L’Umanità desolata in Immacolata Concezione. Intervista a Vucciria Teatro
Attraversando il corridoio laterale e la zona del backstage del Teatro India, si arriva direttamente al foyer con i divani rossi, dove abbiamo incontrato Enrico Sortino, Joele Anastasi e Federica Carruba Toscano. Il cuore di Vucciria Teatro, la mente della compagnia o, forse, entrambe le cose. Ci viene espressamente chiesto di non fare rumore, per non disturbare lo spettacolo nell’altra sala. Una lieve ironia della sorte quell’invito al silenzio, dal momento che Vucciria in palermitano significa “confusione”.
Tre voci, le loro, che si mescolano senza “abbanniari”, senza gridare, ma il pensiero rievoca gli odori, le influenze, le suggestioni metafisiche di un mercato che può ricrearsi ovunque. Le voci di Enrico, Joele e Federica si inseriscono l’una negli spazi dell’altra intrecciandosi, completando i discorsi e i ricordi. Parlano anche i loro occhi e i loro corpi. I gesti sono spontanei e impercettibili, sono piccole carezze. Mani che cercano un contatto fisico che si manifesterà fin da subito come la quarta presenza in una compagnia che del linguaggio corporeo ha fatto una peculiarità.
Nati, per caso, grazie al pubblico
Siamo nati dal pubblico è la considerazione di Enrico Sortino, il quale ricorda che: la compagnia è nata un bel giorno per caso. Alessandro Lui, l’attore che interpreta Turi in Immacolata Concezione, aveva invitato Joele Anastasi. C’era un concorso presso il Teatro Ambra alla Garbatella, a Roma per presentare dei monologhi.
Joele aveva scritto altre cose, in quel periodo voleva fare giornalismo; espresse l’intenzione di volere partecipare con un monologo scritto da lui. Un giorno, mi chiese di leggere un suo testo e io, che ho un po’ di fiuto, riesco a percepire se una cosa funziona o meno, ho notato che era perfetto a livello drammaturgico, dall’inizio alla fine, senza che ci fosse un solo errore. Prendeva vita nel momento in cui lo si leggeva. Ho detto che avremmo sicuramente vinto. A lui che ha una natura autocritica ho chiesto espressamente di andare fino in fondo.
Quel monologo vinse una marea di premi. Era l’origine del nostro progetto “Io niente mai con nessuno avevo fatto”, realizzato grazie a un altro concorso al Teatro Lo spazio che dava la possibilità di creare un intero spettacolo. Abbiamo scelto di affittare un teatro e di invitare le persone per far conoscere il nostro lavoro allestito in 21 giorni, autoprodotto, autofinanziato, abbiamo rischiato. Il pubblico ha invitato altro pubblico, abbiamo aggiunto altre e lo spettacolo ha vinto diversi premi.
Abbiamo trovato una piccola distribuzione grazie alla quale abbiamo partecipato al Roma Fringe Festival. Oggi vogliamo dire grazie a Razmataz, i primi che hanno creduto in noi e ci hanno lanciati. Daria Botte, Alessandra Cotogno, Ileana Nastasi sono state le prime che ci hanno aiutato a lavorare in maniera pragmatica e rapida. Il Fringe ci ha assegnato il premio come miglior spettacolo; Joele ha vinto come migliore drammaturgia ed io quello di miglior attore. La compagnia esplose, andammo in America al San Diego Fringe Festival.
Presentando uno spettacolo in dialetto, con i sopratitoli che gli americani non hanno più letto. Era forte il messaggio fisico. Lì abbiamo vinto il premio come Best Show. Questo spettacolo è ancora in tournée dal 2013. Da lì poi sono nati gli altri nostri progetti e tutti quelli della nuova generazione, diciamo “Vucciria 2.0”, mi verrebbe da chiamarla così e tutta l’azione performativa. We are not Penelope, Nel nome di questo nostro sacro corpo… nei nostri spettacoli ci piace utilizzare il materiale umano. L’ultimo spettacolo era in sardo, in tedesco, in italiano. Nel nome di questo nostro sacro corpo è nato dal frutto di un laboratorio organizzato dal museo della follia. È stato fatto un primo studio e rappresenta anche l’incontro con il Teatro Bellini di Napoli che ci ha abbracciati, ci ha scelti e ci produce interamente.
Da un altro monologo è nato anche Immacolata Concezione, lo spettacolo che dal 19 al 24 febbraio è andato in scena al Teatro India di Roma e dal 7 al 9 marzo a Firenze, al Teatro Di Rifredi
Ad avere avuto l’idea è stata Federica Carruba Toscano: è nata da me, tanti anni fa. Alcune cose sono autobiografiche, altre riguardano il mio immaginario personale. Inizialmente ne avevo parlato con Alessandro Lui perché volevamo lavorare insieme per farne un soggetto cinematografico. Successivamente ho condiviso con Joele quella storia, come tutte le cose, nella speranza che qualcuno riuscisse a raccontarla come la vedevo io e lui è riuscito a fare anche oltre. Non potevo scriverla io, riguardandomi da vicino. Consegnare un’idea a qualcuno che ami e di cui ti fidi ciecamente è un atto di fiducia. Può essere fatto con il drammaturgo, il regista, così come con lo spettatore. Avendo i personaggi dei precisi riferimenti a persone della mia vita, probabilmente avrei impoverito o tolto quelle sfumature che Joele, Enrico, Alessandro o Ivano hanno aggiunto.
Stavamo prendendo il caffè a casa – precisa Joele Anastasi – era una chiacchierata, una condivisione tra amici anche se era così evocativa. Ho detto a Federica che mi piaceva moltissimo l’idea di quel personaggio e che sarebbe stata una storia cinematografica davvero interessante. Il nostro terreno di incontro è teatrale e ho iniziato a immaginare come quella storia potesse essere raccontata a teatro. Dopo qualche mese, in aereo, di ritorno da Avignone, ho scritto il monologo finale che per me è il cuore dello spettacolo Immacolata Concezione. Sceso dall’aereo ho chiamato Federica dicendole che forse c’era un modo per raccontare quella storia a teatro.
Da lì è iniziato tutto il lavoro sulla drammaturgia è stato un lavoro di squadra. Nel frattempo Federica aveva sviluppato le altre idee con Alessandro. Abbiamo cominciato a creare una struttura, una serie di eventi che volevamo raccontare. Si è delineata la prima bozza: abbiamo fatto una prima sessione di prove in Sicilia, a Catania. Una settimana, full immersion, di lavoro sui personaggi.
Nel frattempo abbiamo partecipato alle selezioni di Teatri del Sacro arrivando fra i finalisti poi abbiamo vinto il premio di produzione della quinta edizione del Festival. Siamo andati verso l’anteprima di Ascoli Piceno con una versione di Immacolata Concezione più lunga di quaranta minuti. Lo spettacolo, nella prima versione, durava due ore e venti minuti, senza interruzione. È stato ed è interessante lavorare sullo spettacolo, continuiamo a farlo, a sintetizzare delle cose, ad aggiungere o a precisarne altre. È il modo in cui ci piace lavorare, il modo in cui siamo abituati a farlo. E anche la fortuna di essere una squadra creativa ci permette di essere allineati su tutto.
In Immacolata Concezione viene descritta la Sicilia nel periodo storico che va dal Fascismo alla Seconda Guerra Mondiale
C’è anche qualcosa di molto più antico e universale, come racconta Joele Anastasi: l’elemento della coralità che si ispira alla tragedia greca continua a essere presente nello spettacolo, in quanto costituisce uno dei suoi pilastri. Abbiamo scelto di mantenere sullo sfondo le vicende del Fascismo, che nella prima versione erano più manifeste. Il corpo di Concetta è diventato un simbolo di come la società è stata dilaniata dagli eventi, da un’energia oscura che l’uomo ha. Quello che il teatro ha la potenza di fare – aggiunge Federica Carruba Toscano – è di evocare, con un’unica azione, tante cose, penso sia stato giusto togliere una fetta di eventi perché rimanendo sullo sfondo, ci sono lo stesso anche se sembra non ci siano.
Non è stato difficile togliere delle parti – secondo Enrico Sortino – quando si lavora sappiamo sacrificare il sacrificabile perché, come ha detto Federica, viene stratificato in un’unica azione. Bisogna sempre pensare anche all’atto scenico, al fine di renderlo fruibile, immediato o violento se necessario. Anche perché si potrebbe correre il rischio di imporre un pensiero unico mentre il messaggio artistico non può essere univoco: è legato a un bagaglio personale che ognuno di noi ha e che è differente. Nella fase delle prove tutto ciò che è nato dall’immediatezza delle sensazioni, dalle camminate fatte nello spazio mentre ci guardavamo, ha delineato i quadri dello spettacolo.
In fase di creazione dello spettacolo, Joele Anastasi ricorda: abbiamo passato ore e ore a camminare, a capire come si muovevano i personaggi. Nella fase di training ci siamo resi conto che iniziavano a crearsi delle dinamiche molto interessanti tra i personaggi che raccontavano più delle parole. Abbiamo deciso di lasciare quegli interventi che sono diventati la separazione tra quello che si può dire sia un atto e l’altro dello spettacolo. Anche se Immacolata Concezione è un atto unico in realtà dentro ci sono dei passaggi drammaturgici.
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Tre sono le prospettive che si manifestano nella ricerca di un collegamento tra Immacolata Concezione e l’attualità. Nelle differenze dei pensieri che emergono si realizza anche una complementarietà tra questi
Dove è arrivato l’uomo negli anni del Fascismo e del Nazismo è un picco veramente basso di assenza di umanità – afferma Joele Anastasi – raccontare questo è un po’ il link con tutto quello che continua ad avvenire oggi. L’uomo ha dimostrato quanto è capace di reificare Il corpo di un altro uomo disumanizzandolo. È così distante da noi oggi o continuiamo a farlo anche nelle azioni, nella nostra vita quotidiana?
È come se rappresentasse l’assenza di quella capacità che Concetta ha, ovvero regalare un momento di semplice relazione, di purezza. La capacità di stare in uno spazio, piccolo o grande che sia, e riuscire a guardare l’altro negli occhi, non avendo in questo nessuna maschera, nessun filtro. È fare l’amore come lo fa Concetta, che non è nulla di carnale, ma è riuscire a incontrare un altro uomo, riuscire a essere energia creatrice. Gli eventi dimostrano come, nel tempo, si sia andata a sfaldare la sacralità delle relazioni.
Il punto di vista di Enrico Sortino si condensa in alcune battute: l’atto teatrale, l’atto artistico è immortale e atemporale. Noi raccontiamo una storia che abbiamo datato in quel periodo eppure noi stiamo parlando del lato oscuro dell’essere umano e dell’amore che vince su tutto, anche sulla morte stessa. Un amore aulico, inteso come sentimento che disarma l’essere umano, il quale è capace di provare tutto questo ma anche il suo contrario. Il contemporaneo sta già nell’atto emotivo, dentro quell’emozione.
Federica Carruba Toscano offre un contributo originale collegando due poli, in un unico passaggio: ho immaginato Immacolata Concezione in quel periodo storico anzitutto perché credo che la legge Merlin, l’abolizione delle case chiuse, sia stato un errore enorme che ancora paghiamo per tanti aspetti che riguardano varie fasce della società. Questo non è autobiografico, ma credo che accettare tutte le oscurità dell’uomo sia un passo importante che non è stato fatto e di cui è responsabile la Chiesa.
La Seconda Guerra Mondiale, inoltre, è stato uno spartiacque tra ieri e oggi per un motivo specifico: la capacità di pigiare un bottone per far esplodere un ordigno dalla parte opposta del mondo. Fino al momento in cui la guerra avveniva corpo a corpo o con una distanza relativa che permetteva di vedere il nemico negli occhi o, come nel caso di Concetta, fin quando le relazioni erano in una stanza per me il mondo aveva una speranza. Adesso è molto ridotta rispetto a prima. La capacità di ripulire la propria immagine e di sporcare tutto il resto oggi è centuplicata, noi puliamo solo l’immagine ormai, ci sono false identità, storie fake. Se uno voleva andare da Concetta doveva andare nella casa chiusa e questo rappresentava un atto di coraggio perché ci si dichiarava.
Oggi pubblichiamo tutto quello che è bello, appetibile, consumabile, in maniera veloce e istantanea – aggiunge Joele Anastasi. Si consuma un’immagine ripulita non c’è tempo per mostrare le crepe o i graffi. La cellulite e i seni cadenti. Non c’è tempo per mostrare il lato brutto, consumare lo sporco. Questa è la reazione di una contemporaneità che fin troppo si sta preoccupando dell’immagine istantanea.
La sintesi del Teatro secondo Vuccirìa Teatro
In teatro la bellezza non esiste in un senso assoluto – secondo Federica Carruba Toscano – esiste il fatto che qualunque azione portata fino in fondo è bella. Quello che raccontiamo con il simbolo del mandarino è una cosa che può essere tanto bella se è carica di significato quanto inutile se vuota, può essere sacro o inutile nella stessa maniera. E questa è la cosa più contemporanea; oggi la sacralità è completamente dimenticata.
Siamo cultori del bello in senso poetico – aggiunge Enrico Sortino: la scena finale, credo che sia anche molto contemporanea: l’uomo diventa bestia e divora l’estetica della bellezza, rappresentata dal mandarino. Divora l’amore, l’unica speranza che gli rimaneva di esistere. Ritorna ad essere nudo, infatti, della stessa nudità di quella donna che entra in scena, mercificata dall’uomo. Con la differenza che all’inizio c’è una bellezza ingenua, mentre alla fine viene fuori una voracità negativa, oscura.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.