#AnticipAzione: Quel noioso giorno d’estate o del tedio a morte del vivere in Provincia

#AnticipAzione: Quel noioso giorno d’estate o del tedio a morte del vivere in Provincia

La panchina di un parco, tre ragazzi alle periferie dell’esistenza, la noia della provincia. Una pistola nelle mani sbagliate, un bersaglio casuale e un colpo fatale. Poi il buio e il silenzio. Odore di sangue e di ergastolo, al tramonto di un noioso giorno d’estate.

In vista delle rappresentazioni sceniche del 13 e del 14 marzo ore 21 presso il Teatro Marconi di Roma ad opera della Compagnia Habitas entriamo anticipatamente nella dimensione drammatica di Quel noioso giorno d’estate, testo scritto dall’autore e regista teatrale Niccolò Matcovich con cui abbiamo riflettuto intorno alla genesi drammaturgica dell’opera e alle cause socio-culturali che hanno guidato le azioni dei tre giovani ragazzi protagonisti, realmente esistiti e trasfigurati in dramatis personae attraverso la mediazione intimistica dello stesso drammaturgo che dal principio finale scava a ritroso nella storia personale dei ragazzi coinvolti in questo brutale affare di cronaca. Una commedia nera che trova l’accezione più violenta nella dimensione puerile e ludica della rappresentazione quotidiana di una gioventù alienata, vittima e al contempo boia di sé stessa, costretta a sottostare a quel cinico gioco di sopraffazione fisica e mentale che oscilla fra la noia e il dolore.

“Il primo dato fondamentale è che Quel noioso giorno d’estate nasce da un fatto di cronaca nera reale. Negli Stati Uniti tre ragazzi minorenni hanno compiuto un delitto così come si racconta nel testo. Alle domande delle polizia sul perché avessero commesso quel gesto hanno risposto per noia, per gioco, per divertimento come è scritto nel prologo. Questa storia mi ha sconvolto, e assecondando l’istinto, la mattina di piena estate in cui lessi quell’articolo iniziai a scrivere subito il testo perché avevo bisogno di capire come fosse possibile che tre ragazzi minorenni dessero quelle motivazione per un fatto così grave. Motivazioni che trovavo grottesche, surreali. L’operazione che ho voluto compiere è stata di mettermi io nella testa di questi tre, anziché giudicarli nella riproduzione di un processo o di un circolo mediatico esterno; ho provato a stare in questi tre corpi e da lì sono scaturite tutte le dinamiche e i motivi che portano a un gesto violento, qualsiasi esso sia. Giocando a tessere le vite di questi personaggi sono nati problemi di estrazione culturale provenienti dalle famiglie di base. Si evince da subito che sono tre ragazzi abbandonati a sé stessi di cui uno è adottato senza sapere chi siano i suoi genitori; gli altri due fratelli, che hanno perso il padre vittima di un omicidio, anche loro nascono da un dolore al quale si aggiunge una madre depressa, sotto psicofarmaci. Questi ragazzi, che dai fatti di cronaca sono statunitensi, ho voluto riportarli in una periferia italiana per renderli più vicini a noi, da ciò viene fuori questa storia di provincia. Ma non perché queste cose accadono in provincia e non nelle grandi città, ma di provincia in senso profondo. Queste sono tre anime provinciali messe al confine col mondo, anime periferiche. Da qui il tema di questo razzismo fintamente giocoso più o meno latente in ciascuno di noi.”

Continua Niccolò Matcovich: ” La chiave è stata di cercare nel torbido però con una forma ludica, perché questi personaggi sono ragazzi minorenni che intrattengono relazioni molto da adolescenti e quindi il gioco è una componente importante nelle citazioni cinematografiche o dei videogiochi. Ho cercato di creare un sottobosco che non fosse di giudizio nei confronti di questi tre ma di osservazione e di comprensione. Tanto che quando abbiamo fatto lo spettacolo, uno degli scopi che volevano raggiungere e che abbiamo raggiunto era quello di creare un’empatia fra questi tre e il pubblico. Il pubblico non deve permettersi di giudicarli così come non ci permettiamo noi di giudicarli. Se nel finale tutto quanto crolla per questo atto così tragico allora lì arriva più che il giudizio, il patto: è come se il pubblico ricevesse quel colpo di pistola. Non siamo più nell’ambito del giudicante ma nell’ambito dell’impatto emotivo che secondo me è più interessante ricreare teatralmente.”

con
Federico Antonello
Francesco Aricò
Riccardo Pieretti

testo e regia
Niccolò Matcovich

scenografia
Davide Bakunin Germano
assistente scenografia
Federica Foschia

ufficio stampa
Marta Scandorza
grafica
Eleonora Danese

INFO E PRENOTAZIONI

habitas51@gmail.com
tradizione.info@gmail.com

“Colorin colorado” – Edizione straordinaria Castellinaria Festival 2020

“Colorin colorado” – Edizione straordinaria Castellinaria Festival 2020

Castellinaria

Questa edizione deve essere unica e irripetibile, fuori dall’ordinario, e rimanere tale nel bene e male. Un’unica serata, l’8 agosto, in cui abbiamo provato a condensare tutte le nostre visioni, le nostre paure, le nostre speranze. Un luogo in cui far vivere i fantasmi di questi mesi per trasfigurarli: a cosa serve il teatro se non ad esorcizzare le nostre più intime paure in un grande rito collettivo? 

Colorin Colorado è un’espressione spagnola che anticipa la fine di un discorso, una frase, una fiaba. Non ha un significato specifico e non è traducibile: rappresenta per noi il passaggio di testimone tra qualcosa che c’è stato e qualcos’altro che deve ancora accadere. Quest’anno CastellinAria c’è, nell’incertezza del momento storico che stiamo vivendo e il desiderio di uno sguardo fiducioso e lungimirante. Non un festival, ma un momento di condivisione artistica, di apertura, di visione. 

La nostra presenza quest’anno vuole essere poetica, politica, comunitaria. 

A questo link, potete trovare l’evento Facebook, con tutte le informazioni dettagliate: 

https://www.facebook.com/events/635257107392485/

h 19:30 | TROPPO TARDI PER HAMELIN Spettacolo teatrale-musicale itinerante con Compagnia Habitas ed Errichetta Underground 

È un viaggio a stazioni, uno spettacolo itinerante che presenta quattro punti di vista di quattro personaggi della fiaba Il pifferaio magico, proprio nel momento in cui i bambini sono stati incantati dal pifferaio e portati via, nella grotta. Ogni racconto è accompagnato da uno strumento, che gli fa eco, lo sostiene, lo amplifica; una riflessione sul presente attraverso la peculiarità della fiaba, della narrazione, dell’oralità. 

h 21:00 ESERCIZI SULL’ABITARE #2 | Alvito RedReading#13 Un giorno bianco di e con Tamara Bartolini e Michele Baronio 

ESERCIZI SULL’ABITARE è un non-luogo a metà strada tra l’esperienza teatrale, la ricerca antropologica, l’installazione artistica, la condivisone di storie, memorie e saperi, in cui il tempo e lo spazio co-abitano in una casa orizzontale, aperta e in perenne cambiamento. Il teatro stesso si fa casa e rende possibile il trasloco dei territori geografici, simbolici e umani. L’evento conclusivo è per questo un rito collettivo, una festa, una condivisione di un luogo in comune. 

Vi ricordiamo che la prenotazione è OBBLIGATORIA e si può effettuare: 

• direttamente dall’evento Facebook, cliccando sull’apposito pulsante 

• chiamando il numero 333 1114940

• mandando una e-mail a info.castellinariapop@gmail.com

La Direzione artistica 

Compagnia Habitas Livia Antonelli Chiara Aquaro Niccolò Matcovich e Anna Ida Cortese 

Out of Love di Elinor Cook: intervista a Niccolò Matcovich

Out of Love di Elinor Cook: intervista a Niccolò Matcovich

Il 14 e 15 dicembre andrà in scena al Teatro Belli di Roma, in prima nazionale, Out of Love testo di Elinor Cook – inedito in Italia – portato sulla scena dalla Compagnia Habitas per la rassegna TREND – Nuove frontiere della scena britannica, giunta alla sua diciottesima edizione. Come ogni anno, la rassegna curata da Rodolfo di Giammarco pone al centro la drammaturgia contemporanea britannica, offrendo al pubblico romano lavori di traduzione e di messinscena a cura di numerosi artisti. Come nel caso di Out of Love, un’opera che verrà proposta per la prima volta in Italia: un testo frammentato con continui salti temporali, che sono riverberi drammaturgici sulla vita e sull’amicizia tra due donne, Grace e Lorna, in un arco di trent’anni, dall’infanzia all’età adulta, senza una linearità cronologica. Una sfida accettata dalla Compagnia Habitas che, seppur giovane, ha già ottenuto molti riconoscimenti sul territorio nazionale. Abbiamo intervistato il regista Niccolò Matcovich per raccontare questa nuova produzione.

Out of Love, di Elinor Cook: come è stato trovato questo testo e come è stato pensato per la scena?

Ci è stato commissionato direttamente da TREND, che me lo ha inviato con la traduzione di Maurizio Pepe, prima dell’estate. Da fine agosto ho iniziato a lavorare con il dramaturg, Rocco Placidi, sullo studio e la comprensione della drammaturgia: Out of love è la storia di un’amicizia, ambientata  in Inghilterra dal 1984 al 2014. L’autrice lo propone in una scomposizione temporale che alterna ogni singola scena con salti anche fino a cinque, dieci, quindici anni. Noi abbiamo individuato tre blocchi principali: l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta di queste due ragazze, ricombinando i quadri in maniera organica ma che, allo stesso tempo, rispettasse la natura del testo. La nostra sequenza vedrà quindi prima l’adolescenza, poi il ritorno all’infanzia e infine il salto all’età adulta. Con una sorpresa finale.

Nel tuo ruolo di regista, come ti sei relazionato al testo?

Le scene sono tutte piuttosto brevi e includono tantissimi personaggi: oltre le due protagoniste – qui interpretate da Livia Antonelli e Dacia D’Acunto –, c’è un terzo attore, previsto dall’autrice, un che interpreta dieci ruoli maschili diversi – per noi, Livio Remuzzi. Per capire tutti i collegamenti temporali, le relazioni familiari, le amicizie, gli amori, i drammi…. abbiamo dovuto scavare a fondo nel testo; a tratti ci sembrava di avere tra le mani un thriller. Una volta fatto questo, ho individuato il mio focus di interesse per la messa in scena e cioè quello di raccontare la relazione tra le protagoniste. Il testo – a livello di linguaggio e non di struttura – è realistico, ma abbiamo deciso di mettere in scena, mantenendo le parole per come sono, quelle che sono le dinamiche che stanno al di sotto del testo stesso. È un’esplorazione piuttosto nuova per noi, che si concretizza nel sostenere la lingua con l’azione fisica che rafforzi la dinamica alla base delle parole.

Come è nata questa esigenza di agire nel sottotesto?

È stata la chiave per andare a rafforzare il linguaggio realistico. Noi non lavoriamo mai sul realismo scenico e ci interessava capire come spezzarlo per esaltare il racconto. Vedremo se il tentativo sarà riuscito…

Suppongo che questa scelta ti abbia condotto a un particolare confronto con gli attori.

Molte delle dinamiche alla base delle scene le abbiamo scoperte in prova, insieme. Siamo andati per gradi: ci siamo prima chiesti cosa fosse una dinamica e poi come declinarla nelle varie scene e nei tre blocchi temporali. Dopo averle rintracciate tutte le abbiamo esplorate nella pratica, attraverso improvvisazioni, suggestioni, riferimenti, stimoli nati dal testo; infine, poco alla volta, le abbiamo confermate e fatte confluire nel vero e proprio montaggio scenico.

E di questa ricerca, cosa si propone al pubblico?

Il pubblico vedrà esattamente le dinamiche che abbiamo trovato, esplorato, sperimentato durante le prove. Nei dialoghi nulla è fuori posto: sono poi le azioni fisiche a contro-bilanciare le scene rompendo il realismo, in profonda sinergia con le parole da cui scaturiscono.

Un misto tra sperimentale e tradizionale.

Abbiamo cercato di esaltare il testo senza assecondarlo pedissequamente, di farlo esplodere con questa modalità.

Tu sei diplomato come drammaturgo alla Paolo Grassi, poi nel tempo hai integrato il lavoro come regista. Come cambia il tuo approccio quando sei autore e regista del tuo spettacolo e quando, invece, sei il regista ma non l’autore, come in questo caso?

Habitas nasce nel 2016 e in questi anni abbiamo lavorato principalmente su miei testi. Una posizione fin troppo comoda, per me, tanto che a un certo punto mi sono stancato di “auto-rappresentarmi” e questa è stata un’occasione d’oro per potermi approcciare a un meccanismo molto più interessante: lo studio, la ricerca, la comprensione, anche il confronto da drammaturgo a drammaturgo. Perché, in primis, il lavoro che ho fatto con Out of Love è stato quello di confrontarmi da autore con un’autrice, Elinor Cook, che è più grande di me, più esperta di me, più brava di me. Subito dopo è scattato il pensiero registico, quindi andare a capire, una volta messa da parte la visione drammaturgica, come interpretare quella drammaturgia. Lo scoglio più grande all’inizio è stato, come ho già detto, scardinare il realismo mantenendo intatto il testo.

Hai anche avuto occasione di avere un confronto diretto con Elinor Cook?

No, ma mi sarebbe piaciuto. Soprattutto nella prima fase di lavoro, in cui avevo molti dubbi che avrei voluto sbrogliare contattandola. Ma ho resistito e, quando abbiamo trovato la nostra strada per la messa in scena, non ne ho più sentito il bisogno. Chissà se vedendolo ne sarebbe contenta?

Articolo a cura di Davide Notarantonio

Dieci Segnali di Fumo da CastellinAria – Festival di Teatro Pop

Dieci Segnali di Fumo da CastellinAria – Festival di Teatro Pop

Questo articolo è stato prodotto durante il laboratorio di Audience Development & Digital Storytelling con gli studenti e le studentesse dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

CastellinAria Festival di Teatro Pop
CastellinAria Festival di Teatro Pop

1. Un d’gl’ dieci mtiv p’fà st’esperienza d’CastellinAria

La possibiltà d’stabilì ‘n contatt tra gl’ommn e la Natur: d’fà l’escursion ‘n cima agl’ mont d’Alvit e Ucalw. Oppur s’puo’ ì ncima agl’ cavagl’ e ‘uardà gl’panoràm. Agl’castiegl s’possn veré n’sacc’ d’biegl’ spettacl p’ s’rfa’ gl’occhie e passà na srata agl’frisc mies agl’artist: asscì, s’mparàn tant cos nov e s’fà c’accos’avt. CastellinAria c’fa fa’ amicizia, c’fa’ sntì la musica e c’fa’ balla’ ‘nsem comm a na tribù.

2. Valorizzazione del territorio

Alvito e il suo Castello, spesso dimenticati, diventano i protagonisti della Valle di Comino grazie allo spettacolo dal vivo. Realtà piccole ma con una grande anima come #Castellinaria: una piccola comunità fatta di grandi persone che lottano per valorizzare il territorio che abitano. 

3. Un Festival giovane

Gioventù e teatro. Elementi semplici in un sistema complesso facilitato dalla determinazione dei giovani volontari e degli artisti ospiti del festival organizzato dalla Compagnia Habitas. Lo zelo e la passione hanno permesso di rendere un’arte con più di 3000 anni di storia più viva e grintosa che mai.

4. Mettersi in gioco senza paura 

Al Castello Cantelmo di Alvito, nell’atmosfera magica creata dagli artisti e dallo staff, la paura di esporsi dopo essersi messi in gioco viene soppiantata dalla libertà di esprimersi, sentendosi parte del festival.

5. Ragione o Sentimento?

Secondo quale prospettiva lo spettatore neofita dovrebbe scegliere di guardare uno spettacolo?
Dopo una settimana d’arte, emozioni e riflessioni si uniscono fino a confondere la visione del pubblico; ma la confusione non è sempre ingannevole, spesso, permette di interrogarsi intorno a questioni che nella quotidianità non sorgerebbero. Così a CastellinAria è stato possibile squarciare il velo di Maya, sperimentando il dolce e feroce inganno di interrogare la vita attraverso mille domande. 

6. Scoprire l’arte

Avvicinarsi all’universo artistico: CastellinAria permette la connessione tra pubblico e spettacolo dal vivo attraverso il coinvolgimento emotivo e la partecipazione attiva. Lo spettatore viene preso per mano e condotto in un’esperienza destinata ad arricchirlo, una catarsi capace di cambiarne in profondità l’animo umano.

7. Sentirsi attori

Assistere allo spettacolo. Applaudire. Riflettere. Sentire. Prendere posto in platea, osservare la scena. Le voci degli artisti. Le luci che colpiscono il viso. Immaginarsi al loro posto. Paura. Emozioni, dalle più vere alle più fittizie, da condividere. Diventare parte dello spettacolo. Sentirsi attori non protagonisti, ma necessari.

8. Conoscere le tradizioni locali

La leggenda, esattamente come il mito, la favola e la fiaba, fa parte del patrimonio culturale di tutti i popoli ed è caratterizzata dalla fusione di magico e reale, marcando l’importanza dell’immaginazione e della fantasia, come mezzo per educare e per superare le paure umane. Fondamentale è la funzione sociale e antropologica svolta dalla tradizione delle leggende e dai miti in una liaison volta a connettere un gruppo, una comunità, un popolo, l’umanità. Come in ogni luogo, anche ad Alvito, esistono tradizioni, usi e costumi secolari che vivono nella memoria popolare di tutti gli abitanti: CastellinAria ha rappresentato un’occasione unica per poter conoscere e vivere intensamente la cultura del territorio, grazie all’arte del teatro. 

 9. Innovazione nella Valle di Comino

La Valle di Comino, luogo d’ispirazione per molti artisti, ha un profondo legame con l’arte e l’innovazione sin dai tempi più antichi. Si potrebbe immaginare il territorio che circonda la città di Alvito come un’immensa “incubatrice” per le idee innovative. CastellinAria, nell’atmosfera della Valle, si pone come punto di riferimento per gli artisti provenienti dal territorio nazionale e internazionale. 

10. Vivere il digitale, raccontando la realtà

La narrazione digitale permette di vivificare i momenti vissuti rendendoli autentici nel ricordo: immaginarsi di nuovo nella platea del Castello di Alvito assaporando l’attesa dell’inizio dello spettacolo, rievocare l’emozione dell’incontro tra artisti e spettatori. Sensazioni catturate da una lente che, attraverso il digitale, racconta un frammento di realtà vissuta.


Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro – CastellinAria

Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro – CastellinAria

Questo articolo è stato prodotto durante il laboratorio di Audience Development & Digital Storytelling con gli studenti e le studentesse dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro
Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro

Trilogia: tre atti di vita, allegoria della peregrinazione volta al conseguimento della presa di coscienza del Sé e dell’altro da Sé. Tre atti di vita: incarnazione dell’amalgama di sacro e profano, divino e mefistofelico.  Cena, Eden e Passione, tre momenti biblici inseriti in un contesto crudele, brutale costantemente atemporale. Un percorso sofferto, tormentato, demoniaco, difficile da percorrere e caratterizzato da inganni, trappole, botole segrete. Un cammino angoscioso verso la vetta. Vetta, che si identifica con l’utopistica felicità che porta all’abolizione di quel senso di insoddisfazione cronica e di quel vuoto incurabile tipico della “Trilogia”, radicati nell’umanità. 

Un’ascesa-discesa metaforica nel Parnaso, dove la salita intensamente agognata si rovescia – tragicamente – nel suo opposto.  Ci si trova dannatamente nella reggia infernale del Pandemonio, nell’ordinaria e dozzinale quotidianità, scoprendo che, ironicamente, si è sempre stati nel Giardino dell’Eden. In quel παράδεισος, un “giardino recinto” che ricalca ancora e ancora l’impossibilità di sottrarsi dall’impasse psichica e dal ristagno emotivo-esistenziale. Non si sale non si scende, ma si gira in tondo, ricalcando un ouroboros maligno e immortale.

Valeria Amata
Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro
Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro

Tre atti in cui il sacro si fonde col profano, tre come la Santa Trinità, tre come il numero della perfezione, solo illusoria. L’idillio si trasforma in incubo, il trittico di generi teatrali – commedia, dramma, tragedia – coinvolge il pubblico in un climax discendente nel quale sensazioni contrastanti dominano la scena. Vicende apparentemente scollegate ma unite da un filo invisibile: la solitudine dell’essere umano e il malessere esistenziale, ferite interne che non possono essere curate, cicatrici dell’animo nascoste dietro convenzioni sociali, maschere e sorrisi falsi.

La più grande bugia che i personaggi possano raccontare è rivolta solo a loro stessi, convincersi di avere una vita perfetta ma vacante se osservata più da vicino, credere di stare in piedi ma rendersi conto che in realtà è solo un equilibrio precario, sapere che prima o poi si cadrà inesorabilmente. Una pièce che scava a fondo nell’umano sentire, provocando un forte senso di empatia tra chi recita e chi osserva, in un rapporto di ebbra simbiosi. 

Simona Rella
Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro - CastellinAria
Trilogia – Tre atti di vita di Evoè Teatro – CastellinAria

“In fondo è come se lo spazio fosse anima, un’anima vasta e i corpi impulsi nervosi che però devono abitare la disciplina per rendere il rapporto comune, comunitario, organico a un organismo superiore”. Questa citazione di Vincent Lounguemare, presente nel foglio di presentazione dello spettacolo, ci permette di capire il problema sociale dei rapporti umani, la continua ricerca della perfezione per non essere mai contraddetti e giudicati dalle persone appartenenti al mondo esterno.

“Trilogia – tre atti di vita”- partendo dalla narrazione degli episodi biblici dell’Ultima cena, dell’Eden e della Passione di Cristo – mette in discussione la routine e la monotonia, imposte dalle condizioni frenetiche e alienanti della società contemporanea, nate dalla disperazione e dalla paura di poter essere sé stessi. Ogni individuo, alla ricerca di un Eden, spazio felice dove poter vivere, subisce i colpi di un’illusione crudele attraversando il malessere della propria esistenza, per cercare di raggiungere infine una insperata pace interiore . 

Leonardo D’Alessandro

Trilogia – Tre atti di vita
Da un’idea drammaturgica di Paolo Grossi

Testo e regia: Paolo Grossi
Con: Emanuele Cerra, Stefano Detassis, Federica Di Cesare
Light designer e tecnico luci: Emanuele Cavazzana;
Scene: Lorenzo Zanghielli;
Costumi: Elena Beccaro;
Produzione: Evoè! Teatro