da Giovanni Landi | 20 Ott 2017 | Uncategorized
Sebbene sovente trascurato dal mondo accademico e forense – e talvolta dallo stesso legislatore – il diritto delle arti e dello spettacolo è un settore dinamico e sempre più necessario. Intorno all’ “industria” della cultura, infatti, si muove una costellazione di regole e prassi la cui conoscenza e il cui sviluppo rappresentano un valore non trascurabile. E ciò sia per il ruolo essenziale che le arti ricoprono nel panorama sociale italiano, sia per il capitale umano che impiegano.
La Società Italiana Esperti di Diritto delle Arti e dello Spettacolo (SIEDAS), nata nel 2015 per volontà del Prof. Fabio Dell’Aversana, vuole rispondere alla crescente richiesta di competenze e organizzazione di questo articolato ambito del diritto. In poco tempo l’associazione ha unito gli esperti di tutto il territorio della Penisola, strutturandosi in uffici nazionali e locali e raccogliendo le adesioni e l’interesse di decine di giuristi e addetti ai lavori.
Oltre all’attività di consulenza legale, fiscale e manageriale rivolta ad Enti e privati, SIEDAS è impegnata in una più generale missione di promozione del sapere e del know-how intorno alle materie di sua competenza: organizzazione di convegni, pubblicazioni, eventi culturali e iniziative di sensibilizzazione alla cultura e all’arte; istituzione di borse di studio, premi, master e altre attività didattiche; promozione di collaborazioni interdisciplinari in Italia e all’estero. Nel giugno di quest’anno, poi, l’associazione ha pubblicato il primo numero della neonata Rivista delle Arti e dello Spettacolo (PM edizioni), con lo scopo di incentivare e diffondere la speculazione accademica di settore.
Il 9 e 10 settembre 2017 si è svolta a Livorno, presso l’Auditorium del Museo di Storia Naturale, la seconda Assemblea Nazionale SIEDAS, partecipata da numerosi esponenti delle istituzioni e della cultura. Durante l’evento sono stati presentati i progetti futuri ed è stato conferito il Premio alla Carriera SIEDAS a Livia Pomodoro, già Presidente del Tribunale Ordinario di Milano e attualmente Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera e del Teatro No’hma di Milano.
“Attraverso SIEDAS abbiamo voluto riempire un vuoto rumoroso nel panorama della cultura giuridica italiana”, spiega Fabio Dell’Aversana, fondatore e Presidente della Società. “Quello fra diritto e spettacolo è un connubio fondamentale, e la giovane età dei nostri soci dimostra una crescente consapevolezza verso l’urgenza di una sua riscoperta”. “Il nostro obiettivo”, aggiunge Caterina Barontini, Segretario Generale SIEDAS, “è di accrescere la sensibilità verso certi temi anche in chi non gravita nel mondo delle arti e dello spettacolo”.
Per informazioni e adesioni è possibile scrivere a segreteria@siedas.it o visitare il sito istituzionale www.siedas.it, contenente i contatti dei singoli uffici nazionali e regionali e l’elenco delle diverse attività.
da Giovanni Landi | 26 Apr 2017 | Uncategorized
L’Istituto mutualistico per la tutela degli artisti interpreti ed esecutori (IMAIE) nasce nel 1977 per iniziativa dei tre maggiori sindacati. Liquidato nel 2009, l’ente è poi rinato un anno dopo come Nuovo IMAIE (legge n. 100/2010), anche se dal 2012 non è più in posizione di monopolio a causa della liberalizzazione del mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore.
Lo scopo dell’ente è quello di attuare le disposizioni di legge che garantiscono un ritorno economico agli interpreti dello spettacolo ogni qual volta le opere da loro interpretate vengono diffuse o riprodotte. In sintesi, l’IMAIE è l’equivalente della SIAE (che tutela i diritti di autori ed editori) per i soggetti che dell’opera sono in diverso modo “interpreti”: cantanti, attori, doppiatori, musicisti, ballerini, direttori di orchestra e di coro, complessi orchestrali o corali.
Cantanti e musicisti hanno diritto all’equo compenso quando una registrazione musicale viene trasmessa via radio o TV, diffusa o comunicata nei pubblici locali o comunque riutilizzata. Per gli attori e doppiatori, invece, l’equo compenso si genera in relazione a qualsiasi forma di utilizzo e diffusione delle opere cinematografiche o assimilate attraverso qualsiasi mezzo e modo: TV, web, proiezione pubblica, commercializzazione dei supporti fisici o digitali.
Il compito dell’IMAIE, dunque, è di incassare dai produttori l’equo compenso artistico e distribuirlo poi agli interpreti. In termini pratici, l’Istituto tratta con i produttori discografici, con gli emittenti, con i distributori DVD, con i siti WEB e con la SIAE al fine di ricevere i compensi da ridistribuire.
Il diritto degli artisti al compenso si estingue dopo 50 anni dall’interpretazione dell’opera (estesi a 70 per il settore musicale). Non tutti gli artisti, però, hanno diritto ai proventi da riproduzione: a poter partecipare alla distribuzione, infatti, sono solo colore che abbiano interpretato una parte di notevole importanza artistica (“ruolo da primario o comprimario”) all’interno del film, fiction, trasmissione TV etc. Inoltre, si specifica che il compenso è dovuto agli artisti “indipendentemente da quanto eventualmente da essi percepito per la realizzazione delle riprese”. I compensi vengono ripartiti quattro volte l’anno (due per il settore musicale e due per quello audiovisivo).
Oltre ai compiti suddetti, il Nuovo IMAIE svolge anche attività di consulenza in favore degli artisti e li assiste nella procedura dell’AGCOM volta ad ottenere la rimozione da internet di opere digitali diffuse o utilizzate in violazione dei diritti d’autore. Seppur, come detto, il Nuovo IMAIE non è più in posizione di monopolio, rimane la struttura italiana più efficiente e organizzata per la tutela degli interpreti e del loro diritto al compenso. Gli artisti che intendano partecipare al collecting dei diritti devono iscriversi all’Istituto seguendo la procedura riportata sul sito ufficiale. L’iscrizione è gratuita, ma l’ente trattine una percentuale dei proventi artistici (attualmente il 15%) per le spese di gestione.
Si riporta di seguito il link per iscriversi al Nuovo IMAIE:
http://www.nuovoimaie.it/iscriviti/
da Giovanni Landi | 6 Feb 2017 | Uncategorized
Il primo gennaio 2017 è entrata in vigore in Italia la nuova “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo”, approvata lo scorso novembre con una certa soddisfazione da parte dei diretti interessati. Un testo unitario, infatti, mancava dal 1949 e il cinema italiano è da tempo in stato di crisi, pur avendo visto crescere gli incassi del 9% fra il 2015 e il 2016.
La legge è intervenuta su diversi aspetti. Innanzitutto ha istituito un fondo per lo sviluppo, gli investimenti e gli incentivi dal valore non inferire a 400 milioni di euro annui, ricavati dagli introiti fiscali (IRES e IVA) relativi alle attività produttive della filiera cinematografica, televisiva e digitale. Tale meccanismo di autofinanziamento accrescerà le risorse destinate al cinema del 60%, il che dovrebbe restituire ossigeno a una situazione ritenuta stagnante.
Rispetto all’organizzazione del settore, la legge verrà seguita dall’istituzione di un Consiglio superiore per il cinema e l’audiovisivo (in sostituzione della Sezione Cinema della Consulta per lo Spettacolo), composto da undici membri altamente qualificati con il compito di selezionare le richieste dei produttori e assegnare i relativi finanziamenti, con la compresenza di un sistema di incentivi automatici per le opere italiane.
Come ha spiegato il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, almeno il 18% del nuovo fondo sarà destinato a finanziare giovani autori, start-up e piccole sale, oltre che festival e rassegne di qualità e attività collegate alla Biennale di Venezia, all’Istituto Luce Cinecittà e al Centro sperimentale di cinematografia. Il 3% del fondo sarà invece destinato alla promozione del cinema nelle scuole. Un ulteriore investimento di 120 milioni di euro in 5 anni sarà invece utilizzato per incentivare la riapertura o la costruzione di sale cinematografiche e teatrali. Parallelamente, è reso è più semplice il riconoscimento della dichiarazione di interesse culturale per le sale cinematografiche, e dunque l’apposizione del vincolo di destinazione d’uso.
A cambiare, poi, è anche il sistema di classificazione dei film. Finora tale funzione è stata espletata da apposite commissioni ministeriali (la famosa “censura di Stato”), composte da magistrati, professori di diritto, di pedagogia e di psicologia e dai rappresentanti delle categorie dei registi, dei giornalisti cinematografici e dell’industria. Tali commissioni erano chiamate a visionare preventivamente i prodotti, ad assegnare l’eventuale nulla osta alla proiezione e a stabilire i limiti di età per i minori di 14 o di 18 anni (legge 21 aprile 1962 n. 161). D’ora in poi, invece, saranno gli stessi produttori a classificare i loro lavori, in un sistema di self-regulation che vedrà l’intervento statale solo in casi limite (la censura per le opere teatrali era stata già definitivamente abolita dal D.Lgs n. 3 del 1998).
Per chi attende, invece, una regolazione finalmente completa dello spettacolo dal vivo, la legge rimanda al progetto, attualmente in lavorazione, di un autonomo Codice dello Spettacolo. A detta del Senato, il testo dovrebbe essere completato e votato entro marzo, mentre l’Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo), ha già presentato da mesi le sue proposte sul punto.
Di seguito riportiamo i link al testo completo della Legge sul Cinema (Legge 14 novembre 2016, n. 220) e alle proposte dell’Agis per il futuro Codice dello Spettacolo.
http://www.cinema.beniculturali.it/Notizie/4206/66/legge-14-novembre-2016-n-220-recante-%E2%80%9Cdisciplina-del-cinema-e-dell-audiovisivo%E2%80%9D/
http://www.agisweb.it/images/stories/download/CODICESPETTACOLOAMPIA.pdf
da Giovanni Landi | 29 Gen 2017 | Uncategorized
Il mondo dello spettacolo dal vivo non è mai stato così in fermento come negli ultimi due mesi. Le polemiche scaturite dai servizi delle Iene e le inchieste giudiziarie immediatamente successive hanno (finalmente) acceso un faro sulle tante ombre del mercato degli eventi in Italia.
I seguaci degli artisti più popolari lo sanno bene: acquistare biglietti per spettacoli di grido sulle piattaforme ufficiali è una piccola odissea. Non basta posizionarsi al computer il giorno delle prevendite, aggiornare la pagina nel momento giusto e agire alla velocità della luce. Prima dell’acquisto, infatti, il rischio di perdersi nelle tante anticamere del percorso è sempre dietro l’angolo, e capita che i biglietti scelti risultino non più disponibili dopo averli già bloccati, mentre la vendita continua inesorabile rischiando di lasciare l’aspirante acquirente all’asciutto. E questo senza considerare i forti costi aggiuntivi gravanti sui “fortunati” che ce la fanno.
Fra i primissimi a far emergere il problema era stato, a onor del vero, Beppe Grillo, il quale, attraverso due post pubblicati sul suo Blog già nel 2006, aveva puntato il dito contro il “sostanziale regime di monopolio di Ticketone”, revocando al sito il mandato di gestire i suoi show e invitando i colleghi a fare lo stesso. Ma la battaglia contro i mulini a vento è poi finita: dieci anni dopo quella rigida presa di posizione, i biglietti degli spettacoli di Grillo sono in vendita proprio su Ticketone, evidentemente gigante troppo forte e troppo utile anche per il re dei castigatori.
Per molti anni le anomalie del sistema sono state imputate al prevedibile (e in parte comprensibile) sovraccarico dei server e tutt’al più al bagarinaggio privato non massivo. Col tempo però la situazione è andata peggiorando, in particolare a causa dello sviluppo dei programmi digitali in grado di comprare interi stock di biglietti arginando i tradizionali meccanismi di protezione. Ma è con la recente e ben nota vicenda Coldplay che la questione ha raggiunto il suo culmine: due concerti al San Siro di Milano finiti sold-out nel giro di pochi minuti, e a fianco i siti di rivendita non ufficiali già pronti a proporre quegli stessi biglietti a cifre esorbitanti. Di qui la tempesta: rumorosissimi reportage delle Iene, un’inchiesta dell’Antitrust contro Ticketone, una serie di lapidari comunicati ufficiali e almeno due ricorsi giudiziari presentati dalla Siae e dal Codacons.
Ciò che è emerso finora va ben oltre la classica piaga dei bagarini o il malfunzionamento delle piattaforme. Alcune società organizzatrici di eventi, tra cui Live Nation, sono accusate di intrattenere rapporti con gli stessi siti di rivendita non ufficiali: un numero indefinito di biglietti, invece di passare per Ticketone, sarebbe infatti trasmesso direttamente al ciclo secondario per essere venduto a prezzi molto alti dopo il sold-out del circuito ufficiale. I lauti guadagni aggiuntivi sarebbero poi divisi fra almeno tre soggetti: gestori del bagarinaggio online, società organizzatrice e, in taluni casi, artista stesso. Un vero e proprio sistema segreto costruito per far lievitare i ricavi della musica dal vivo, sempre più rilevante in un’epoca di crisi della discografia.
Prendendo atto del fallimento dell’autoregolazione e soprattutto del vuoto normativo, il Governo ha proposto un emendamento alla legge di Bilancio che prevede multe salate (da 30 a 180 mila euro) per le biglietterie digitali non autorizzate. Sul fronte degli artisti, per i quali l’argomento è stato a lungo un tabù, si sono levate diverse voci di sdegno, tra cui quelle di Ferro, Zero e Mengoni, mentre Vasco Rossi ha addirittura abbandonato Live Nation dopo lo scandalo che l’ha coinvolta. Un’assemblea straordinaria di Assomusica è stata invece convocata per il 6 dicembre al fine di stabilire una strategia di reazione comune, che presumibilmente verterà sull’intensificazione del biglietto nominale. Il tutto per contrastare quest’inedito apparato che vede società organizzatrici e mercato parallelo alleati a svantaggio dell’acquirente, puntualmente pronto ad aprire il portafogli per regalarsi il sogno di una magica (e carissima) serata.
da Giovanni Landi | 29 Gen 2017 | Uncategorized
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (13161/2016) ha aggiunto l’ennesimo capitolo alla storia travagliata del cd. “diritto all’oblio”, altrimenti conosciuto come diritto ad essere dimenticati. La Cassazione ha infatti intimato la cancellazione di una notizia (un accoltellamento in un ristorante) dall’archivio online di un quotidiano, allo scopo di tutelare il diritto all’oblio delle parti in causa.
La pronuncia è molto rilevante perché allarga notevolmente le maglie del diritto. La giurisprudenza precedente, infatti, generata dal celebre caso Google Spain, aveva intercettato come punto di equilibrio fra reputazione e libertà di stampa la pretesa acché il solo motore di ricerca (tipicamente Google) cancellasse il link alla notizia, che per il resto avrebbe continuato ad essere ospitata dall’archivio online per ragioni storiche e documentaristiche. Tutt’al più, come in Cassazione n. 5525/2012, i giudici avevano richiesto al quotidiano di aggiornare la notizia con i suoi sviluppi futuri, nello specifico gli esiti di un processo, ma mai di cancellarla del tutto.
In Italia il diritto all’oblio non trova spazio in un’apposita previsione legislativa ma si afferma per il tramite della giurisprudenza e della dottrina. Prima dell’avvento di Internet, esso consisteva essenzialmente nel diritto di un soggetto a non vedere ripubblicate informazioni relative a vicende lontane, e la cui riproposizione non trovasse giustificazione nell’interesse pubblico o in un collegamento con l’attualità.
La ragione di una simile tutela è intuibile: evitare che un soggetto interessato da un avvenimento archiviato dal tempo (sia esso vittima o carnefice) sia perseguitato all’infinito da quel fatto, perdendo la reale possibilità di ricominciare e lasciarsi il passato alla spalle. Il primo caso italiano in cui il problema è affrontato in maniera completa è quello che vede protagonista, nei primi anni ’90, il quotidiano il Messaggero, che aveva ripubblicato una sua vecchia prima pagina. Nell’accogliere la domanda e condannare il giornale al risarcimento del danno morale, il Tribunale aveva stabilito che “non costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, per mancanza dell’utilità sociale della notizia, la riproduzione, nel contesto di un gioco a premi, della prima pagina di un’edizione d’epoca del quotidiano […] in cui sia evidente un titolo contenente il nome di un individuo reo confesso di omicidio”.
A tale vicenda seguono numerosi altri casi anche riguardanti programmi o sceneggiati televisivi, e per i quali non di rado i giudici hanno comunque deciso di privilegiare la libertà di stampa rispetto al diritto individuale.
L’avvento dell’era digitale, come tutti sappiamo, ha spinto a leggere l’oblio con occhi diversi, perché in Rete la notizia non è “ripubblicata”, ma vi rimane perennemente, superando ogni limite spazio-temporale. Dopo la sconfitta giudiziaria del già citato caso Google Spain (Corte di Giustizia dell’Unione europea, sent. 13 maggio 2013), Google ha messo a disposizione degli utenti un modulo online espressamente dedicato al diritto all’oblio: gli utenti, accedendovi, possono richiedere alla società di “rimuovere risultati specifici relativi a ricerche che includono il loro nome, qualora l’interesse a che tali risultati rimangano sia superato”. Ma la sentenza della Cassazione di questo giugno chiama adesso in causa anche i quotidiani, invitando a prevedere ulteriori e problematici sviluppi per un diritto dai contorni ancora sfumati.