«Paradise Now». Chiara Bersani e Giulia Traversi alla direzione artistica di Spazio Kor
Un po’ giocosamente riprendiamo il titolo del celebre spettacolo del Living Theatre per questa intervista a Chiara Bersani e Giulia Traversi, in occasione della nuova avventura come direttrici artistiche di Spazio Kor. D’altronde il tentativo di realizzare un’utopia «qui e ora» accomuna quanto vagheggiato un tempo dal Living e il percorso intrapreso da Bersani e Traversi ad Asti, caratterizzato per l’appunto dalla parola «Paradise». Kor sarà infatti uno spazio accessibile per le persone e gli/le artisti/e con disabilità, dove sarà possibile alle relazioni intessersi e ai desideri esprimersi, dove potere potrà forse significare poter fare e non discriminare, tagliare fuori.
Un luogo dove, nella co-esistenza di corpi, si troveranno nuovi modi di stare insieme, oltre i limiti imposti dalla normatività conformista. Un passo importante per una scena che si vuole aperta ed inclusiva, affinché ciò non avvenga solamente a parole ma nei fatti, a partire dalla condivisione della direzione, con la confluenza del percorso artistico di Bersani e quello manageriale di Traversi. Da sottolineare la collaborazione con ALDiQuaArtists, organizzazione tramite la quale i/le professionist/e con disabilità del mondo delle arti performative stanno prendendo la parola, abbattendo barriere materiali e non.
Quali ragioni vi hanno spinto a chiamare questa vostra prima stagione da direttrici artistiche di Spazio Kor «Paradise»? Quali immagini collegate a questa parola così grande, importante, utopica? Come declinarla in uno spazio artistico e di relazioni?
Paradise è una parola anglofona che sentiamo ricca di possibilità. Noi non crediamo nel paradiso, sia esso metafisico o geografico. Non pensiamo sia un luogo che si può meritare con una condotta considerata idonea o che si può acquistare con un volo aereo e uno sguardo coloniale. Noi crediamo nella possibilità di creare spazi là dove il tempo ha generato strappi.
Spazio Kor è un luogo che per sua natura è stato riscritto molteplici volte, ora è il nostro turno e nel farlo non vogliamo essere in solitudine. Paradise è una parola immediatamente evocativa per ogni persona e noi ambiamo ad unire diversi immaginari di benessere e cura per provare collettivamente a risignificare quel vuoto lasciato da questi due anni di silenzio. Paradise per noi è la possibilità di stare bene insieme, di incontrarci tra esseri umani dopo questo tempo di solitudini. È uno spazio in cui riconquistare la fiducia, dilatare il tempo, fare ogni cosa con calma, provando a non lasciare indietro nessuno/a.
Quali sfide vi lancia la natura dello spazio? Sia per quanto riguarda l’accessibilità fisica che l’ordine simbolico di un’architettura ecclesiastica.
Spazio Kor è un luogo incredibile! Nella sua architettura è scritta una storia lunga, complessa, fatta di abbandoni, chiusure e riaperture. Cambi d’identità e di visioni. Eppure quelle pareti il cui originale richiamo è fortemente leggibile, si sono mostrate negli anni capaci di un’enorme accoglienza.
Ne è un esempio, per noi diventato immediatamente fulcro centrale della nostra curatela, l’accessibilità strutturale ai corpi con disabilità. Spazio Kor è infatti abitabile con semplicità sia dal pubblico che da addetti/e ai lavori con disabilità motoria e questo duplice livello di accoglienza in un edificio nato come chiesa e solo in un secondo momento diventato teatro, è qualcosa di molto raro.
Quando ci siamo entrate/i per la prima volta ne abbiamo immediatamente respirato il potenziale e quando dalla direzione dello spazio è arrivata la proposta di una curatela abbiamo pensato che era il luogo perfetto per provare a spingere questa accessibilità oltre il pensiero architettonico. Che cosa significhi e che tempi chieda un progetto di tale portata lo stiamo ancora capendo e per farlo ci siamo avvalse/i della collaborazione del collettivo di artisti con disabilità Al.Di.Qua.Artists che ci accompagnerà durante i nostri anni di permanenza qui.
Per quanto riguarda il suo passato religioso lo amiamo molto. Crediamo nei luoghi con una storia densa, in particolare quando ricca di contraddizioni. Sappiamo che il passato di un luogo rimane al suo interno e dialoga con il presente in modo molto forte. Adoriamo il cortocircuito in ogni sua forma e sappiamo che quello tra sacro e profano è uno dei più incendiari.
L’inclusività e l’accessibilità saranno due cardini delle vostre azioni, in questo senso la vostra direzione artistica si inserisce in un panorama in cui finalmente gli artisti/e e le professioniste/i con disabilità stanno trovando alcuni spazi nella scena delle arti performative. Che significato ha riuscire ad approdare ad un ruolo decisionale? Anche nel vostro testo di presentazione fate un’interessante riflessione sulla parola potere…
Questa è una domanda importantissima perché la riflessione sul “potere” è arrivata nel momento stesso in cui abbiamo iniziato ad interrogarci sulla possibilità di accettare o meno questo incarico che ci veniva proposto. La nostra prima reciproca domanda è stata «cosa vuol dire per te occupare una posizione di potere»? E la risposta, immediatamente, è stata «smontarla».
Non ci interessa il potere accentratore, non crediamo sia più il tempo per la sostituzione delle figure nei ruoli decisionali ma quello per la riscrittura di queste posture. Noi vogliamo condividere, collettivizzare. E nel farlo scegliamo di essere non una persona ma due e da due a molteplici (condividiamo inizialmente la curatela con Viola Lo Moro e ALDiQuaArtists ma per il futuro ci sono altri possibili immaginari aggiuntivi), vogliamo con noi persone di cui amiamo l’esperienza ma anche altre persone che raramente vengono immaginate come possibili attivatori di azioni collettive (vd artiste/i con disabilità).
Durante la serata della conferenza stampa abbiamo chiesto alle persone presenti di dirci quale fosse la loro idea di paradiso. Ecco, quello appena descritto è il Paradise che vorremmo noi.
Come avete scelto le proposte da inserire in cartellone? Emergono numerosi workshop – indirizzati soprattutto ai/alle giovani – quindi pratiche più aperte e processuali rispetto alla fruizione di uno spettacolo. Guardando poi ai prossimi anni, avete scelto degli/delle artisti/e associati/e: Enrico Malatesta, Attila Faravelli, Eva Geatti e Viola lo Moro. Che percorso intraprenderete con loro?
Ad eccezione di EDEN di MK, opera che abbiamo esplicitamente chiesto per la sua genesi, il suo andamento e la sua meraviglia, e che possiamo presentare grazie al sostegno di Piemonte dal vivo, per il resto della stagione abbiamo provato a lavorare su una condivisione di potere con l’artista che desideravamo coinvolgere. Siamo partite/i dall’individuare artiste/i che amiamo per il pensiero, le pratiche, le poetiche e le relazione e abbiamo detto loro «abbiamo questo spazio e vorremmo condividerlo con te. Tu come desideri abitarlo?»
Siamo artista e manager, conosciamo bene la relazione che si instaura quando si vende una data e sappiamo le pressioni e il disturbo che si possono subire in certe situazioni, quando tutto corre ed è imposto. Quando si desidera essere sostenute/i in lavori nuovi o molto vecchi e si fatica a trovare spazi in cui presentarli. Vogliamo provare a conoscere queste/i artiste/i cercando un nostro agio in questa nuova posizione. Desideriamo con loro un tempo lento.
Con Geatti, Faravelli e Malatesta, per esempio, è accaduto che alla domanda «cosa desideri» sono emerse molte cose, tante che in un anno non avremmo mai potuto contenere, alcune che nel loro stesso desiderio avevano bisogno di maturare ancora, e così ci siamo dette/i «Spazio Kor avrà artisti associati e da qui vediamo cosa accade». Vogliamo provare ad ascoltare e desiderare insieme.
Con Viola lo Moro il dialogo invece è stato differente. È stata chiamata come co-curatrice di un percorso letterario parallelo ed intrecciato alla stagione e vorremmo che questa trama diventasse sempre più fitta nei prossimi anni. Ma Viola, oltre che curatrice e fine intellettuale, è anche Poeta, autrice dell’opera prima Cuore Allegro e anche di questo suo lato vorremmo parlare.
Diciamo che è una stagione che prova a tenere aperte le finestre, a far passare la corrente e lasciare che l’aria e modifichi e crei come magari noi non avevamo immaginato.
Come collaborerete tra voi? In che modo può essere gestita una co-direzione?
In modo totalmente paritario e orizzontale, crediamo che il dialogo e lo scambio d’idee sia la cosa più preziosa che abbiamo. Decidiamo tutto insieme, parlando e andando a fondo su ogni cosa. Diciamo che dopo anni di tournée, di condivisione di sala prove e creazioni, abbiamo oramai un rapporto piuttosto collaudato.
Quali sono i vostri desideri più grandi per questa nuova avventura?
Stare bene e far stare bene tutte le persone che saranno a Spazio Kor, vorremmo che fosse un luogo magico, di piacere, di gioia, ma non vorremmo fosse un’isola, piuttosto un continente pronto a tutto per tutti e tutte.
Lucrezia Ercolani è nata a Roma nel 1992. Interessi e mondi diversi hanno sempre fatto parte del suo percorso, con alcuni punti fermi: la passione per le arti, soprattutto quelle dal vivo; l’attenzione per le espressioni sotterranee, d’avanguardia, fuori dai canoni. Laureata in Filosofia all’Università La Sapienza, è stata redattrice per diverse riviste online (Nucleo Artzine, Extra! Music Magazie, The New Noise, Filmparlato) e ha lavorato al Teatro Spazio Diamante. Ultimamente collabora con Il Manifesto.