da Roberto Stagliano | 5 Ott 2018 | Approfondimenti

Come per ogni vicenda umana, c’è un inizio e una fine. Di Attraversamenti Multipli possiamo solo dire che si è conclusa la diciottesima edizione perché i suoi enzimi, i fermenti del Festival continueranno a proliferare nelle menti di chi ha attraversato e sconfinato quella piazza. Non si ferma il lavoro, l’attività instancabile e visionaria di Alessandra Ferraro e Pako Graziani che sono già al lavoro per la prossima edizione.
Dopo il grande successo della prima, la seconda settimana di Attraversamenti Multipli è iniziata con l’odore della pioggia che evaporando dall’asfalto umido ha accompagnato la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Con le diverse tonalità e le vibrazioni di tre serate di condivisione, in connessione e in uno spazio aperto dove ognuno è il benvenuto. Lo spirito del Festival è proprio questo. Ogni momento artistico che è stato messo in scena ha portato alla definizione del suo manifesto. Attraverso gli sconfinamenti su quel territorio, le persone hanno lasciato e scambiato qualcosa nella miscellanea socio-culturale di Largo Spartaco. Un’agorà sociale e cooperativa dove è importante la storia di ogni artista, performer, spettatore o passante occasionale, ma ancora più importante è il dove, la direzione verso cui ci si sta muovendo, attraversando luoghi, cuori, corpi e pensieri.
Giselda Ranieri è seduta su una panchina di marmo, in mezzo a delle bambine, con il suo giubbotto nero. È un frammento di vita in un contesto urbano; quando si alza dirigendosi verso la scena aperta, davanti al pubblico, quelle piccole donne che avranno avuto meno di dieci anni rimangono sullo sfondo, ma sono entrate nello spettacolo, in un quadro che si manifesta poco a poco. Giselda Ranieri, danzatrice, coreografa e autrice della compagnia lucchese Aldes diretta da Roberto Castello, è stata la protagonista, con il suo vestito rosso, nella serata di venerdì 21 settembre, di Blind Date.
Una performance che viene definita come una “composizione istantanea”, un affresco che inizia da quella panchina dove poco prima c’erano delle bambine sedute, ma avrebbe potuto trovarsi chiunque altro al loro posto, come per un appuntamento al buio, un’incursione o una visita inaspettata. Sulla tela neutra di quella composizione in tempo reale che è Blind Date verranno assorbiti il chitarrista e musicista Claudio Riggio, con i suoi oggetti sonori, il fotografo Umberto Tati, chiamato dentro quel momento performativo, un ragazzo street-style, dinoccolato con le sue movenze, e quel vestito rosso, il colore selettivo di un’istantanea, in uno sfondo bianco e nero dove c’è il corpo, il movimento e la forza espressiva delle loro rappresentazioni.

Giselda Ranieri
Il Pezzo orbitale dedicato a chi cade della compagnia Balletto Civile, nella stessa serata e dal lato opposto della piazza è un altro quadro vivente. Si auto-definiscono un “collettivo nomade di performers”: sono una dozzina di corpi celesti, anime artistiche, danzatori e attori, che costituiscono il nucleo stabile del gruppo e una miriade di altri compagni associati che ruotano nel loro universo spaziale con collaborazioni musicali, video-fotografiche, drammaturgiche e alla messa in scena. Capofila di questo progetto, dal 2002, è Michela Lucenti, coreografa, danzatrice e residente al Teatro della Tosse di Genova.
Ad Attraversamenti Multipli hanno portato una performance che fonde insieme il tempo presente e la vita reale. L’uguale e il diverso, la coscienza del corpo nelle sue molteplici diversità, tante voci armonizzate in un coro. Le parole dei monologhi sono su quei fogli presenti e sparsi in scena e sono materia viva come le tute bianche che si sporcano di terra, la lavagna nera di ardesia usata per lasciare un segno con il gesso, un pensiero estemporaneo. Ogni elemento della performance è tangibile. Esiste una dimensione umana in movimento nel momento in cui ogni individualità si allunga verso gli altri, tendendo le mani e gli arti, così come viene rappresentato dai performer.

Balletto Civile/Michela Lucenti |
I desideri profondi, la ricerca della clemenza divina e, nell’altro racconto, le visioni di un sogno (o di un’utopia) sono le due idee, le due prospettive presenti in God bless you di Daniele Ninarello e We are the birds of the coming storm di Dance Across Borders. In entrambi i contesti ci sono creature in movimento, uomini o uccelli, persone o personificazioni. God bless you si apre, sperimenta, capta reazioni e feedback provenienti dal pubblico. La costruzione presente in scena è quella che rappresenta un pozzo, una fontana, una piramide di bicchieri riempiti con acqua, simboli di trasparenza, funzionale per il rito del lancio della moneta. Il pubblico si emoziona nel momento del grande salto con affondo circolare e diventa una componente attiva della scena.
Ispirato al poema allegorico persiano Il verbo degli uccelli di Farid Ad-Din Attar, We are the birds of the coming storm è la messa in scena ideata e realizzata da Francesca Lombardo, Livia Porzio e Manuela Serra con la produzione DAB, Dance Across Borders e il sostegno di Chentro Sociale Tor Bella Monaca, Cubo Libro e Spettatori Migranti. È Il racconto di un volo e di uno stormo di uccelli, guidati dall’upupa, alla ricerca del loro Dio, il Simurgh, che troveranno nel proprio sé profondo.

Daniele Ninarello
I X I No, non distruggeremo Garage Zero dei Collettivo CineticO non è stata solo una performance. Essa è innanzitutto un frammento del progetto C/o, ma anche un’osservazione, la ricerca e la modulazione di identità collettive in un umano sentire universale. Abbinare alla parola test l’aggettivo sociologico potrebbe sembrare audace, in realtà il concept che ha elaborato Francesca Pennini con la sua regia predispone una situazione, un’atmosfera, un mood di comunicazione attiva e di espressione.
I X I è un dispositivo, uno strumento concreto e tangibile come una tastiera elettrica, ma è anche un sistema astratto come un concetto, una predisposizione ancestrale verso il bene o il male. Un computer keyboard con i suoi tasti, un codice da decodificare, tre performer in tutto il loro splendore fisico amplificato, tre mazze da baseball che potrebbero sembrare simili ad antenne, clave o totem fallici. Uno spazio e il pubblico romano di Attraversamenti Multipli che interagisce, si muove nell’area di Garage Zero, tocca, esplora, si raggruppa e si scompone random, osserva, incita gli altri a portare fuori i tre performer Alpha, Gamma e Delta per dare loro la libertà.
L’obiettivo finale in trenta minuti circa è lasciar venire fuori un flusso di energia che non è negativa o positiva, può essere e non essere il risultato di cause e conseguenze. Tastiere e dispositivi elettronici sono verosimilmente paragonabili a smartphone, tablet, pergamene, mobili da comporre, elettrodomestici intelligenti, postmoderni archibugi. Possono indurre alla schiavitù o al netto rifiuto, in ogni caso senza la creatività e l’esperienza, senza i sentimenti rimarranno degli oggetti; poco importa se sono costituiti da metalli nobili, titanio o selce.

CollettivO CineticO | ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI
foto di Chiara Cocchi
La terza ed ultima settimana di Attraversamenti Multipli è stata caratterizzata da una notevole quantità di figure simboliche con forti suggestioni replicate dall’interno o provenienti dall’esterno che a volte degenerano fino a diventare compulsioni e crisi parossistiche.
Giuda è una produzione Mk, le azioni fisiche sono quelle del performer Biagio Caravano, mentre le coreografie sono di Michele Di Stefano. In 33 minuti di performance viene vissuta un’esperienza privata, con la solitudine delle cuffie che trasmettono registrazioni binaurali, rimanendo però in gruppo, dissociati e senza amalgama, nella stessa frazione temporale. Come spettatori si viene trascinati in un meccanismo di lotta contro il tempo. La condanna inflitta a Giuda è quella di rimanere imprigionato in una trama, in un loop dove ci sono i caratteri del dramma e della routine. Verrà sottoposto allo sforzo fisico di compiere o subire quelle azioni, senza autodeterminazione. Senza la possibilità di scelta, di ciò che lui sarebbe stato: l’adepto iniziato, uno dei dodici o il dodicesimo apostolo sostituito, il traditore, il diavolo, il predestinato, l’impiccato.
È tutto nella testa, ma cosa c’è nella tua testa? What’s in your head? È la domanda, il suono dell’eco che rimbomba nella performance site-specific, prima nazionale, Odissea Furiosa di Margine Operativo con Francesca Lombardo, ideata da Alessandra Ferraro e Pako Graziani che ne ha curato anche la regia. Prendendo spunto dal poema di Omero, viene rappresentata con una serie di movimenti coreografici ripetuti e linee del corpo armoniose, un’avventura che in sé contiene il senso della bellezza, il valore. Ma l’eroe è anche umano e, dunque, può essere ingannevole, guerrafondaio, violento. È tutto nella testa e la testa a sua volta è occultata, coperta con un casco da motociclista, un simbolo forte, emblematico. Elmo da battaglia o maschera, alla fine viene rimosso. La performer Francesca Lombardo se ne separa lasciandolo sulla superficie piana osservandolo immobile.

Margine Operativo “Odissea Furiosa” con Francesca Lombardo | festival ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI |
foto di Carolina Farina
Ogni apparato complesso, sistema di cose o insieme di persone, può contenere un errore non prevedibile, indipendente dalla sua programmazione. Una piccola scheggia impazzita che si manifesta in un determinato momento. Il termine che viene usato in elettrotecnica per intendere un difetto del sistema, un errore all’interno di un programma, è “glitch”. hanno utilizzato questa parola per la loro performance di danza, GLITCH – Project. Lo spettacolo vincitore Danza Urbana XL 2018, produzione Körper, mette in scena l’anomalia di un’ordinaria giornata lavorativa che scandisce i tempi, i ritmi ripetuti, sempre uguali e frenetici. Fino a degenerare in frustrazione, stress e voglia di evadere. Si riuscirà a vedere oltre l’orizzonte quel desiderio di salvezza e di libertà?
Un’altra prima nazionale è stata la Derivazione n.3 ideata da Salvo Lombardo, prodotta da Chiasma, con i partecipanti, i danzatori e i performer, della Masterclass, workshop specifico che si è svolto nell’ambito di Attraversamenti Multipli. Questo progetto è stato concepito e realizzato su misura per lo spazio di Largo Spartaco e fa parte di un ciclo di interventi e “derivazioni” di danza urbana effettuati in altri spazi e in altre città. La memoria è un sistema complesso, condiviso e condivisibile. Si può memorizzare un monologo, un codice numerico, un copione, uno schema di gioco, una coreografia, la mappa o la carta topografica di un posto attraverso un training, un metodo-procedura, una pratica di appropriazione. Il movimento dei corpi dei performer deriva da una serie di discipline sportive, richiamate anche dall’abbigliamento. Dall’iniziale moto centripeto, la sua forza diventa centrifuga, espandibile verso l’esterno, coinvolgendo e inglobando ogni persona o cosa.

Così finisce anche il racconto della diciottesima edizione di Attraversamenti Multipli. Ogni ricordo, spunto di riflessione, emozione provata e condivisa contribuiranno a mantenere viva la nostra umanità, una parola decisamente equilibrata . Non è l’abuso verbale che determina la connotazione specifica di questo termine, ma sono i fatti ad essere decisivi per riacquistare o perdere la fiducia nel genere umano, per trovarne il senso. Arte, artista, amore, solidarietà…A volte ci si trova in disaccordo e in contrasto più per il lessico, i ‘contenitori’, anziché analizzare i contenuti.
Qualcuno ha scritto: “Se volete vedere un sacco di ‘umanità’ andate a Times Square, a New York City”. In alternativa.possiamo suggerire di ritornare o passare da Attraversamenti Multipli, per la diciannovesima e prossima edizione.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
da Redazione Theatron 2.0 | 19 Set 2018 | Approfondimenti
Sette appuntamenti densi e articolati nell’orario che solitamente si estende dall’aperitivo al dopo-cena. Attraversamenti Multipli ( qui un approfondimento) è un festival crossidisciplinare, della durata di sette giorni non consecutivi, ma articolati in tre fine settimana, nel quartiere popolare di Roma del Quadraro, più precisamente nell’isola pedonale di Largo Spartaco, un luogo fiero come il leggendario Spartaco che fu tante cose: pastore della Tracia, ausiliario della milizia romana, disertore, gladiatore e rivoluzionario, tra i primi della storia. Forse non è un caso che quel piazzale aperto che, qualcuno ha recentemente “desalvinizzato”, come recita uno slogan scritto con vernice nera su un muretto, sia stato in precedenza consacrato a quel condottiero ribelle. Nomen omen. E sempre nei nomi troviamo qualche traccia di un presagio, una formula o semplicemente una dichiarazione d’intenti.

foto di Chiara Cocchi
Attraversamenti Multipli è, dunque, un festival crossdisciplinare, un progetto che prende forma e svolge la sua azione in spazi pubblici e luoghi simbolici; mette in connessione arti, codici e artisti diversi, creando una rete con la realtà sociale, con i frammenti di vita di una comunità. È un manifesto che riunisce insieme teatro, danza, musica, video e performance attraversandoli, con la messa in opera di residenze artistiche, performance site specific e workshop. Passare attraverso, da una parte all’altra, comporta lo stato di necessità e le visioni esplicitate nello slogan #sconfinamenti perché inevitabilmente Attraversamenti Multipli tende al superamento dei confini tra culture diverse, tra differenti generi artistici e, infine, il definitivo superamento dei margini di azione tra artisti e spettatori. Lo spazio scenico infatti è volutamente concepito e lasciato senza reti di protezione e senza il perimetro della recinzione diventando il luogo di ciò che accade con le diverse creazioni artistiche. È un dato certo e oggettivo, un elemento costitutivo di Attraversamenti Multipli, così come è garantito incontrare i sorrisi di Giulia Taglienti e Antonella Bartoli, le ragazze dell’ufficio stampa e comunicazione.
Tutt’intorno ci sono ragazzi sui muretti e sulle moto, i ragazzi dell’accoglienza e della logistica, gli spettatori di un pubblico mobile ed eterogeneo, un po’ nomade per vocazione, i cani randagi e quelli toelettati, gli operatori dei pub con hamburger e patatine che, di tanto in tanto, urlano i numeri delle prenotazioni. Ci sono gli alberi rivestiti di blu dalla luce dei riflettori e le biciclette addossate sulla loro corteccia, i condomini che sembrano tante caselle illuminate del Bingo. Mescolandosi tra di loro le persone, creano i presupposti dell’inclusione, della solidarietà e di quelle condizioni che nel passato portarono allo sviluppo delle civiltà. Avvenne in questo modo, mediante una mescolanza e sempre con un’opportunità di rinnovamento per ogni sfida dell’umanità. E così dovrebbe continuare ad essere. È così che vogliamo raccontare la diciottesima edizione ideata e creata da Margine Operativo con la direzione artistica di Alessandra Ferraro e Pako Graziani.

foto di Chiara Cocchi
Il viaggio è iniziato con la prima tappa del 15 e 16 settembre: un’affollata ouverture. La piazza si è riempita con uno pubblico numeroso e sconfinato oltre il perimetro di Largo Spartaco. L’apertura ha avuto come protagonista Ascanio Celestini che in un passaggio de Il Nostro Domani si presenta come un uomo di quel quartiere, uno del Quadraro, prima ancora che un intellettuale. Autentico perché nella descrizione di fatti e persone non risparmia niente a nessuno, commuove e si commuove, sembra volersi più volte sollevare la t-shirt scura, quasi a scoprire l’ombelico, mentre interpreta le pagine dure e di crudele ingiustizia con la musica eseguita dal vivo da Gianluca Casadei.
Parla di Gramsci come se ce ne fosse più che mai bisogno: immagina l’urgenza che avrebbe avuto un gigante di un metro e cinquanta di nominare oggi come ministro della Giustizia una donna, una madre, una sorella, un fratello che hanno conosciuto l’ingiustizia di veder ammazzato il proprio familiare, intrecciando così la storia del padre del comunismo italiano con quella delle vittime di Stato come Davide Bifolco, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e gli altri tristemente noti. Ascanio Celestini, con estrema semplicità e una buona dose di surrealismo, ambienta le proprie fiabe moderne in luoghi paradossali dove regnano l’antinomia e la violenza, scava in profondità nella storia italiana e fa riemergere tutta l’ignavia umana nel raccontare l’indolenza di quell’uomo che abita al venticinquesimo piano, incurante di quel rubinetto rotto e di tutte quelle gocce che allagheranno inesorabilmente il suo appartamento e quelli sottostanti, in una narrazione metaforica di una Italia senza antenati né posteri perché senza memoria.
Successivamente si è svolta la performance di C&C Company A Peso Morto, con l’interpretazione di Carlo Diego Massari. Il suo racconto prende vita all’interno dell’isola pedonale di Largo Spartaco, la abita con l’energia espressiva del corpo descrivendo la parabola di un anziano abbandonato a sé stesso: un emarginato di una qualsiasi periferia che incede inesorabile, con la sua faccia stanca, con le sue buste da clochard, verso la fine. L’epilogo lo attende come se fosse la chiusura di una pratica, l’oblio lo ha conosciuto già ed è stampato sul suo volto come il segno di una resa invincibile.
Anfibio, senza forma definitiva per natura umana e per natura artistica si definisce Carlo Massari con il quale tentiamo di tracciare un primo bilancio di vent’anni di attività. Le prime importanti esperienze a 14 anni con il regista e drammaturgo Pietro Luigi Floridia del Teatro dell’Argine, che oggi dirige “Met”, acronimo per Meticceria extrartistica trasversale, nuova casa di incontri, arte e teatro di “Cantieri Meticci”, riunendo rifugiati e richiedenti asilo, migranti e giovani artisti, con Luigi Gozzi, drammaturgo e regista, docente del Dams di Bologna e Barbara Nativi del teatro della Limonaia di Firenze con cui ha collaborato nell’ultimo lavoro “Binario morto”. Tanti i nomi e i luoghi incontrati lungo la strada del teatro: le repliche frenetiche fra Italia e Grecia con Sergio Pisapia Fiore e poi con la Compagnia della Rancia, ma decisivi soprattutto le collaborazioni a Londra presso la compagnia Theatre de l’Ange Fou, fondata dagli allievi del mimo francese Decroux, al Teatro Due di Parma con Claudio Longhi e Malu, prima ballerina di Pina Bausch e a Bruxelles con il coreografo coreano Hun-Mok Jung della compagnia di danza contemporanea Peeping Tom.
Come un’epifania, l’incontro con Michela Lucenti di Balletto Civile ai tempi in cerca di nuovi performer per la compagnia. La sua formazione eccezionale è stata uno dei cardini della mia vita – ricorda con felicità Massari – sono rimasto con Balletto Civile per cinque anni finché non c’è stato il subentro di C&C. Dal 2011 infatti inizia la collaborazione con Chiara Taviani, nata all’interno di Balletto Civile, che sfocerà nel nuovo sodalizio. Sia da una parte, sia dall’altra ci siamo dovuti scorporare portando avanti i nostri rispettivi percorsi. All’inizio molto all’estero, poi è arrivato il momento in cui anche all’Italia interessava un tipo di linguaggio di questo tipo e quindi siamo stati accolti a Brescia dove abbiamo la residenza di compagnia. Dopo aver lavorato a lungo insieme in numerosi spettacoli, Chiara ha deciso di tirarsi fuori dal progetto per una propria scelta personale di vita ma il lavoro della Compagnia proseguirà in Italia e in Europa con nuove residenze e repliche degli spettacoli, fra cui ci sarà anche la prima delle tre produzioni del progetto Beast Without Beauty – vincitrice del Premio Giuria e del Premio Pubblico di Crash Test Festival in Valdagno, Vicenza NdR..

ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI | 15 sett 2018 | performance di Carlo Diego Massari / C&C company | Largo Spartaco, Roma | foto di Chiara Cocchi
Protagonista di rilievo del 16 settembre, con le suggestioni liriche e la sua voce che sa circumnavigare le perifrasi e il “campo della poesia” di Mariangela Gualtieri, è stato Roberto Latini. Con La delicatezza del poco e del niente ha inaugurato lo spazio di Garage Zero che verrà utilizzato anche per prossimi spettacoli. Sconfinando tra poesia, teatro e musica la rotta ha unito Dio, l’uomo e l’amore. Uno sconfinamento che ci ricorda che in fondo siamo tutti noi donne e uomini in movimento e la ricerca della libertà o anche di semplici risposte a domande complesse, ci contraddistingue. Come nella vita, chi ci passa accanto, attraversando la nostra strada, può essere qualcuno che capita per caso o che è venuto apposta. Ma di sicuro c’è una sincronia negli eventi che nell’attimo di attraversare la nostra esistenza diventano multipli di essa.

Ph. Carolina Farina/ Carolee Oh
Il programma di questa settimana di Attraversamenti Multipli
Sabato 22 settembre alle ore 19.00 il danzatore e artista visivo Alessandro Carboni presenta il site specific “Unleashing Ghosts from Urban Darkness” con i performer e i danzatori partecipanti al workshop (che si svolge nei giorni precedenti ) una performance che unisce dimensione installativa e pratiche performative in un percorso in cui il corpo viene utilizzato come strumento cartografico,attraverso un processo di mappatura dello spazio urbano attraverso azioni corporali. Alle ore 21.00 il coreografo/danzatore Daniele Ninarello con il site specific “God Bless You”dilata il “tempo” della performance diventando per una sera parte dello spazio urbano che lo accoglie, creando dinamiche interattive con il pubblico. “God Bless You” riflette sull’enorme quantità di desideri che abbiamo e sulla figura del senzatetto, come custode di desideri inesauditi.
Alle ore 21.30 il Collettivo D.A.B. – Dance Across Border una compagnia nata nel 2016 dalla volontà di 3 danzatrici – Livia Porzio, Francesca Lombardo e Emanuela Serra – per sviluppare un progetto di formazione e ricerca artistica all’interno dei centri d’accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo con l’obiettivo di creare, attraverso il lavoro artistico, occasioni d’ incontro tra migranti e cittadini. Il Collettivo D.A.B. presenta in prima nazionale lo spettacolo “We Are The Birds Of The Coming Storm”. Uno spettacolo che vede in azione performer di diversi paesi e che riesce a raccontare “gli sconfinamenti” attorno a cui ruota tutto il festival.
Domenica 23 settembre alle ore 17.00 parte la performance itinerante creata da Valerio Sirna / Dom ”MAMMA ROMA_ Esplorazioni urbane / Pratiche della percezione TUSCOLANA MITOLOGICA” un progetto che si fonda sull’esercizio del camminare, inteso come strumento di conoscenza e di lettura sensibile del circostante, e sulla relazione sottile che lega il corpo al paesaggio che attraversa. L’esplorazione del 23 settembre traccia un’orbita intorno agli avamposti del Quadraro, e sconfina nel quartiere Tuscolano, instancabile centro generativo dell’iconografia capitolina. Alle ore 21.00 è in azione Collettivo Cinetico, fondato dalla coreografa Francesca Pennini, il cui focus principale di ricerca è la discussione della natura dell’evento performativo e del rapporto con lo spettatore tramite formati e dispositivi al contempo ludici e rigorosi che si muovono negli interstizi tra danza, teatro e arti visive. Collettivo Cinetico presenta la performance “I X I No, non distruggeremo (…)”un dispositivo coreografico interattivo che si plasma ai luoghi che abita e che permette al pubblico di determinare i movimenti dei performer.
A breve ci saranno nuove incursioni di Theatron 2.0 ad Attraversamenti Multipli 2018: continuate a seguirci!

Attraversamenti Multipli 2018
Per scoprire tutto il programma di Attraversamenti Multipli 2018:
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Roberto Stagliano | 17 Ago 2018 | Approfondimenti
Di Francesca Pennini si sa che è la fondatrice, la mente e il cuore pulsante di Collettivo CineticO, la compagnia residente del Teatro Comunale di Ferrara, la sua splendida creatura nata nel 2007, la sua seconda famiglia costituita da oltre 50 artisti provenienti da discipline diverse. Sua è la direzione artistica. Con Francesca Pennini c’è Angelo Pedroni che è un suo braccio, destro o sinistro, e che sa esprimere bene il suo talento nel lavoro di drammaturgia, oltre che nella danza. Il suo secondo braccio, sinistro o destro, a seconda della prospettiva, è Carmine Parise. Lui si occupa dell’organizzazione in genere e della comunicazione. Anche se l’idea di base è quella di un lavoro “collettivo” e di squadra.
Una formazione artistica, quella di Francesca Pennini, avvenuta presso il Balletto di Toscana e il Laban Centre di Londra, con maestri che sono anche stati incontri fondamentali: da Samuele Cardini a Sasha Waltz. La danza si manifestò nella sua vita quando era ancora una piccola bambina, spettatrice di un classico come Il Lago dei Cigni. Crescendo, Fantasia di Walt Disney fu la sua prima palestra casalinga, tra sogno e aspirazione. Il “grado zero” di quella che successivamente sarebbe stata una realtà in movimento, cinetica, in una oscillazione diffusa come una sequenza palindromica, dove la complementarietà dei singoli elementi resiste a prescindere da ogni corso o direzione.
7 agosto 2018: è la data del ritorno a Roma di Francesca Pennini con il Collettivo CineticO e Sylphidarium, una creazione che è stata riconosciuta come “Miglior spettacolo di danza” ricevendo il Premio Ubu, lo scorso dicembre. “Sylphidarium. Maria Taglioni on the ground” è il titolo completo di quello che potrebbe essere definito come un “inventario rock di danza contemporanea”, in tre atti continui. Ci sono La Sylphide, in particolare il balletto di Fokine del 1909; Maria Taglioni, icona e diva dell’Ottocento, ballerina romantica di origini italiane, nata a Stoccolma e osannata in tutta Europa e anche l’indagine sul corpo della ballerina, intesa come una delle specie entomologiche, come l’insetto che si nutre di carcasse di animali e c’è l’analisi, la dissezione chirurgica degli elementi della danza e della tecnica. Inoltre ci sono il bianco che è il colore principale usato per i costumi di scena e come sfondo scenografico e la tela, ovvero “Il Giardino Ritrovato”, la manifestazione curata dal direttore del Museo di Palazzo Venezia Sonia Martone e da Anna Selvi, direttore dell’ufficio per il teatro e per la danza del Polo Museale del Lazio, con la collaborazione di Davide Latella.
Una rassegna che combina insieme la dimensione internazionale e la combinazione eterogenea di diversi linguaggi espressivi in quella cornice ancor più estesa che è “ARTCITY Estate 2018 arte musica spettacoli a Roma e nel Lazio”. Un progetto culturale nato nei musei e per i musei che unisce iniziative di arte, architettura, letteratura, musica, teatro, danza e audiovisivo. Realizzato dal Polo Museale del Lazio diretto da Edith Gabrielli. C’è una sede monumentale come Palazzo Venezia e poi c’è l’energia cosmica della Pennini, della sua voce e della nostra chiacchierata.
Questa non è un’intervista. È una “chiacchierata telefonica”, così la chiama Francesca Pennini…

Francesca, per prima cosa vorrei chiederti una tua impressione sulla serata del 7 agosto.
Grandissimo calore anche con un pubblico abbastanza diversificato. In realtà Sylphidarium ha sempre un feedback molto forte, a livello di energia, anche per il tipo di impatto diretto che ha come intensità. Il pubblico ha reagito benissimo, con questa conformazione la serata ha avuto una bella intensità anche musicale e sono abbastanza contenta. Di solito i palchi sono più grandi però a Palazzo Venezia, per questioni architettoniche, il palcoscenico era più piccolo. Così abbiamo fatto delle variazioni che però ci hanno lasciato soddisfatti; non erano dei compromessi, anzi, sono da tenere in considerazione…
A quali variazioni ti riferisci?
Di solito i musicisti sono in scena; da un lato della scena ci sono i musicisti e dall’altro ci sono gli stendini con i costumi dei 118 abiti di scena che vengono indossati durante lo spettacolo e quindi questi capi sono principalmente a vista, anche se l’attenzione non è focalizzata sul momento del cambio. In questo caso invece abbiamo avuto una scena completamente pulita dove c’è questo limbo bianco. Gli ingressi, le uscite e tutti i cambi sono avvenuti fuori scena, mentre i musicisti erano in mezzo alla tribuna del pubblico; però è stato interessante anche questa formula sia per gli spettatori sia come feedback per noi. L’effetto sorpresa è stato amplificato dal numero degli ingressi che si sono moltiplicati e anche per l’impatto sonoro che c’è stato.
Che tipo di evoluzione c’è stata nella vita e nelle varie repliche, fino ad oggi, dello spettacolo?
Gran parte gli spettacoli funziona come una crescita in evoluzione, in particolare questo penso che sia uno di quei lavori che va praticato. Ci sono tanti elementi, tante azioni, tanti ingressi. È un lavoro un po’ rizomatico, non è una cosa costante, continua o progressiva, per cui richiede una certa schizofrenia e al tempo stesso è in costante mutazione, nel numero di repliche. Anche semplicemente il problem solving di questioni legate allo spazio oppure agli interpreti che hanno dovuto scambiare le parti, hanno fatto crescere il lavoro.
A livello dell’esecuzione, penso che sia in una fase di costante e continua crescita anche perché è tecnicamente difficile da eseguire come assorbimento performativo. È un lavoro che vorrei fare almeno una volta alla settimana, penso che quella sarebbe la sua natura, e mentre altri lavori si consumano gradualmente quasi, questo andrebbe praticato spesso. Sì, penso che sia cresciuto durante le repliche e quindi avrebbe bisogno di esistere di più.

COLLETTIVO CINETICO
SYLPHIDARIUM pièce per 8 danzatori e 3 musicisti
Vorrei fare un salto indietro e chiederti una tua riflessione sull’esperienza del Campus CineticO.
Il Campus è nato da un’esperienza che sentivamo molto forte. Volevamo creare la possibilità di un incontro con tanti artisti che da tempo ci seguivano e anche con persone di nuova conoscenza. Prima di allora non ci eravamo ancora intercettati ed è stata un po’ una follia, però la necessità era molto forte. Come tutte le volte in cui ti sei mosso da qualcosa di cui hai urgenza, anche se non si incastra nelle economie e negli sforzi generali, alla fine il risultato è sempre positivo. C’è stata un’ottima risposta perché sono arrivate 320 application, anche impegnative perché chiedevamo questionari, materiale fotografico specifico con delle consegne, per cui non facili. Abbiamo scelto di aprire il numero di iscritti a 40 persone anziché 15, come avevamo previsto inizialmente, perché ci dispiaceva tantissimo non poter rispondere a una richiesta così alta.
Abbiamo dovuto moltiplicare l’uso degli spazi al Teatro Comunale di Ferrara, lavorare sia in spazi urbani che in spazi prove, con attività anche simultanee, scambi di gruppi, un sistema abbastanza complicato di strategia, di gestione. È stata un’esperienza molto immersiva da tutti i punti di vista sia per gli orari di lavoro che per le consegne che trattavano tutte le fasi del giorno e della notte, dalla scrittura alla performance urbana, la realizzazione di video… è stato molto intenso. Dai feedback delle persone a cui abbiamo chiesto di restituire la loro esperienza in vari formati, anche scritta, si è creato un corpo di racconti notevoli. La risposta è stata molto positiva non soltanto da un punto di vista artistico ma anche umano.
Per me è stato un momento importante, abbiamo conosciuto delle persone che adesso sono a tutti gli effetti dei nuovi “Cinetici”. La ricerca che è stata portata avanti in quei giorni aveva il gusto di qualcosa che avevo identificato e riconosciuto. Come quel tipo di energia e di intensità che c’era nei primi anni della compagnia e che sono stata molto felice di ritrovare, così rinnovata. È stato quindi un momento importante; anche se sono stati quattro, sono stati però giorni molto significativi, è stato l’inizio di una nuova fase.
Così ha preso forma “How to destroy your dance”…
How to Destroy your dance è un lavoro nato in continuità con il Campus CineticO. Una parte delle persone che abbiamo incontrato in quella occasione le abbiamo invitate a partecipare alla creazione che ha debuttato in teatro a Polverigi a giugno e che verrà ripresentato in più occasioni, a settembre, al Festival della Danza Urbana a Bologna, per esempio.
How to destroy your dance, parte dal progetto “Variazioni eccetera”, realizzato nel 2015 in occasione di Biennale Danza College, come percorso formativo che avevamo tenuto in quell’occasione. Da lì abbiamo trovato una chiave interessante e l’abbiamo sviluppata come lavoro di repertorio della compagnia ed è, da un lato, una sorta di compendio sul tempo, sulla durata e dall’altro, un gioco alla distruzione coreografica nel senso che è tutto pensato sul cosa puoi fare oppure quanto puoi muoverti velocemente in un minuto, per cui c’è questa dimensione realmente ludica e completiva un po’ come anche in Benvenuto Umano. Ci sono questi giochi in scena che sono reali. La coreografia, di conseguenza, viene dissacrata dal fatto che viene messa in atto in una condizione non rispettosa, nel senso della reverenzialità.
C’è anche una novità in cantiere, mi riferisco ad un incontro e ad un progetto con un grande coreografo israeliano: “Dialogo primo: Impatients Noli Tangere…
Stiamo portando avanti questo nuovo lavoro con Sharon Fridman che inaugura una serie di dialoghi con altri artisti. Un po’ è una novità del Collettivo CineticO e un po’ parte dalla voglia della nostra compagnia di mettersi in discussione, anche da un punto di vista di riferimenti autoriali. Sharon è un coreografo che conosco da tanti anni ed è anche un amico che conosco personalmente dal 2009. L’ho invitato a creare con i performer di Collettivo CineticO, sui loro corpi.
In questa fase di ricerca, abbiamo lavorato principalmente sulla tecnica del suo lavoro, la “Contact improvvisation” – sul senso del contatto. Lui ha un approccio completamente diverso dal mio da un punto di vista di vista drammaturgico, registico, anche sul senso della danza ed è quello che mi interessava. Per adesso il materiale che è uscito è molto affascinante, però è ancora all’inizio nel senso che la fase di creazione si protrarrà fino all’autunno. E poi ci saranno altri due dialoghi negli anni successivi, con altri due autori, probabilmente un artista visivo, anche se non sono definiti al momento.
Un periodo ricco di fermenti e di nuova energia, non è così?
Ma sì! Come sempre… In realtà non ci diamo molta tregua. Però sì, è un periodo di rinnovamento di energie forse. Mentre l’anno scorso chiudeva il decennale della compagnia, è stato un po’ come il tirare i fili, adesso è un po’ il ripartire. Forse.

ph Viola Berlanda
Quel “forse” conclude in un modo enigmatico la nostra conversazione, ma c’è un respiro di teatro e di forte drammaturgia in quelle poche parole. L’anno scorso si è celebrato il decennale del Collettivo CineticO con lo spettacolo Benvenuto Umano, un viaggio utopico tra vicino e lontano, tra realtà e realtà virtuale. L’esplorazione di un corpo sospeso tra cielo e terra, tra battaglie, sconfitte, sovrani e profeti redentori. È singolare rilevare il fatto che l’incontro con Sharon Fridman sia avvenuto dopo l’anniversario dei dieci anni di attività e di lavoro in Spagna della Compañia Sharon Fridman, suggellato con la creazione di All Ways, un’opera che esplora l’utopia di un’armonia permanente raggiunta dopo aver risolto i conflitti personali.
Analogia o eventi sincronici? Sicuramente è qualcosa simile ad un’affinità spirituale, un legame sacro nel karma della danza. Francesca Pennini in sintesi è questo: è sorpresa e mistero, è sublimazione fisica attraverso la fatica di prove che possono anche iniziare alle 23 e terminare quattro ore dopo. È yoga e butoh, dolori muscolari, giochi, obbligo o verità, risate, tanti baci, tanti abbracci, riso, farro e alcol per festeggiare. È il sold-out dei suoi spettacoli che diventa sublime delirio da overbooking. Perché tutti siamo in fondo un po’ “cinetici”: è uno stile di vita che lega spettatori e performers, artisti urbani ed esploratori curiosi.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
da Marco Argentina | 17 Dic 2016 | Uncategorized
Lo scenario coreutico italiano degli anni Duemila rivolge spesso lo sguardo all’estero per catturare fonti d’ispirazione o per emulare dinamiche di successo, in entrambi i casi riuscendo a cogliere sfumature di una performatività sui generis, donatrice di un messaggio chiaro seppur con “vocaboli” differenti. Inevitabile pensare al caso del CollettivO CineticO, nato nel 2007 dal genio creativo di Francesca Pennini (classe 1984), ballerina, performer e coreografa ferrarese formatasi tra il Laban Centre di Londra e la compagnia Sasha Waltz & Guests.
Citando dal sito web ufficiale, il CollettivO si presenta come «fucina di sperimentazione performativa negli interstizi tra teatro e arte visiva». Naturalmente viene da chiedersi: e la danza? La danza è proprio lì, in quegli interstizi. Funge, cioè, da collante scenico attraverso cui vengono unite le più disparate modalità di rappresentazione. La recitazione si fonde alle arti plastiche, così come alla coreografia, ponendo in essere una pratica di visione della performance che tende a estraniare lo spettatore dal luogo in cui sta assistendo, quasi come se gli venisse raccontata una storia puntualizzando ogni singolo dettaglio, allegando a ogni appunto però, allo stesso tempo, un’immagine corporea che permette alla sua mente di fantasticare.
Un esempio lampante è “10 miniballetti”, lo spettacolo di apertura di Ipercinetica, rassegna bolognese bimestrale (marzo-aprile 2016) interamente dedicata al CollettivO. Attraverso la memoria di dieci micro-coreografie, composte e scarabocchiate su un quaderno delle scuole elementari, Francesca Pennini riflette sul suo status attuale di danzatrice professionista, dialogando interattivamente col pubblico e lasciando persino la “parola”, a metà dell’intera performance, a un drone per illustrare la fugacità del tempo – e, conseguentemente, della spensierata fantasia – in un turbine di piume animato dall’aggeggio elettronico. È una lezione di danza classica analizzata con la lente d’ingrandimento, mediante la quale si riescono a cogliere elementi compositivi afferenti ad altre arti sorelle: mimica, ginnastica, performatività musicale, body painting.
Il concetto-chiave, alla base di qualsiasi opera dell’ensemble, sta dunque nel muovere il pubblico alla riflessione, alla comprensione di un determinato messaggio artistico nient’affatto intuitiva, considerando lo spettatore come un essere proattivo alla messinscena, indispensabile per la buona riuscita della performance. La diretta partecipazione allo spettacolo, infatti, dona quel tocco di specialità in più all’operato creativo di Francesca Pennini, rendendo ogni location, data e occasione un momento unico, ineguagliabile, imperdibile.
Ne dà dimostrazione “| x | No, non distruggeremo […]”, «un dispositivo coreografico interattivo che permette al pubblico di determinare i movimenti dei performer» (collettivocinetico.it). La descrizione è assai esauriente del ruolo fondamentale che gli spettatori svolgono all’interno della performance, il cui titolo viene modificato a seconda del luogo in cui avviene. Addirittura, vi è un rovesciamento delle parti in gioco, catapultando i consueti astanti teatrali in poltrona direttamente sul “palcoscenico”, attori veri e propri di uno spettacolo che senza di essi perderebbe totalmente di senso. Come, d’altronde, in qualsiasi altro caso performativo.
Link utili
http://www.collettivocinetico.it/
https://ipercinetica.wordpress.com/
[embedyt] http://www.youtube.com/watch?v=0_y3Wy8_FsY[/embedyt]