DIETRO LE QUINTE #3 – Le nuove frontiere del diritto all’oblio
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (13161/2016) ha aggiunto l’ennesimo capitolo alla storia travagliata del cd. “diritto all’oblio”, altrimenti conosciuto come diritto ad essere dimenticati. La Cassazione ha infatti intimato la cancellazione di una notizia (un accoltellamento in un ristorante) dall’archivio online di un quotidiano, allo scopo di tutelare il diritto all’oblio delle parti in causa.
La pronuncia è molto rilevante perché allarga notevolmente le maglie del diritto. La giurisprudenza precedente, infatti, generata dal celebre caso Google Spain, aveva intercettato come punto di equilibrio fra reputazione e libertà di stampa la pretesa acché il solo motore di ricerca (tipicamente Google) cancellasse il link alla notizia, che per il resto avrebbe continuato ad essere ospitata dall’archivio online per ragioni storiche e documentaristiche. Tutt’al più, come in Cassazione n. 5525/2012, i giudici avevano richiesto al quotidiano di aggiornare la notizia con i suoi sviluppi futuri, nello specifico gli esiti di un processo, ma mai di cancellarla del tutto.
In Italia il diritto all’oblio non trova spazio in un’apposita previsione legislativa ma si afferma per il tramite della giurisprudenza e della dottrina. Prima dell’avvento di Internet, esso consisteva essenzialmente nel diritto di un soggetto a non vedere ripubblicate informazioni relative a vicende lontane, e la cui riproposizione non trovasse giustificazione nell’interesse pubblico o in un collegamento con l’attualità.
La ragione di una simile tutela è intuibile: evitare che un soggetto interessato da un avvenimento archiviato dal tempo (sia esso vittima o carnefice) sia perseguitato all’infinito da quel fatto, perdendo la reale possibilità di ricominciare e lasciarsi il passato alla spalle. Il primo caso italiano in cui il problema è affrontato in maniera completa è quello che vede protagonista, nei primi anni ’90, il quotidiano il Messaggero, che aveva ripubblicato una sua vecchia prima pagina. Nell’accogliere la domanda e condannare il giornale al risarcimento del danno morale, il Tribunale aveva stabilito che “non costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, per mancanza dell’utilità sociale della notizia, la riproduzione, nel contesto di un gioco a premi, della prima pagina di un’edizione d’epoca del quotidiano […] in cui sia evidente un titolo contenente il nome di un individuo reo confesso di omicidio”.
A tale vicenda seguono numerosi altri casi anche riguardanti programmi o sceneggiati televisivi, e per i quali non di rado i giudici hanno comunque deciso di privilegiare la libertà di stampa rispetto al diritto individuale.
L’avvento dell’era digitale, come tutti sappiamo, ha spinto a leggere l’oblio con occhi diversi, perché in Rete la notizia non è “ripubblicata”, ma vi rimane perennemente, superando ogni limite spazio-temporale. Dopo la sconfitta giudiziaria del già citato caso Google Spain (Corte di Giustizia dell’Unione europea, sent. 13 maggio 2013), Google ha messo a disposizione degli utenti un modulo online espressamente dedicato al diritto all’oblio: gli utenti, accedendovi, possono richiedere alla società di “rimuovere risultati specifici relativi a ricerche che includono il loro nome, qualora l’interesse a che tali risultati rimangano sia superato”. Ma la sentenza della Cassazione di questo giugno chiama adesso in causa anche i quotidiani, invitando a prevedere ulteriori e problematici sviluppi per un diritto dai contorni ancora sfumati.