L’universo in movimento di Daniele Ninarello tra mente, corpo e cuore

L’universo in movimento di Daniele Ninarello tra mente, corpo e cuore

La genesi artistica di Daniele Ninarello inizia in una scuola di danza classica della provincia torinese. Nella sua voce ci sono i colori e l’intensità magnetica di un’indole ferrea. Impercettibili tracce piemontesi riconducono alle caratteristiche di quella terra così ricca di storie e di castelli, di cultura, vini e montagne. La sua emergenza di danzare e le sue urgenze di coreografo sono state nutrite con la passione e il desiderio, con il rigore della tecnica che, bruciando come un fuoco vivo, in una frazione di tempo coerente con il suo percorso di esplorazione e di ricerca, lo hanno portato spesso fuori dall’Italia e ovunque.

L’incontro con numerosi coreografi prestigiosi è avvenuto in coincidenza con la sua esperienza di studio e perfezionamento presso la Rotterdam Dance Academy. Ascoltare i suoi racconti, i commenti e le sue considerazioni equivale a lasciarsi condurre in una sorta di viaggio metafisico, spaziando tra l’Europa e il mondo. Le sue crezioni “Coded’uomo”, “Man Size”, “Non(leg)azioni”, “God Bless You” e “Bianconido” sono state presentate in festival nazionali e internazionali come Ammutinamenti, Corpi Urbani, Es.Terni, Short Formats, Marcher Commun/Mercati Comuni, Interplay/12, Les Repérages/Danse à Lille, Oltrarno Festival/Cango, DNA/Romaeuropa, Torinodanza Festival, Les Hivernales.

Il suo lavoro di ricerca coreografica è stato apprezzato, premiato, riconosciuto e largamente richiesto. Dall’Italia alla Francia, dal Belgio alla Germania, dal Portogallo al Brasile. L’incontro con Daniele Ninarello è stato come una congiuntura di eventi e di “sconfinamenti” che un Festival creativo come Attraversamenti Multipli, a Roma, ha contribuito a determinare. Quello che emerge è la sua personalità, la sua particolarità stilistica e, contemporaneamente, il resoconto di God bless you con tutto ciò che ruota attorno alla performance. C’è il corpo e lo spirito. Laddove finisce l’intervista, rimane in piedi il carattere del performer, in connessione con i pensieri e i sentimenti dell’uomo. In quella sezione aurea dove le due parti diseguali, la dimensione pubblica e quella personale, comunicano in perfetta armonia.

Quale evoluzione c’è stata nella tua carriera prendendo in esame il tuo presente artistico?

Il mio presente artistico proviene da riflessioni e da esperienze, artistiche e non, che ho vissuto in questi anni. Molto presto è nata in me l’esigenza di concentrare il mio sguardo sul corpo, più precisamente sul disorientamento della figura umana, e di affrontare questa necessità attraverso la ricerca sul movimento e sulla composizione coreografica. In modo più specifico mi interessa creare pratiche coreografiche e di movimento su questo tema.

È stato un processo istintivo e complesso quello che mi ha portato ad affacciarmi al mondo e, dunque, agli altri attraverso il mio fare arte, a condividere le mie riflessioni con le persone incontrate nella mia vita e nei miei processi artistici. Questo è un aspetto che oggi fa parte del mio lavoro probabilmente in maniera più approfondita. Se penso al modo in cui il mio presente comunica con il mio passato, in uno sguardo lampo sul mio percorso fin qui, posso solamente dire che oggi c’è un po’ più consapevolezza e una certa evoluzione sulle ragioni e i temi che mi han spinto fin qui. Ciò che mi è servito di questo percorso si è radicato nel profondo. Oggi rispetto agli inizi ho la possibilità di lavorare con altri corpi, trasmetto pensieri, riflessioni e pratiche ad altri danzatori, con i quali mi piace cooperare e costruire insieme dei lavori che per me sono veri e propri “rituali coreografici esperienziali”. Se collego i puntini dagli inizi ad oggi, quello che è andato qualificandosi sempre di più è il desiderio inventare modi in cui il corpo nell’attraversare una mia pièce ed il suo processo creativo, viva in tempo reale un’esperienza di trasformazione.

In che modo si è manifestata l’ispirazione e la genesi di God bless you?

God bless you è nato dopo un processo lungo e ha attraversato tante fasi. È nato nel 2010 ed è stato selezionato per il progetto euro-regionale tra Italia e Francia, Marcher commun/Mercati Comuni, con la collaborazione anche di Mosaico Danza e Teatro Piemonte Europa/TPE. In quell’anno il tema specifico era il luogo della fontana.
Nello stesso anno stavo affrontando un periodo di ricerca alla Fondation Royamount, dove sono stato invitato dalla direttrice artistica del progetto Miryam Gourfink. In quel luogo mi sono potuto dedicare a una ricerca su quello che era il mio campo di interesse. Molte ore venivano dedicate allo studio dell’autoipnosi e delle tecniche meditative, tutte esperienze che confluivano nella ricerca artistica personale. Inoltre, ho dedicato molte ore allo yoga, allo studio del movimento autentico. Quotidianamente ero immerso in una situazione che mi metteva a stretto contatto con tutto ciò che era sepolto in un profondo abisso personale e che in qualche modo cercavo anche di trasportare fuori dal corpo. Lì è nato il bisogno di lavorare sul disorientamento.

Ho compreso che avrei voluto fare una ricerca e lavorare su cosa realmente muove il corpo, su cosa muove gli esseri umani in questo mondo, su cosa li porta a naufragare in questo continuo susseguirsi di sedentarietà e nomadismo. Noi siamo continuamente spostati a livello fisico ed emotivo. In quel periodo avevo a disposizione un bel gruppo di danzatori a Parigi con cui potevo affrontare e sperimentare idee e percorsi artistici. Si riempivano gli spazi, li riempivo di oggetti rendendoli claustrofobici, cercavo di orientare oggetti nei luoghi. A un certo punto gli oggetti sono diventati uno solo, moltiplicato: il bicchiere. Questo per me rappresenta un oggetto fragile, trasparente, un oggetto visibile ma non visibile. In quella fase io chiedevo, a me stesso e agli altri performer, attraverso processi meditativi profondi, di entrare in contatto con delle memorie fisiche, corporee e sensoriali che portassero il corpo ad uno stato alterato, a qualcosa che fosse già accaduto nel corpo e che lo avesse reso disorientato. Mi interessava vedere come il corpo agiva nello spazio nel momento in cui era mosso da questi stati di confusione, di ubriachezza, di disorientamento e di disequilibrio. E poi sono nate delle connessioni in maniera molto intuitiva.

A un certo punto le cose si sono collegate, mi sono limitato ad osservare da vicino che cosa potesse voler dire per noi e per l’uomo il luogo della fontana e si è manifestata velocemente l’idea, il collegamento con un luogo del desiderio. La fontana è il luogo dove si gettano le monete, si esprimono i desideri, un tempo si chiedeva agli dei la loro benevolenza. A quel punto si è manifestata la figura degli homeless, dei senzatetto e la scritta God bless you: che Dio ti benedica. La performance è nata come un effetto domino tra queste immagini e queste connessioni. Mi sono detto che ovunque fossi andato mi sarebbe piaciuto ricostruire una piazza, una fontana, un luogo, una superficie di acqua trasparente e avrei dedicato alla figura dell’homeless una profonda riflessione. Ancora oggi gettiamo quella moneta, affidiamo ad un luogo profondo – ed è questo che mi interessa – i nostri desideri, la nostra fortuna. Ho visto nei senza fissa dimora dei corpi in cui sono imprigionati dei desideri che forse non si sono mai realizzati o che non si realizzeranno mai.

God bless you è nato dalle riflessioni su questi aspetti, su quanti desideri sono imprigionati nel corpo, su quante persone intorno a noi hanno dei desideri e infine sulla loro distruzione. Mi sembrava importante, infine, portare la figura di un homeless che distrugge la fontana, il pozzo dove gettiamo i nostri desideri. L’immagine finale della performance ricrea il dolore, anche fisico, ma non solo. La dimensione del dolore che è dato dalla distruzione di qualcosa, di una fragilità che viene frantumata, dalla rabbia e dalla violenza dell’ingiustizia, da un abbandono. Quella fine per me è un abbandono.

Lo scambio di energie tra performer e pubblico viene amplificato dal fatto che lo spettacolo viene realizzato in uno spazio pubblico e aperto?

È un lavoro che è nato appositamente per gli spazi pubblici ed è l’unico lavoro in cui opero in questa modalità. Il contatto con il pubblico è sicuramente importante, mi interessa portare gli spettatori a sentire attraverso i loro corpi, a fare in modo che la loro percezione possa essere mossa da ciò che sta accadendo davanti a loro e che possano vivere un’esperienza immaginativa, visiva ed emotiva che si riconnetta a loro. Io non interpreto, ma cerco di entrare in una dimensione in cui il corpo rivive uno stato emotivo, uno stato di memoria reale dato da diverse situazioni del passato, come la perdita dell’equilibrio, la fatica, la stanchezza, l’ubriachezza. Quello che accade quasi sempre in queste situazioni in pubblico, quando sono presente davanti ai loro corpi, è che affiorano tanti feedback da parte degli spettatori presenti.

Alcune persone rimangono pietrificate, altre si emozionano. Per esempio, durante la serata di venerdì 21 settembre, a Roma, un bambino molto piccolo mi ha toccato la mano e la mamma gli ha dato il permesso di accarezzarmi. Sono momenti che vengono integrati nella partitura. È chiaro che c’è un modalità attraverso cui il pubblico è estremamente attivo in questo lavoro. Ci sono state situazioni particolari come per esempio a Marsiglia dove, nella piazza centrale popolata da numerosi homeless, io all’inizio ero seduto accanto a loro e nessuno si aspettava che proprio io cominciassi quell’azione. La prossimità con il pubblico è arrivata ad essere estremamente emotiva. Mi interessa arrivare al cuore della gente, in tutti i miei lavori. Arrivare al cuore del pubblico per me è importante, qualunque sia il significato di cuore.

photo by Andrea Macchia

Quali esperienze, legate ai luoghi aperti e non, agli spazi pubblici, ricordi in modo particolare?

God bless you non è stato mai fatto in uno spazio chiuso proprio per la sua natura e per il suo dispositivo; per me è importante che venga fatto in uno spazio aperto perché è nato quasi come un’incursione, è un lavoro nato così.
E’ stato messo in scena in contesti come la piazza gremita di Marsiglia, per esempio, oppure a Rio de Janeiro dove c’era un immaginario complesso e anche diverso e ancora a Porto, a Torino, a Lione, Parigi, ecc. Lavoro con l’energia del luogo, per me l’energia che si crea tra spettatore e performer è un elemento di ascolto importantissimo. Non posso far finta, non posso procedere senza ascoltare, per cui ogni volta succede sempre qualcosa di diverso. A Lione avevo tantissimi bambini intorno a me. I bambini credono a quello che vedono, poi non ci credono più e però si emozionano e con te entrano nello spazio saltano e fanno delle cose pazzesche.

 

Attraversamenti Multipli: il bello dell’umanità che unisce l’espressione artistica e gli spazi urbani

Attraversamenti Multipli: il bello dell’umanità che unisce l’espressione artistica e gli spazi urbani

 

Come per ogni vicenda umana, c’è un inizio e una fine. Di Attraversamenti Multipli possiamo solo dire che si è conclusa la diciottesima edizione perché i suoi enzimi, i fermenti del Festival continueranno a proliferare nelle menti di chi ha attraversato e sconfinato quella piazza. Non si ferma il lavoro, l’attività instancabile e visionaria di Alessandra Ferraro e Pako Graziani che sono già al lavoro per la prossima edizione.

Dopo il grande successo della prima, la seconda settimana di Attraversamenti Multipli è iniziata con l’odore della pioggia che evaporando dall’asfalto umido ha accompagnato la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Con le diverse tonalità e le vibrazioni di tre serate di condivisione, in connessione e in uno spazio aperto dove ognuno è il benvenuto. Lo spirito del Festival è proprio questo. Ogni momento artistico che è stato messo in scena ha portato alla definizione del suo manifesto. Attraverso gli sconfinamenti su quel territorio, le persone hanno lasciato e scambiato qualcosa nella miscellanea socio-culturale di Largo Spartaco. Un’agorà sociale e cooperativa dove è importante la storia di ogni artista, performer, spettatore o passante occasionale, ma ancora più importante è il dove, la direzione verso cui ci si sta muovendo, attraversando luoghi, cuori, corpi e pensieri.

Giselda Ranieri è seduta su una panchina di marmo, in mezzo a delle bambine, con il suo giubbotto nero. È un frammento di vita in un contesto urbano; quando si alza dirigendosi verso la scena aperta, davanti al pubblico, quelle piccole donne che avranno avuto meno di dieci anni rimangono sullo sfondo, ma sono entrate nello spettacolo, in un quadro che si manifesta poco a poco. Giselda Ranieri, danzatrice, coreografa e autrice della compagnia lucchese Aldes diretta da Roberto Castello, è stata la protagonista, con il suo vestito rosso, nella serata di venerdì 21 settembre, di Blind Date.

Una performance che viene definita come una “composizione istantanea”, un affresco che inizia da quella panchina dove poco prima c’erano delle bambine sedute, ma avrebbe potuto trovarsi chiunque altro al loro posto, come per un appuntamento al buio, un’incursione o una visita inaspettata. Sulla tela neutra di quella composizione in tempo reale che è Blind Date verranno assorbiti il chitarrista e musicista Claudio Riggio, con i suoi oggetti sonori, il fotografo Umberto Tati, chiamato dentro quel momento performativo, un ragazzo street-style, dinoccolato con le sue movenze, e quel vestito rosso, il colore selettivo di un’istantanea, in uno sfondo bianco e nero dove c’è il corpo, il movimento e la forza espressiva delle loro rappresentazioni.

Giselda Ranieri

Il Pezzo orbitale dedicato a chi cade della compagnia Balletto Civile, nella stessa serata e dal lato opposto della piazza è un altro quadro vivente. Si auto-definiscono un “collettivo nomade di performers”: sono una dozzina di corpi celesti, anime artistiche, danzatori e attori, che costituiscono il nucleo stabile del gruppo e una miriade di altri compagni associati che ruotano nel loro universo spaziale con collaborazioni musicali, video-fotografiche, drammaturgiche e alla messa in scena. Capofila di questo progetto, dal 2002, è Michela Lucenti, coreografa, danzatrice e residente al Teatro della Tosse di Genova.

Ad Attraversamenti Multipli hanno portato una performance che fonde insieme il tempo presente e la vita reale. L’uguale e il diverso, la coscienza del corpo nelle sue molteplici diversità, tante voci armonizzate in un coro. Le parole dei monologhi sono su quei fogli presenti e sparsi in scena e sono materia viva come le tute bianche che si sporcano di terra, la lavagna nera di ardesia usata per lasciare un segno con il gesso, un pensiero estemporaneo. Ogni elemento della performance è tangibile. Esiste una dimensione umana in movimento nel momento in cui ogni individualità si allunga verso gli altri, tendendo le mani e gli arti, così come viene rappresentato dai performer.

Balletto Civile/Michela Lucenti |

I desideri profondi, la ricerca della clemenza divina e, nell’altro racconto, le visioni di un sogno (o di un’utopia) sono le due idee, le due prospettive presenti in God bless you di Daniele Ninarello e We are the birds of the coming storm di Dance Across Borders. In entrambi i contesti ci sono creature in movimento, uomini o uccelli, persone o personificazioni. God bless you si apre, sperimenta, capta reazioni e feedback provenienti dal pubblico. La costruzione presente in scena è quella che rappresenta un pozzo, una fontana, una piramide di bicchieri riempiti con acqua, simboli di trasparenza, funzionale per il rito del lancio della moneta. Il pubblico si emoziona nel momento del grande salto con affondo circolare e diventa una componente attiva della scena.

Ispirato al poema allegorico persiano Il verbo degli uccelli di Farid Ad-Din Attar, We are the birds of the coming storm è la messa in scena ideata e realizzata da Francesca Lombardo, Livia Porzio e Manuela Serra con la produzione DAB, Dance Across Borders e il sostegno di Chentro Sociale Tor Bella Monaca, Cubo Libro e Spettatori Migranti. È Il racconto di un volo e di uno stormo di uccelli, guidati dall’upupa, alla ricerca del loro Dio, il Simurgh, che troveranno nel proprio sé profondo.

Daniele Ninarello

I X I No, non distruggeremo Garage Zero dei Collettivo CineticO non è stata solo una performance. Essa è innanzitutto un frammento del progetto C/o, ma anche un’osservazione, la ricerca e la modulazione di identità collettive in un umano sentire universale. Abbinare alla parola test l’aggettivo sociologico potrebbe sembrare audace, in realtà il concept che ha elaborato Francesca Pennini con la sua regia predispone una situazione, un’atmosfera, un mood di comunicazione attiva e di espressione.

I X I è un dispositivo, uno strumento concreto e tangibile come una tastiera elettrica, ma è anche un sistema astratto come un concetto, una predisposizione ancestrale verso il bene o il male. Un computer keyboard con i suoi tasti, un codice da decodificare, tre performer in tutto il loro splendore fisico amplificato, tre mazze da baseball che potrebbero sembrare simili ad antenne, clave o totem fallici. Uno spazio e il pubblico romano di Attraversamenti Multipli che interagisce, si muove nell’area di Garage Zero, tocca, esplora, si raggruppa e si scompone random, osserva, incita gli altri a portare fuori i tre performer Alpha, Gamma e Delta per dare loro la libertà.

L’obiettivo finale in trenta minuti circa è lasciar venire fuori un flusso di energia che non è negativa o positiva, può essere e non essere il risultato di cause e conseguenze. Tastiere e dispositivi elettronici sono verosimilmente paragonabili a smartphone, tablet, pergamene, mobili da comporre, elettrodomestici intelligenti, postmoderni archibugi. Possono indurre alla schiavitù o al netto rifiuto, in ogni caso senza la creatività e l’esperienza, senza i sentimenti rimarranno degli oggetti; poco importa se sono costituiti da metalli nobili, titanio o selce.

CollettivO CineticO | ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI
foto di Chiara Cocchi

La terza ed ultima settimana di Attraversamenti Multipli è stata caratterizzata da una notevole quantità di figure simboliche con forti suggestioni replicate dall’interno o provenienti dall’esterno che a volte degenerano fino a diventare compulsioni e crisi parossistiche.

Giuda è una produzione Mk, le azioni fisiche sono quelle del performer Biagio Caravano, mentre le coreografie sono di Michele Di Stefano. In 33 minuti di performance viene vissuta un’esperienza privata, con la solitudine delle cuffie che trasmettono registrazioni binaurali, rimanendo però in gruppo, dissociati e senza amalgama, nella stessa frazione temporale. Come spettatori si viene trascinati in un meccanismo di lotta contro il tempo. La condanna inflitta a Giuda è quella di rimanere imprigionato in una trama, in un loop dove ci sono i caratteri del dramma e della routine. Verrà sottoposto allo sforzo fisico di compiere o subire quelle azioni, senza autodeterminazione. Senza la possibilità di scelta, di ciò che lui sarebbe stato: l’adepto iniziato, uno dei dodici o il dodicesimo apostolo sostituito, il traditore, il diavolo, il predestinato, l’impiccato.

È tutto nella testa, ma cosa c’è nella tua testa? What’s in your head? È la domanda, il suono dell’eco che rimbomba nella performance site-specific, prima nazionale, Odissea Furiosa di Margine Operativo con Francesca Lombardo, ideata da Alessandra Ferraro e Pako Graziani che ne ha curato anche la regia. Prendendo spunto dal poema di Omero, viene rappresentata con una serie di movimenti coreografici ripetuti e linee del corpo armoniose, un’avventura che in sé contiene il senso della bellezza, il valore. Ma l’eroe è anche umano e, dunque, può essere ingannevole, guerrafondaio, violento. È tutto nella testa e la testa a sua volta è occultata, coperta con un casco da motociclista, un simbolo forte, emblematico. Elmo da battaglia o maschera, alla fine viene rimosso. La performer Francesca Lombardo se ne separa lasciandolo sulla superficie piana osservandolo immobile.

Margine Operativo “Odissea Furiosa” con Francesca Lombardo | festival ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI |
foto di Carolina Farina

Ogni apparato complesso, sistema di cose o insieme di persone, può contenere un errore non prevedibile, indipendente dalla sua programmazione. Una piccola scheggia impazzita che si manifesta in un determinato momento. Il termine che viene usato in elettrotecnica per intendere un difetto del sistema, un errore all’interno di un programma, è “glitch”.  hanno utilizzato questa parola per la loro performance di danza, GLITCH – Project. Lo spettacolo vincitore Danza Urbana XL 2018, produzione Körper, mette in scena l’anomalia di un’ordinaria giornata lavorativa che scandisce i tempi, i ritmi ripetuti, sempre uguali e frenetici. Fino a degenerare in frustrazione, stress e voglia di evadere. Si riuscirà a vedere oltre l’orizzonte quel desiderio di salvezza e di libertà?

Un’altra prima nazionale è stata la Derivazione n.3 ideata da Salvo Lombardo, prodotta da Chiasma, con i partecipanti, i danzatori e i performer, della Masterclass, workshop specifico che si è svolto nell’ambito di Attraversamenti Multipli. Questo progetto è stato concepito e realizzato su misura per lo spazio di Largo Spartaco e fa parte di un ciclo di interventi e “derivazioni” di danza urbana effettuati in altri spazi e in altre città. La memoria è un sistema complesso, condiviso e condivisibile. Si può memorizzare un monologo, un codice numerico, un copione, uno schema di gioco, una coreografia, la mappa o la carta topografica di un posto attraverso un training, un metodo-procedura, una pratica di appropriazione. Il movimento dei corpi dei performer deriva da una serie di discipline sportive, richiamate anche dall’abbigliamento. Dall’iniziale moto centripeto, la sua forza diventa centrifuga, espandibile verso l’esterno, coinvolgendo e inglobando ogni persona o cosa.

 

Così finisce anche il racconto della diciottesima edizione di Attraversamenti Multipli. Ogni ricordo, spunto di riflessione, emozione provata e condivisa contribuiranno a mantenere viva la nostra umanità, una parola decisamente equilibrata . Non è l’abuso verbale che determina la connotazione specifica di questo termine, ma sono i fatti ad essere decisivi per riacquistare o perdere la fiducia nel genere umano, per trovarne il senso. Arte, artista, amore, solidarietà…A volte ci si trova in disaccordo e in contrasto più per il lessico, i ‘contenitori’, anziché analizzare i contenuti.

Qualcuno ha scritto: “Se volete vedere un sacco di ‘umanità’ andate a Times Square, a New York City”. In alternativa.possiamo suggerire di ritornare o passare da Attraversamenti Multipli, per la diciannovesima e prossima edizione.

Attraversamenti Multipli 2018: La prima settimana con Ascanio Celestini, C&C Company e Roberto Latini

Attraversamenti Multipli 2018: La prima settimana con Ascanio Celestini, C&C Company e Roberto Latini

Sette appuntamenti densi e articolati nell’orario che solitamente si estende dall’aperitivo al dopo-cena. Attraversamenti Multipli ( qui un approfondimento) è un festival crossidisciplinare, della durata di sette giorni non consecutivi, ma articolati in tre fine settimana, nel quartiere popolare di Roma del Quadraro, più precisamente nell’isola pedonale di Largo Spartaco, un luogo fiero come il leggendario Spartaco che fu tante cose: pastore della Tracia, ausiliario della milizia romana, disertore, gladiatore e rivoluzionario, tra i primi della storia. Forse non è un caso che quel piazzale aperto che, qualcuno ha recentemente “desalvinizzato”, come recita uno slogan scritto con vernice nera su un muretto, sia stato in precedenza consacrato a quel condottiero ribelle. Nomen omen. E sempre nei nomi troviamo qualche traccia di un presagio, una formula o semplicemente una dichiarazione d’intenti.

foto di Chiara Cocchi

Attraversamenti Multipli è, dunque, un festival crossdisciplinare, un progetto che prende forma e svolge la sua azione in spazi pubblici e luoghi simbolici; mette in connessione arti, codici e artisti diversi, creando una rete con la realtà sociale, con i frammenti di vita di una comunità. È un manifesto che riunisce insieme teatro, danza, musica, video e performance attraversandoli, con la messa in opera di residenze artistiche, performance site specific e workshop. Passare attraverso, da una parte all’altra, comporta lo stato di necessità e le visioni esplicitate nello slogan #sconfinamenti perché inevitabilmente Attraversamenti Multipli tende al superamento dei confini tra culture diverse, tra differenti generi artistici e, infine, il definitivo superamento dei margini di azione tra artisti e spettatori. Lo spazio scenico infatti è volutamente concepito e lasciato senza reti di protezione e senza il perimetro della recinzione diventando il luogo di ciò che accade con le diverse creazioni artistiche. È un dato certo e oggettivo, un elemento costitutivo di Attraversamenti Multipli, così come è garantito incontrare i sorrisi di Giulia Taglienti e Antonella Bartoli, le ragazze dell’ufficio stampa e comunicazione.

Tutt’intorno ci sono ragazzi sui muretti e sulle moto, i ragazzi dell’accoglienza e della logistica, gli spettatori di un pubblico mobile ed eterogeneo, un po’ nomade per vocazione, i cani randagi e quelli toelettati, gli operatori dei pub con hamburger e patatine che, di tanto in tanto, urlano i numeri delle prenotazioni. Ci sono gli alberi rivestiti di blu dalla luce dei riflettori e le biciclette addossate sulla loro corteccia, i condomini che sembrano tante caselle illuminate del Bingo. Mescolandosi tra di loro le persone, creano i presupposti dell’inclusione, della solidarietà e di quelle condizioni che nel passato portarono allo sviluppo delle civiltà. Avvenne in questo modo, mediante una mescolanza e sempre con un’opportunità di rinnovamento per ogni sfida dell’umanità. E così dovrebbe continuare ad essere. È così che vogliamo raccontare la diciottesima edizione ideata e creata da Margine Operativo con la direzione artistica di Alessandra Ferraro e Pako Graziani.

foto di Chiara Cocchi

Il viaggio è iniziato con la prima tappa del 15 e 16 settembre: un’affollata ouverture. La piazza si è riempita con uno pubblico numeroso e sconfinato oltre il perimetro di Largo Spartaco. L’apertura ha avuto come protagonista Ascanio Celestini che in un passaggio de Il Nostro Domani si presenta come un uomo di quel quartiere, uno del Quadraro, prima ancora che un intellettuale. Autentico perché nella descrizione di fatti e persone non risparmia niente a nessuno, commuove e si commuove, sembra volersi più volte sollevare la t-shirt scura, quasi a scoprire l’ombelico, mentre interpreta le pagine dure e di crudele ingiustizia con la musica eseguita dal vivo da Gianluca Casadei.

Parla di Gramsci come se ce ne fosse più che mai bisogno: immagina l’urgenza che avrebbe avuto un gigante di un metro e cinquanta di nominare oggi come ministro della Giustizia una donna, una madre, una sorella, un fratello che hanno conosciuto l’ingiustizia di veder ammazzato il proprio familiare, intrecciando così la storia del padre del comunismo italiano con quella delle vittime di Stato come Davide Bifolco, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e gli altri tristemente noti. Ascanio Celestini, con estrema semplicità e una buona dose di surrealismo, ambienta le proprie fiabe moderne in luoghi paradossali dove regnano l’antinomia e la violenza, scava in profondità nella storia italiana e fa riemergere tutta l’ignavia umana nel raccontare l’indolenza di quell’uomo che abita al venticinquesimo piano, incurante di quel rubinetto rotto e di tutte quelle gocce che allagheranno inesorabilmente il suo appartamento e quelli sottostanti, in una narrazione metaforica di una Italia senza antenati né posteri perché senza memoria.

Successivamente si è svolta la performance di C&C Company A Peso Morto, con l’interpretazione di Carlo Diego Massari. Il suo racconto prende vita all’interno dell’isola pedonale di Largo Spartaco, la abita con l’energia espressiva del corpo descrivendo la parabola di un anziano abbandonato a sé stesso: un emarginato di una qualsiasi periferia che incede inesorabile, con la sua faccia stanca, con le sue buste da clochard, verso la fine. L’epilogo lo attende come se fosse la chiusura di una pratica, l’oblio lo ha conosciuto già ed è stampato sul suo volto come il segno di una resa invincibile.

Anfibio, senza forma definitiva per natura umana e per natura artistica si definisce Carlo Massari con il quale tentiamo di tracciare un primo bilancio di vent’anni di attività. Le prime importanti esperienze a 14 anni con il regista e drammaturgo Pietro Luigi Floridia del Teatro dell’Argine, che oggi dirige “Met”, acronimo per Meticceria extrartistica trasversale, nuova casa di incontri, arte e teatro di “Cantieri Meticci”, riunendo rifugiati e richiedenti asilo, migranti e giovani artisti, con Luigi Gozzi, drammaturgo e regista, docente del Dams di Bologna e Barbara Nativi del teatro della Limonaia di Firenze con cui ha collaborato nell’ultimo lavoro “Binario morto”. Tanti i nomi e i luoghi incontrati lungo la strada del teatro: le repliche frenetiche fra Italia e Grecia con Sergio Pisapia Fiore e poi con la Compagnia della Rancia, ma decisivi soprattutto le collaborazioni a Londra presso la compagnia Theatre de l’Ange Fou, fondata dagli allievi del mimo francese Decroux, al Teatro Due di Parma con Claudio Longhi e Malu, prima ballerina di Pina Bausch e a Bruxelles con il coreografo coreano Hun-Mok Jung della compagnia di danza contemporanea Peeping Tom.

Come un’epifania, l’incontro con Michela Lucenti di Balletto Civile ai tempi in cerca di nuovi performer per la compagnia. La sua formazione eccezionale è stata uno dei cardini della mia vita – ricorda con felicità Massari – sono rimasto con Balletto Civile per cinque anni finché non c’è stato il subentro di C&C. Dal 2011 infatti inizia la collaborazione con Chiara Taviani, nata all’interno di Balletto Civile, che sfocerà nel nuovo sodalizio. Sia da una parte, sia dall’altra ci siamo dovuti scorporare portando avanti i nostri rispettivi percorsi. All’inizio molto all’estero, poi è arrivato il momento in cui anche all’Italia interessava un tipo di linguaggio di questo tipo e quindi siamo stati accolti a Brescia dove abbiamo la residenza di compagnia. Dopo aver lavorato a lungo insieme in numerosi spettacoli, Chiara ha deciso di tirarsi fuori dal progetto per una propria scelta personale di vita ma il lavoro della Compagnia proseguirà in Italia e in Europa con nuove residenze e repliche degli spettacoli, fra cui ci sarà anche la prima delle tre produzioni del progetto Beast Without Beauty – vincitrice del Premio Giuria e del Premio Pubblico di Crash Test Festival in Valdagno, Vicenza NdR..

ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI | 15 sett 2018 | performance di Carlo Diego Massari / C&C company | Largo Spartaco, Roma | foto di Chiara Cocchi

Protagonista di rilievo del 16 settembre, con le suggestioni liriche e la sua voce che sa circumnavigare le perifrasi e il “campo della poesia” di Mariangela Gualtieri, è stato Roberto Latini. Con La delicatezza del poco e del niente ha inaugurato lo spazio di Garage Zero che verrà utilizzato anche per prossimi spettacoli. Sconfinando tra poesia, teatro e musica la rotta ha unito Dio, l’uomo e l’amore. Uno sconfinamento che ci ricorda che in fondo siamo tutti noi donne e uomini in movimento e la ricerca della libertà o anche di semplici risposte a domande complesse, ci contraddistingue. Come nella vita, chi ci passa accanto, attraversando la nostra strada, può essere qualcuno che capita per caso o che è venuto apposta. Ma di sicuro c’è una sincronia negli eventi che nell’attimo di attraversare la nostra esistenza diventano multipli di essa.

Ph. Carolina Farina/ Carolee Oh

Il programma di questa settimana di Attraversamenti Multipli 

Sabato 22 settembre alle ore 19.00 il danzatore e artista visivo Alessandro Carboni presenta il site specific “Unleashing Ghosts from Urban Darkness” con i performer e i danzatori partecipanti al workshop (che si svolge nei giorni precedenti ) una performance che unisce dimensione installativa e pratiche performative in un percorso in cui il corpo viene utilizzato come strumento cartografico,attraverso un processo di mappatura dello spazio urbano attraverso azioni corporali. Alle ore 21.00 il coreografo/danzatore Daniele Ninarello con il site specific “God Bless You”dilata il “tempo” della performance diventando per una sera parte dello spazio urbano che lo accoglie, creando dinamiche interattive con il pubblico. “God Bless You” riflette sull’enorme quantità di desideri che abbiamo e sulla figura del senzatetto, come custode di desideri inesauditi.

Alle ore 21.30 il Collettivo D.A.B. – Dance Across Border una compagnia nata nel 2016 dalla volontà di 3 danzatrici – Livia Porzio, Francesca Lombardo e Emanuela Serra – per sviluppare un progetto di formazione e ricerca artistica all’interno dei centri d’accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo con l’obiettivo di creare, attraverso il lavoro artistico, occasioni d’ incontro tra migranti e cittadini. Il Collettivo D.A.B. presenta in prima nazionale lo spettacolo “We Are The Birds Of The Coming Storm”. Uno spettacolo che vede in azione performer di diversi paesi e che riesce a raccontare “gli sconfinamenti” attorno a cui ruota tutto il festival.

Domenica 23 settembre alle ore 17.00 parte la performance itinerante creata da Valerio Sirna / Dom ”MAMMA ROMA_ Esplorazioni urbane / Pratiche della percezione TUSCOLANA MITOLOGICA” un progetto che si fonda sull’esercizio del camminare, inteso come strumento di conoscenza e di lettura sensibile del circostante, e sulla relazione sottile che lega il corpo al paesaggio che attraversa. L’esplorazione del 23 settembre traccia un’orbita intorno agli avamposti del Quadraro, e sconfina nel quartiere Tuscolano, instancabile centro generativo dell’iconografia capitolina. Alle ore 21.00 è in azione Collettivo Cinetico, fondato dalla coreografa Francesca Pennini, il cui focus principale di ricerca è la discussione della natura dell’evento performativo e del rapporto con lo spettatore tramite formati e dispositivi al contempo ludici e rigorosi che si muovono negli interstizi tra danza, teatro e arti visive. Collettivo Cinetico presenta la performance “I X I No, non distruggeremo (…)”un dispositivo coreografico interattivo che si plasma ai luoghi che abita e che permette al pubblico di determinare i movimenti dei performer.

A breve ci saranno nuove incursioni di Theatron 2.0 ad Attraversamenti Multipli 2018: continuate a seguirci!

Attraversamenti Multipli 2018

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