D.A.K.I.N.I., il mondo dell’informatica della dominazione. Intervista al collettivo AjaRiot

D.A.K.I.N.I., il mondo dell’informatica della dominazione. Intervista al collettivo AjaRiot

Un cataclisma ha devastato il pianeta. Le donne sono scomparse e vige un’oligarchia maschile che crea dei biocyborg dalla fattezze femminili atte al loro compiacimento sessuale e alla riproduzione e generazione di feti solo maschili. Ogni quindici anni i loro corpi vengono smantellati e riassemblati e le loro menti e memorie vengono resettate. Una di loro ha un bug che le permette di ricordarsi i ricordi della precedente vita. Nel nuovo corpo non si riconosce e inizia a porsi delle domande. Chi sono? Che cosa sono? D.A.K.I.N.I. è l’ultima produzione transdisciplinare di AjaRiot – Performing Arts Collective che indaga e fa dialogare i temi dell’Intelligenza artificiale con le teorie femministe contemporanee.

Nato nel 2014, AjaRiot è un gruppo di artiste, performer, attiviste, danzatrici, videomaker, studiose e producer. La ricerca, la transdisciplinarietà e il tema dell’autodeterminazione sono i temi di interesse comuni attraverso i quali il collettivo esplora la relazione tra corpo e immagini visive, espresse con pratiche corporee, somatiche, plastiche, visive, documentarie e politiche. Il 29 giugno D.A.K.I.N.I. andrà in scena al Cross Festival 2019 a Villa Giulia; per l’occasione abbiamo intervistato Isadora Pei e Sara Giorla, due delle fondatrici del gruppo.

Siete un collettivo tutto al femminile: è una casualità o una dichiarazione di intenti?

ISADORA PEI: Le tematiche da noi indagate negli ultimi anni, come le teorie queer, i women’s studies e gender studies, le politiche sessuali e le teorie femministe, ci hanno scelte e fatte unire per creare il collettivo AjaRiot, la rivolta delle capre. D.A.K.I.N.I., la nostra ultima performance, ha un cast tutto femminile, ma si è avvalsa di fervide collaborazioni maschili quali Emanuele Policante alla drammaturgia e Carlo Valsesia per la composizione delle musiche originali. Siamo un gruppo di artist*, performer, attivist*, videomaker, danzatrici, studios* e organizzatrici. Siamo mist* in provenienza, età, esperienze e pratiche. La ricerca, la transdisciplinarietà e il tema dell’autodeterminazione sono i nostri cardini comuni. Tramite essi, esploriamo la relazione tra corpo e immagini visive, le sue intersezioni, le sue potenzialità attive. È un processo poetico aperto: in continuo divenire. Che accoglie le disparità e non unifica. Che ama le differenze. La nostra ricerca si nutre di pratiche corporee, somatiche, plastiche, visive, documentarie e politiche. In questo modo, proponiamo di investire un campo intuitivo oltre il linguaggio, un campo visivo e fisico che preceda la determinazione di una forma e che sappia rimettere in questione la frontalità della scena tradizionale, interrogando, insieme al pubblico, la realtà.

Tante le fonti citate, in una spiccata commistione di linguaggi: come si è articolato il processo creativo e da quale esigenza è nato questo spettacolo?

ISADORA PEI: D.A.K.I.N.I. è una performance multidisciplinare e transdisciplinare che indaga e mette in dialogo i temi dell’Intelligenza Artificiale e delle nuove tecnologie con le teorie femministe contemporanee. Donna Haraway nel Manifesto Cyborg dice che nel  le donne devono confrontarsi con la questione del loro coinvolgimento con la tecnologia, e affrontarne la complessità; abbiamo colto la sfida e ci siamo messe a studiare e a interrogarci su come l’IA possa servire alla vita e alla teoria femminista e su come le donne se ne possano appropriare.

Con D.A.K.I.N.I. abbiamo creato un progetto artistico sociale in rete, convinte di dover mettere in relazione esperienze, desideri, arte, creatività e conoscenze al servizio del reale, nel cuore dei cambiamenti planetari. Il processo creativo ha dato vita a D.A.K.I.N.I., project che abbiamo avuto modo di sviluppare durante tre residenze presso il Nordisk Teaterlaboratorium – Odin Teatret di Holstebro (DK) e una residenza a Verbania come progetto selezionato da Cross Residence/Cross Award 2018. Il progetto ci ha permesso di sviluppare diversi laboratori artistici nelle scuole danesi e italiane, una serie di videointerviste che abbiamo raccolto sul nostro canale Vimeo, un laboratorio con gli studenti del Prof. Alessandro Pontremoli dell’Università degli Studi di Torino e diversi momenti di dibattito e interventi artistici in biblioteche, musei, spazi culturali, licei e associazioni in Italia e all’estero. Molto preziosi sono stati gli incontri con le/i consulenti scientifici progettuali, tra i quali l’Ing. Giulia Baccarin di MIPU, Predictive Analytics Hub e la Prof.ssa Francesca A. Lisi dell’Università di Bari e membro di AIxIA, Agenzia Italiana per l’Intelligenza Artificiale.

Si tratta di una coproduzione con l’Odin Teatret, maturata durante una residenza di tre mesi: quale ricordo conserverete di questa esperienza e quale traccia della poetica dell’Odin resta nel vostro lavoro?

ISADORA PEI: I mesi di residenza all’Odin hanno nutrito il processo creativo in modo profondo e decisivo: la sala, i ritmi e l’energia dello storico luogo che ci ha accolte hanno attivato e stimolato la nostra ricerca, ci siamo messe a confronto con pratiche altre, forti e consolidate. Abbiamo avuto la possibilità di mostrare il nostro lavoro durante le prove aperte e ricevere feedback da Eugenio Barba, dalle attrici e attori dell’Odin Teatret e dagli altri artisti in residenza nel centro.Durante le residenze danesi si sono alternati momenti di isolamento creativo che ci hanno permesso di acuire i nostri intenti e momenti di apertura e confronto grazie alle prove aperte e agli interventi artistici in cui abbiamo presentato alcune scene della performance in musei del territorio, spazi creativi e poli di aggregazione culturale. L’amore per i dettagli, l’imparare ad imparare, una potente comunicazione che oserei dire sotterranea e antica e i baratti comunitari sono i semi che questi grandi maestri hanno instillato nelle nostre D.A.K.I.N.I.

Il teatro sembra mostrare interesse verso il tema dell’intelligenza artificiale, come dimostra, tra gli altri, Uncanny Valley dei Rimini Protokoll. Qual è il tuo modo di relazionarti alla questione?

ISADORA PEI: Lo sviluppo di robotica e intelligenza artificiale sta trasformando il mondo. Nuove sfide si stagliano nella società della dis-informazione di massa e del populismo dei dati. Il confine tra digitale e fisico diventa sempre più impalpabile, le identità online stanno per superare quelle fisiche e il mondo cibernetico rappresenta ormai il sesto continente, quello invisibile. Nel dark net, col bitcoin, si può comprare di tutto: organi umani, sesso, droga, armi. Gli studi sull’intelligenza artificiale sono in pieno sviluppo e gli esperti parlano di vantaggi strategici e allo stesso tempo intravedono una minaccia per la razza umana. Elon Musk, il fondatore della Tesla, pensa che la chiave sia la trasparenza e la decentralizzazione del’IA. Molti sono preoccupati delle applicazioni militari, altri hanno paura che i computer possano portarci via tutti i posti di lavoro. Ci sono macchine progettate per riprodurre le reti neurali umane che collegate fra loro formano reti neurali artificiali più grandi. Nei convegni internazionali si discute delle conseguenze sociali ed economiche dell’IA nelle aree tematiche di disuguaglianza sociale, etica, occupazione e sanità. Spesso torna l’idea delle macchine che si ribellano ai loro creatori, dal “Frankenstein” di Mary Shelley alla “Superintelligence” di Nick Bostrom, filosofo dell’università di Oxford, che parla dei pericoli legati all’ IA avanzata. Noi ci proponiamo di cercarne nuove visioni e figurazioni che portino a trasformazioni e controvalori positivi. Citando Rosi Braidotti: Cosa conta per umano in questo mondo post-umano? Quale visione del sé diventa operativa nel mondo dell’informatica del dominio? Come ripensare l’unità del soggetto umano, senza fare riferimento ai credo umanistici, senza opposizioni dualistiche, collegando invece mente e corpo in un nuovo flusso di sé?

Ad ogni replica il pubblico, prima di entrare in sala, incontra uno stand con creazioni artigianali realizzate da due componenti del collettivo: anelli in plexiglass, t-shirt con serigrafie a tema e locandine in vendita per supportarvi anche economicamente. La condizione di compagnia indipendente è uno stimolo a inventare soluzioni creative?

SARA GIORLA: Oltre alla realtà della compagnia indipendente quello che ci spinge muoverci a 360 gradi è l’eterogeneità del collettivo. Chiara De Marchis, che ha realizzato la nostra locandina e le t-shirt, è una graphic designer. Il mio ruolo nel collettivo è principalmente organizzativo, ma il mio background è artistico e mi sono divertita a creare gli anelli di AjaRiot. Fortunatamente il progetto ha avuto fin dall’inizio un supporto, anche economico, da parte di diverse istituzioni. In primis NTL – Odin Teatret che ci ha co-prodotto, Cross Award 2018 e Compagnia di San Paolo che ci sostiene con il Bando ORA! Produzioni di Cultura Contemporanea. Produrre una performance come questa non è semplice, c’è un lungo lavoro di ricerca alle spalle e per chi si occupa dell’aspetto economico significa gestire un periodo in cui non si può contare sugli incassi degli spettacoli e altre attività. Tuttavia la filosofia con cui è nato il collettivo non è quella di iperproduttività che il finanziamento pubblico impone. L’indipendenza è per me anche apertura all’inatteso e confido che continueremo a crescere in modi che ora non sappiamo immaginare.