da Edoardo Borzi | 8 Ott 2022 | Interviste
Intervistiamo il drammaturgo Pier Lorenzo Pisano: nato a Napoli, studia a Venezia, laureandosi in Conservazione dei Beni Culturali. Intraprende un percorso attoriale specializzandosi presso la Guildhall School Of Music and Drama (Londra). Comincia a lavorare come attore e assistente alla regia per cinema e teatro, e come montatore in vari progetti tra cui il documentario Torn – Strappati, vincitore di un Nastro d’Argento e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Completa la sua formazione diplomandosi come regista cinematografico presso il Centro Sperimentale di Roma (scuola nazionale di cinema). Il suo cortometraggio di esordio Così in terra, è stato selezionato in concorso al Festival di Cannes 2018. Parallelamente si dedica alla scrittura ottenendo riscontri nei maggiori premi italiani di drammaturgia e sceneggiatura, tra cui il Premio Hystrio 2016 con Fratelli, il Premio Riccione-Tondelli nel 2017 con Per il tuo bene e il Premio Solinas 2018.
Per il tuo bene ha debuttato in Italia a gennaio presso il teatro delle Passioni di Modena e presso l’Arena del sole di Bologna con la regia dell’autore. È stato rappresentato, in traduzione francese, presso il Théâtre Ouvert (Parigi). La versione francese è stata inoltre presentata in apertura del Festival di Avignone 2018, nel programma “Forum des Nouvelles Écritures Dramatiques Européennes”.
Qual è stato il primo incontro con il teatro?
Da piccolo non stavo mai fermo, i miei mi spedivano ai corsi di teatro per stancarmi. Ricordo la prima volta che sono stato dietro le quinte: ho scoperto tutto quel mondo nascosto, enorme e polveroso che sono i camerini, i corridoi…un labirinto da esplorare. Più che per il corso in sé, andavo lì per il fascino di quel posto. Ho fatto anche qualche laboratorio al liceo, cose ignobili, ma molto divertenti. L’incontro con il vero teatro però è stato a Venezia. C’è questo teatrino minuscolo, l’Avogaria, che da fuori non sembra nemmeno un teatro; è un palazzo normale con una piccola porta che dà su un campo. Poi quando entri scopri un palco con file di sedie, tutto in miniatura. Ho iniziato lì, come attore.
L’incontro con la drammaturgia è stato successivo. Ho sempre scritto molto, anche se non per il teatro. La prima volta forse avevo buttato giù un piccolo testo per un bando, non ricordo bene, e poi ho continuato. Sceglievo dei bandi e scrivevo. Non inviavo i testi; mi servivo delle scadenze per portare a termine la scrittura, come una sorta di allenamento.
Quali sono state le esperienze più proficue e importanti per la tua formazione di attore?
L’esperienza attoriale più significativa l’ho avuta a Firenze. Ho seguito un seminario di un mese con Anatolij Vasiliev, sperimentando il suo metodo degli étude. Semplificando tantissimo: si lavora sulle situazioni emotive e sulle strutture di potere, sostituendo le immagini del testo con immagini personali. Il risultato è che quando provi la scena rivivi davvero il percorso del personaggio, ed ogni volta che la ripeti, succede di nuovo. Non c’è recitazione. Alla fine, quando ritorni al testo vero e proprio, la scena funziona perchè ormai la dinamica si è sedimentata.
Per quanto riguarda l’ambito drammaturgico ?
Ho un bellissimo ricordo dell’incontro con Michele Santeramo, a San Miniato. Ha un metodo creativo molto personale, ed è generoso. Ti dice: io faccio così, tu prendi quello che vuoi. Ricordo una frase che sintetizza molte cose, forse è sua o è rubata a sua volta: “Tutte le battute sono Scusa o Vaffanculo. Il resto è chiacchiericcio”. Ho scritto un dialogo di Fratelli che prende questo suggerimento alla lettera. Anche l’incontro con Mark Ravenhill è stato importante, perché mi ha spostato il fuoco ancora di più sulla famiglia, che era il tema di cui lui si interessava in quel periodo. C’è stato uno scambio molto forte con gli altri ragazzi del laboratorio, che venivano da ogni parte del mondo. Ogni famiglia ha delle regole diverse, eppure si dà per scontato che le proprie regole valgano per tutti. Ma una famiglia di Taiwan non funziona come una famiglia napoletana, anche se saltano fuori punti di contatto incredibili.
Perché hai scelto la famiglia come tema d’indagine sia in “Fratelli” sia in “Per il tuo bene”?
Mi ha sempre affascinato. Ogni grande narrazione è una storia di famiglia. Prendi tutta la mitologia greca, egiziana, indiana…Anche il cristianesimo: la storia di un figlio e di un padre lontano. Persino Star Wars non è nient’altro che questo: tre generazioni, di padre in figlio. È qualcosa da cui siamo irresistibilmente attratti. Ti racconto questa cosa: tempo fa ho avuto una discussione con mio padre e abbiamo litigato. Sul momento non mi era importato molto, ma quando sono tornato a casa mi sono accorto che mi tremavano le mani. È questa la forza della famiglia. Sono rapporti che ti spostano, che hanno un potere enorme su di te, che tu lo voglia o meno.
In questo senso come si pone la tua esperienza di vita rispetto all’ideazione drammaturgica di “Fratelli” e “Per il tuo bene” ?
Quando scrivo, scrivo di cose che mi bruciano. Butto giù la prima stesura in pochissimo tempo, come un flusso, perché sono temi, contesti e personaggi che mi toccano molto. Non è una scrittura autobiografica, non c’è la mia vita dentro, in nessuno dei testi ci sono cose che mi sono successe davvero. Ma sono dinamiche che conosco. E c’è sicuramente il mio punto di vista. Poi, comunque, rileggendomi capisco molte cose su di me. Capisco perché i personaggi dicono certe cose. Il testo mi fa un po’ da specchio.
Quale sono le affinità e quali le divergenze fra questi che possiamo considerare finora i tuoi testi più importanti?
Diciamo così: Fratelli è un testo drammatico e un tentativo di capire come sopravvivere al dolore – se si può. Per il tuo bene è un testo drammatico e un tentativo di capire come sopravvivere alla famiglia – se si può uscirne. Sono due angolazioni diverse, a partire dal tipo di scrittura. Fratelli si costituisce quasi interamente di monologhi, flussi di coscienza molto dilatati. Ogni monologo ha moltissime immagini con le quali i personaggi costruiscono il mondo della storia. Per il tuo bene è più tradizionale, ci sono luoghi definiti e la scrittura alterna i dialoghi a un tipo particolare di monologhi brevi, quasi delle dichiarazioni.
Poi, in Fratelli c’è un tempo diverso: il racconto si riavvolge all’indietro attraverso salti temporali, con un meccanismo di disvelamento sia della trama sia emotivo, anche se il flusso resta nel complesso abbastanza chiaro. E c’è un tipo di rapporto tra i fratelli molto stretto, in un certo senso involuto, post-apocalittico: sono chiusi nel loro microcosmo, e sentono il peso infinito di un’assenza.
In Per il tuo bene il tempo è lineare, ci sono più personaggi, e c’è un discorso che oltre a parlare di famiglia, approfondisce come la famiglia vede gli estranei e come ci si rapporta. Fratelli è più specifico; Per il tuo bene è più esaustivo. Fratelli è già esploso. Per il tuo bene è in punta di piedi, è tutto in bilico, potrebbe succedere qualunque cosa da un momento all’altro, ma non ancora.
Oltre a scrivere di teatro, ti occupi anche di cinema: come cambia il tuo modus operandi quando scrivi una sceneggiatura?
Banalmente, la differenza più grande è che la sceneggiatura racconta per immagini, mentre il teatro è scrittura di scena pura, con le dovute eccezioni. Poi, la sceneggiatura non è un prodotto finito, è uno strumento di lavoro concreto, che per questo richiede un’impaginazione molto precisa, ad esempio per effettuare lo spoglio. C’è anche una questione culturale: il testo teatrale può diventare qualcosa di sacro e intoccabile, e sono tutti gli altri a doverci girare intorno. La sceneggiatura invece continua a cambiare -per le mani del regista cinematografico o degli attori stessi- fino al giorno in cui non si gira la scena. Il vantaggio di scrivere per entrambi i media è che puoi provare ad unire il meglio dei due mondi. La forte scrittura di scena del teatro, dialoghi in cui anche se non si dice nulla emergono i rapporti e il conflitto, e il rigore descrittivo della sceneggiatura, che ti impedisce di essere troppo didascalico. Scrivere una bella sceneggiatura, comunque, in quanto testo da lavoro, non è sempre indicativo del risultato finale, richiede un regista bravo. Invece, nel caso della trasposizione cinematografica di un testo teatrale, ci sono mille esempi positivi: mi vengono in mente Killer Joe, o Carnage. Se la regia è buona, il testo fa un ulteriore salto, altrimenti mantiene comunque la sua efficace scrittura di scena.
Quali sono le sensazioni dopo aver ricevuto un premio prestigioso come il Premio Tondelli? Che ricordi hai della serata di premiazione e dell’incontro con alcuni fra i più importanti nomi del teatro italiano contemporaneo?
Pensare di essere nella stessa, ristretta lista, con gli altri autori che hanno ricevuto questo premio è incredibile. Sul palco Fausto Paravidino ed Emma Dante hanno letto l’inizio del testo. Dopo ho avuto occasione di parlare e confrontarmi con i giurati, tutte persone che stimo molto e di cui seguo il lavoro nei vari ambiti. È stato emozionante, e un bellissimo regalo.
da Edoardo Borzi | 27 Nov 2021 | News
Il teatro è un giardino incantato dove non si muore mai
La drammaturgia di Franco Scaldati
Un mondo meridiano e notturno, lirico e carnale vive nei testi teatrali di Franco Scaldati. Una Palermo fatta di voci di venditori, di serenate all’amata, di richiami di bambini all’imbrunire, di violenze improvvise e apparentemente immotivate, di giochi, dialoghi fra figure erranti che sognano piatti di tennerumi, creature eteree o al contrario estremamente radicate ai bisogni terreni. Alla sua morte avvenuta nel 2013, Franco Scaldati, drammaturgo, poeta, attore e regista, lascia un ampio fondo di opere teatrali, la maggior parte delle quali inedite, e una consistente mole di varianti redatte anche a distanza di anni: tredici testi pubblicati e trentasei inediti, e a questi sono da aggiungere undici riscritture tratte dalla letteratura teatrale nazionale e internazionale. Il progetto ha come obiettivo quello di far conoscere la produzione per il teatro di un grande scrittore che, in quarant’anni di attività, ha operato essenzialmente a Palermo, una città che né in vita né dopo, ha saputo valorizzare la sua figura di artista, il suo magistero di formazione nei confronti dei giovani che hanno partecipato alle attività che lo scrittore-attore ha portato avanti, per lo più in sedi precarie e disagiate.
Il 29 e 30 novembre 2017 presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma, due giornate di studio dedicate alla drammaturgia di Franco Scaldati con storici del teatro e della letteratura, linguisti e critici, per analizzare il mondo, la scrittura e il linguaggio dell’autore-attore nel contesto della storia del teatro e della letteratura del Novecento, italiana (Pirandello, De Filippo, Testori, Pasolini) ed europea. Gli interventi di studiosi (Lucia Amara, Stefano Casi, Valeria Merola, Cristina Grazioli, Matteo Martelli, Donatella Orecchia, Antonella Ottai, Marco Palladini, Viviana Raciti, Stefania Rimini, Andrea Scappa, don Cosimo Scordato, Carlo Serafini, Valentina Valentini) e di artisti di teatro (Antonella Di Salvo, Melino Imparato, Carlo Quartucci, Stefano Randisi, Carla Tatò, Enzo Vetrano), indagano la dimensione orale, raccontano le figure femminili, i tonti che popolano il suo mondo, le tenebre e la luce in cui sono immersi. Insieme alle analisi e alle discussioni che ne scaturiranno, si inseriscono proiezioni e ascolti di Franco Scaldati e di Mimmo Cuticchio, entrambi sulla figura di Lucio, di Edoardo De Filippo, Roberto Latini e Melino Imparato su tre diverse versioni linguistiche de La Tempesta shakespeariana. Di Federico Tiezzi si proietta il finale de I Giganti della Montagna di Pirandello riscritto su sua richiesta da Scaldati, Enzo Vetrano e Stefano Randisi danno vita alla coppia di Totò e Vicé erranti nelle vie di Palermo in un recentissimo film di Marco Battaglia e Umberto De Paola. L’ipotesi che sottende la composizione delle due giornate di studi è quella di far circolare la produzione di questo scrittore insulare, soave e violento, nella trama dei testi per il teatro degli scrittori italiani ed europei del Novecento, cosa che fino a oggi non è avvenuta.
PROGRAMMA:
29 novembre | ore 14:30
Biblioteca nazionale centrale di Roma (via Casto Pretorio, 105)
Saluti dal direttore Andrea De Pasquale
Presiede: Valentina Valentini
30 novembre | ore 9:30
Biblioteca nazionale centrale di Roma (via Casto Pretorio, 105)
Presiede: Donatella Orecchia (Università di Roma Tor Vergata)
30 novembre | ore 14:30
Biblioteca nazionale centrale di Roma (via Casto Pretorio, 105)
Presiede: Vito di Bernardi (Sapienza, Università di Roma)
Notturno Scaldati | ore 21:00
Teatro Argentina (Largo di Torre Argentina, 52)
ingresso libero
coordinamento di Antonio Calbi e Roberto Giambrone
letture e intermezzi coreografici di Aldes, Marco Cavalcoli, Elio De Capitani, Marion D’Amburgo, Antonella Di Salvo, Melino Imparato, Roberto Latini, Saverio La Ruina, Luigi Lo Cascio, Opera, Carlo Quartucci, Stefano Randisi, Carla Tatò, Enzo Vetrano
È possibile parlare la lingua di Scaldati? È possibile comprenderla? In effetti è come se fosse una lingua straniera, anche per chi è nato a Palermo trenta/quaranta anni fa. L’attore Scaldati comunicava con la sua voce, con il ritmo dei suoi gesti e con i movimenti del suo corpo a platee che non conoscevano il teatro né comprendevano la sua lingua. Cosa succede, ci chiediamo, quando un suo testo viene restituito da un attore che non conosce la sua lingua, destinata a diventare come un geroglifico quando non ci saranno più quei pochi attori che la parlano e la comprendono? L’esperimento messo in opera con Notturno Scaldati è quello di testare come si manifesta il mondo-teatro scaldatiano attraverso figure di attori e attrici differenti per generazione, per pratiche vocali, linguistiche, sonore e performative, per esperienza diretta di lavoro con Scaldati o completa ignoranza del suo mondo. Ovvero verificare se e come sia possibile far vivere il teatro di Scaldati senza Scaldati, sulla scena, sulla pagina e per radio.
Progetto di Valentina Valentini con la collaborazione di Viviana Raciti
Con il sostegno di: Sapienza Università di Roma, Università di Roma Tor Vergata, Teatro di Roma, Biblioteca nazionale centrale di Roma (MIBACT), Associazione Ubu per Franco Quadri, Dipartimento Cultura Roma Capitale, Rai Radio3, Move in Sicily, Associazione Lumpen e ILa Palma, PAV, Sciami.com
da Edoardo Borzi | 27 Ott 2021 | Uncategorized
Il 27 e il 28 ottobre alle ore 21 e il 29 alle ore 18, al Cometa Off di Roma, andrà in scena Giacominazza, una drammaturgia di Luana Rondinelli. Giacominazza nasce nel 2013 come corto teatrale e debutta al Festival di corti teatrali “Teatri Riflessi” vincendo come miglior drammaturgia originale e menzione della stampa come miglior attrice. Intervistiamo Luana Rondinelli, attrice insieme a Giovanna Mangiù e regista dello spettacolo al cui centro vi sono le vite di due donne Mariannina, la cartomante, e Giacomina, fiera ragazzina che vuole rompere gli schemi, accomunate dalla volontà di combattere contro gli inutili pregiudizi della gente.
In un paesino della Sicilia che assomiglia incredibilmente a qualsiasi parte del mondo racconti le storie di Mariannina e Giacomina legate dal desiderio di rivendicare le proprie identità: quali sono le ragioni che ti hanno spinto a narrare questa storia?
Giacominazza è un mio personale grido di Libertà, ciò che mi ha spinto a narrare questa storia è la voglia di scuotere chi pur di piacere e di farsi accettare dagli altri cerca di omologarsi reprimendo il proprio essere. “Essere uguali agli altri? Ma uguali a chi?” dice sul finale Giacomina, la “diversità” è un valore aggiunto dell’individuo, “ma tu t’immagini un mondo di gente tutta uguale?” sottolinea Mariannina la cartomante riferendosi al piattume di un creato che non troverebbe bellezza se non nella complessità di ogni persona.
Giacomina non è uguale agli altri e non vuole esserlo, in un paesino che assomiglia a qualsiasi parte del mondo dove “ la gente ti punta il dito da un braccio attaccato ad un corpo che si nasconde”, dove il chiacchiericcio maligno ti perseguita senza nessun motivo preciso. Io quel chiacchiriccio l’ho sentito e l’ho messo su carta raccontando una storia che parla di donne che non devono arrendersi e non devono subire in un mondo in cui ad “essere femmina ci si rimette sempre.” Uno scontro/ incontro fra due donne, due modi opposti di affrontare la vita Giacomina e Mariannina legate dalla stessa ribellione interiore, un duello di parole che rende le mie protagoniste vere, in una scena dove entrambe sono lo specchio riflesso dell’altra, sullo sfondo un incontro d’amore che rompe i piani di Giacomina pronta a scappare per essere se stessa, un amore “diverso” che sconquassa e fa prendere coscienza del sé.
Ciò che voglio regalare al pubblico è un motivo in più per crederci, per amare, per non dubitare mai di se stessi, per esserci…senza maschere.
Come si è sviluppato il lavoro nel corso del tempo ?
Giacominazza è stato un percorso drammaturgico turbolento, la “figlia ribelle” come amo definirla.
Ho iniziato a scrivere Giacominazza nel 2013 in un percorso di vita e artistico pieno di alti e bassi che hanno portato alla costruzione di un testo in continuo fermento emotivo.
Nel giugno dello stesso anno partecipiamo, con la mia compagnia Accura Teatro, al Festival di Corti Teatrali Teatri Riflessi di Catania, Giacominazza esplode, vince miglior scrittura originale e la menzione della stampa come miglior attrice, inizia un lavoro sul testo più accurato. Il debutto come primo studio al teatro Tor Bella Monaca, inserito nella rassegna “Ma che cos’è questa drammaturgia contemporanea” dà vigore allo spettacolo e mi permette di crederci ancora di più, un percorso che fino ad oggi cresce e matura rendendo il lavoro sempre più piacevole ed interessante.
Giacominazza è un regalo che inconsciamente mi sono fatta, un riflesso emotivo in cui mi piace rispecchiarmi e che mi emoziona… e forse oggi riesco a guardarla negli occhi questa figlia ribelle.
In che modo hai utilizzato la carica espressiva del dialetto siciliano e su quali aspetti hai lavorato per renderlo scenicamente più efficace?
Giacominazza è un turbinio di emozioni, un gioco di parole che ammalia, i ritmi dettati dal siciliano rendono tutto più musicale. Il personaggio di Mariannina è l’espressione più concentrata del lavoro sul dialetto, la passionalità che sprigiona ogni sua battuta coinvolge, seduce e rende la cartomante una vera e propria maga di parole. Giacominazza è stata definita un piccolo gioiello di Sicilianità, un “cunto” che vuole arrivare dritto al cuore. Scenicamente io e l’attrice Giovanna Mangiù (Giacominazza) abbiamo lavorato sui gesti, sulla mimica, sulla forza emotiva in un connubio efficace tra ironia e intensità interpretativa vera e necessaria come è stata la scrittura in dialetto. E la mia terra parla al cuore di tutti.
Sia in Taddrarite sia in A Testa sutta così come in Giacominazza poni molta attenzione verso importanti tematiche sociali quali la violenza e l’emarginazione: possiamo definire il tuo un teatro di denuncia?
Sicuramente è un teatro che vuole farsi ascoltare, che non vuole passare inosservato, che getta un seme nella coscienza. Un teatro che vuole attenzionare alle tematiche sociali ma lo fa in punta di piedi, con ironia senza strafare e con quella verità di cui il pubblico oggi ha bisogno, per crederci veramente.
Giacominazza
di Luana Rondinelli
In scena: Luana Rondinelli, Giovanna Mangiù
Regia: Luana Rondinelli
Aiuto regia: Silvia Bello
Musiche originali: Adriano Dragotta
Luci: Amedeo Abate
Produttore esecutivo: Cynthia Storari
Una produzione SYCAMORE T COMPANY E ACCURATEATRO
Teatro La Cometa Off
Via Luca della Robbia, 47
da Edoardo Borzi | 26 Ott 2021 | Drammaturgie
Teatro nel diluvio di Simone Amendola
Il 29 Marzo alle ore 18.30, al foyer del Teatro Valle di Roma, avverrà la presentazione di Teatro nel diluvio, il libro che raccoglie i testi teatrali di Simone Amendola.
Cinque testi, tutti precedentemente premiati. Quattro testi scritti appositamente per il teatro, di cui i più lontani nel tempo Eravamo e Porta Furba già pubblicati singolarmente, e i più recenti, L’uomo nel diluvio e Nessuno può tenere Baby in un angolo, portati in scena con successo dallo stesso autore con Valerio Malorni. Chiude la raccolta un racconto, Piccoli pregi, che del teatro ha l’impeto del monologo. Si spazia dagli esterni agli interni della periferia, dalla condizione identitaria dell’essere migranti alla chimera Europa, dall’amore alla violenza sulle donne, con una domanda di fondo che attraversa tutti i lavori ‘come stiamo al mondo?.
Pubblicato nella collana Percorsi dalla casa editrice Editoria&Spettacolo – che dal 2000 ad oggi ha pubblicato una fetta importante del teatro italiano e internazionale, presente e passato – il volume è una raccolta di lavori scritti tra il ’98 ed il 2018.
Il libro è in distribuzione nei tradizionali canali online (amazon, ibs, etc.), nelle numerose librerie affiliate alla Casa Editrice e ordinabile in qualsiasi Feltrinelli.
Leggi l’incipit di
Teatro nel diluvio di Simone Amendola
Biografia dell’Autore
Simone Amendola è cineasta e drammaturgo da sempre focalizzato nel racconto delle marginalità. Ha presentato i suoi lavori in alcuni tra i più importanti festival di settore, nel 2016 la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui Premio Ilaria Alpi (2010) per il documentario narrativo, Premio Solinas (2014) per la sceneggiatura, Premio In-Box (2014) per la nuova drammaturgia.
da Edoardo Borzi | 25 Ott 2021 | Interviste
Debutta venerdì 25 maggio, ore 21.00, presso il Nuovo Teatro Sanità, FLAT 401, spettacolo vincitore della seconda edizione di On stage h24, progetto a cura di Carlo Caracciolo e Fabiana Fazio. Il gioco teatrale, a cui hanno partecipato attori, registi, drammaturghi lo scorso gennaio sul palco di piazzetta San Vincenzo, s’ispira al Kino Kabaret, evento che appartiene al mondo del cinema, durante il quale filmakers da tutto il mondo s’incontrano in un luogo e girano cortometraggi in tempi brevissimi.
FLAT 401 di Giovanni De Luise, secondo classificato al Premio letterario “Anna Castelli” 2018, per la sezione Teatro, è messo in scena con la regia di Filippo Stasi. Gli attori Chiara Barassi, Manuel Severino, Santa Verde e Federica Pirone interpretano i protagonisti della vicenda, la storia di Alice, il suo cambiamento di vita, improvviso, generato da un’ingiustizia subita che non trova una logica spiegazione se non nella prepotenza del potere a cui, talvolta, bisogna sottostare.
Siamo in un appartamento al piano terra del grattacielo Cuore. Alice, la protagonista della storia, si accorge che in casa c’è un intruso, Armando, il quale la informa che a breve verrà a farle visita la proprietaria del grattacielo, la Signora Cuore, per sfrattarla dall’ appartamento in cui è in affitto. Il mondo di Alice crolla, non riesce a trovare una spiegazione a quello che le sta accadendo; non c’è alcun motivo logico, nessuna ragione o colpa per cui lei debba esser mandata via dalla casa. Nel dialogo tra i due, interviene Bianca, la segretaria dell’amministratrice, che però non riesce a trovare una soluzione a quella situazione così assurda e surreale. Ormai, ad Alice, non resta che aspettare la temibile Signora Cuore per conoscere il proprio destino.La vicenda mette in risalto la prepotenza del potere e l’impossibilità dell’ uomo di potervi tenere testa, perché spesso preso in inganno. Il testo cerca di far riflettere sulle ingiustizie quotidiane subite da tutti noi, da atti che possono definirsi criminali contro chi fa parte di una società civile, come quella del condominio Cuore.
Come nasce “Flat 401”?
Giovanni De Luise
Questo testo nasce durante On stage h24, progetto a cura di Carlo Caracciolo e Fabiana Fazio dove c’era anche il regista attuale Filippo Stasi che aveva l’ambizione di trattare in uno spettacolo teatrale il tema della Camorra. Ci siamo confrontati con lui e gli dissi: “Oggi parlano tutti di camorra però noi possiamo parlare di questo tema anche in maniera diversa rispetto agli altri; individuando la Camorra in alcuni semplici gesti delle persone”. Noi tutti nell’immaginario pensiamo all’equazione “Camorra=Gomorra” ma la Camorra può essere anche una persona che all’improvviso si sveglia e decide di cacciare un condomino dal suo grattacielo di 101 piani, come nel caso del testo che ho scritto.Il problema è che tutti i condomini pagano un affitto, tutti sono regolari, in quel momento la padrona di casa fa il bello e il cattivo tempo come fa la Camorra, in un circolo di violenza e di prepotenza. I camorristi lavorano sulla psicologia dei deboli e degli ultimi.
Il testo nasce fra una chiacchierata e un’altra. Nella mia testa c’era il desiderio di voler parlare della prepotenza del Potere nei confronti del più debole e mi venne in mente questa idea di utilizzare un codice condominiale che sebbene esista presenta anche delle pagine bianche. Un codice di leggi in vigore che nella realtà non viene rispettato. Faccio un esempio in maniera esponenziale molto grande: pensiamo alla guerra. Tutti noi ripugniamo la guerra e pensiamo che l’Italia non stia conducendo guerre così come sancisce la nostra Costituzione ma in realtà non è così.
Il problema è che la ragazza protagonista verrà cacciata ma non saprà mai per quale motivo, e questo è molto kafkiano. C’è una condanna a una persona che fino alla fine non saprà mai qual è il suo capo d’imputazione fino ad autoconvincersi che molto probabilmente è lei, il problema di sé stessa, che l’ha condotta allo sfratto. Questo è ciò che accade in scena come nella vita a danno dei più deboli.
Flat 401 e la metafora del condominio, luogo e specchio del nostro mondo malato. Qual è stato il percorso di ideazione e di stesura del testo?
Sin da piccolo ho sempre pensato di voler mettere in scena Alice nel paese della Meraviglie. Ho sempre avuto la passione per questo cartone animato e in generale per l’autore Lewis Carroll, uno fra i più grandi scrittori della letteratura mondiale. Ho tratto ispirazione dai luoghi letterari, a partire dal codice condominiale che è un omaggio al libro della regina di cuori – anche quel libro era composto da poche pagine bianche. Anche i protagonisti di Flat 401 come quelli di Alice nel paese della Meraviglie sono strani, nei modi di fare e di parlare.
La struttura del testo si è definita attraverso il mio confronto creativo con letture precedenti ed esperienze personali riguardanti le ingiustizie che vengono fatte e trattate sia nella letteratura si nella vita quotidiana; tematiche che vanno ad arricchire sempre di più il racconto. Il personaggio di Alice di Flat 401 è una tipa un po’ svampita, come l’Alice di Carroll; il condominio cuore prende il nome dalla regina di cuori che vuole tagliare la testa a chiunque muova un passo sbagliato o dica una parola di troppo. I personaggi sono stati ispirati da quelli del romanzo di Carroll ma non sono proprio identici.
Rispetto alla resa scenica del testo, quali sono le tue impressioni sul lavoro registico di Filippo Stasi?
Filippo, pur essendo giovane, è un ragazzo molto determinato, ha delle idee molto brillanti e innovative. Il suo è un teatro contemporaneo che si avvicina alla mia idea di teatro che ha bisogno di energia e di forza e di ritmi serrati. Anche in questo spettacolo si possono notare queste caratteristiche umane e artistiche.
Dal primo giorno in cui ho incontrato Filippo Stasi c’è stato subito un feeling anche perché sia io sia lui abbiamo studiato al Teatro Elicantropo con Carlo Cerciello però dopo abbiamo scelto due strade diverse, lui si occupa prettamente solo di regia mentre io ho deciso di avvicinarmi alla drammaturgia. Ci tengo a sottolineare che sono molto fortunato ad essere stato l’allievo Manlio Santanelli che ha puntato su di me e io ho avuto questa fortuna che in pochi possono avere, dal momento che ho ricevuto tutte le sue attenzioni quindi evidentemente ha visto qualcosa in me che altri non avevano visto.
che tipo di emozioni suscita in te vedere Flat 401 in scena al Nuovo Teatro Sanità?
Il Nuovo Teatro Sanità si avvicina a un ambiente teatrale che io definirei “nobile” o “teatro puro”. Il direttore artistico Mario Gelardi è molto vicino ai giovani, molto vicino alla drammaturgia contemporanea. Gelardi ha fatto tanto per i ragazzi del Rione Sanità e li ha avviati a una attività difficile ma piena di passione e di speranza. Molti di questi giovani oggi lavorano come attori. Anche tutte le altre persone che lavorano nel ntS’ sono di grande valore come le responsabili dell’ufficio stampa Antonella D’Arco e Milena Cozzolino. Gelardi è riuscito a unire tutte queste persone di differenti età, strati sociali e capacità professionali, e anno dopo anno, ha presentato in cartellone spettacoli sempre più di qualità facendo passi da gigante. Sono onorato di lavorare al Nuovo Teatro Sanità: era uno dei miei sogni, così come quello di andare in scena con Federica Aiello all’interno del format Teatro Cerca Casa, una realtà di teatro fatto in casa. Mi manca un terzo teatro dove andare in scena – il mio terzo sogno – che però tengo per me in quanto scaramantico…
Nuovo Teatro Sanità
presenta
venerdì 25 e sabato 26 maggio 2018, ore 21.00
domenica 27 maggio 2018, ore 18.00
Nuovo Teatro Sanità
FLAT 401
drammaturgia Giovanni De Luise
con
Alice – Chiara Barassi
Armando – Manuel Severino
Bianca – Santa Verde
Signora Cuore – Federica Pirone
scene Vincenzo Fiorillo, Rosita Vallefuoco
costumi Sara Oropallo
musiche originali Mario Autore
assistenza alla regia Chiara Barassi
aiuto regia Mario Autore
regia Filippo Stasi
Lo spettacolo replica sabato 26 maggio alle ore 21.00 e domenica 27 maggio alle ore 18.00. Info e prenotazioni al 3396666426 oppure all’indirizzo e-mail info@nuovoteatrosanita.it. Il costo del biglietto è di 12,00 euro.