, Romania; nel 2019 l’ Experimental Film Virginia le ha prodotto il suo primo dance short film ‘And Still She Gives’ con anteprima ufficiale in NYC. Roberta è un artista indipendente, docente e coreografa ospite per diverse istituzioni e compagnie tra cui Scuola Statale di Berlino, English National Ballet School, Conservatório Internacional de Ballet e Dança, Portogallo, Morikawa Dance Academy, Giappone, Elan Ballet, India, Balletto di Calabria, Balletto di Siena, Eko Dance Project, Italia, ODT International, Singapore, Korea Ballet House, Seoul, Staatstheater Ballet Augsburg, Germania e Teatrul De Balet Sibiu, Romania.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
È andata in scena il 16 aprile, presso il Nuovo Teatro Abeliano di Bari, la nuova creazione di Riccardo Buscarini, Suite Escape, con la produzione della compagnia Equilibrio Dinamico. È stata un’anteprima nazionale nell’ambito della stagione di danza contemporanea del Comune di Bari realizzata dal Teatro Pubblico Pugliese in collaborazione con Teatri di Bari e Compagnia AltraDanza.
Suite Escape rappresenta e suggella l’incontro perfetto tra due mondi della danza contemporanea, il coreografo piacentino Buscarini e Roberta Ferrara, la fondatrice e direttrice artistica di Equilibrio Dinamico. È una ricerca, uno studio minuzioso di famosi pas de deux ponendo al centro dell’attenzione il genere e il linguaggio coreografico. Le materie fondamentali di Suite Escape sono la fisicità dei corpi dei danzatori, le relazioni di fiducia che si instaurano tra di loro e l’equilibrio che consiste nel dare e ricevere sostegno. In questo lavoro vengono inoltre scardinati gli schemi canonici intorno al genere: la donna può sorreggere l’uomo come pure due uomini possono essere protagonisti e vivere il momento coreografico.
Riccardo Buscarini
Viene esplicitato nelle note di regia che “l’illusione della leggerezza del partnering classico, si trasforma in Suite Escape in un linguaggio di “voli in caduta”, che porta l’interprete alla separazione da chi offre un sostegno ma anche, in qualche modo, rappresenta un ostacolo. Si indaga quindi sulla fuga e sul vuoto generato dall’assenza, un volume che può essere colmato dal desiderio o uno spazio potenziale in cui riconfigurare la propria indipendenza. Il modello passato si manifesta tramite la riconoscibilità coreografica e musicale, ma anche qui lo si scavalca. Un pianoforte suonato dal vivo ci riporta alla classe di balletto e alla musica da camera, ma anche al sottofondo di un ristorante jazz, un luogo d’incontro – ed, inevitabilmente, di scontro – tra identità diverse”.
In occasione dell’anteprima nazionale di Suite Escape abbiamo raggiunto e intervistato Riccardo Buscarini per un approfondimento sulla sua nuova creazione.
Come, dove e quando è avvenuto l’incontro professionale e artistico con Roberta Ferrara e come si è sviluppato successivamente?
Tutto nasce da due conoscenze in comune nel campo della danza a Bari, una città ricca di cultura e storia che ho avuto il piacere di conoscere grazie a diverse esperienze lavorative qui. La collaborazione con Roberta è nata poco più di un anno fa: era interessata ad avere una mia creazione nel repertorio della sua compagnia e mi chiese di pensare ad un lavoro sui classici. Io risposi con una lista di possibili idee che mi sarebbe piaciuto realizzare. Scelse Suite Escape. Dall’incontro e collaborazione con Roberta è nata una forte intesa non solo dal punto di vista professionale ma anche umano.
Cosa ritieni di aver dato e cosa invece hai ricevuto grazie a questo incontro e al progetto di lavoro insieme?
Roberta ha un’energia e una leadership invidiabili, è una gran lavoratrice, è ambiziosa e ama la bellezza. Abbiamo molti punti in comune: è stato fondamentale confrontarci e scoprirli insieme per Suite Escape e anche per il mio lavoro futuro, ne sono certo. Sono molte le cose che ho imparato durante questo progetto, la più importante riguarda l’esercizio di riscrittura delle partiture coreografiche dei passi a due scelti per l’opera dal punto di vista coreografico ma soprattutto drammaturgico. L’altro processo fondamentale è stato quello legato alla musica: sembra strano ma questa non arriva subito anzi, spesso quasi alla fine del mio processo creativo.
È stato un lavoro molto complesso ma sono contento dell’esperimento e del suo risultato: farò gran tesoro di questi processi. Ringrazio Roberta per avermi posto questa sfida e i suoi danzatori per essersi messi in discussione in uno sforzo creativo e interpretativo non facili. Condividere la propria visione vuol dire, in primis, imparare dalle persone con cui la si condivide e dalla visione stessa che, attraverso la pratica, si rigenera naturalmente creando nuovi stimoli e approcci. Ciò è valso anche per questa lunga residenza creativa a Bari.
Il titolo Suite Escape contiene i due termini “composizione” e “fuga”. È già questa una prima dichiarazione di intenti? Fuga e organizzazione?
Assolutamente. É proprio su questa dicotomia che si basa il lavoro. I brani musicali non sono l’unica “delimitazione”: l’idea di organizzazione si manifesta in geometrie molto evidenti sia nel movimento – del singolo o di gruppo – che nell’impianto scenico. L’idea di “fuga” è una delle mie personali ossessioni. Credo che il gesto di separarsi, allontanarsi sia molto evocativo. In termini astratti, mi piace pensare anche al movimento come una proiezione del corpo nel futuro, una fuga dalla sua configurazione passata. E la danza stessa è un’arte in costante fuga dal proprio passato, senza mai però perderlo completamente di vista.
Contatto fisico, umano, spirituale…è quello che manca in generale. Riesce meglio realizzarlo attraverso la danza?
Non lo so. La danza di certo ci porta alla primitività del corpo e del suo sentire. Il movimento, dentro o fuori la scena, compie sempre un atto di seduzione. Bisognerebbe tornare ad apprezzarlo a dovere.
In un mondo fortemente tecnologizzato un ritorno al classico, non solo come danza, è ancora possibile o necessario?
Il classico è classico perché parla di noi, è il contenitore degli archetipi, basti pensare alle fiabe a cui tra l’altro si rifanno proprio i balletti da cui le musiche di questo spettacolo sono tratte. Non so se è necessario – dopotutto l’uomo si arrovella da sempre sugli stessi temi, no? – ma tornare ai classici di certo è sempre possibile, dipende dalla visione e dalla profondità delle ragioni alla base di questa scelta artistica. In ogni caso anche gli autori classici sono stati “contemporanei” a loro volta, con i loro riferimenti da rielaborare e i loro personali slanci di innovazione.
Scriveva Pasolini: «…Io vorrei soltanto vivere / pur essendo poeta /perché la vita si esprime anche solo con se stessa. /Vorrei esprimermi con gli esempi. Gettare il mio corpo nella lotta». Che lavoro di ricerca è stato realizzato corpo, sul potere della sua espressività? È stato “gettato nella lotta” con tutto il carico della sua potenza estetica?
Grazie di questa citazione. In Suite Escape e nel mio lavoro coreografico in generale emerge sempre un certo atletismo. Dello sport mi ispira l’idea di competizione che dal punto di vista coreografico traduco spesso nel voler superamento l’altro, lo spazio – o se stessi – come un ostacolo. La tensione del corpo degli atleti fotografato nella corsa scattante, spigolosa, le torsioni scultoree nella lotta greco-romana o nel salto con l’asta, sono elementi che spesso ritornano nel mio lavoro. Le geometrie del balletto classico riemergono non più come gesti vuoti, decorativi ma vengono reinterpretate attraverso una maggiore densità e carica muscolare per assumere un significato più viscerale.
In Suite Escape possiamo intravedere un richiamo all’estetica della lotta anche nell’allestimento scenico, un rombo che assomiglia a un ring (il quadrato come il numero 4 sono simboli di instabilità e scontro) al cui lato suona un pianoforte, compagno e allo stesso tempo “rivale” della danza. A tutti questi elementi si giustappongono le pagine romantiche di Tchaikovsky, Minkus, Adam di cui la danza vuole esaltare la forza drammatica piuttosto che la patina fiabesca. Aiuta in questa operazione un’estetica asciutta sia nelle luci sia nei costumi, dalle linee secche e senza tempo, in una scala cromatica che prende ispirazione dai non colori dei tasti del pianoforte.
Il nostro è un tempo senza memoria e senza felicità? Quanto di tutto ciò c’è nella tua ricerca coreografica in generale?
Molto del mio lavoro degli ultimi anni, se non tutti i miei primi dieci anni di carriera da coreografo, è stato dedicato al passato e al recupero nostalgico, mai melenso, di un certo lirismo. Un tempo senza poesia, dentro o fuori la scena, dentro o fuori dalle persone, è per me un tempo morto. Non possiamo vivere senza magia, anche se siamo consapevoli che è solo un’illusione.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
Parlare, scrivere, recitare l’amore possono avere anche la funzione di rilevare e condividere il coefficiente di umanità insito in ognuno di noi. Il teatro, la danza, l’arte in genere perderebbero l’appeal delle loro produzioni se all’improvviso, per qualche misterioso e incomprensibile motivo, sparissero questi due elementi.
Mediante la nostra esplorazione vogliamo raccontare le storie di tre creatori artistici, i loro punti di vista e le diverse, forti personalità che ne hanno ispirato gli ultimi spettacoli. Utilizzando i movimenti della danza, le estetiche e le poetiche, ognuno di loro ha declinato in chiave contemporanea tutto ciò che si muove intorno all’amore e all’umanità. In presenza o in assenza di essi. Nella vita reale, nella routine quotidiana. In questo secolo o in raccordo con quello precedente.
La passione di Davide Romeo per le partiture coreografiche, si delinea fin da giovane, dai tempi del liceo classico a Reggio Calabria, città dove inizia a studiare anche danza classica. Si specializza successivamente nella contemporanea e si laurea al Dipartimento Arte Musica e Spettacolo dell’Università Roma 3.
Era l’estate del 2014, il mese di Agosto per l’esattezza. Uno spettacolo di danza contemporanea “Lo que se mueve no se congela” andava in scena a La Paz e, ancora dopo, in tutto il Sud America con una tournée. La regia e le coreografie erano di Davide Romeo e grazie a quel momento nacque la compagnia Uscite di Emergenzadi cui Romeo è il coreografo e il direttore artistico.
La missione che orienta la compagnia e le produzioni è un concept che unisce teatro e danza, interazione nella riflessione. L’unicità delle performance fa sì che ognuna di esse diventa un momento che non riproduce mai gli sviluppi, le stesse condizioni da cui nasce. Non a caso, una citazione dell’autore – commediografo austriaco Karl Kraus che piace a Davide Romeo è: “Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato.”
Ero filo d’agave
Ero filo d’agave è una delle ultime composizioni, un insieme di pezzi che rimanda a tante suggestioni a iniziare dal titolo. Una pianta medicinale l’agave, la cui fibra estratta è molto resistente e può essere trasformata in tessuto vegetale. La sua fioritura impiega dagli 8 ai 40 anni e, una volta avvenuta, con essa arriva la morte. Non prima però di aver lasciato i semi di un nuovo ciclo, contenuti nel frutto che si sviluppa dal fiore. Un ciclo vitale che insegna che in natura ci sono delle semplici regole. E poi c’è la libertà positiva dell’uomo, l’autodeterminazione. La responsabilità delle sue azioni e delle sue volontà.
Tre parole, un gioco di assonanze: Eros, Philia, Agape. I tre volti dell’amore. Quello carnale, quello sentimentale che realizza amicizia e complicità e, infine, quello spirituale, oblativo. Ero filo d’agave non è il racconto di una storia che da Alpha porta ad Omega, con una serie di passaggi intermedi. Non è l’equazione perfetta che, una volta risolta, conduce a Dio passando attraverso l’incontro carnale. Sono tante superfici riflettenti in altrettante composizioni.
Servono per guardarsi dentro e riconoscersi ora nell’uno, ora nell’altro. Lo spettacolo viene descritto dalla compagnia come “un modo frammentato di presentare una serie di possibilità di uno stesso universo”. La ricerca è stata realizzata e indirizzata verso il recupero di una essenzialità delle azioni, dei movimenti dei corpi. In ogni episodio i danzatori hanno vissuto un rapporto molto intimo, in una dimensione di coppia o individuale. Un rapporto molto forte con il pavimento, ricreato con lo studio sulle cadute, tema molto caro a Davide Romeo. Un equilibrio perfetto tra floorwork, contact e azioni fisiche.
Ero filo d’agave si compone di due parti, tre pas de deux, nella prima. Il primo è Zaffiro, con Francesca Vitillo e Lara Cerrato, seguito da Plenaria, con Jonathan Colafrancesco e Davide Romeo. L’ultimo è Luxury Problemscon Marco Cappa Spina e Michael Pisano. In ogni passo a due, vengono raccontate storie da due punti di vista diversi che si consumano e si esauriscono all’interno delle relazioni vissute e portate in scena. La seconda parte è un gioco sugli stereotipi tra ironia e leggerezza. The Great Pretender con Marco Cappa Spina e Saturno a favore con Giovanna Zanchetta. Il finale avviene con Ceci, un tableau vivant, una composizione scenografica che mette insieme corpi, immagini oniriche e suoni, come quelli di una tammurriata, una pizzica, una tarantella.
Ero filo d’agave
La danza come atto di inclusione utilizza una molteplicità di linguaggi: assorbe umanità e amore per restituire bellezza e poesia
Questa è l’ispirazione alla base di “Simple Love: Odi sull’essere umano”. Uno spettacolo composto da quattro parti. Due sono le coreografie di Roberta Ferrara: Equal to mencon Tonia Laterza e Simple Love con Nicola De Pascale e Tonia Laterza. Le altre due sono Walking & Talking di Jiří Pokorný danzatore e coreografo del Nederlands Dans Theater e Nuncdi Gaetano Montecasino, danzatore della Compagnia Zappalà Danza.
L’indagine sull’essere umano è il filo conduttore del lavoro a più voci. Vari passaggi, mondi interiori che si rivelano, connessioni intime, partiture coreografiche e sonorità differenti realizzano un singolare momento performativo. Una connessione misteriosa unisce aspetti così diversi tra loro: la forza e la fragilità, l’amore verso gli altri e verso di sé.
Equal to men riprende la definizione di Omero, il quale apostrofò le Amazzoni, le donne guerriere, “uguali agli uomini”. Un rapporto del 2019 sulle donne, le imprese e la legge, promosso dalla Banca Mondiale, ha misurato la discriminazione di genere in 187 paesi. Risulta che gli unici paesi al mondo a sancire l’uguaglianza sono Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia, Lussemburgo e Svezia. Questo dato oggettivo serve a far riflettere senza arroccamenti ideologici. Kristalina Georgieva, presidente ad interim della banca, ha dichiarato che le donne rappresentano la metà della popolazione mondiale e hanno un ruolo da svolgere nella creazione di un mondo più prospero.
Walking & Talking è un “mono-dialogo interpersonale” che mette in luce diverse contraddizioni: la follia e l’equilibrio, il silenzio contrapposto al pericolo di evitare le voci interiori, i ricordi e la memoria. “Camminiamo e parliamo come se dormissimo e sognassimo”.
Gaetano Montecasino ha tratto l’ispirazione da “Il potere di adesso” di Eckhart Tolle per Nunc. Rappresenta il passaggio da un momento negativo a uno positivo. Tolle sostiene che il presente racchiude la chiave per la liberazione, ma non si può riconoscerlo finché sei tu la tua mente.
Simple Love è la storia di un amore semplice, di una ragazza che trova il suo equilibrio appoggiandosi al suo compagno, un ragazzo. I due si osservano e si confrontano mentre i loro corpi si cercano e si sciolgono in una sfida di contrappesi e simmetrie, tra sentimenti e sensazioni. L’accordo da raggiungere è quello tra ragione, corpo e sentimenti, fino al punto da stare in piedi e in equilibrio da soli.
Equilibrio Dinamico è la compagnia pugliese “non d’autore, ma di repertorio” fondata nel 2011 da Roberta Ferrara. A giugno del 2019 e per un mese, Simple Love sarà in tournée in America, nell’ambito del Seattle International Dance e presso l’Experimental Film Virginia.
La storia ci insegna che in ogni secolo ci sono stati momenti ed episodi di mostruosità
La progressiva disumanizzazione ha sempre condotto verso la violenza e, infine, alla guerra. In momenti di inaudita ferocia c’è sempre un anelito di speranza che produce e infonde bellezza. Fonte d’Amore è una località alle falde del monte Morrone a Sulmona. Un sito con un nome evocativo, famoso per essere stato, ironia della sorte, la sede di un luogo di prigionia. Un lager chiamato “Campo 78”. I tedeschi usarono i numeri non solo per i deportati, ma anche per denominare tutti i campi di concentramento sparsi sul territorio italiano.
Vita e morte, odio e amore, umanità e bestialità, orrore e bellezza: l’uomo è stato capace di generare ogni cosa e il suo opposto nel passato, ma continua a farlo anche nel presente. Tutto questo lo conosce bene e lo ha portato in scena Carlo Diego Massari con Beast without beauty.In due recenti occasioni, a Roma a febbraio, al Teatro Biblioteca Quarticciolo; a marzo a Schio, al Teatro Civico, in occasione del Festival Danza In Rete.
È uno spettacolo di teatro-danza che utilizza diversi linguaggi dal movimento fisico alla parola, dalla danza al canto. L’idea di Massari, autore del progetto Anfibia, è che “il movimento in realtà nasce da cosa voglio dire e come lo voglio dire. Cerco sempre di allontanarmi dallo stile dei classici, sebbene sia nel mio DNA. Tutto quello che fa parte del movimento canonico codificato, quando creo, mi arriva addosso perché comunque fa parte del mio passato, mi attraversa, ma cerco di separarmene.
Questo perché credo che così come si è evoluta la lingua con i modi di dire, gli slang, si debba evolvere anche il livello della comunicazione fisica. Tendo sempre a mantenere una struttura, un disegno scenico classico di spostamenti nello spazio. Il corpo si muove con nuovi linguaggi all’interno di un modello riconoscibile. Nižinskij ha introdotto l’idea, l’importanza del cerchio. Non ha inventato nulla perché ha preso dalle danze popolari tradizionali russe. Il cerchio rappresenta una società”.
I movimenti circolari compiuti da Carlo Diego Massari ed Emanuele Rosa durante Beast without beautydescrivono la forma di una società atemporale sulla base anche del modello di Vaclav Fomič Nižinskij, coreografo e ballerino ucraino di origine polacca. Sono l’insieme dei punti di una rappresentazione. Il cerchio per il dialogo, le linee spezzate per l’incomunicabilità, le parallele per l’impossibilità di un incontro.
Beast without beauty
Un altro elemento fondamentale è il tema delle relazioni umane che possono generare o meno la bellezza. La mostruosità dell’indifferenza, come dice Massari: “La base del nostro lavoro è il guardare i barconi che affondano sorseggiando una tazza di tè. È l’uomo contemporaneo nel suo egoismo. Come se fosse diventato prioritario, in questo momento storico, difendere il proprio orticello. Sicuramente c’è il discorso legato ai meccanismi del potere però il punto di partenza è proprio come si dice in francese “je m’en fous” – me ne frego di chiunque e di qualunque cosa. L’importante è sopravvivere ancora una volta.
È un meccanismo che nasce durante le guerre e cresce in assenza di combattimenti. In questo momento siamo in una sorta di conflitto taciuto, ci si scontra con altri sistemi, con altri mezzi, con i media. È una crisi culturale studiata, mirata, un imbarbarimento che porta ai nazionalismi. Questo lavoro è nato a livello di creazione nel marzo del 2017. Mi sono ritrovato a marzo 2018 e ancor più mi ritroverò a marzo 2019 a rifletterci. Guardandomi intorno mi sono detto che avevo fiutato qualcosa. Il pubblico si riconosce e riesce a leggerlo facilmente, perché ci appartiene. Mi spaventa quasi farlo perché quello che avevo previsto nel mio immaginario è accaduto nella realtà. Probabilmente, il prossimo passo sarà finire In una dittatura all’interno di un sistema del terrore”.
La storia insegna a riconoscere il volto di una dittatura, la mostruosità della guerra, il “sonno della ragione” citato da Francisco Goya. Il monito di quel che è stato nel passato scuote il torpore del presente dei nostri giorni. È nella crudeltà del male che si insinua il risveglio delle coscienze e dei cuori. Quando il comando italiano del Campo 78 ebbe la notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943, chiesto dal governo italiano e accolto dal generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane, i militari decisero di allentare la vigilanza.
Molti prigionieri evasero sperando di intercettare le truppe alleate, oltrepassato il fronte rappresentato dal fiume Sangro. Al sopraggiungere del comando tedesco iniziarono i rastrellamenti e le intimazioni. Nonostante l’alto rischio, Sulmona si distinse per la sua grande opera di solidarietà, di aiuto. Si attivarono i paesi, si aprirono le porte delle case di campagna della Valle Peligna, il Borgo Pacentrano. Ben settemila prigionieri furono così salvati. Far conoscere, tramandare l’esempio del cosiddetto “Spirito di Sulmona” oggi serve perché c’è un grande bisogno di ritornare a sentirsi simili nella stessa natura.
Nell’umanità e nella bellezza dell’amore. Non solo è possibile, ma è necessario.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
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