da Edoardo Borzi | 15 Feb 2022 | Approfondimenti
Mala tempora currunt per centinaia di realtà romane su cui si sta abbattendo una pioggia di lettere di sgombero e messa in mora che il dipartimento patrimonio continua a notificare a tutte le associazioni e gli spazi autogestiti che in questi anni hanno salvato dall’abbandono e dal degrado molti beni comuni garantendone un utilizzo pubblico e di reale utilità sociale. Un processo inaugurato dalla giunta Marino, a partire dalla delibera n. 140 del 2015 sull’alienazione del patrimonio pubblico che è stata concretizzata durante il mandato plenipotenziario di Tronca attraverso il DUP (Documento Unico di Programmazione 2016-1018) in continuità con la delibera n. 219 del 2014 in cui era prevista anche l’introduzione del bando pubblico come dispositivo di normalizzazione dell’autogestione.
Eclatante fu il caso dell’Angelo Mai, fresco vincitore del premio Ubu 2016, accusato ingiustamente nel 2014 di “associazione a delinquere” e posto sotto sequestro. Una storia sbagliata a cui pose fine un’importante sentenza che scagionò tutti i militanti coinvolti riconoscendo loro la legittima attribuzione dello spazio mettendo così l’Angelo Mai al riparo da una prima offensiva istituzionale prodroma della dissennata gestione del patrimonio pubblico del presente. Lo scorso 15 ottobre il CSOA Corto Circuito veniva sgomberato dopo 26 anni di autogestione. Dopo una vasta mobilitazione cittadina in sostegno dello spazio autogestito, il 15 dicembre 2016 gli attivisti e i solidali del Corto Circuito hanno occupato la direzione dell’Assessorato al Patrimonio dopo che il Tribunale del riesame aveva stabilito con un’ordinanza l’annullamento del sequestro preventivo. Poche settimane fa era toccata la stessa sorte anche ad Alexis Occupato esperienza di occupazione socio-abitativa nell’ex deposito Atac di San Paolo che continua a resistere. Negli scorsi giorni, l’ultimo fatto che riguarda il Rialto Sant’Ambrogio, storico spazio dedicato alla produzioni culturali e alle arti performativi già sotto parziale sequestro dal febbraio 2015, che ospita, tra gli altri il Forum dei movimenti per l’acqua, Attac!, il circolo Gianni Bosio, Transform, il Forum ambientalista. Ancora più grave dal momento che nonostante la votazione della recente mozione dell’assemblea capitolina che impegnava la Sindaca e la Giunta comunale a una moratoria degli sgomberi in attesa di un nuovo regolamento per gli spazi sociali, il nucleo Fenomeno Degrado urbano e Sociale del I Gruppo Trevi ha eseguito un’ordinanza del tribunale di Roma e sequestrato il primo e parte del secondo piano dello stabile. Spiegano gli attivisti: « Sono mesi che insieme alla rete Decide Roma e a decine di associazioni ci siamo battuti per trovare una soluzione alla vicenda patrimonio del Comune di Roma e riordino delle concessioni e chiedendo il riconoscimento del valore sociale delle nostre attività in questi spazi, che come l’acqua non possono essere messi a profitto. La mozione approvata all’unanimità la scorsa settimana dall’assemblea capitolina deve trovare immediata applicazione con una delibera di giunta che blocchi gli sgomberi di tutti gli spazi e che restituisca il Rialto a coloro che ne hanno avuto cura in questi anni».
Replica dell’assessore Mazzillo, bilancio e patrimonio di Roma Capitale: «Domani verrà sottoposta all’approvazione della Giunta Capitolina una memoria che, sostanzialmente, recepisce l’ordine del giorno approvato all’unanimità dall’Assemblea Capitolina lo scorso 9 febbraio. Sulla base del provvedimento che verrà approvato, daremo mandato agli uffici di sospendere i provvedimenti di rilascio degli immobili dati in concessione per attività senza fine di lucro, nelle more dell’approvazione del nuovo Regolamento sulle concessioni attualmente in discussione presso la competente commissione Patrimonio di Roma Capitale». In merito allo sgombero spiega che «si tratta di un’attività già programmata da tempo dal dipartimento competente per riacquisire al patrimonio comunale un bene necessario allo svolgimento delle attività istituzionali del Municipio e ridurre quindi i fitti passivi a carico di quest’ultimo».
A San Lorenzo anche la Libera Repubblica sta rispondendo alle minacce che pendono su alcuni spazi sociali come Esc Atelier, il Grande Cocomero e la Palestra Popolare – qua una lettera aperta alla città. Il Nuovo Cinema Palazzo non fa, per così dire, eccezione essendo oggetto di una continua rimostranza che ha come intento quello di eradicare una realtà libera e produttiva dal territorio romano per dare spazio a un luogo riservato al gioco d’azzardo che si andrebbe ad aggiungere agli altri Moloch della collezione privata ludo-mafica lungo la dorsale di via Tiburtina ( per approfondire il casiNO). Il Nuovo Cinema Palazzo è il luogo del possibile, dove viene riconosciuto il lavoro artistico, l’impegno, il desiderio e la creatività tramite la messa in condivisione di mezzi e saperi e attraverso la valorizzazione dei tempi di produzione, originale ed inedita, in grado di stimolare l’arte, uno dei presupposti della crescita culturale. Uno spazio autogestito, la cui sfida, sin dall’inizio è stata quella di tessere una storia collettiva per ricostruire un luogo, aperto e attraversabile, un laboratorio artistico, culturale e politico, per tracciare una tendenza tra resistenza e creatività, tra impegno, arte e cittadinanza attiva.
Il ContraBBando si configura come uno strumento politico con il quale il Nuovo Cinema Palazzo propone una modalità di fare cultura, inserendosi, in tutte le sue fasi, nel processo di produzione artistica e permettendo ai soggetti attivi – artisti, collettivo, tecnici e pubblico – di essere parte di questo progetto e di rendere ancora più permeabile l’incontro e la condivisione. L’ambizione del ContraBBando è stata quella di sovvertire il concetto stesso di bando e la normalizzazione dell’utilizzo dello stesso nella gestione politica e amministrativa della città applicando, contrariamente, una modalità volta al superamento dei criteri di mercato e di profitto valorizzando la dimensione complessiva delle realtà che costituiscono l’essenza dell’esperienza stessa. La programmazione del Nuovo Cinema Palazzo è infatti costruita sul confronto e sulla relazione, e nello specifico queste esperienze residenziali ci permettono ancor più di entrare nel tessuto, arricchendo lo spazio e consolidando quello che abbiamo già praticato con i festival e le rassegne musicali e teatrali. In questo senso il Contrabbando nasce, invece, dall’esigenza di affermare la capacità politica collettiva di sperimentare dal basso forme d’espressione artistica indipendenti – sia nell’elaborazione che nella costruzione – e di auto-gestione degli spazi.
Il Cinema Palazzo ha messo a disposizione i propri spazi per le residenze artistiche proponendo l’esperienza come strumento di partecipazione attiva e di produzione culturale. Dieci momenti di residenza per altrettante realtà artistiche che si alterneranno sul palco lungo tutto l’anno. Questa settimana ci sarà la prima restituzione artistica del ContraBBando 2017! : si parte con Offline di Mirko Felizani il 17 e il 19 Febbraio ore 21:30 impegnato in una conferenza-performance, volta a indagare la traslitterazione e la trasfigurazione di frammenti/detriti biografici ai tempi della rete e dei social network all’interno di un atto performativo prolungato.
SEASON | Davide Sportelli
“Una pura sperimentazione (legata all’incontro con la comunità cittadina e del quartiere San Lorenzo) su una visione drammaturgica composta da elementi eterogenei quali: il testo, il suono, la danza come composizione istantanea e scrittura, la danza come movimento collettivo di una piccola folla.”
Un progetto di teatro-danza che vuole relazionarsi al territorio con un progetto performativo condizionato dallo spazio.
Restituzione residenza: 26 e 27 Febbraio 2017
DOMINI | Taha El Ouaer
“L’intera opere si dà il compito di mettere in parallelo la crisi del ’29 negli Stati Uniti (e conseguenti flussi migratori interni) descritti da Stainbeck con quelli odierni che viviamo oggi in Europa.”
Un progetto del tutto embrionale che ricerca nello spazio uno studio che metta in scena, attualizzando, i primi dieci capitoli di The Grapes of Wrath di Johne Stainbeck.
Restituzione residenza: 11 e 12 Marzo 2017
CANTIERI INCIVILI: RANCORERABBIA | BologniniCosta
“Uno studio sul tema della precarietà e della disoccupazione giovanile nel mondo dello spettacolo, parte di un progetto più ampio e articolato dal nome Cantieri Incivili: un contenitore di percorsi e azioni che ruotano tutti attorno allo stesso nodo tematico.”
Un progetto di ricerca sociale che si lega al territorio, connettendo esperienze e competenze immaginando percorsi alternativi di possibile fuoriuscita dalla crisi e dal mercato del settore.
Restituzione residenza: 30 e 31 Marzo 2017
MACBETH – La notte dell’anima | BrigataNapoli
“Si sceglie il Macbeth, con tutte le sue pieghe, i suoi inciampi e i suoi pericoli, come trampolino per cadere dentro di noi e scoprire cosa nascondiamo, dentro il limite, dentro le nostre bassezze.”
Un lavoro teatrale che ricerca nuove modalità di messinscena e nuovi codici espressivi per affermare l’utilità sociale e il bisogno antropologico del teatro.
Restituzione residenza: 23 e 24 Aprile 2017
NERABILE | Collettivo Urc!
“La malinconia. O secondo gli antichi: la bile nera, un liquido nerastro che ha origine nella milza e naviga placido nelle vene determinando lo stare e reagire al mondo.”
Una commistione tra il teatro e la danza che ha il fine di intrecciare il linguaggio del corpo con quello verbale in un progetto che parli della malinconia in chiave scientifica, quindi oggettiva, e parallelamente in chiave personale, quindi soggettiva.
Restituzione residenza: 13 e 14 Maggio 2017
LIGHT MOTIV | RGB Light Experience – Roma Glocal Brightness
“Il progetto tende a sperimentare la tecnica del light painting, dove fotografia e luce si fondono per creare un’immaginario fantastico e allo stesso tempo onirico.”
Un lavoro dove viene meno la definizione delle categorie imposte, quali quelle di artisti e tecnici; dove in funzione del territorio si mescolano competenze ed espressioni artistiche per la realizzazione di una messa in scena sperimentale ed innovativa.
Restituzione residenza: 20 Maggio 2017
FAMIGLIA | Forte Apache Teatro
“Una pièce che prova a scandagliare l’anima di uomini che nei lunghi anni di reclusione hanno sofferto per gli affetti lontani, per i figli distanti, per gli amori perduti, e si trovano ora a tentare una ricostruzione emotiva di un rapporto difficile fatto di rivendicazioni e ribellioni, alla ricerca del significato universale dell’essere padri e dell’essere figli”
Un progetto di riscatto sociale, dove ex detenuti e detenuti in misura alternativa sono gli attori di uno spettacolo che coinvolge gli stessi in un percorso di inserimento professionale nel mondo dello spettacolo.
Restituzione residenza: 17 e 18 Giugno 2017
CAPITOLO ZERO | Compagnia Bertha
“ Il rapporto di coppia è così simile, a volte, a un combattimento. Ispirato a un testo di Jean Genêt intitolato ‘Il funambolo’, il tema centrale sarà quello del rischio che comporta mettere il primo piede su una corda tesa nel vuoto, che corrisponde al rischio di intraprendere una carriera artistica, o una relazione amorosa.”
Un progetto di realizzazione per la prima parte di un lavoro più ampio, che proporrà in questa produzione inedita e del tutto indipendente performance dove danza e coreografia sono le forme più evidenti.
Restituzione residenza: 15 e 16 Luglio 2017
IL DITTATORE | Collettivo Neonati
“Ascoltare un discorso di un qualsiasi politico in televisione è come sentire l’oroscopo”.
Ispirato dal “Peer Gynt” di Ibsen, il progetto si focalizzerà sulla retorica del linguaggio della politica e su come esso si modifichi attraverso il medium televisivo e i social network, con il desiderio di smascherare le sue sfaccettature e distorsioni.
Restituzione residenza: Settembre (data in aggiornamento)
da Edoardo Borzi | 3 Lug 2021 | Interviste
Abbiamo il piacere di ospitare in un’intervista esclusiva su Theatron 2.0 gli spunti e le riflessioni personali di Daniele Timpano ed Elvira Frosini protagonisti della retrospettiva “Ritratto d’Artista” recentemente conclusasi al Teatro India dove i due performer sono andati in scena con quattro degli spettacoli con cui sono saliti alla ribalta della scena romana e nazionale. A partire dall’ultima fatica Acqua di Colonia – già al debutto col botto nel novembre scorso presso il Teatro Quarticciolo per Roma Europa Festival – si sono poi succeduti in rapida sequenza ottenendo tutti sold-out: Aldo Morto, di e con Daniele Timpano, vincitore del Premio Rete Critica 2012 e del Premio Nico Garrone 2013 per il progetto Aldo morto 54 (54 giorni di repliche dello spettacolo e di auto-reclusione di Daniele Timpano in streaming in una cella ricostruita appositamente) Digerseltz, di e con Elvira Frosini e infine Zombitudine. Martedì 14 marzo ore 20.30 la Compagnia Frosini/Timpano sarà all’Institute Culturel Italien de Paris | Istituto italiano di cultura di Parigi con ZIBALDINO AFRICANO, la prima parte di Acqua di Colonia, all’interno di una serata con Carlo Lucarelli e Giulia Caminito tutta dedicata a “L’Africa degli italiani”, una partecipazione speciale allo spettacolo di Shelina Scaravelli.
Il 6 febbraio avete presentato presso la sala Squarzina del Teatro Argentina il libro tratto dallo spettacolo “Acqua di Colonia” edito da Cue Press. Come è nata l’idea di lavorare sul tema del colonialismo?
L’idea di lavorare sul colonialismo italiano nasce dal nostro interesse per il presente che viviamo ed il suo rapporto con la storia, o meglio i rimossi della storia e le sue stratificazioni. Come tutte le cose nasce anche da incontri, letture, discorsi, pensieri. In questo caso l’incontro con la scrittrice Igiaba Scego è stato importante: dopo aver letto il suo libro “Roma negata”, realizzato con Rino Bianchi. Da lì, da questa lettura, è venuto alla luce, diciamo che è emerso pienamente alla coscienza, il desiderio di scavare nelle tracce che il colonialismo ha lasciato nelle nostre città, nei nostri pensieri, nel nostro linguaggio. Ci siamo resi conto che eravamo tutti un prodotto del pensiero coloniale. E soprattutto ci siamo resi conto che tutto ciò, alla coscienza nostra, e di tutti, era nascosto, occultato, rimosso e mascherato.
Come si è strutturato il lavoro di costruzione drammaturgica fra materiale testuale e quello storiografico?
La costruzione drammaturgica è sempre un lavoro di raccolta, sovrapposizione, decantazione. Abbiamo studiato per due anni e raccolto appunti sui materiali più disparati. Materiale storiografico, canzoni, fumetti, immagini, pubblicità, letteratura, notizie, e non solo del periodo coloniale ma anche del dopoguerra e fino ad oggi. Da lì sono nati vari testi e ipotesi di strutture, sui quali poi abbiamo cominciato a ragionare, a scegliere, e poi a scrivere.
Nei vostri spettacoli è cruciale l’attenzione per la questione della memoria collettiva o per meglio dire, del rimosso storico. Quanto è presente l’eredità coloniale e razzista nel nostro retaggio culturale? Quali sono state le risposte che avete ricevuto dal pubblico durante questo periodo di rappresentazione in giro per l’Italia?
Beh, come dicevamo prima il pensiero coloniale e razzista è presente in noi sotto forma di qualcosa di scontato, di naturale. Quando apriamo la Settimana Enigmistica e troviamo le vignette con il selvaggio con l’anello al naso e l’osso tra i capelli lo troviamo naturale, lo stesso film campione di incassi di Checco Zalone, Quo vado, del 2016, si apre in un villaggio africano tra i selvaggi con tanto di lance e abiti tradizionali, mentre la pubblicità dei Biscotti Cà Cao della Divella ha per soggetto l’amore tra il padrone della piantagione, un bianco col cappello alla Indiana Jones circondato da sacchi di cacao, ed una schiavetta nera con tanto di fazzoletto in testa. Ma basta pensare alle semplici confezioni del Caffè. Non sono in molti a farci caso ma, da questo punto di vista, siamo costantemente circondati. Gli stessi classici della nostra letteratura, italiana ed europea, molti dei quali sono nati durante il periodo di massimo apice del dominio europeo sul 90 % del resto del mondo, sono impregnati di un atteggiamento paternalistico di superiorità, dove l’altro esiste comunque in funzione nostra, come forza lavoro o come merce, come ribelle da reprimere o come fedele vassallo da premiare, se non addirittura pensato come antropologicamente inferiore. E questo molto prima che uscisse il primo numera della rivista “La difesa della razza” nel 1938. Da piccoli, quando leggevamo per esempio Robinson Crusoe, nessuno di noi trovava niente di particolare o di esecrando nel fatto che il protagonista avesse una piantagione in Brasile e naufragasse per finire sulla famosa isola deserta proprio mentre stava trasportando un carico “di negri” da “vendere” a basso costo ai suo colleghi possidenti. Quando leggiamo “Mansfield park” di Jane Austen e ci appassioniamo a questo grande romanzo, anche d’amore, ambientato nell’Inghilterrra vittoriana, a stento registriamo il fatto che se uno dei personaggi del romanzo non fosse per tre quarti del romanzo assente, impegnato nelle sue piantagioni d’oltremare ad Antigua, il mondo stesso in cui abitano i personaggi, i loro piccoli problemi, gli abiti che indossano e la grande casa dove abitano non esisterebbero. Quando leggiamo i romanzi di Sandokan parteggiamo naturalmente per i pirati della Malesia contro i cattivi inglesi ma raramente pensiamo che in Libia, Eritrea, Somalia, Etiopia ci siamo comportati in maniera non dissimile dal Rajah bianco di Sarawak. Le reazioni degli spettatori finora sono state anche molto diverse. Spesso di sorpresa, per fatti e personaggi che non conoscevano, soprattutto per la scoperta di tutta una serie di cose che non mettevano in relazione con l’Africa e il colonialismo, a volte di fastidio, sempre di curiosità e di interesse. C’è anche qualche aneddoto commovente. Ne raccontiamo uno: quando abbiamo presentato il primissimo studio del lavoro, al Festival delle Colline Torinesi, una signora ci ha avvicinato dopo lo spettacolo e ci ha raccontato di avere riconosciuto una canzone di cui accenniamo il motivo nello spettacolo, Banane gialle (Carlo Buti, 1934), che non conosceva, ma che aveva sentito cantare dalla mamma molto molto anziana, scomparsa pochi mesi prima. Ci ha ringraziato molto perché grazie a noi è riuscita a collocare in un contesto un suo ricordo personale.
A partire da Sì, l’ammore no, primo spettacolo che vi vede insieme sul palco, passando per Zombitudine fino ad Acqua di Colonia. Quali sono i segni di continuità, rispetto sia alle tematiche sia alle modalità artistiche, che caratterizzano questo percorso di ricerca condivisa? Com’è cambiato il modus operandi nella creazione degli spettacoli teatrali da quando collaborate?
È stato un percorso di continuo affinamento. Abbiamo fortunatamente capito che interessi, tematiche e modalità artistiche erano vicine, ma abbiamo dato spazio anche alle nostre diverse peculiarità. Già in Sì l’ammore no, pur essendo il primo lavoro insieme, crediamo si rintraccino tematiche e modalità di approccio e di linguaggio che poi ritroviamo in seguito: uno sguardo sulla coscienza e l’immaginario collettivi, sui rapporti di potere che ci governano, sul nostro pensiero come prodotto di una costruzione culturale intesa in senso ampio, dalla cultura alta al pop, la necessità per noi di far collidere le certezze o ciò che diamo per scontato o naturale, o far riemergere i fantasmi e i rimossi. In Zombitudine, passando però per i fondamentali Aldo morto e Digerseltz nei quali continuiamo questa ricerca anche se in ambiti tematici diversi, il nostro sguardo è affondato nel presente e nella disperata mancanza di coscienza collettiva e di uno sguardo politico, nell’esautorazione individuale e collettiva di cui siamo tutti protagonisti. In tutti questi lavori per noi c’è in ogni caso uno scavare nel nostro rapporto con il mondo e con l’altro: nel caso di Sì l’ammore no è l’altro genere ed il rapporto di potere, costruito e rimosso, dato per scontato e imprigionato in cliché, tra uomo e donna; in Zombitudine l’altro è chiunque non sia tu, in una confusa e disperata ricerca e paura di un nemico, ma emerge chiaro che l’altro, lo Zombi, il subalterno di origine coloniale, siamo noi. La testolina nera di bimbo che appare in Zombitudine è già un presagio ed una introduzione ad Acqua di colonia, come anche in Sì l’ammore no vediamo, nel finale, un collegamento tematico e di linguaggio con Acqua di colonia. Il suo finale, infatti, è una marmellata di immaginario canzonettistico italiano, una serie di canzoni italiane famose e impiantate nel nostro immaginario montate sul basso continuo di “Faccetta nera” che le sintetizzava e riassumeva tutte. “Faccetta nera” lì rappresentava la persistenza di un immaginario maschio-centrico e un po’ reazionario che pure fa parte dell’immaginario italiano. Acqua di colonia prosegue e amplifica il discorso.
Il Teatro India ha di recente ospitato una retrospettiva dedicata alla vostra carriera. È un grande traguardo per la vostra carriera. Cosa provate in merito? Era questa una delle possibili destinazioni che immaginavate quando avete iniziato a fare teatro?
Ne siamo molto felici, naturalmente. Non sappiamo bene cosa avevamo in testa quando abbiamo cominciato a fare teatro, sicuramente il desiderio di farlo, al meglio possibile. Avere una retrospettiva nel teatro più prestigioso della tua città è senz’altro una soddisfazione, soprattutto in un momento così difficile per Roma. Soprattutto in un Teatro come il Teatro India, che ha significato e significa molto nella biografia teatrale della nostra compagnia, come di quella di tutta la nostra generazione teatrale. In questo spazio donato alla città da Mario Martone nella sua breve direzione artistica del Teatro di Roma nel 1999, batte forte il nostro cuore artistico, qui è nato un Festival come Short theatre, qui abbiamo visto per la prima volta gli spettacoli di Danio Manfredini e di moltissimi artisti della scena contemporanea nazionale, qui sono passati parecchi nostri lavori, è il caso di “Dux in scatola” nel 2006 e dello stesso “Aldo morto”, presentato per la primissima volta in anteprima a Short theatre nel 2011, ma anche del nostro “Zombitudine”, sul quale abbiamo cominciato a lavorare durante quella grande (e contradditoria) esperienza di residenza collettiva, durata alcuni mesi, che è stata il progetto “Perdutamente”, vero e proprio cantiere di lavoro, fortemente voluto dall’allora direttore Gabriele Lavia, che ha coinvolto 18 compagnie della scena indipendente romana nell’autunno del 2012. Molti dei lavori abbozzati al Teatro India in quei pochi mesi sono diventati poi lavori compiuti. Così è stato anche per noi: continuammo a lavorare a Zombitudine per debuttare l’autunno successivo al Teatro della Tosse di Genova, nel frattempo diventato coproduttore del lavoro. Siamo molto felici che alcuni dei nostri lavori, grazie ad Antonio Calbi, possano ora tornare nel posto dove sono nati.
Come nasce e quali sono stati gli sviluppi dello spazio Kataklisma in Roma?
Nasce nel 2002 ed all’inizio era gestito dalla sola Elvira, poi dopo il nostro incontro lo gestiamo insieme ed è per noi un atelier di creazione, uno spazio di incontro in cui incrociare esperienze, un luogo di formazione. È uno spazio di lavoro, di prove, di laboratorio. Negli anni ha realizzato incontri fra artisti, rassegne, eventi come: Generatore X, dal 2004 al 2006, piccola rassegna di spettacoli; Uovo, dal 2005 al 2007, spazio libero di incontro fra artisti e pubblico in cui si mostravano e discutevano insieme lavori in nascita, studi, prove aperte; Novo critico, dal 2008 al 2011, incontri tra artisti, critici e pubblico che ha avuto molto successo; Ecce performer, dal 2010 al 2012, progetto di formazione per attori e drammaturghi realizzato in collaborazione con Attilio Scarpellini. In questo spazio teniamo anche la nostra scuola annuale di teatro ed i nostri workshop, ma ha ospitato e ospita anche laboratori e master classes di altri artisti.
Come vi approcciate alla dimensione didattica e pedagogica dell’arte teatrale nei KataLab, i corsi di formazione e workshop per attori/performer che annualmente organizzate?
La formazione per noi è stimolante. In sostanza il laboratorio è un momento importante di scambio, uno spazio ed un luogo in cui mettiamo in campo e condividiamo il nostro percorso e la nostra ricerca. Più che una classica scuola si tratta di un atelier di compagnia in cui ci si forma anche ad una idea di teatro e, fondamentalmente, ad avere una propria idea del teatro. Molti temi dei nostri lavori attraversano il nostro corso di formazione che diventa una fucina creativa e di scambio. Da tre anni abbiamo innestato nella scuola annuale il workshop intensivo di drammaturgia Corpo scritto, in collaborazione con Attilio Scarpellini, in cui i drammaturghi lavorano a stretto contatto con la scena e con gli attori, ed è un progetto che funziona molto bene e che offre anche uno spazio di confronto ai giovani drammaturghi.
Una piccola anteprima di un vostro prossimo progetto?
Ancora troppo presto per annunciare i futuri progetti. Abbiamo faldoni di appunti top secret, in parte confluiti in alcuni file di progetti top secret. Abbiamo appena debuttato con Acqua di colonia e ci prendiamo il giusto tempo per decidere i prossimi lavori. Possiamo dire che ci sentiamo in un momento molto positivo, che è sia di rilancio che di stabilizzazione, in cui molte direzioni ci sembrano possibili. Di sicuro vorremmo riprendere il progetto “Pirandello ha rotto il cazzo – I classici siamo noi”, che è un progetto di committenza, in cui chiediamo ad altri autori contemporanei viventi di scrivere dei testi per noi, che ha prodotto quest’anno lo spettacolo “Carne”, con drammaturgia di Fabio Massimo Franceschelli e regia ed interpretazione nostra. Sempre quest’anno abbiamo fatto anche la regia di un testo di Fabio Fassio con produzione Teatro degli Acerbi, “Wild West Show”, in cui eravamo solo registi, che sta andando molto bene e ci sta dando qualche soddisfazione. Vorremmo esplorare anche questa direzione, diciamo così, più “registica”. Siamo aperti un po’ a tutto, e curiosi. Sarebbe bellissimo se qualche Ente lirico ci commissionasse la regia di un’opera. Insomma, un bel Verdi, o meglio ancora uno Jacopo Peri ed un Monteverdi (adoriamo i primi melodrammi del ‘600!) o direttamente una Teatralogia dell’anello di Wagner (adoriamo anche Wagner!) sarebbero per noi un bel campo di battaglia. Per quanto riguarda invece la nostra nuova produzione, la nostra futura nuova drammaturgia, come dicevamo prima, dobbiamo ancora ragionarci molto bene. Rimanere sul filone più “storico”, legato all’identità nazionale del nostro paese, oppure approndire il filone più semplicemente “drammaturgico” della nostra produzione, scrivendo un bel testo su quello che ci pare, senza doverci sentire costretti dentro l’etichetta dei “provocatori delle coscienze” (che tanto lo saremmo comunque!) con cui molta critica italiana pare volerci chiudere in una tomba anticipata, sia pure con stima e con amore.