TESI DI LAUREA: Lady Macbeth of Mtsensk di Graham Vick

TESI DI LAUREA: Lady Macbeth of Mtsensk di Graham Vick

Graham Vick
Una scena da Lady Macbeth of Mtsensk, Birmingham Opera Company 2019

TITOLO TESI > Può la regia restituire l’opera lirica alla società? Lady Macbeth of Mtsensk di Graham Vick

ISTITUTO > Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi – Diploma Accademico di primo livello in Regia indirizzo Teatro

AUTORE > Andrea Piazza

INTRODUZIONE DELL’AUTORE

Il teatro, e l’arte in genere, sembra allontanarsi sempre di più non solo dal pubblico, ma dalla società intera: così facendo, finisce per isolarsi in una torre d’avorio, protetta ma soffocante. Tale fenomeno risulta tanto più evidente nell’opera lirica, un genere che conobbe in passato una straordinaria popolarità e che oggi è spesso fruita unicamente da una elite colta. La tesi si propone di indagare la poetica e l’azione di un regista di fama internazionale come Graham Vick, attraverso la “sua” Birmingham Opera Company con la quale ogni anno realizza imponenti progetti di opera lirica per tutti e con tutti, per tentare di rispondere a una domanda: è possibile, con gli strumenti della regia, ricomporre la frattura tra teatro e società?

Con la pubblicazione, per la prima volta in italiano, di due conferenze di Graham Vick.

LEGGI LA TESI DI LAUREA > Può la regia restituire l’opera lirica alla società?

Andrea Piazza, laureato con lode in Regia presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano e in Lettere presso l’Università Cattolica, è stato assistente di Graham Vick (Flauto magico, MOF 2018) e ha collaborato al progetto Kafka of Suburbia di Minima Theatralia (2019). Nel 2019 ha debuttato all’Out Off di Milano con la prima nazionale di Non rimpiango nulla in collaborazione con Fabulamundi. Con  All You Can Hitler vince Richiedo Asilo Artistico del Festival Invisible Cities Contaminazioni digitali 2020. Con Che cosa sono i morti di F. Toscani è finalista al Premio Scintille 2020. Nel 2021 sarà prodotto dal Teatro Out Off per Le serve di Genet. Insieme alla prosa si occupa di teatro musicale per ragazzi (regie per La Verdi Orchestra di Milano, Verdi Off Teatro Regio di Parma, Teatro Dal Verme di Milano), di progetti multimediali e di danza.

TESI DI LAUREA: Corpo e tecnologia. Il riadattamento di un testo attraverso la lente della contaminazione dei linguaggi nella produzione di Thomas Ostermeier

TESI DI LAUREA: Corpo e tecnologia. Il riadattamento di un testo attraverso la lente della contaminazione dei linguaggi nella produzione di Thomas Ostermeier

TITOLO TESI > Corpo e tecnologia. Il riadattamento di un testo attraverso la lente della contaminazione dei linguaggi nella produzione di Thomas Ostermeier

ISTITUTO > Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi – Diploma Accademico di primo livello in Regia indirizzo Teatro

AUTORE > Emanuele Giorgetti

Corpo e tecnologia

INTRODUZIONE DELL’AUTORE

L’obiettivo di questa tesi è quello di andare a esplorare il riadattamento di un testo attraverso la lente della contaminazione di linguaggi nella produzione di Ostermeier. Nella seconda metà del Novecento, l’arte subisce un cambiamento radicale. I confini diventano sempre più fluidi e si verificano sempre più frequentemente contaminazioni tra le arti, in particolar modo tra performing art e teatro. Negli anni ‘80 c’è poi un’altra svolta, quella tecnologica del teatro che di lì a poco porta all’irruzione dei nuovi media in scena. Nel decennio successivo viene ripresa la concezione di performativo: il corpo diventa il punto nodale di un teatro che, così si dice, viene dopo il dramma. Queste sono le basi, l’humus fertile, in cui Thomas Ostermeier mette le proprie radici, per diventare poi il volto di riferimento del teatro di regia tedesco.

LEGGI LA TESI DI LAUREA > CORPO E TECNOLOGIA. IL RIADATTAMENTO DI UN TESTO ATTRAVERSO LA LENTE DELLA CONTAMINAZIONE DEI LINGUAGGI NELLA PRODUZIONE DI THOMAS OSTERMEIER

Emanuele Giorgetti, 25 anni. Dal 2014 al 2017 ha frequentato la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, specializzandosi nell’indirizzo multimediale. Nel 2016 per l’università degli Studi di Milano, realizza un docufilm su Shakespeare. Nel 2017 ha iniziato gli studi presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. Durante l’estate 2018 ha seguito uno stage presso la compagnia dei Motus a Santarcangelo Festival, presso la compagnia Fanny Alexander e presso il Teatro Elfo Puccini. A settembre 2019 ha debuttato con la sua prima regia con lo spettacolo Contro il Progresso di Esteve Soler, presso il Teatro Out Off. Conclude i suoi studi nel 2020 laureandosi con 105/110.

DRAMMATURGIA: All you can Hitler di BR Franchi

DRAMMATURGIA: All you can Hitler di BR Franchi

All you can Hitler
All you can Hitler – Ph Arianna Ioan

Introduzione al testo:

Il Kiribati è il primo Paese a rischio di sparizione per l’innalzamento del livello del mare. Un arcipelago nel mezzo del Pacifico abitato da 100mila persone, perlopiù inconsapevoli del futuro che le attende. Da questa incredibile e attualissima storia, Peso piuma immagina le sorti dell’ultimo occidentale rimasto sull’isola, il gestore di un’azienda italiana di snack preconfezionati, alla ricerca di un modo di tornare a casa mentre una pioggia sempre più fitta impedisce l’arrivo di un aereo che lo salvi. Assieme a lui ci sono il fedele addetto alle pulizie, naufragato su una delle isole quando era bambino, e un connazionale emulo di Che Guevara venuto a portare solidarietà al popolo kiribatiano senza che nessuno gliel’abbia chiesto. Tra equivoci, politicamente scorretto, incontri di kung fu e chat erotiche alle tre del mattino, i nostri tre eroi cercheranno in ogni modo una via di fuga da un paradiso diventato inferno; un luogo sconosciuto, lontano da tutto e tutti, che però sprofonda di qualche millimetro a ogni pezzo di plastica che gettiamo nel mare.

LEGGI > All you can Hitler di BR Franchi 

Biografia BR Franchi

BR Franchi

Al secolo Giorgio Bruno Roberto Franchi, BR Franchi nasce a Milano nel 1998. Cresciuto a film di Billy Wilder e Woody Allen, dal 2017 evita di contribuire attivamente alla società frequentando il corso triennale di drammaturgia presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. Nel 2018 scrive il testo Hate Party!, che lo stesso anno è finalista della prima edizione del premio Shakespeare Is Now! e quello successivo della nona edizione del premio Hystrio – Scritture di Scena. Nel 2019 vince il premio La Scena Nova con L’ultimo va in porta (testo pubblicato da Alpes Italia), mentre nel 2020 il bando Richiedo Asilo Artistico (In\visible Cities – Pim Off) con All you can Hitler per la regia di Andrea Piazza. Scrive inoltre di linguistica e comunicazione per PAC – PaneAcquaCulture. Autore comico e stand-up comedian, ha collaborato, fra gli altri, con Dado Tedeschi, Clara Campi, Giorgio Magri e Daniele Raco. È il più giovane autore attivo di enigmistica classica in Italia e pubblica regolarmente sulla rivista La Sibilla, ma stranamente questo non gli dà alcuna chance in più con le ragazze. È un ragazzo semplice e vuole la pace nel mondo.

L’arte dell’incontro. Intervista a Claudia Castellucci

L’arte dell’incontro. Intervista a Claudia Castellucci

Claudia Castellucci, oltre che autrice e interprete, è una didatta e creatrice di scuole. Nel 1988 fonda la Scuola Teatrica della Discesa presso la Casa del Bello Estremo, nel 2003 Stoa presso il Teatro Comandini di Cesena, nel 2009 Mòra, da cui è nata l’omonima compagnia che debutterà in prima assoluta il 16 ottobre presso il Teatro Piccolo Arsenale con Fisica dell’aspra comunione.

Intervistata in occasione della consegna del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2020, nei giorni in cui stava concludendo la masterclass con i danzatori diplomandi della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, racconta come si è trasformato il suo lavoro di coreografa e didatta in trent’anni di attività.

Claudia Castellucci
Claudia Castellucci

Hai fatto della didattica un’arte, sganciandola da un concetto di causa-effetto standardizzato ed economicistico e perseguendo piuttosto una messa in discussione costante, attraverso il rapporto dialogico e lo stupore. Come sono cambiate le tue scuole negli anni?

Hai descritto sinteticamente il motivo che genera la scuola: un incontro tra persone in cui l’insegnante è una figura asimmetrica, che si mette continuamente in gioco nella dialettica con gli scolari. Ecco perché non è una scuola di tipo istituzionale: le persone stesse imprimono una fisionomia alla scuola. Ha le caratteristiche dell’arte perché ha le caratteristiche del fare. Di conseguenza, come le opere, le scuole si formano e poi finiscono.

La durata media è di cinque anni, al termine dei quali sento l’esigenza di concludere, quindi passano uno o due anni di letargo, dopodiché risorge la necessità da parte mia di dar vita ad altri incontri. Queste scuole sono molto lunghe ma distese nel tempo, ci siamo sempre incontrati un giorno alla settimana per tutti gli anni. L’incontro stesso è un ritmo che cadenza le abitudini che ognuno di noi ha. La prima è stata la Scuola Teatrica della Discesa in cui, oltre al movimento, c’era anche il canto, e vi partecipavano persone dalle provenienze più disparate: fornai, studenti, artigiani, tutti molto giovani.

Nella scuola successiva, Stoa, i partecipanti erano ancora più giovani, liceali o ai primissimi anni dell’università. Man mano che si andava avanti, le persone aumentavano. All’inizio eravamo in 8, alla fine in 33. Con loro mi sono avventurata a esplorare il ritmo e ho iniziato a capire quanto fosse importante avere un musicista all’interno della scuola, perché la musica è talmente connaturata al movimento che, a un certo punto, la si cuce su misura del ballo e viceversa. Dopo un altro periodo di letargo è sorta un’altra scuola, Calla, durata poco, due anni, perché il numero era scarso e facevo fatica, ma ha prodotto comunque dei balli.

Infine la scuola Mòra, l’ultima, durata cinque anni. Mòra ha determinato un cambio notevole nella cronologia della mia esperienza scolastica perché si è verificata una sorta di tradimento delle premesse, che ha creato una crisi in me e negli scolari stessi: io non ho mai selezionato, ha sempre funzionato l’autoselezione, ma un certo punto ho sentito la necessità di approfondire la tecnica e quindi ho dovuto chiedere a delle persone di continuare e ad altre di salutarci, perché non avrebbero potuto seguire questo tipo di approfondimento. A questo punto, non bastava più una giornata settimanale, dovevamo incontrarci più spesso incaricando le persone di prepararsi, di conseguenza è sorta la necessità di passare dalla scuola alla compagnia e quindi ad un rapporto remunerato.

Questo cambia moltissimo le cose, tant’è che ci è venuta subito la nostalgia del rapporto di studio puro, senza finalità: stiamo dunque organizzando dei seminari liberi rivolti a chiunque, per tornare al modo scolastico.

La verità è che io non riesco a creare coreografie al di fuori di questa prolungata e decantata preparazione che ho assieme agli scolari danzatori. Non riesco a formulare una coreografia a tavolino, astratta dalla relazione. La coreografia sorge dopo un lungo processo di studi liberi, dopo molto tempo trascorso insieme a provare. Dopodichè si cominciano a isolare le parti più interessanti, alcune si aggregano, altre si escludono, poi inizia il lavoro vero e proprio di coreografia.

Il 16 ottobre, presso il Teatro Piccolo Arsenale, andrà in scena in prima assoluta Fisica dell’aspra comunione, creato con la Compagnia Mòra, nata dalla omonima Scuola di movimento ritmico che si è tenuta a Cesena tra il 2016 e il 2019. Come sei approdata alla scelta del Catalogue d’Oisaux di Olivier Messiaen – una composizione per pianoforte che traduce in note il canto degli uccelli – come ispirazione musicale? Rispecchia la tua idea di danza come arte che unisce realtà e mimesi?

Negli studi per pianoforte di Messiaen, il silenzio è una sostanza musicale di primissimo piano e non di sfondo. Noi, che stavamo studiando la pausa e il rapporto che c’è tra una figura in primo piano, sostanziosa, marcata, e un’altra, quell’intercapedine vuota volevamo approfondirla e sondarla. È la prima volta che adottiamo un’opera di un musicista noto. Questa volta, non abbiamo fatto ricorso a un musicista integrato nel gruppo, a parte un fastigio sonoro finale composto dal nostro musicista Stefano Bartolini. In Messiaen ritrovo effettivamente la caratteristica che mi affascina della danza: questa partizione precisa tra finzione e realtà. La finzione è uno schema – nel caso di Messiaen, il canto degli uccelli – trascritto, copiato, imitato. Poi c’è una trasfigurazione, una metabolizzazione del suo ritmo. Non si tratta quindi di mera imitazione, ma di una trasfigurazione. La stessa cosa deve avvenire, secondo me, per i danzatori: da una parte la finzione, che è lo schema coreografico e la sua assunzione, dall’altra le decisioni reali che devono essere prese in quel momento per far sì che quello schema sia vivo, impugnato realmente, in maniera flagrante.

In questo periodo, durante la masterclass con i danzatori diplomandi della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, stai lavorando sul tempo e sul ritmo, approfondendo in particolare concetti come pausa, intervallo e psicologia della durata. Il blocco dovuto alla pandemia ha in qualche modo influenzato la tua percezione del tempo?

Noi, che alla Paolo Grassi ci siamo visti e abbiamo fatto un lavoro fisico, questo discorso ce lo siamo lasciato alle spalle. Paradossalmente trovo che il tempo dell’isolamento sia stato molto chiassoso. Il recupero della fisicità ci ha portato ad apprezzare molto di più il silenzio e la pausa.

In un’intervista rilasciata nel 2009 a Klpteatro, dichiari che la tua non è una scuola di formazione, ma di ricerca e in Setta sostieni che il maestro è il vero principiante, perché è quello che comincia per primo una cosa. Citando Roland Barthes: «Vi è un’età in cui s’insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un’altra in cui s’insegna ciò che non si sa: questo si chiama cercare». Cosa stai cercando in questa fase del tuo percorso artistico?

In questa fase sto cercando una coralità che passi attraverso la solitudine, quindi una scelta paradossale di unità che si compia attraverso la consapevolezza di essere individui e di essere soli. Sarà questo l’argomento dei miei prossimi seminari. La scuola, più che fugare la solitudine, la rivela.

Nello statuto della Socìetas Raffaello Sanzio si legge “L’Associazione si propone come scopo primario di svolgere un lavoro di riflessione, elaborazione dell’arte del teatro in diretto riferimento al contesto sociale nel quale essa è inserita”: in quale contesto è nata la Socìetas, nel 1981? Cosa credi occorra all’arte in questo particolare momento storico?

Noi siamo immersi nella storia e nella cronaca, tuttavia il nostro lavoro non è né storiografico né cronachistico: la relazione con la società è di tipo consecutivo e automatico, non è propositivo. Il discorso politico diventa tale, nel nostro caso, tanto più ci si riferisce alla specificità del linguaggio teatrale, anziché direttamente alla cronaca. Altri si dirigono frontalmente verso i problemi contemporanei e non dico che questo non vada bene, dico solo che nel nostro caso la relazione con la società, con la politica e con l’etica passa sempre attraverso l’estetica.

La scuola da te teorizzata non è uno spazio di libertà fittizia. Eviti l’approssimazione e lo spontaneismo attraverso gli esercizi, passaggi parametrici immediatamente analizzabili, che obbligano alla precisione. Nelle motivazioni per la consegna del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2020 vieni definita una “coreografa sobria, seria, minimalista ed esigente, che lavora con sacralità alla sua arte”. Che significato dai alla sobrietà?

Per me la sobrietà è semplicità, laddove la semplicità non è un carattere, la descrizione psicologica di uno stato d’animo, ma è uno sforzo, uno scopo da raggiungere, per quanto riguarda un’essenzialità del gesto, o dello stare, o del movimento. Abbiamo scoperto nella scuola la potenza negativa: tirare fuori la massima potenza dal minimo gesto o dalla sottrazione. La danza tiene in massimo conto il volto, ma proprio per questo, proprio perché il volto, lo sguardo, è apicale, non va assolutamente caricato. Non spetta a noi. A noi spettano le direzioni, spettano i movimenti essenziali, sintetici, decantati. Perché è da lì che passa la commozione, non da altri carichi, né tantomeno dalla parola. Noi ci siamo liberati della parola. Anche queste interviste le vivo un po’ come una contraddizione. È chiaro che la parola, quando ci incontriamo, è necessaria, ma è necessaria per liberarcene, per poterne fare a meno. Perché la danza è un pensiero reale e non verbale.

DRAMMATURGIA: “L’amore coprirà una moltitudine di peccati” di Ciro Ciancio

DRAMMATURGIA: “L’amore coprirà una moltitudine di peccati” di Ciro Ciancio

Fine anni ’90. Battista e Giovanni sono coinquilini. Battista passa le giornate a cercare di dissuadere Giovanni, fotografo di nudi, da compiere il suo “rituale” (masturbarsi rumorosamente in bagno con la foto della donna appena conquistata e, a detta sua, uccisa). Come se non bastasse Giovanni appende in bella mostra sulle pareti del monolocale le foto delle sue conquiste. Battista per risolvere il problema regala un PC a Giovanni su cui potrà salvare tutte le foto invece che metterle per tutto l’appartamento. In ritardo col pagamento delle bollette si ritrovano senza acqua. Entrambi devono provvedere a trovare dei soldi. Battista invita a casa una donna, Elvira, che gli ha chiesto di farsi uccidere. Le ha detto di essere un killer professionista e che ha inventato una nuova tecnica che permette alle persone di scomparire. Parlando con la donna però se ne innamora e decide di “salvarla”. Riesce a convincere Elvira a non uccidersi ma lei incontra Giovanni e i due iniziano una relazione che provoca la gelosia di Battista, il quale dovrà reinventarsi per poter conquistare Elvira.

Il testo ha vinto il concorso “Shakespeare is now!” – edizione 2018. 

I COMMENTI DELLA GIURIA

“Geniale, grande fantasia cinematografica. Bello il colpo di scena finale, i personaggi rimangono soltanto accennati ma qui sta il loro bello. Non sappiamo nulla se non dei dettagli che dicono tutto.” 

“La sensazione di essere ai margini esce dalla carta. Personaggi sporchi e disperati, che parlano in modo sporco e disperato e si comportano in linea con la loro natura. Viene in mente la drammaturgia inglese della seconda metà del 900. Non succede nulla ma nei dialoghi si aprono mondi di immobilità, speranza e violenza. Il linguaggio è azione. Immagini di grande forza che descrivono l’ambiente e l’atmosfera, il disagio esistenziale dove i rapporti interpersonali si dipanano in dialoghi immediati che fanno avanti e indietro attorno ad un senso di vuoto.” 

“Personalmente quando ho letto il tuo testo ho subito pensato che funzionasse come struttura, come personaggi, come indagine sotterranea del banale tema dell’amore che tu hai dimostrato non essere banale, funzionano i dialoghi e il gioco tra le varie coppie comiche. Mi ricorda Sara Kane, sicuramente efficace e di una cruda poesia. Padroneggiando la forma e la dialettica tra i personaggi come fai tu, si possono raggiungere alti risultati. La vicinanza ad altri autori è ancora presente, normale per un autore che formandosi assorbe chi è venuto prima di lui. Ti ho votato come prima scelta.”

> LEGGI IL TESTO 

Biografia dell’autore

Nato il 26/09/1994 a Napoli, ha conseguito la laurea in Lettere Moderne presso la Federico II con una tesi su Michel Foucault dal titolo: La parresìa come “cura” nell’epoca della post-verità. Nel 2017 inizia a studiare drammaturgia presso la Civica scuola di teatro Paolo Grassi di Milano studiando tra gli altri con Renato Gabrielli, Emanuele Aldrovandi, Maria Grazia Gregori, Marco Maccieri. Ha lavorato come tecnico elettricista sia per il teatro che per il cinema partecipando alle produzioni di spettacoli quali “Calderòn” da Pier Paolo Pasolini per la regia di Francesco Saponaro prod. Teatri Uniti, “MDLSX” regia dei MOTUS. Inoltre ha partecipato a vari allestimenti per il teatro Galleria Toledo a Napoli. Finalista al premio “Il Nasso” nel 2015 per la sceneggiatura del cortometraggio “La sigaretta” e vincitore del concorso “Shakespeare is now!” per il testo “L’amore coprirà una moltitudine di peccati”.