Dittico Manfredini, dal 26 febbraio al 3 marzo al Teatro India

Dittico Manfredini, dal 26 febbraio al 3 marzo al Teatro India

Dal 26 febbraio al 3 marzo il Teatro di Roma – Teatro Nazionale dedica il palcoscenico del Teatro India al Dittico Manfredini, composto dai due spettacoli Luciano (dal 26 al 28 febbraio) e Al presente (dall’1 al 3 marzo), ideati e diretti da Danio Manfredini, una delle voci più intense del teatro contemporaneo che, con la sua arte d’attore e regista, sfiora stazioni umane intrise di ironica malinconia, solitudini e marginalità, decadenza e rassegnazione, attraverso il personalissimo percorso creativo che ha intrapreso tra spazi occupati, laboratori con i disabili psichici e radicalità artistica. Autore e interprete di capolavori come Miracolo della rosa (Premio Ubu 1989), Tre studi per una crocifissione e Al presente (Premio Ubu come miglior attore), lavori più corali come Cinema Cielo (Premio Ubu come miglior regista) e Il sacro segno dei mostri. Nel 2010 si confronta con il repertorio e debutta nel 2012 con lo spettacolo Il Principe Amleto dall’Amleto di Shakespeare, una produzione italo-francese (La Corte Ospitale, Danio Manfredini, Expace Malraux- Chambery, Aix en Provence). Nel 2013 riceve il Premio Lo Straniero come «maestro di tanti pur restando pervicacemente ai margini dei grandi circuiti e refrattario alle tentazioni del successo mediatico». Sempre nel 2013 riceve anche il Premio Speciale Ubu. Dal 2013 al 2016 è direttore dell’Accademia d’Arte Drammatica del teatro Bellini di Napoli. Nel 2014 debutta a Santarcangelo con Vocazione. Dal 2010 collabora con continuità con La Corte Ospitale dove dal 2012 prendono forma e vita le sue creazioni.

Luciano, primo spettacolo del dittico, in scena dal 26 al 28 febbraio, è il delirio di un folle tra pensieri, stati d’animo, suoni, visioni, voci lontane e presenze che rompono il silenzio e la solitudine. Dai corridoi della psichiatria, Luciano entra nel teatro della sua mente, intorno a lui si materializzano oggetti e presenze dell’immaginario. La spinta del desiderio lo conduce all’evasione verso luoghi abitati da chi vive ai margini. Un popolo di fantasmi torna a visitarlo in certe notti e nelle giornate senza speranza. Con aneddoti e versi poetici illumina le sue visioni. Con uno sguardo intriso di saggezza, apre spiragli di pensiero fuori da un ordinario modo di vedere. Come un visitatore che appartiene ad un altro pianeta, guarda, patisce, attraversa ciò che incontra, nel destino ineluttabile di veder passare le cose, le persone come fantasmi: apparizioni e sparizioni. «Con Luciano riattraverso i temi dell’omosessualità, della follia, della solitudine già trattati in Cinema cielo, come del resto anche nel Sacro segno dei mostri e in Tre studi per una crocifissione, per vedere come sono cambiati i tempi negli ultimi venti anni intorno a tematiche a me care – racconta Danio ManfrediniOggi osservo come il gioco si è fatto ancora più aspro e se la Samira di Cinema Cielo era più integrata in quel mondo e lo idealizzava, ora disegno una figura come Luciano che risulta un alieno anche in un mondo di marginalità. L’allucinazione di Luciano, ricreata con gli artifici del gioco teatrale, non è altro che la rivisitazione in scena di una realtà cruda, a tratti anche crudele, fatta di solitudine e di emarginazione, che è il mondo reale a cui attingo. Appunti presi dalla mia vita, disegni preparatori e dialoghi sono stati il materiale di partenza per addentrarci in questa avventura teatrale. I quadri emersi nelle prove chiedevano uno sguardo diverso dal mio per essere affrontati. Mi affido alla figura di Luciano, ritratto di un uomo del mio tempo colto in una solitudine invasa di presenze. La dimensione del tempo abbraccia la totalità di un’esistenza e rende tutto in un presente sulla scena».

Al presente, secondo spettacolo del dittico, in scena dal 1 al 3 marzo, è uno spaccato della mente e della sua inafferrabilità. In scena, un uomo e il suo doppio: una parte è immobile, assorta, riflessiva, una parte è inquieta e si identifica con i fantasmi che popolano la sua mente. Entra attraverso l’immaginazione in un flusso di associazioni inarrestabili che lo conducono in diversi spazi, in diversi tempi della sua vita. Nella solitudine rincorre i pensieri, quel dialogo interiore ininterrotto che lo accompagna, l’inquietudine provocata da ricordi, voci di persone care, immagini di un passato vago ma sempre presente e suggestioni dal mondo contemporaneo. Prende a prestito dalle patologie psichiatriche gli atteggiamenti fisici che esprimono tensioni, le amplifica attraverso quelle forme, porta alla luce le pulsioni più nascoste, cerca di dare ordine, forma, al caos della sua mente. «Il teatro è una modalità di esperienza che ti permette di vivere la vita in maniera anche più amplificata di quello che la vita stessa ti può offrire – sottolinea Manfredini – Nel tempo cresce un’affezione rispetto a questa capacità che il teatro ha di aprire delle porte, degli stati d’animo, delle condizioni mentali che molto spesso la vita non ti permette di esplorare. Nella vita, se le esplori, poi non hai più una via di ritorno. Invece nel teatro hai la possibilità di esplorarli e tornare indietro. Puoi esplorare l’assassinio senza per forza uccidere. Ti permette di ascoltare non solo la tua vita, ma anche le vite delle persone che abbiamo intorno, e di farne esperienza e capire che cosa significa avere quel tipo di destino. Però poi c’è il ritorno al sé. È un’opportunità di conoscenza straordinaria».