L’ARTE DEL BUFFONE – Laboratorio intensivo di recitazione intorno all’Arte del Buffone medievale

L’ARTE DEL BUFFONE – Laboratorio intensivo di recitazione intorno all’Arte del Buffone medievale

Alle radici del teatro rinascimentale e della Commedia dell’Arte troviamo alcune figure ibride di performer, solisti dell’arte attoriale impiegati nel ruolo di intrattenitori di piazza e di palazzo. Il loro repertorio era vasto e articolato: ballavano, si travestivano, recitavano, cantavano in falsetto, imitavano suoni, rumori, voci di animali, uomini, donne, bambini, stranieri, e a ciò affiancavano una gestualità oscena, salti e acrobazie.

Il laboratorio L’ARTE DEL BUFFONE si propone di indagare, a partire dall’improvvisazione e dai meccanismi comici, l’arte dell’intrattenitore per antonomasia: il buffone. Ogni partecipante costruirà il proprio oratore, a partire dalle capacità individuali di ciascuno, attitudini al movimento, al canto, alla danza, ai dialetti, al suono di uno strumento. Nel teatro popolare ognuno sfrutta al meglio le proprie qualità, sviscerandole, esplorandole ed esaltandole per farle poi vivere nella scena. I partecipanti saranno condotti a mettere in gioco le loro caratteristiche nella creazione di un linguaggio comune. A partire dal proprio buffone si costruirà poi una nuova drammaturgia, “monologante” o d’insieme, dove storie popolari, stornelli, novelle e motivi della tradizione folkloristica verranno rimasticati e riportati sul palcoscenico. Il gruppo di lavoro, tramite gli esercizi, sarà portato a sfruttare i punti di forza di ognuno.

Partendo dalla lezione del Maestro Dario Fo, perseguiremo l’idea di un teatro popolare stratificato, sacro e profano, universale e proprio per questo capace di parlare a tutti/e. Il gruppo dei buffoni incontrerà poi il pubblico, all’interno del Festival Be Popular, in una restituzione finale tra storia e contemporaneità.

INFORMAZIONI GENERALI

Da lunedì 19 agosto a domenica 1 settembre 2024, il lavoro si svolgerà per sei giorni a settimana a Vicenza, dalle ore 10.00 alle 13.00, e poi dalle 14.00 alle 17.00. È inoltre prevista una restituzione spettacolare al pubblico, all’interno delle serate del festival Be Popular.

Il corso, guidato da Michele Mori e Marco Zoppello, si avvarrà di insegnanti interni ed esterni a StivalaccioTeatro, con lezioni complementari di movimento, danza, e canto. Si rivolge ad attori e allievi attori, giovani con esperienza minima pregressa che intendano esplorare il mondo del teatro popolare. Le richieste di partecipazione saranno accolte fino al 15 maggio.
Il costo intero del corso è di €450, con termine ultimo di pagamento il 15 luglio; il costo si riduce a €400 se saldato entro l’1 luglio. Pagamento da effettuare tramite bonifico, al quale si aggiungeranno €5.00 di iscrizione associativa, da pagare in contanti ad inizio laboratorio.

Mattina
Esercizi di propedeutica. Dinamiche di movimento da Commedia dell’Arte. Punto di “fuoco”, emozione in relazione al “fuoco” e interazione con l’osservatore esterno (pubblico).
• Improvvisazione. Sulla costruzione degli “incidenti” e sulla progressione drammatica. Improvvisazioni su narrazioni con pantomima. Improvvisazione a due o a tre con progressione.
• Creazione del proprio Buffone. Chi sono? Da dove vengo? Come parlo? Come mi muovo? Creazione del linguaggio specifico: rima, dialetto, suono, canto, ritmo

Pomeriggio
Drammaturgia.
• Inizio del racconto: Situazione. Dove e a chi parliamo. Attrarre l’uditorio.
• Soggetto del racconto: ricerca, analisi e lettura di storie e racconti della tradizione popolare. Quale storia vogliamo raccontare. Trama.
• Costruzione del monologo/dialogo: presentazione dei personaggi del racconto. Antagonista. Creazione dei climax, rottura drammatica, risoluzione dei conflitti.
Creazione del momento poetico.

INFORMAZIONI GENERALI

Ufficio StivalaccioTeatro
cell. 3711984391
tel. 0444 534321
formazione@stivalaccioteatro.it
www.stivalaccioteatro.it

Il teatro di Dario Fo e la drammaturgia d’attore

Il teatro di Dario Fo e la drammaturgia d’attore

Ripercorrere, anche se per grandi linee e con ampi spazi vuoti, una parte di vita teatrale di Dario Fo, significa gettare uno sguardo su quella che fu una delle più grandi stagioni teatrali del Novecento. In Italia, con la fondazione di Scena Nuova e La Comune di Dario Fo e Franca Rame e nel resto d’Europa, con l’Odin Teatret di Eugenio Barba o il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina si afferma, sul finire degli anni Sessanta, la necessità di un nuovo sguardo sul teatro, di spazi da dedicare alla pura ricerca teatrale. Si delinea il profilo del nuovo artista delle scene: intellettuale e artigiano, attore-drammaturgo, regista. Il teatro esiste e si mostra nella sua marginale condizione di luogo a-parte, che protegge e promuove le più ardite sperimentazioni tecniche, che sono sempre, nei casi migliori, accompagnate da una ribellione culturale.

Uno dei canali privilegiati per la trasmissione di un nuovo modo di pensare e fare teatro, che possa in qualche modo avvicinare e appassionare un pubblico sempre maggiore, è sicuramente la radio. Con il programma di varietà radiofonico Sette giorni a Milano e Rosso e nero di Franco Parenti, Giustino Durano e Franca Valeri, Dario Fo ha l’occasione di sperimentare l’efficacia della sua scrittura e delle sue narrazioni. Racconta per la prima volta i suoi monologhi, ricollegandosi alla tradizione del fabulatori lombardi, intrecciando storia e leggenda. La collaborazione con Parenti e Durano continua nel ‘53-‘54 con gli spettacoli Dito nell’occhio e Sani da legare al Piccolo Teatro Grassi, con la regia ufficiosa di Jacque Lecoq
Il trio Fo-Parenti-Durano propose spettacoli clowneschi, satirici, politicamente impegnati, in cui il linguaggio immediato del testo prende vita nel ritmo veloce delle azioni.

L’incontro con Jacques Lecoq fu per Dario Fo fondamentale – in quegli stessi anni Etienne Decroux insegnava alla scuola del Piccolo Teatro, fondata da Strehler negli anni Cinquanta e affidata all’esperienza di Lecoq sono gli anni in cui Fo riflette sulle potenzialità espressive del corpo, basandosi sul linguaggio mimico-corporale di Lecoq: sul modo di creare un déséquilibré, sul mantenimento di una tensione corporea unificata e per questo espressiva, durante le pause e le sospensioni del movimento. 
La grammatica del gesto di Lecoq sarà poi particolarmente evidente in alcuni quadri scenici di Mistero buffo. Nella scena della Resurrezione del Lazzaro, in cui restituisce il dinamismo delle immagini attraverso il gesto (bandé mimée); nella La fame dello Zanni, in cui è il corpo a rappresenta architetture e oggetti (figuration-mimée) e che Barba definì come «architettura in moto»; in Bonifacio VIII, per la capacità di raccontare una storia alterando i linguaggi del movimento con la narrazione orale (narrateur-mime).

La storia del teatro è storia di incontri, di scambi di saperi tra uomini e donne di genio. L’incontro artistico di Dario Fo e Franca Rame e la conseguente fondazione della compagnia Fo-Rame, avviene nel 1957. Franca proviene da una famiglia di attori girovaghi di lunga tradizione, è erede di un vastissimo repertorio di farse e lazzi, di un modo di pensare e fare il teatro che sfrutta l’imprevedibilità di una vita in viaggio per educare all’imprevedibilità di una scena itinerante. Un teatri riscritto e reinventato continuamente, fatto di battute improvvisate su un canovaccio e di scene essenziali. La novità dell’incontro consiste nella trasformazione progressiva del repertorio della famiglia Rame in una drammaturgia originale, che coniuga la tradizione dei guitti con lo studio di carattere storico-filologico portato avanti da Fo: si tratta della rivisitazione di testi sacri, epici o letterari, soggetti ad una puntuale e ironica inversione di senso, di cui è testimone il corpo-voce dell’attore in scena. È l’immissione del comico nella narrazione seria, demistificata in un rovesciamento radicale in cui il riso diviene condanna. 

Dario Fo
Fo-Parenti-Durano, Ph. Ferruccio Fantini 

Gli arcangeli non giocano a flipper, Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri, Chi ruba un piede è fortunato in amore, Settimo ruba un po’ meno, sono le commedie di satira sociale del periodo ‘59-’64. Presentano una trama a filo conduttore da teatro di rivista, sfruttano l’espediente comico del travestimento e dell’equivoco; grazie a qualche sapiente accorgimento tecnico, aggirano la censura e denunciano l’esercizio indiscriminato del potere, che trova la sua forma compiuta in La signora è da buttare, Morte accidentale di un anarchico e Mistero buffo.

La signora è da buttare inaugura nel 1967 la prima tournée estera della compagnia Fo-Rame, organizzata dall’Odin Teatret di Eugenio Barba. L’Odin è un centro di ricerca e sperimentazione teatrale d’eccezione, che svolge la sua attività a Holstebro. Vi arrivano sul finire degli anni Sessanta, Dario Fo e dalla famiglia di clown italiana Colombaioni (che contribuì alla messa in scena di La signora è da buttare) per condurre dei seminari sull’arte dell’attore. 
La signora è da buttare è uno spettacolo circense che irride l’ideologia statunitense, la libera America dell’assassinio di Kennedy e della guerra in Vietnam; Morte accidentale di un anarchico, è la versione farsesca della tragica e mai chiarita morte di Giuseppe Pinelli, avvenuta nella questura di Milano nel 1969 durante un interrogatorio per la strage di piazza Fontana. Qui l’espediente farsesco del “pazzo” che viene scambiato per il “sano” giudice che vede ciò che gli altri sembrano volutamente ignorare, richiama alla memoria, come nota Ferdinando Taviani, una delle più grandi commedie della storia del teatro: Il revisore di Gogol’, messo in scena da Mejercho’d nel 1926 al Teatro d’Arte di Mosca.

Con la messa in scena di Morte accidentale di un anarchico, siamo già nel 1970, la compagnia Fo-Rame si è costituita cooperativa, rompe il legame con i circuiti teatrali borghesi e con gli spazi deputati alle tradizionali rappresentazioni. Il pubblico paga una quota d’associazione per assistere al manifestarsi dell’arte teatrale nel libero spazio del confronto dialettico tra attori e spettatori. La vocazione monologante di Fo e dei comici della rivista italiana, saldata al recupero della cultura popolare, incontra l’impegno politico e civile. Con la fondazione di Nuova Scena, e del Collettivo Teatrale La Comune, Dario Fo e Franca Rame creano un sistema teatrale alternativo e rivoluzionario. Piazze, capannoni, fabbriche e camere del lavoro diventano luoghi di rappresentazione. 

Il teatro entra nel tessuto sociale della collettività. Il linguaggio della scena è in continuo divenire e con esso la scrittura. Osserva Taviani: «I testi di Dario Fo sembrano negare la loro natura di testi, cioè di tessiture compatte[…]riescono in qualche modo a trasmettere il sapore dell’aleatorietà della recitazione. Il che è un pregio letterario enorme». Agli antipodi della drammaturgia letteraria, è la scrittura scenica che in Fo determina la forma letteraria dei suoi testi registrandone l’architettura e la visione pittorica d’insieme. 

Tutto questo entra a far parte di una concezione del teatro che Dario Fo definisce come «giornale parlato e drammatizzato del popolo» espresso nel corpo-voce del Giullare: «attore comico popolare del medioevo che denuncia il potere della Chiesa e delle Corti». Dal recupero di questa coscienza di classe e dallo studio filologico di letterature e pitture medievali, prende vita Mistero buffo (che riprende il titolo da Misterija-Buff di Majakovskij, 1917) giullarata popolare in lingua padana del ‘400, capolavoro della storia del teatro. 

Il Mistero buffo di Dario Fo viene letto in varie Case del Popolo, provato nel maggio del 1969 nell’Università statale di Milano. Debutta ufficialmente il 1° ottobre a Sestri Levante
Lo spettacolo viene riproposto a Genova, Roma, Napoli, Torino, viene allestito in una chiesa a Vispa, nel ‘73 è presentato al Festival di Avignone. Al ritorno dalla tournée francese Mistero buffo viene riproposto a Milano sui prati della Palazzina Liberty, occupata dalla Comune. La Rai registra lo spettacolo in quattro puntate, mandate in onda su Rete 2 nel 1977. 
Mistero, sta a indicare i culti esoterici dai quali si originano le rappresentazioni di eventi sacri; buffo, allude al modo satirico-grottesco di rappresentare i temi sacri.
Fo rivisita le Sacre rappresentazioni medievali cecoslovacche e polacche, adottando la prospettiva del popolo. Le legge come le leggerebbe un giullare: cercando la verità «e la verità è che il potere si è da sempre impossessato del patrimonio culturale del villano», (come sottolineano Marina Cappa e Roberto Nepoti in Dario Fo). Le legge in chiave brechtiana, come rappresentazione del dramma collettivo in cui agiscono personaggi definiti in base al loro carattere storico, alla funzione e al ruolo sociale che li individua e definisce. 

L’intuizione teatrale di Fo in Mistero buffo consiste nel porsi come unico attore che recita tutte le parti, entra ed esce dai personaggi per spiegare quello che sta facendo e interviene su cronache di attualità. Attinge al repertorio dei numeri comici dell’attor comico del Novecento, di Viviani e di Petrolini, utilizza l’espediente dell’a-parte, che gli consente di rivolgersi al pubblico mantenendo la finzione costante del proprio personaggio.
Ma se la realtà storica rappresentata coincide allegoricamente con la storia del presente, l’attore interviene in modo diretto sul pubblico provocando e scandalizzando, estremizza la satira affinché non venga accettata come tale e non perda la sua efficacia dissacrante. 

Opera su due livelli, quello critico e quello comico, stimola la riflessione con metafore storiche e diverte con trovate e lazzi da Commedia dell’Arte. La drammaturgia è, in Mistero buffo e in tutto il teatro di Dario Fo, perfettamente adattata alle caratteristiche del Fo-attore-giullare, come un abito cucito a pelle, assume le forme della sua persona. Perfino il linguaggio aderisce alla sua inventiva: il grammelot, misto di lombardo-padano e di dialetti di invenzione creativa, è di per sé un teatro in chiave onomatopeica e allo stesso tempo patrimonio culturale e artistico dei villani del mondo.   

Castigat ridendo mores. Intervista a Matthias Martelli

Castigat ridendo mores. Intervista a Matthias Martelli

La detenzione del potere, salvo poche eccezioni, tende a sconfinare nell’abuso. Una violenza che si fa imposizione, che nell’intolleranza trova una foce dissetante. Incubo dei potenti sono i ribelli, uomini e donne capaci di spezzare le catene del sopruso. E alla ribellione per essere efficace bastano poche cose: il pensiero, la parola e la condivisione. Come nel teatro.

Matthias Martelli
Matthias Martelli – Ph Fulvio Vivenzi

I giullari di corte, i satirici, i graciosos seicenteschi e i Fools shakespeariani, a tutto questo hanno aggiunto il riso, facendo del castigat ridendo mores un’arma potentissima di verità e disvelamento. La tradizione popolare del saltimbanco che, rilegato ai margini della società, riabilita la dignità degli umiliati, ha trovato eco nel teatro di Dario Fo. Il suo Mistero Buffo, compiuti e oltrepassati i 50 anni di età, riesce ancora a far storcere il naso.

Alle innumerevoli censure subite da questo spettacolo negli anni, se n’è aggiunta una recentissima, cui ha dovuto far fronte, questa volta, Matthias Martelli che, diretto da Eugenio Allegri, è corpo e voce delle dirompenti giullarate di Fo. Nel comune di Massa Martana, Mistero Buffo, programmato per il 29 agosto, non potrà approdare perché, per i temi attinenti alla religione, non è adeguato alla comunità del luogo. E la rossa Umbria che fu, indossa un nero manto censorio.

All’indignazione generale segue il dietrofront del Sindaco Federici che promette uno spostamento di data. Lo spettacolo, stavolta, non è inadeguato per la popolazione, ma per i bambini che in gran numero avrebbero potuto affollare la platea, essendo loro dedicata la rassegna ospitante. Come se ci fosse un’età giusta per imparare a difendere la dignità degli oppressi e il rispetto per i deboli. 

Dario Fo è ancora scomodo, perché è tuttora efficace. Per fortuna. Dario Fo è ancora scomodo perché il bigottismo continua a ruggire forte. Purtroppo. Ne abbiamo parlato con Matthias Martelli, che dal 2019 porta in scena, in Italia e in Europa, Mistero Buffo, commentando questa vicenda, approfondendo la sua visione artistica e indagando il suo approccio all’arte di Fo.

Nel tuo percorso artistico, abbracciando la tradizione dei giullari, simbolo dell’arte che rovescia il potere, fai della comicità una lente d’ingrandimento con cui osservare la realtà e la società che ci circonda. Cosa ti ha insegnato questo mestiere sul mondo che abiti?

In realtà il mondo che abito mi da lo spunto per ciò che poi viene messo in scena. E quest’osservazione è molto difficile, perché non c’è niente di più surreale della realtà. Il bello di questo mestiere è che mi permette costantemente di farmi delle domande: su quello che accade, sull’esistente. Si sta formando una personalità generale molto narcisista, poco empatica, individualista. Il teatro può combattere tutto questo perché consente di condividere temi ed emozioni dal vivo e non online.

Il significato profondo del teatro è la connessione energetica che può cambiare il mondo. Nonostante le grandi possibilità offerte da internet e dai social, quando sei online, o in video, la comunicazione è uno a uno. Credo che il mondo cambi quando si condivide l’esperienza in tanti e dal vivo, quella è una forza di cambiamento esplosiva.

Nella tua biografia si legge autore, attore, performer, giullare. Qual è il ruolo del giullare oggi?

Il ruolo del giullare è fornire uno sguardo originale sulla realtà e cercare di smascherare il potere. Quando parlo di potere non mi riferisco solo a quello politico ma anche a quello del web, ai condizionamenti che ci arrivano dal consumismo ossessivo. Dal punto di vista tematico il giullare tenta di capire dove si annidano questi poteri per rovesciarli in maniera comica, ironica, alta.

Dal punto di vista stilistico, attraverso la mimica, la gestualità, il corpo e la voce, si combinano i generi mescolando poesia, comico, tragedia. Il giullare è in grado di dissacrare qualsiasi sacralità, anche non religiosa. Questo stile che Dario Fo ci ha insegnato, nel teatro contemporaneo non viene spesso ripreso. Forse perché il comico viene ancora considerato meno alto di uno stile più classico, più semplice e non c’è niente di più sbagliato.

Cosa ha significato per te interpretare gli spettacoli di Fo, qual è stato e qual è il tuo approccio al lavoro?

Ho conosciuto Mistero Buffo da bambino, me lo hanno fatto vedere i miei genitori in videocassetta. C’era quest’attore, vestito di nero, che giocando su una scena spoglia riusciva a far comparire tutto. Quel gioco è stato dirompente. Per me quello era il teatro. Mettere in scena Mistero Buffo è stata un’operazione folle: sono stato io a chiedere a Eugenio Allegri di farmi la regia, poi abbiamo ottenuto il benestare di Dario Fò tramite un video e infine abbiamo chiesto il sostegno del Teatro Stabile di Torino.

Quando sono riuscito a realizzare quest’impresa ho sentito di aver riportato qualcosa che merita di essere vivo sulla scena, non solo di essere ricordato come uno spettacolo degli anni ‘70. È un classico universale con uno stile incredibile. Non mi capacito di come sia possibile che un umano abbia scritto una cosa così perfetta, che abbia creato un meccanismo così straordinario. Rimettere in scena Mistero Buffo per me ogni volta è un’emozione, ma non in senso retorico: è come se entrasse dentro di me uno spirito altro, un’energia che proviene dai giullari, dalle piazze, che arriva sul palco, e fa dello spettacolo un rito.

La vicenda di Massa Martana ha dimostrato la forza dei testi di Dario Fo, anche a 50 anni dalla loro stesura. Dario Fo, è ancora scomodo? 

Evidentemente. Dario Fo colpisce il bigottismo duro. In Mistero Buffo trasforma i personaggi dei vangeli apocrifi, facendoli diventare personaggi del popolo, con i difetti e le caratteristiche dell’uomo. Il messaggio però non è di piegarsi alla volontà di Dio, ma di combattere qui e ora contro i soprusi del potere, contro tutti i razzismi, i bigottismi. Questo può ancora dare fastidio a chi è custode di tutto questo, della rigidità, del clericalismo più bieco. In questo senso, finché ci sarà un potere, sarà sempre dirompente.

A proposito delle dichiarazioni del Sindaco di Massa Martana in merito alla fraintesa censura di Mistero Buffo, qual è la tua opinione?

Io ho riportato le parole della mail che è arrivata dall’organizzazione alla mia cooperativa, quindi, per me,  la motivazione è quella che mi è stata data. Il contratto era firmato, quindi è stato imposto a un organizzatore di non far fare uno spettacolo che aveva già scelto. Se devo fare un commento sul fatto che lo spettacolo non sia a loro avviso adatto ai bambini, posso solo dire che Mistero Buffo è perfetto per tutti, è uno spettacolo da piazza.

Qual è la differenza tra Il primo miracolo di Gesù bambino di Fo e la tua giullarata?

La differenza è che il mio corpo, la mia voce, la mia gestualità non hanno niente a che vedere con quelle di Dario Fo. Prendo questo classico e lo riporto dentro una fisicità, un modo di fare completamente diversi, attualizzando le introduzioni come faceva lui, e facendolo funzionare in quanto testo. Noi dobbiamo guardare i video di Dario Fo, ammirare un attore inarrivabile, e rimettere in scena questo spettacolo facendone un classico proiettato nel futuro

#AccaddeOggi: Il 10 dicembre 1997 Dario Fo ritira a Stoccolma il Premio Nobel per la letteratura

#AccaddeOggi: Il 10 dicembre 1997 Dario Fo ritira a Stoccolma il Premio Nobel per la letteratura

Il 10 dicembre 1997 il drammaturgo e attore Dario Fo (Sangiano 1926 – Milano 2016) ritira a Stoccolma dalle mani del re Gustavo di Svezia il Premio Nobel per la letteratura, assegnatogli con la seguente motivazione Il 9 ottobre del 1997: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.

Tra le centinaia di opere e scritti che Dario Fo ci lascia, “Mistero buffo” viene considerata come il suo capolavoro. Presentata nel 1969 come “giullarata popolare”Mistero buffo è un insieme di monologhi che riprendono e descrivono alcuni episodi ad argomento biblico, ispirati ad alcuni brani tratti dai vangeli apocrifi o dai racconti popolari sulla vita di Gesù. L’opra è suddivisa in 8 episodi, che sono: Resurrezione di LazzaroBonifacio VIII, La fame dello Zanni, Storia di San Benedetto da Norcia, Grammelot di Scapino, Grammelot dell’avvocato inglese, Maria alla Croce, Il miracolo delle nozze di Cana. Mistero buffo può liberamente definirsi come opera capostipite di un genere teatrale moderno, con quella narrazione e quello stile che venne in seguito ripreso da altri autori come Paolini, Baliani, Pesce e molti altri appartenenti al teatro contemporaneo.Una fusione di sacro e profano, una parodia, una giullarata che in Italia venne poco apprezzata ma che all’estero gli conferì il Premio Nobel per la Letteratura.

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“Alla premiazione”, ricorda Fo in un racconto, “seguì la rituale cena al Municipio, alle 19 in punto. I Nobel erano seduti nella grande tavolata centrale con 99 coperti. A me avevano assegnato un posto accanto alla principessa Cristina, sorella del re, appassionata di archeologia, con la quale mi fu facile trovare un feeling. Alla mia sinistra, la principessa Vittoria, che i media dicevano colpita da anoressia; in verità mi sembrava tutt’altro che inappetente… si era gettata con voracità sulle portate, tanto che le offrii la metà del mio risotto e lei lo accettò. Finita la cena, i Nobel erano invitati a brindare con il re e la regina, uno alla volta, mentre gli altri commensali si davano alle danze in un apposito grande salone. Franca ed io pensavamo che fosse un saluto e via. Con nostra sorpresa invece, tanto il re che la regina ci trattennero, vollero sapere del nostro lavoro e dell’Italia, accennando perfino alla situazione politica di quel tempo. Il dialogo durò più del previsto. Lasciandoci, ci ripromettemmo di vederci ancora. Quindi ci ritirammo in disparte attendendo, come vuole il rituale, che tutti i Nobel e le loro consorti ultimassero l’incontro, giacché allontanarsi non si poteva e oltretutto le uscite erano bloccate dal servizio di sicurezza.” La serata, racconta ancora Fo, si concluse con il secco richiamo all’ordine della moglie: “Come arriviamo a casa, ti ammollo un sonnifero che ti farà dormire per almeno un paio di giorni. Cammina, che la festa è finalmente terminata.”

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La Palazzina Liberty di Milano intitolata a Dario Fo e Franca Rame. Cerimonia il 13 ottobre

La Palazzina Liberty di Milano intitolata a Dario Fo e Franca Rame. Cerimonia il 13 ottobre

Sono 177 i concerti in programma questa stagione alla Palazzina Liberty di Milano che dal 13 ottobre si chiamerà Palazzina Liberty Dario Fo e Franca Rame. A un anno esatto dalla morte del premio Nobel, infatti, il Comune di Milano intitolerà loro la struttura dove ha avuto sede il loro Collettivo Teatrale la Comune.

“Qui non tornerà un collettivo teatrale e per il momento non c’è nessun progetto legato alla drammaturgia di Fo, mentre, ha spiegato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno, si conferma l’uso della palazzina per ospitare residenze artistiche musicali con gli appuntamenti di Milano Classica, del festival Liederiadi e della Risonanza. Il 13 ottobre per l’intitolazione della Palazzina Liberty (che arriva dopo l’approvazione di un ordine del giorno da parte del Consiglio comunale) saranno proiettati degli spezzoni della produzione di Dario Fo e Franca Rame che provengono dagli archivi della famiglia e dalle teche Rai.

LEGGI IL PROGRAMMA MUSICALE > http://www.palazzinalibertyinmusica.it/plm/