#Incontri: Il teatro dentro i suoi limiti. Intervista a David Gallarello

#Incontri: Il teatro dentro i suoi limiti. Intervista a David Gallarello

L’associazione culturale Monkey Mood nasce a Roma nel 2014 per creare e promuovere azioni artistiche e poetiche. Tra le proposte formative presentate dalla Monkey Mood l’ultima è LSD Legge Sesso Delitto. Progetto di de-formazione teatrale, realizzato in collaborazione con CENDIC Centro di Drammaturgia Nazionale, Fahrenheit 451 Teatro. Una squadra di registi, drammaturghi e trainers vocali e fisici impegnerà gli allievi in un percorso a scelta di 3, 6 o 9 mesi orientato alla produzione di una trilogia.

Il percorso di formazione, nato dalla necessità di riflettere la visione deformante della contemporaneità in cui viviamo, è strutturato in tre “sentieri” di tre mesi ciascuno. Nei primi 2 mesi di ogni trimestre il drammaturgo, affiancato dal lavoro dei trainers, svilupperà con gli allievi un testo inedito seguendo le suggestioni dell’Orestea di Eschilo che sarà il fil-rouge da cui emergeranno i temi Legge Sesso Delitto. Il lavoro prenderà forma e si svilupperà sui temi, sulle trame e sui personaggi che affioreranno dalla creazione del testo. Dal terzo mese di ogni trimestre il lavoro passerà nelle mani del regista che, per 5 settimane, lavorerà coi ragazzi alla messa in scena.

In questa intervista, David Gallarello, presidente e direttore artistico della Monkey Mood, mette a punto il manifesto artistico e poetico di LSD riflettendo sull’importanza di porre la drammaturgia al centro dell’esperienza pedagogica.

 

• Innanzitutto, David, ti vorrei chiedere quale esigenza ti ha spinto all’elaborazione del progetto LSD?

Più che un’esigenza è stata la necessità di una riflessione critica sulla contemporaneità.

• Ci puoi spiegare cosa intendi per contemporaneità?

Intendo l’epoca del tecno capitalismo, del neo liberismo o di come lo si voglia definire. Un’ epoca che sembra irriducibile ad ogni rappresentazione. Il mondo, nella sua incessante metamorfosi, oltre che impazzito, risulta indecifrabile. Non disponendo più delle “grandi narrazioni”, cioè degli strumenti su cui basare una critica radicale, qualunque possibilità di cambiamento, di dissenso o di alternativa appare impossibile.

• Cosa intendi per grandi narrazioni?

Mi riferisco alle ideologie, secondo la definizione che ne ha dato Lyotard, il filosofo teorico del postmoderno. Con la fine appunto delle grandi narrazioni, i sistemi che avevano contribuito a creare la modernità, si pensi all’illuminismo, all’idealismo e al marxismo, lasciano un vuoto, ipso facto occupato dall’unica ideologia oggi dominante: l’ideologia del Mercato e del Capitale.

• Con questo vuoi dire che non ci sono alternative a questo sistema?

E’ un dato di fatto. Il mondo è uniformato da un’unica visione e non c’è all’orizzonte nulla che le si possa contrapporre. Questa insuperabilità comporta, da una parte, un adattamento alla realtà, che è di un conformismo sconcertante, dall’altra, una forma di disincanto altrettanto aberrante. Le nuove generazioni non sono più accese da passioni utopiche o da sogni emancipativi. Sono piuttosto narcotizzate dal mercato e ripiegate su se stesse. I desideri illimitati sono le false libertà che garantiscono la circolazione delle merci ad infinitum. Si può desiderare tutto tranne che cambiare la realtà. L’impotenza del cambiamento genera dunque passioni tristi. Nessuna passione durevole che possa condividersi. Solo passioni momentanee, movimenti destinati ad esaurirsi in un breve giro di vite. Nessun dissenso sembra resistere all’ “immane potenza del negativo”. Ogni tentativo comunitario di agire alternativamente, viene subito messo a tacere, oppure inglobato e rimesso in circolazione come merce. L’esperienza dell’occupazione del Teatro Valle è da questo punto di vista esemplare.

• Un artista come dovrebbe reagire di fronte ad uno scenario tanto desolante?

Io credo che l’arte in generale e il teatro nello specifico abbia oggi una grande possibilità. Nonostante tutto appaia paralizzato da un immobilismo assoluto, qualcosa sotterraneamente, come sempre, si muove, e l’artista ha il compito di intercettare questo movimento e portarlo alla luce.

• In che modo?

Non ci sono ricette o soluzioni facili. Io almeno non ne ho. Posso solo esprimere un punto di vista da un osservatorio del tutto marginale e periferico. Io credo, e il nostro piccolo progetto ne è testimone, che il teatro debba urgentemente tornare alle sue origini, cioè al suo essere politico. E per fare questo deve rientrare innanzitutto nei suoi limiti.

• Puoi spiegarci meglio questo ultimo passaggio?

Il teatro, come ogni forma artistica, si è adeguato perfettamente al modello ideologico dominante, si è cioè posto sul terreno dell’illimitatezza, dello sconfinamento, e della nuda vita, uscendo cioè dal suo specifico e perdendo qualunque centralità. La teoria della performance, per citare un esempio, è, per quanto possa risultare stridente, l’espressione compiuta di tale adeguamento. Quando Schechner, uno dei suoi teorici più illustri, sostiene che una manifestazione per la rivendicazione di diritti civili, corrisponde molto di più alla natura performativa di quanto non faccia una finzione drammaturgica all’interno di uno spazio teatrale, sta operando esattamente in questa direzione. Sta cioè dissolvendo i limiti del teatro. Questa dissoluzione non risponde, a mio avviso, come poteva sembrare 40 anni fa, ad un istanza rivoluzionaria bensì alla spinta capitalista che traduce nell’illimitatezza ogni azione umana salvo poi reificarla nel mercato. Ed è quello che è avvenuto con il 68. La liberalizzazione dei costumi e la distruzione dei valori borghesi si è tradotta nella illimitatezza dei desideri e nella loro libera circolazioni nel flusso inarrestabile delle merci.

• Tornando al vostro progetto, quanto la scelta di porre la drammaturgia al centro di questa esperienza è in linea con quello che tu stai affermando?

Lo è in modo radicale. Porre al centro di un progetto pedagogico la drammaturgia, e nello specifico l’Orestea di Eschilo, è una dichiarazione di intenti tutt’altro che neutra. E’ esattamente quello che intendo quando sostengo che il teatro debba tornare entro i suoi limiti. Il testo, cioè la drammaturgia, che non si traduce esclusivamente in scrittura di scena,o nella performance della nuda vita, ha questo gravoso compito. Il testo deve tornare ad essere un centro di ordinamento spirituale, intorno al quale i vari ruoli del teatro possano ricollocarsi. Per questo è necessario che la figura dell’autore torni ad essere protagonista. Si deve ricomporre un filo che è stato spezzato. La fonte a cui, a mio modesto parere, i drammaturghi oggi dovrebbero guardare, oltre ai greci, e ovviamente a Shakespeare, è la drammaturgia moderna nata sulla scia dell’idealismo tedesco, per culminare con l’opera di Brecht. Da noi figure come Pasolini, o lo stesso Gramsci, come teorico della cultura della prassi e del “potere di scissione”, dovrebbero essere prese come modelli. Il che non significa un acritico tornare indietro, una reazione. Tutt’altro. Se si vuole costruire una coscienza critica, una forma cioè di resistenza etica e una proposta creativa per una visone alternativa non si può prescindere dall’avere alle spalle una base solida su cui poggiare il proprio dissenso.

• La scelta della drammaturgia e della grecità sono dunque alla base del vostro percorso pedagogico.

Esattamente. I greci ci aiutano a ricomporre il filo spezzato, in primis perché sono i maestri del limite e della misura, del peras e del metron, inoltre perché ci indicano la via del teatro come luogo comunitario di critica all’illimitatezza, all’ubris, che minaccia la società col rischio della sua stessa distruzione. La tragedia e la commedia greca è la straordinaria opera umana in cui è in atto la lotta tra il limite e la tracotanza. Una dialettica che si fonda innanzitutto su un terreno sociale e politico. Inoltre, il ritorno ai greci ha una forte valenza antropologica. Secondo Aristotele l’uomo è zoon politikon, animale politico e sociale, cioè di natura socievole e comunitaria. Questa visione è l’opposto dell’immagine attuale che descrive l’uomo come una macchina desiderante, un individuo sradicato, apolide, precario, liquido, un consumatore svuotato di qualunque sostanza etica e spirituale. Il lento ritorno ad un teatro politico e ad una visione sensata dell’uomo è dunque il presupposto forte su cui poggia il nostro progetto.

Tutte le informazione sul progetto LSD > https://www.facebook.com/events/467445403616399/?ref=br_rs

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