Nel decreto sul riordino degli ammortizzatori sociali arrivato ieri 28 agosto 2023 sul tavolo del Consiglio dei Ministri, c’è anche un provvedimento relativo al welfare per i lavoratori dello spettacolo dal vivo.
Ci sono novità in arrivo per i lavoratori dello spettacolo nei provvedimenti approdati al consiglio dei ministri di ieri, 28 agosto, a Palazzo Chigi. Il governo ha dato il via libera a un provvedimento sull’indennità di discontinuità, che sia riconosciuta per un numero di giornate pari a un terzo di quelle accreditate al Fondo pensione della categoria e pari al 60 per cento della retribuzione giornaliera media.
Lo prevede la bozza del decreto legislativo sul riordino e la revisione degli ammortizzatori e delle indennità, uno dei provvedimenti al vaglio del consiglio dei ministri. Il provvedimento potrebbe interessare una platea di beneficiari di circa 20.600 lavoratori.
L’indennità sarà riconosciuta ai lavoratori autonomi, ivi compresi quelli con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, e ai lavoratori subordinati a tempo determinato, nonché ai lavoratori intermittenti a tempo indeterminato, del settore dello spettacolo, che non siano titolari della indennità di disponibilità. L’indennità sarà corrisposta ai cittadini Ue residenti in Italia da almeno un anno con un reddito Irpef nell’anno precedente non superiore a 25mila euro e che abbiano maturato in tale periodo, almeno sessanta giornate di contribuzione accreditata al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo.
La misura al vaglio dell’esecutivo ha l’obiettivo – si legge nella bozza del provvedimento, consultata dalla redazione di Theatron 2.0 – di «sostenere economicamente i lavoratori del settore dello spettacolo, tenuto conto della specificità delle prestazioni di lavoro nel predetto settore e del loro carattere strutturalmente discontinuo».
L’indennità di discontinuità verrebbe riconosciuta a partire dal 1° gennaio 2024. La somma verrebbe corrisposta «in un’unica soluzione» e non è cumulabile, nell’anno di competenza, con le altre indennità di maternità, malattia, infortunio e disoccupazione involontaria.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Il Ministero della Cultura, sotto la direzione del Segretariato Generale del MiC guidata da Salvatore Nastasi, avrà il compito di attuare, gestire e monitorare tutte le attività del PNRR Cultura, un programma di investimenti del valore complessivo di 4,28 miliardi di euro, suddiviso in nove macro interventi.
Nella ripartizione delle risorse del PNRR si nota come la maggior parte degli investimenti siano rivolti a interventi di natura edilizia e attività collegate. Difatti, se si considerano le attività di rimozione delle barriere architettoniche, l’efficientamento energetico, l’intervento sui borghi, l’architettura rurale, i giardini storici, il FEC e il Recovery Art, le risorse impegnate sono il 78% del totale (3,3 miliardi di euro su 4,28 miliardi di euro). Se per la digitalizzazione del patrimonio è stato destinato il 12% dei fondi, affidati alla Digital Library, rimane invece davvero poco spazio per gli investimenti nell’arte pubblica, nell’acquisizione di nuove opere, nella committenza pubblica e nello sviluppo delle collezioni dei musei. Vi è una netta sproporzione tra le risorse gestite dal Segretariato Generale, il 64% circa del totale, e le altre direzioni del MiC. Addirittura alla Direzione generale creatività contemporanea è stato assegnato un esiguo 4% delle risorse Pnrr Cultura, quindi il sostegno alla creatività contemporanea, in tutte le sue articolazioni dall’arte all’architettura, dallo spettacolo dal vivo al design e alla moda, rimane solo una promessa. Dal piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale, all’efficientamento di cinema, teatri e al progetto Borghi, il PNRR Cultura ora muove i suoi primi passi concreti, e avrà, si, spera, i primi effetti sui cittadini con la messa in sicurezza del nostro sistema culturale.
Per il programma – 1.1 Piattaforme e strategie digitali per l’accesso al patrimonio culturale sarà responsabile la Digital Library, per i programmi 1.2 Rimozione delle barriere fisiche e cognitive in musei, biblioteche e archivi, e 1.3 Efficienza energetica in cinema, teatri e musei, sarà responsabile la Direzione Generale Musei, in coabitazione con la Direzione Generale Spettacolo dal Vivo, per quanto riguarda l’efficientamento di cinema e teatri. Il Servizio V del Segretariato Generale gestirà i programmi 2.1 Attrattività dei borghi, 2.2, Tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale, 2.3 Valorizzazione l’identità dei parchi e giardini storici, 2.4 La Sicurezza sismica dei luoghi di culto, il restauro del patrimonio culturale FEC e il Recovey Art, quest’ultimo programma sarà attuato con il Ministero degli Interni per la parte del FEC e con la Soprintendenza speciale di Roma per le chiese della Capitale. La Direzione Generale per il Cinema gestirà il programma 3.2 Lo sviluppo dell’industria cinematografica che riguarderà Cinecittà, Istituto Luce e la Fondazione Centro sperimentale di cinematografia, e la Direzione Generale Creatività Contemporanea si occuperà del programma di investimenti 3.3 Capacity building per gli operatori culturali per la transizione digitale e verde. La riforma di adozione dei criteri ambientali minimi negli avvisi e negli eventi culturali pubblici sarà in capo al Ministero della Transizione Ecologica
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Nella sua decennale vita, il Nuovo Cinema Palazzo ha rappresentato e continua a rappresentare per il quartiere San Lorenzo e per la città di Roma, un hub culturale, una fucina di idee, un laboratorio esperienziale e il fulcro di un processo partecipativo capace di abbracciare età anagrafiche diverse.
La storia di questo spazio è divenuta, nel tempo, la storia di una resistenza culturale. Resistenza, perché il fiorire del Nuovo Cinema Palazzo e il suo affermarsi come considerevole punto di riferimento cittadino, ha dovuto subire — e sventare con il sostegno del tessuto sociale romano tutto —, numerosi attacchi.
Per ripercorrere questa esperienza e per dar voce a coloro che animano le mura del civico 9 a di Piazza dei Sanniti, abbiamo chiesto al collettivo del Nuovo Cinema Palazzo di condensare in un Editoriale quanto ancora necessita di essere ribadito circa il ruolo ricoperto da questo avamposto culturale.
Il 25 novembre 2020, mentre a Roma, nel quartiere di San Lorenzo, decine di blindati dei reparti della Celere sgomberavano il Nuovo Cinema Palazzo come se si trattasse di un covo di pericolosi criminali, in Italia migliaia di persone morivano per gli effetti della pandemia di Coronavirus, molte di più avevano perso il lavoro, altrettante erano in attesa della cassa integrazione, chissà quante erano rassegnate a non poter avere nulla perché lavoravano in nero, le scuole erano chiuse, gli uffici erano chiusi, gli ospedali quasi al collasso.
Il piano su cui giaceva il già torbido sistema economico italiano vacillava da mesi, e la cosiddetta “seconda ondata” dimostrava che la pausa estiva che il virus ci aveva concesso non era stata usata per riorganizzare o migliorare i settori più in crisi, ma semplicemente per posporre il problema. Se in primavera ne dovevamo uscire tutti “distanti ma uniti”, con una sorta di slancio collettivo (che ha dato anche molti esempi positivi), in autunno era già chiaro che non c’era più molto spazio per l’ottimismo.
Dunque, mentre il Paese soffriva la chiusura degli esercizi commerciali, gli stipendi dimezzati, il collasso delle reti sociali con gli adolescenti chiusi nelle loro stanze tutto il giorno e i genitori in grave difficoltà, il futuro segnato da una nefasta incertezza e chissà quante persone affrante per la perdita dei propri cari, a Roma gli illuminati dirigenti dell’Ordine Pubblico cittadino, nella loro infinita saggezza, hanno pensato bene che l’unica priorità in quel momento fosse distruggere un luogo di cultura e sgomberare il Nuovo Cinema Palazzo.
Entrava in scena l’ottusità, la grettezza dei governanti romani, che in dieci anni non avevano saputo né valorizzare e né tanto meno capire la spinta vitale che alimentava un luogo come quello. Sembrava quasi che nessuno si fosse domandato per quale motivo nel 2011 un gruppo di cittadini avesse deciso di impedire che, in barba a tutte le norme vigenti, si aprisse un casinò in un quartiere già segnato da molti problemi.
Che si ignorasse deliberatamente che un cinema-teatro a ridosso del centro costituisse una ricchezza per tutti, una fucina di idee e di cultura in grado di attirare artisti internazionali, di ospitare rassegne di ogni tipo, dibattiti, assemblee, mostre e concerti. Inoltre, e su questo non si può che essere diretti, sembra che ai tutori della legalità non interessasse affatto che nella realtà quotidiana, quella vissuta dalle persone al di fuori degli scandali proclamati a mezzo stampa, il Cinema Palazzo costituisse un argine all’imbarbarimento dettato dalle logiche di mercato, della criminalità e della gentrificazione.
No, tutto ciò non è interessato. Poco importa se gli stessi tribunali dello Stato si erano pronunciati contro le autorizzazioni che avevano concesso, tutt’ora non si sa come, a una ditta di iniziare i lavori per aprire una sala bingo dove, secondo il piano catastale, tale attività non avrebbe mai dovuto aprire. Non è stato giudicato rilevante che le sale slot, come dichiarato dalla Commissione Antimafia:
“nei periodi di crisi economica si denota ancor più tale fenomeno degenerativo (gioco d’azzardo ndr) in quanto, nella impossibilità di un aumento della tassazione, si accentua il ricorso ad incentivazioni della malattia del gioco, un meccanismo che, quanto più cresce, tanto più è destinato a favorire forme occulte di prelievo dalle tasche dei cittadini, mascherando tale prelievo con l’ammiccante definizione di gioco, divertimento e intrattenimento”.
Oltre a essere da sempre un valido strumento di riciclaggio del denaro sporco e di usura per ogni tipo di organizzazione criminale. Eppure, lo sanno anche i bambini che nella “Sala Palazzo”, come la chiamano gli abitanti di San Lorenzo, dieci anni fa stava per compiersi un atto di “genocidio sociale”.
Volevano farci ammalare, inquinarci di ludopatia, e lasciarci marcire. Volevano costruire un orrendo Moloch a due passi dal più grande ateneo d’Europa, a meno di cinquanta metri da una scuola elementare. Ma questo processo criminoso nel 2011 era stato arrestato dalla ferrea volontà di uomini e donne che, armati della loro etica, vi si erano opposti. Il quartiere di San Lorenzo si era rifiutato di divenire una Cartagine dopo il passaggio dei romani, non aveva voluto soccombere ma invece aveva dato vita così ad una delle più straordinarie realtà socioculturali dei nostri tempi.
Non è necessario soffermarsi a ripetere i nomi degli artisti né tanto meno elencare l’altissimo numero di iniziative che in dieci anni hanno preso vita in quel teatro, per questo gli attivisti hanno prodotto undossierche si sforza di restituire l’impronta del Nuovo Cinema Palazzo sulla realtà storica e circostante. Fin dalla sua nascita il NCP è stato plasmato per dare voce a tutte le discipline della produzione del cosiddetto “immateriale” e tale si presentava, seppur con tutte le difficoltà della contingenza, il 25 novembre 2020.
Ora, tutti si chiedono, di chi sono le responsabilità? Chi ha dato l’autorizzazione a quest’atto scelerato? Come si può attaccare chi durante la pandemia organizza pacchi per le famiglie più in difficoltà, chi organizza spettacoli per bambini, chi resta aperto per accogliere lo sport popolare e gli anziani del quartiere? Il sindaco di Roma, dopo aver esultato per il trionfo della legalità al mattino, essersi resa conto dell’errore alla sera e aver scaricato tutte le responsabilità sulle forze dell’ordine, ha poi riconosciuto che si poteva evitare.
Quest’ultime si sono presentate con un’imponente quanto insolito dispiegamento di mezzi (circa quaranta camionette e chissà quante centinaia di agenti allertati) che ha messo un tragico punto su ogni possibilità dialettica. La cosiddetta “società civile” ha risposto nei fatti, accorrendo in massa e riempiendo per ore le strade del quartiere gridando con decisione “giù le mani dal Cinema Palazzo”.
Ma le istituzioni culturali e politiche perché hanno taciuto per tutti questi anni? È mai possibile, che l’idea che la cultura sia sempre relegata a materia da museo, o al massimo da evento mondano esclusivo, sia spesso alla base del dibattito pubblico sul tema?
Sembra ormai scontato che cultura e arte “non possano farcela da sole” e quindi necessitino dei finanziamenti dello Stato e delle fondazioni private come un corpo necessita d’aria. Tale ragionamento sottende due importanti, quanto drammatiche, implicazioni: la prima è che siccome si tratta (secondo questa logica) di un investimento infruttuoso, non si può destinare a questo settore se non una parte marginale del bilancio di spesa delle Istituzioni.
E qui, spesso, vince la retorica, che in Italia funziona sempre, della scala di valori: gli ospedali vanno ristrutturati, le scuole sono in sottorganico, le infrastrutture devono essere ammodernate…come si può pensare a un teatro in un contesto generale così difficile? Tale obiezione è, per lo meno, tendenziosa, in quanto la situazione difficile di molti dei settori dello stato non dipende sicuramente dai pochi fondi residuali destinati al Mibact, né dal finanziamento straordinario per puntellare le case romane che rischiano di crollare a Pompei.
La decadenza è lenta e spesso subdola, non te ne accorgi fin quando non esplode un’emergenza che ti porta ad aver bisogno di quello stesso servizio che per anni il tuo Paese ha de-finanziato nel silenzio generale. A quel punto si prova a rimediare, spesso goffamente, e si finisce per agire sempre nello stesso modo, vale a dire spostando risorse da un settore all’altro in una sorta di gioco delle tre carte che finisce per impoverire tutto e acuire i problemi di ogni singolo settore. La seconda implicazione riguarda il merito di quanto viene prodotto.
Lo stato comatoso implica la dipendenza dai farmaci e dai macchinari, il pericolo che il corpo sia dato per spacciato e che qualcuno stacchi la spina è sempre dietro l’angolo. Ed è proprio così che muoiono festival storici, che si depauperano rassegne internazionali, che si orienta la produzione artistica secondo le preferenze di un personaggio piuttosto che di un altro. Allo stesso modo, come piccoli fuochi fatui, lo stesso meccanismo, ma all’inverso, fa sì che si creino fotocopie di scarsa qualità solo perché tale sindaco voleva la sua dose di prestigio o perché il ministro aveva bisogno di dimostrare che l’Italia è un Paese che ancora conta nel contesto culturale internazionale.
Si perde il valore in sé della cosa a discapito del valore attribuito dalla convenienza, dall’idea politica, dalla risonanza mediatica e da tutta una serie di fattori esterni che impoveriscono fino alla miseria l’intero segmento. I tagli strutturali al Fus degli ultimi anni sono solo la punta dell’iceberg in questo discorso che avrebbe bisogno di molto più spazio per essere sviluppato ma che a noi interessa contestualizzare in termini di fruizione e produzione culturale.
Iniziamo con una domanda: se la cultura è una terra arida, poco attrattiva, vecchia e infruttuosa, com’è possibile che esperienze come il Cinema Palazzo siano in grado di raccogliere migliaia di persone? Forse, i profeti del pragmatismo assoluto, quelli che professano che le nostre società non sentono più il bisogno di uscire di casa per assistere a uno spettacolo teatrale, ballare a un concerto o prendere parola a un seminario non hanno chiaro il contesto. Potrebbe anche darsi – manteniamo il beneficio del dubbio, s’intende – che forse l’offerta culturale non sia adeguata.
D’altronde, l’idea che gli eventi culturali siano generalmente noiosi perché condotti secondo una logica scolastica o ministeriale potrebbe avere una parte di colpa. Allo stesso modo, la necessità di agire al ribasso per la mancanza di fondi e di adeguarsi a una sorta di estetica del bisogno (legata a chi tali fondi li eroga), che fa oscillare il prodotto finale tra la cosiddetta “cultura istituzionalizzata” e la ripetizione di modelli che hanno funzionato in passato, non può non influire sulla scarsa risonanza di tali eventi. O ancora, il fatto che intorno alla cultura, se non per rare eccezioni che pure esistono, non si riesca a creare socialità né temporaneamente né in modo duraturo, potrebbe essere un altro aspetto da considerare.
Da ultimo, il circolo vizioso che ha portato i biglietti degli eventi culturali a costare cifre proibitive forse avrebbe bisogno di una revisione che lo riporti a livelli accettabili, togliendo all’uscita culturale quell’aurea da evento isolato da permettersi una volta al mese quando possibile. Noi sappiamo che tutte queste ipotesi sono in realtà postulati nel contesto italiano e romano, le abbiamo confutate direttamente in nove anni di attività culturale continuativa e le abbiamo condivise con chi si occupava di arte e spettacolo da prima di noi e continua a farlo oggi, nonostante le difficoltà e i tempi grami.
Siamo coscienti del fatto che se l’individuo è reso parte integrante di qualcosa che in cambio gli chiede solo di essere sé stesso e di portare la propria storia, i processi diventano giocoforza partecipativi. Da ciò si genera socialità, condivisione, azione collettiva, che non rima con un detrimento della qualità ma istituisce dinamiche differenti. Ospitare residenze teatrali non in cambio di un pagamento ma di un processo condiviso di restituzione alla collettività, è un esempio lampante di questa pratica.
Per questo rivendichiamo l’esperienza e la pratica del Nuovo Cinema Palazzo e invece di piangere sul corpo di un amore morto leviamo alto il grido che ci ha spinto a continuare per dieci anni e ci spinge tutt’oggi: “la cultura e l’arte sono uno strumento attivo di cambiamento sociale”.
Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
È stata diffusa la bozza del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, noto giornalisticamente anche come Recovery Plan, ovvero il piano d’investimento dei 196 miliardi di euro che l’Italia otterrà dai fondi Next Generation EU (il cosiddetto “Recovery Fund”). Il piano su cui è al lavoro il governo è diviso in sei sezioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (48,7 miliardi), rivoluzione verde e transizione ecologica (74,3), infrastrutture e mobilità sostenibile (27,7), istruzione e ricerca (19,2), parità di genere, coesione sociale e territoriale (17,1) e sanità (9).
La cultura, inserita sotto la voce digitalizzazione, è il settore meno finanziato in assoluto: si dovrà accontentare di 3,1 miliardi, vale a dire l’1,6% del totale. Non solo: dovrà fare i conti con il turismo inserito sotto lo stesso tetto.
Nella bozza riguardo cultura e turismo si premette che la pandemia ha colpito “duramente” entrambi i settori. Si fa riferimento alle rilevazioni del World Tourism Organization delle Nazioni Unite da cui si evince che gli arrivi turistici internazionali in Europa si sono ridotti del 58% fra gennaio e marzo del 2020. In Italia, secondo stime dell’Istat, il primo lockdown ha causato la perdita di circa un quinto delle presenze turistiche previste per l’intero 2020 nel trimestre marzo-maggio. Pertanto la bozza “conferma prioritario per l’Italia assicurare nel breve termine la tenuta dell’indice di domanda culturale per incrementarlo nel medio termine (prima dello scoppio della pandemia la spesa delle sole famiglie italiane per ricreazione e cultura si attestava al 6,7%, contro una media europea dell’8,7%), rilanciando al contempo la fruizione – anche digitale – dei luoghi del turismo e della cultura”.
Saranno due gli ambiti d’intervento del settore “cultura e turismo”: in ordine di come vengono presentati nella bozza, il primo è il Potenziamento della formazione e dell’offerta turistica, il secondo è la Valorizzazione e tutela del patrimonio culturale. Tra gli interventi previsti, come già detto su precisa indicazione del ministro Franceschini, il programma “Cultural Heritage for Next Generation” che vuole avviare “una profonda digitalizzazione del patrimonio culturale (con l’uso di tecnologie digitali avanzate si procederà al completamento di archivi e cataloghi informatizzati), per promuovere un accesso diffuso e inclusivo ad una vasta platea di soggetti: cittadini, studenti, ricercatori, industrie culturali e creative”.
Si promettono interventi di recupero di luoghi dall’alto valore paesaggistico e culturale specificando “anche nelle aree interne del Paese, spesso trascurati o poco noti perché fuori dai circuiti turistici tradizionali”. Confermati, e questo potrebbe interessare da vicino l’Umbria, interventi “sui piccoli Borghi storici e rurali, con azioni specifiche e mirate sul patrimonio storico-culturale e religioso (abbazie, chiese rurali e santuari). In questo modo si andrà incontro anche alle esigenze della corposa comunità italiana residente all’estero, per favorire ed alimentare il forte legame con il nostro Paese e con i suoi piccoli borghi, destinazione naturale della loro domanda turistica e culturale, favorendo un ’turismo delle origini’”.
Il riparto
10,1 miliardi a digitalizzazione, innovazione sicurezza nella PA
35,5 a innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione
3,1 a cultura e turismo;
6,3 miliardi per la rivoluzione verde ed economia circolare
18,5 a transizione energetica e mobilità locale sostenibile
40,1 a efficienza energetica e riqualificazione degli edifici
9,4 a tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica
23, 6 miliardi per le infrastrutture ovvero alta velocità e manutenzione stradale
4,1 per l’intermodalità e la logistica integrata;
10,1 nel comparto istruzione e ricerca per il potenziamento della didattica e al diritto allo studio
9,1 alla voce “dalla ricerca all’impresa”;
4,2 per la parità di genere e la coesione sociale
3,2 per giovani e politiche del lavoro
5,9 per la vulnerabilità, l’inclusione sociale, lo sport e il terzo settore
3,8 per gli interventi speciali di coesione territoriale
4,8 miliardi vanno ad assistenza di prossimità e telemedicina
4,2 a innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria.
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Secondo un nuovo studio pubblicato sulBritish Journal of Psychiatry, un “impegno culturale” assiduo potrebbe contribuire a diminuire il rischio di insorgenza di disturbi mentali in età avanzata.
Basandosi sui dati ottenuti da più di 2000 adulti con più di 50 anni partecipanti all’English Longitudinal Study of Ageing (ELSA), i ricercatori hanno scoperto che i soggetti che avevano partecipato a mostre, visto film o spettacoli teatrali almeno una volta al mese o più avevano il 48% di possibilità in meno di sviluppare disturbi depressivi. Lo studio ELSA contiene dati sulla salute e il benessere sociale e mentale degli anziani in Inghilterra su un periodo di dieci anni. Include informazioni sulla frequenza con cui si recano all’opera, al cinema, a mostre, musei e rivela quali partecipanti hanno una diagnosi di depressione. Anche dopo che i risultati erano stati adeguati per considerare altri fattori che potrebbero influire sulla propensione dell’individuo alla depressione (come età, sesso, salute ed esercizio fisico), i ricercatori hanno scoperto che le attività culturali continuavano a costituire un vantaggio rilevante per il mantenimento del benessere mentale di un individuo.
“In generale, le persone conoscono i benefici del mangiare frutta e verdura ogni giorno e del fare esercizio fisico e mentale, ma ancora in pochi sanno che le attività culturali presentano benefici simili”, ha affermato Daisy Fancourt della UCL. Fancourt ha spiegato che i benefici derivanti dalle attività culturali sono legati agli stimoli mentali, all’interazione sociale e alla creatività che queste incoraggiano.
Per vedere i primi risultati non occorre aspettare anni: gli effetti sono tangibili già dopo una singola esperienza di poche ore, come dimostra l’esperimento condotto in Italia su 100 volontari (tra i 19 e gli 81 anni) portati con tanto di imbragature fino a 63 metri di altezza per visitare gli affreschi della cupola ellittica più grande del mondo, quella del santuario di Vicoforte nel cuneese. «L’esposizione alla bellezza ha determinato effetti benefici immediati, che abbiamo potuto misurare in modo rigoroso», spiega il coordinatore dello studio Enzo Grossi, direttore scientifico della Fondazione villa Santa Maria, da anni impegnato nello studio del rapporto fra arte e salute. «La visita alla cupola ha fatto aumentare il benessere percepito dai partecipanti, riducendo del 60% la concentrazione di cortisolo, l’ormone dello stress misurato nella saliva. Un risultato molto significativo, se pensiamo che elevati livelli di cortisolo protratti nel tempo danneggiano il cervello, aprendo la strada a depressione e Alzheimer».
Ci sono volute le più sofisticate tecniche di neuroimaging per svelare il meccanismo con cui il “farmaco” cultura agisce sul nostro cervello. «Si accendono specifici neuroni della corteccia orbitofrontale», precisa il dottor Grossi. «Una volta attivato, questo centro cerebrale della bellezza produce molecole segnale come le endorfine, che danno felicità, la dopamina, che provoca piacere, e l’ossitocina, l’ormone dell’amore. Questi neurotrasmettitori vanno ad agire sui centri più ancestrali del nostro cervello, quelli che regolano funzioni vitali come il respiro e il battito cardiaco, riducendo lo stress e il rischio cardiovascolare. Inoltre, attraverso la rete linfatica che collega l’encefalo al sistema immunitario, la cultura arriva anche a rinforzare le difese contro le minacce esterne, come virus e batteri, ma anche quelle interne, come i tumori e le malattie degenerative».
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