20 anni di Attraversamenti Multipli: ogni cosa, ogni persona è connessa

20 anni di Attraversamenti Multipli: ogni cosa, ogni persona è connessa

Non è stata la superstizione legata alla numerologia o alle date nefaste e nemmeno il rischio di temporali, la pioggia a fermare il debutto, la serata inaugurale del Festival Attraversamenti Multipli, venerdì 17 settembre.
Il consueto appuntamento, preludio d’autunno, curato da Margine Operativo con la direzione artistica di Alessandra Ferraro e Pako Graziani, è un progetto artistico che si è sviluppato, fin dal 2001, in una serie di eventi crossdisciplinari, condivisi e vissuti all’interno di spazi urbani.

Gli spettatori sono ritornati numerosi a vivere il rituale collettivo del Teatro, nell’agorà di Largo Spartaco a Roma e, infatti, il tema di quest’anno mette al centro la relazione tra i corpi insieme alla convergenza tra spazio e tempo. Tra l’arte e la dimensione della socialità. Tre anni fa sarebbe risultato come un aspetto troppo scontato su cui porre l’attenzione, ma è bastata una pandemia globale, una lunga fase di emergenza sanitaria per svuotare quella corrispondenza erotica tra artisti in scena a pubblico. Cosa è cambiato nel frattempo? Cosa è rimasto uguale? 

Di certo possiamo affermare che è una sensazione entusiasmante ritrovarsi per un assistere a un evento, confrontarsi nel dialogo, bere una birra. Possiamo anche ribadire che abbiamo compreso tutti la differenza tra distanziamento fisico e distanziamento sociale. Abbiamo applicato il primo per correggere il secondo, in modo pieno e consapevole, anche quando andiamo al teatro o partecipiamo a un evento pubblico.

È bello vedere differenti generazioni che si riuniscono ancora tra di loro, incrociandosi e cercando di contrastare l’inclinazione alla disumanizzazione, alla segregazione. È bello ritrovare la speranza di poter cambiare una o più vite, nella traiettoria di quella linea di pensiero e di comunicazione che mette in relazione persone, culture, provenienze, età, generi e condizioni sociali diverse. Nella consapevolezza di aver vissuto uno o più eventi traumatici, ma di non essere per questo dei sopravvissuti.

La prima delle novità che il pubblico, ma anche la comunità del quartiere ha trovato ad Attraversamenti Multipli nell’edizione 2021 è stata Rainbow, “un’opera da abitare” di street-art ideata da Bol, ovvero Pietro Maiozzi, storico pittore muralista di Roma. Un progetto che è anche una metafora, quella dell’arcobaleno, realizzato per il Festival e per l’isola pedonale di Largo Spartaco. Linee colorate che si estendono in orizzontale, sul lato interno della muraglia di recinzione. Concepita anche come una seduta che accoglie tante persone diverse, ogni giorno. Un simbolo concreto e resistente di inclusione sociale.

Un’altra iniziativa da segnalare è La rivoluzione dei libri un progetto ideato da Alessandra Crocco e Alessandro Miele, prodotto da Progetto Demoni/ Ultimi Fuochi Teatro. Si tratta di una installazione di QR Code letterari, accompagnata da una mappa, disseminati e sparsi un po’ ovunque nel quartiere Quadraro. Un ulteriore modo di fare e dare accoglienza al pubblico in tutte le serate del festival, ma anche ai passanti occasionali che avranno così modo di ascoltare le parole vive di tanti autori. Lungo un percorso che comprende anche luoghi simboli come Garage Zero, il centro sociale Spartaco, Lucha y Siesta, la biblioteca Cittadini del Mondo.

Le voci della rivoluzione che hanno letto e interpretato altrettante clip letterarie sono quelle di Alessandro Argnani, Michele Bandini, Michele Baronio, Tamara Bartolini, Consuelo Battiston, Elena Bucci, Ruggero Cappuccio, Nadia Casamassima, Andrea Cosentino, Alessandra Crocco, Claudio Di Palma, Rita Felicetti, Roberto Latini, Roberto Magnani, Ignazio Oliva, Alessandro Miele, Laura Redaelli, Alessandro Renda.

Un’altra installazione che è diventata una costante di Attraversamenti Multipli, programmata per la serata di apertura è Teleradio Metropoli. Concepita come una “street-tv” e una radio open air, racconta il festival in diretta streaming con un flusso incessante di immagini, notizie e aggiornamenti, musica, racconti e poesie. La voce del conduttore/performer è quella di Andrea Cota, in arte Mondocane che cura anche la selezione dei contenuti insieme con Margine Operativo. La sezione video è curata da Pako Graziani.

Due sono stati gli eventi di punta della serata inaugurale del 17, la performance Asta al buio con Antonio Rezza come banditore e Mash-up di Carlo Massari/C&C Company. Un formato, il primo, strutturato e realizzato in altre occasioni per una finalità benefica. Rezza è al centro di un grande tavolo, davanti al pubblico vivo e vivace di Largo Spartaco che commenta, ride, applaude. Decide la base d’asta di oggetti che non sono visibili. Non sono esposti, possono essere reali o astratti, di volta in volta vengono soltanto descritti dall’attore-regista nato a Novara, ma nettunese d’adozione. E le sue descrizioni sono originali e molto generiche, spesso fuorvianti, difficile avere la certezza di avere fatto un affare o meno, si scoprirà soltanto alla fine.

Il banditore Rezza spende il suo estro e il suo eclettismo nel gioco-dialogo con il pubblico, in una dimensione goliardica, surreale ma al tempo stesso anche genuina e di grande empatia. Una volta effettuato il pagamento, i premi vengono mostrati e consegnati agli acquirenti con la lettura delle expertise.

L’opening si avvia alla sua conclusione con il secondo evento previsto per la serata, la prima nazionale dello spettacolo di danza Mash-Up. Nonostante la sua breve durata (25 minuti), esso contiene tracce e preziosi contenuti da sviluppare ed espandere fino a raggiungere una sua definizione e completezza. Carlo Massari continua la sua narrazione, il suo racconto sulla miseria umana. Due aspetti che caratterizzano le sue opere, la cifra della compagnia C&C Company.

Le note che accompagnano la presentazione della performance contengono una calzante citazione che appartiene al filosofo e scrittore tedesco, Ernst Fischer.
«In una società decadente, l’arte, se veritiera, deve anch’essa riflettere il declino. E, a meno che non voglia tradire la propria funzione sociale deve mostrare un mondo in grado di cambiare». L’arte sta mostrando un mondo in grado di cambiare? Il mondo è in grado di cambiare?

Massari porta in scena questa tensione emotiva. Il disturbo ossessivo-compulsivo di misurare quasi tutto: parti del corpo, spazi e ambienti, attività umane. Il consumismo. La carne, compresa quella dell’artista. Una combinazione potente a livello drammaturgico. Una voce fuori campo racconta di quanto il consumo di carne animale sia eccessivo oltre ad essere crudele, e di come gli allevamenti intensivi hanno un impatto devastante in termini di consumo di risorse.

Ecco allora che la carne cruda diventa il simbolo peculiare del cedimento strutturale, del crollo della società. Carne che divora carne. Non cresce su un albero come un frutto e nemmeno tra le piante dell’orto. Viene asportata, brutalmente, da un essere vivente, un animale che, morendo, verrà macellato per poter essere confezionato. In una catena di produzione che è diventata sempre più sorda e sempre meno etica, anche perché la domanda è più alta di ciò che la natura offre.

Mash-up è la metafora dell’indifferenza, ma in modo più esplicito dell’avidità. Un desiderio smodato e insaziabile che si è riversato in ogni settore umano, anche nell’arte. Nella ricerca spasmodica di nuove forme di espressione e di movimento, Nei rapporti sociali e nelle dipendenze di ogni genere. Nei legami di sangue. È singolare come un fonema, simile a un muggito, diventa la parola “mamma”. Carne che genera altra carne. Ma quel suono, però, sembra letale come un grido di disperazione e di morte.  

In chiave filosofica e drammaturgica, Mash-up di Carlo Massari è vicino alla pittura di Mark Rothko. La forza embrionale di questo progetto consiste nella capacità di svelamento, di penetrare zone inaccessibili. Spogliarsi per immergersi negli strati più profondi delle cose. La direzione della “conoscenza diversa” in fondo è la stessa e accomuna il pittore al coreografo.

La docente e storica francese Annie Cohen-Solal menziona un aneddoto, una confessione fatta da Rothko allo scrittore John Fischer, suo amico, che riflette la sua inquietudine di poter tradire i principi nei quali credeva. L’artista era stato incaricato di realizzare una serie di grandi tele per ricoprire le pareti della sala più prestigiosa di un ristorante molto esclusivo nel Seagram Building di New York. Lui accettò la sfida con l’intenzione di realizzare qualcosa che rovinasse l’appetito di tutti i ricchi e potenti che avrebbero mangiato lì. E per raggiungere l’effetto opprimente utilizzò colori dai toni più cupi di quelli che aveva solitamente usato. Quei dipinti non vennero mai appesi ma Rothko aveva ottenuto, disse a Fischer, l’effetto claustrofobico che Michelangelo aveva creato nella sala della scalinata della Biblioteca Medicea: «Far sentire agli spettatori che sono intrappolati in una sala nella quale tutte le porte e le finestre sono murate, in modo che l’unica cosa che possono fare è trovarsi faccia a faccia con la parete».

Quando corpo e cultura diventano una cosa sola, la miseria umana cessa di esistere. Incontro con Carlo Massari

Quando corpo e cultura diventano una cosa sola, la miseria umana cessa di esistere. Incontro con Carlo Massari

Beast without Beauty – C&C company

L’indagine sul corpo, sul peso specifico di diversi corpi che interagiscono tra di loro fino a costituire una società, in una una città con i suoi spazi urbani, è ciò che è emerso nel lavoro Lui Lei e L’Altro presentato da Carlo Massari al Festival Attraversamenti multipli, a Roma, e di recente a Brescia, al Festival Wonderland. Carlo Massari è anche il direttore artistico del progetto formativo Anfibia, inaugurato lo scorso 21 ottobre e che propone un percorso di approfondimento multidisciplinare per artisti e creatori contemporanei.

Il nostro incontro-intervista è avvenuto a Bologna in un intervallo “spazio-temporale” tra A peso morto e Les Miserable, l’ultima creazione di C&C Company, presentata alla NID Platform di Reggio Emilia e che con grande attesa debutterà nella Capitale il prossimo 21 dicembre nell’ambito del Festival Teatri di Vetro presso il Teatro India di Roma

Per iniziare: un approfondimento su Lui Lei e L’Altro e su A peso morto. 

Il trittico Lui Lei e L’Altro prende vita all’interno del macro progetto chiamato A peso morto.  Tre sono i caratteri principali, ma immagino che possano aumentare, come una serie di “Attraversamenti multipli”. Ci sono una figura maschile, l’anziano, una femminile e la terza, un super partes che guarda, non dall’alto ma dal basso, gli altri due. In qualche modo è una sorta di dio della periferia. Lì dove nasce, nel 2016 con l’intento di raccontare quei luoghi in maniera semplice.

Un tema che è molto presente e forte a livello internazionale, non solo in Italia, in questo momento. Il tentativo è quello di collegare gli spazi periferici, tutti quei luoghi che sono una sorta di dilatazione del centro di ogni città. Ogni periferia urbana ha di fatto una propria identità. Se guardiamo Roma, ad esempio, i suoi quartieri, le borgate, non avranno né pregi né difetti rispetto al centro di Roma. Avranno le loro peculiarità e una vita rappresentata e vissuta quotidianamente dalle persone che li abitano. Il problema è che l’espansione dei centri urbani tende ad annullare le identità periferiche. Vengono assorbiti, in un contesto di uniformità, sia il vecchietto che ascolta tutto il giorno la mazurka con la radiolina, sia la badante che parla una lingua diversa dalla sua.

Il mio vuole essere un tentativo di rendere partecipi le persone del fatto che ognuno conserva e consegna esperienze e memorie ad altri suoi simili. Lo descrivo come se fosse l’ultimo battito o fiato di queste persone. L’ultima loro possibilità per esprimersi, prima di sparire e di cadere nell’oblio come personaggi. In questa sorta di mescolanza in cui non sappiamo neanche noi che forma abbiamo. Il mio, il nostro, vuole essere un tentativo di rianimare degli eroi, dei guerrieri caduti in rovina.

Questo è un lavoro sulla miseria e fa parte di quello che è il percorso di ricerca della compagnia C&C. Nell’arco di un triennio, stiamo indagando, con il nostro lavoro, sula bestialità umana. Un esempio concreto di ciò è il dimenticarsi degli altri, di fatti. Di Forme di storia, per citare il titolo del libro di Hayden Whyte, ovvero forme di racconto in equilibrio tra la ricostruzione della storia e la rappresentazione della realtà.

Hai accennato alle fasi di anzianità e di oblio, nella conclusione di un ciclo biologico. Qual è il tuo pensiero sul tema della vecchiaia? Da giovanissimo ti sei mai sentito mentalmente più “anziano” rispetto ai tuoi coetanei? 

Ho iniziato a 14 anni il mio percorso professionale, il mio primo contratto è ancora incorniciato nella mia camera. Sicuramente mi sono dovuto relazionare molto presto con il mondo degli adulti, con qualcosa di più grande di me: entrare e muovermi all’interno di un sistema che non era quello adolescenziale, un sistema molto più complesso.

Questo tema mi ha sempre interessato e tuttora mi incuriosisce fortemente. Non a caso ci sono caratteri che contagiano i miei lavori in Beast without Beauty come nel prossimo Les Miserable. Nel 2021 ci sarà un nuovo progetto che proporremo come una miscellanea sull’anzianità. Mi affascina molto il corpo e la figura dell’anziano perché racchiude, è un accumulo di movimento, di gesto in implosione. C’è un meraviglioso spettacolo di Maguy Marin, May b, che racconta tutto questo. Lei è una coreografia francese che per me è maestra tanto quanto Pina Bausch. Un mito nella danza internazionale e mondiale che ha segnato e ha contribuito a contraddistinguere il mio stile. 

Lei usa la figura degli anziani in May b come cardini del suo lavoro proprio perché nonostante i loro limiti, portano dentro una vita di movimenti che hanno interiorizzato e vissuto. Io credo che ogni corpo è eternamente in dispersione e accumulo di informazioni. Trovo maggiormente interessante la senilità di un danzatore veterano che fa meno cose rispetto a un giovane ventenne che non ha ancora il carico di un bagaglio esperienziale su di sé. Non a caso questo fa parte del percorso di ricerca della nostra compagnia C&C, che vuol dire Corpo e Cultura, il principio a cui si ispira è la trasformazione. Di come l’uno può modificare l’altra e viceversa.

Beast without Beauty – C&C company

Il teatro, nella sua concezione più ampia, è legato all’idea della morte? Così come avviene per il corpo di una persona, nello stesso modo anche le emozioni, i ricordi di uno spettacolo si decompongono?        

In generale credo che l’atto performativo sia un rito, fin dai tempi degli antichi Greci, gli inventori di quelli che sono i principi, le basi del teatro. La morte è una parte molto forte e molto presente di questa ritualità. Per come la intendiamo noi occidentali, ma anche per gli orientali, è un processo naturale a cui nessun uomo si può sottrarre e, allo stesso tempo, comporta un meccanismo di cerimoniale codificato. Nel momento dopo la morte c’è la commemorazione, l’esaltazione, attraverso il funerale, della persona ma soprattutto della sua perdita. Il Teatro, in quanto rito la comprende pienamente. La sagra della Primavera di Pina Bausch è più che mai un esempio eclatante di tutto questo. Stravinskij compose Le sacre du printemps, quello che noi conosciamo e identifichiamo con il termine “sagra”. In realtà la traduzione più corretta e aderente con le sue origini sarebbe “Il rito della Primavera”.

Una celebrazione che è benaugurale ma che comprende anche il macabro in sé, ovvero il sacrificio di una vergine, la quale veniva uccisa. Quest’opera ha allargato i miei orizzonti, ho avuto la fortuna di farlo con Michela Lucenti del Balletto Civile e devo dire che è stato un incipit che ha cambiato non solo la prospettiva fisica ma anche la riflessione sul rapporto tra arte, ritualità e morte.    

Quale è stata è qual è la tua esperienza artistica nell’alternare spazi grandi e piccoli, urbani e non?  

In generale a me piace alternare i linguaggi che uso. Credo fortemente nell’arte che non a caso viene definita “anfibia” e che attraversa o viene attraversata da diversi codici. Costantemente contagiata, per giungere a una comunicazione più alta e altra. Detto questo, è necessario conoscere i paesaggi e i linguaggi artistici tanto quanto quelli fisici. La creazione in sala e al chiuso è qualcosa di molto grande, forte, complesso. Credo però che ci siano dei panorami e delle situazioni tipo Attraversamenti multipli che contengono una scenografia e delle luci naturali. Una complessità che io definirei cinematografica.

Qualcosa che in qualche modo sarebbe irriproducibile in teatro. Bisogna buttarcisi dentro come artisti, se piace come modalità. Mi ritorna in mente il ricordo di un momento, di quando provavo con i tacchi all’aperto, nell’isola pedonale di Largo Spartaco. Alcuni bambini mi guardavano stupefatti.

Quando me li sono tolti mi hanno chiesto: « Ma adesso non danzi più? Pensavamo che il tuo modo di muoverti e di danzare fosse provocato dai tacchi ». In qualche modo avevano ragione. C’erano anche delle signore anziane che mi hanno fatto i complimenti per come portavo quelle scarpe. Questi sono due chiari esempi di come nella realtà di un contesto specifico, si possa essere influenzati reciprocamente. Ho restituito a quelle persone una forma d’arte che ha contagiato me, in tutta la sua complessità. Essere integrati all’interno della società per me è alla base del mio lavoro artistico.

Andare a teatro è una scelta, ad Attraversamenti multipli è il teatro che va verso le persone. Questo vuol dire che per l’artista è una scelta quella di mettersi in gioco, è uno stare nudo, lì dove viene a mancare una quarta parete. La meraviglia consiste proprio nel vedere le persone e loro possono in contemporanea vedere te che sei in azione.Questa creazione teatrale credo che sia bistrattata non solo a Roma, ma in tutta Italia. Un Paese che vive di tante periferie che non sono considerate abbastanza, perché la cultura da noi è ancora qualcosa d’elite.

Alessandra Ferraro e Pako Graziani (direttori artistici del festival, ndr) sono ormai quasi venti anni che portano alla periferia una rassegna come Attraversamenti multipli, l’opportunità di una elevazione culturale. Questa è una gran cosa e non a caso ci conosciamo e collaboro con loro da quasi dieci anni. Proprio perché c’è una sintonia, una corrispondenza a livello di linguaggio e di pensiero. È diventato quasi un legame di idee, è come se guardandomi intorno, in quella piazza di Roma, ci fosse il mio necessario nutrimento, tanto quanto io posso esserlo per loro.

Les Miserable – C&C company

Il nutrimento di cui parli tu, la sfida che rappresenta, conduce all’unione delle singole unità di cui è composta una comunità civile o artistica?

Alla base c’è sempre l’idea del crollo, la caduta. Nel cadere a terra ci sono mille similitudini tra l’uno e l’altro. Per poter creare una cartina geografica, un mappamondo, in qualche modo prima bisogna perdersi in quello spazio. In questo caso, lavorare nel sociale e con la gente, a stretto contatto con le persone, fa sì che ci si possa perdere in una sorta di mare magnum, in un orizzonte fatto di elementi, di persone, di differenze. Quello che mi interessa realmente, qualunque sia il progetto che affronto, è che io lo stia trattando con le persone. Credo fortemente che, per quanto riguarda l’arte, la creazione consista nel perdersi, nella ricerca e nei pensieri, per poi affinarli, raffinarli e disegnarli per e con gli altri.

Noi partiamo sempre, come esseri umani, dal punto di vista soggettivo, personale per andare a trasformarlo e a renderlo oggettivo. Un mio pensiero, una mia visione, un mio obiettivo personale diventano qualcosa di condivisibile, di aperto, nel quale le persone si possono riconoscere. Se non avviene questo passaggio, per me non avrebbe nemmeno senso fare quello che faccio. Il giorno in cui non riuscirò più a rendere oggettivo un mio pensiero allora sarà giusto che io faccia altro. Quello che io contesto, in questo momento, a molti artisti e creatori è il far subire passivamente pensieri e visioni allo spettatore. Sia nell’ambito della danza sia in altri contesti artistici. 

Per concludere: puoi condividere con noi un approfondimento di Les Miserable ? 

Les Miserable è un progetto che fa sempre parte del progetto triennale di ricerca sulla bestialità umana. Giocando sul titolo della celebre opera di Victor Hugo, su quello che tutti conoscono come musical con l’omonimo titolo, il tentativo vuol essere quello di parlare della miseria umana. Mentre in Beast without Beauty c’è la brutalità, la cattiveria del fare male all’altro e agli altri, in Miserable c’è la miseria del lamentarsi delle cose ma lasciare che esse stesse vadano avanti in quel modo. Vedere situazioni o maltrattamenti, ma rimanere indifferenti come nella nostra società contemporanea. Gli atteggiamenti di buonismo, il tanto parlare che non si chiude in nulla.  Les miserables ha avuto la sua prima apertura Reggio Emilia al NID Platform l’11 e il 12 ottobre e avrà poi un’evoluzione, si potrà vedere il 21 dicembre a Roma presso il Teatro India, all’interno del festival Teatri di vetro che è co-produttore del lavoro. Insieme con me ci saranno Alice Monti, Stefano Roveda, Nicola Stasi.

Tre racconti nell’umanità e nella bellezza dell’amore

Tre racconti nell’umanità e nella bellezza dell’amore

Parlare, scrivere, recitare l’amore possono avere anche la funzione di rilevare e condividere il coefficiente di umanità insito in ognuno di noi. Il teatro, la danza, l’arte in genere perderebbero l’appeal delle loro produzioni se all’improvviso, per qualche misterioso e incomprensibile motivo, sparissero questi due elementi.

Mediante la nostra esplorazione vogliamo raccontare le storie di tre creatori artistici, i loro punti di vista e le diverse, forti personalità che ne hanno ispirato gli ultimi spettacoli. Utilizzando i movimenti della danza, le estetiche e le poetiche, ognuno di loro ha declinato in chiave contemporanea tutto ciò che si muove intorno all’amore e all’umanità. In presenza o in assenza di essi. Nella vita reale, nella routine quotidiana. In questo secolo o in raccordo con quello precedente.

La passione di Davide Romeo per le partiture coreografiche, si delinea fin da giovane, dai tempi del liceo classico a Reggio Calabria, città dove inizia a studiare anche danza classica. Si specializza successivamente nella contemporanea e si laurea al Dipartimento Arte Musica e Spettacolo dell’Università Roma 3.

Era l’estate del 2014, il mese di Agosto per l’esattezza. Uno spettacolo di danza contemporanea “Lo que se mueve no se congela” andava in scena a La Paz e, ancora dopo, in tutto il Sud America con una tournée. La regia e le coreografie erano di Davide Romeo e grazie a quel momento nacque la compagnia Uscite di Emergenza di cui Romeo è il coreografo e il direttore artistico.

La missione che orienta la compagnia e le produzioni è un concept che unisce teatro e danza, interazione nella riflessione. L’unicità delle performance fa sì che ognuna di esse diventa un momento che non riproduce mai gli sviluppi, le stesse condizioni da cui nasce. Non a caso, una citazione dell’autore – commediografo austriaco Karl Kraus che piace a Davide Romeo è: “Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato.”

Ero filo d’agave

Ero filo d’agave

Ero filo d’agave è una delle ultime composizioni, un insieme di pezzi che rimanda a tante suggestioni a iniziare dal titolo. Una pianta medicinale l’agave, la cui fibra estratta è molto resistente e può essere trasformata in tessuto vegetale. La sua fioritura impiega dagli 8 ai 40 anni e, una volta avvenuta, con essa arriva la morte. Non prima però di aver lasciato i semi di un nuovo ciclo, contenuti nel frutto che si sviluppa dal fiore. Un ciclo vitale che insegna che in natura ci sono delle semplici regole. E poi c’è la libertà positiva dell’uomo, l’autodeterminazione. La responsabilità delle sue azioni e delle sue volontà.

Tre parole, un gioco di assonanze: Eros, Philia, Agape. I tre volti dell’amore. Quello carnale, quello sentimentale che realizza amicizia e complicità e, infine, quello spirituale, oblativo. Ero filo d’agave non è il racconto di una storia che da Alpha porta ad Omega, con una serie di passaggi intermedi. Non è l’equazione perfetta che, una volta risolta, conduce a Dio passando attraverso l’incontro carnale. Sono tante superfici riflettenti in altrettante composizioni.

Servono per guardarsi dentro e riconoscersi ora nell’uno, ora nell’altro. Lo spettacolo viene descritto dalla compagnia come “un modo frammentato di presentare una serie di possibilità di uno stesso universo”. La ricerca è stata realizzata e indirizzata verso il recupero di una essenzialità delle azioni, dei movimenti dei corpi. In ogni episodio i danzatori hanno vissuto un rapporto molto intimo, in una dimensione di coppia o individuale. Un rapporto molto forte con il pavimento, ricreato con lo studio sulle cadute, tema molto caro a Davide Romeo. Un equilibrio perfetto tra floorwork, contact e azioni fisiche.

Ero filo d’agave si compone di due parti, tre pas de deux, nella prima. Il primo è Zaffiro, con Francesca Vitillo e Lara Cerrato, seguito da Plenaria, con Jonathan Colafrancesco e Davide Romeo. L’ultimo è Luxury Problems con Marco Cappa Spina e Michael Pisano. In ogni passo a due, vengono raccontate storie da due punti di vista diversi che si consumano e si esauriscono all’interno delle relazioni vissute e portate in scena. La seconda parte è un gioco sugli stereotipi tra ironia e leggerezza. The Great Pretender con Marco Cappa Spina e Saturno a favore con Giovanna Zanchetta. Il finale avviene con Ceci, un tableau vivant, una composizione scenografica che mette insieme corpi, immagini oniriche e suoni, come quelli di una tammurriata, una pizzica, una tarantella.

Ero filo d’agave

Ero filo d’agave

La danza come atto di inclusione utilizza una molteplicità di linguaggi: assorbe umanità e amore per restituire bellezza e poesia

Questa è l’ispirazione alla base di “Simple Love: Odi sull’essere umano”. Uno spettacolo composto da quattro parti. Due sono le coreografie di Roberta Ferrara: Equal to men con Tonia Laterza e Simple Love con Nicola De Pascale e Tonia Laterza. Le altre due sono Walking & Talking di Jiří Pokorný danzatore e coreografo del Nederlands Dans Theater e Nunc di Gaetano Montecasino, danzatore della Compagnia Zappalà Danza.

L’indagine sull’essere umano è il filo conduttore del lavoro a più voci. Vari passaggi, mondi interiori che si rivelano, connessioni intime, partiture coreografiche e sonorità differenti realizzano un singolare momento performativo. Una connessione misteriosa unisce aspetti così diversi tra loro: la forza e la fragilità, l’amore verso gli altri e verso di sé.

Equal to men riprende la definizione di Omero, il quale apostrofò le Amazzoni, le donne guerriere, “uguali agli uomini”. Un rapporto del 2019 sulle donne, le imprese e la legge, promosso dalla Banca Mondiale, ha misurato la discriminazione di genere in 187 paesi. Risulta che gli unici paesi al mondo a sancire l’uguaglianza sono Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia, Lussemburgo e Svezia. Questo dato oggettivo serve a far riflettere senza arroccamenti ideologici. Kristalina Georgieva, presidente ad interim della banca, ha dichiarato che le donne rappresentano la metà della popolazione mondiale e hanno un ruolo da svolgere nella creazione di un mondo più prospero.

Walking & Talking è un “mono-dialogo interpersonale” che mette in luce diverse contraddizioni: la follia e l’equilibrio, il silenzio contrapposto al pericolo di evitare le voci interiori, i ricordi e la memoria. “Camminiamo e parliamo come se dormissimo e sognassimo”.

Gaetano Montecasino ha tratto l’ispirazione da “Il potere di adesso” di Eckhart Tolle per Nunc. Rappresenta il passaggio da un momento negativo a uno positivo. Tolle sostiene che il presente racchiude la chiave per la liberazione, ma non si può riconoscerlo finché sei tu la tua mente.

Simple Love è la storia di un amore semplice, di una ragazza che trova il suo equilibrio appoggiandosi al suo compagno, un ragazzo. I due si osservano e si confrontano mentre i loro corpi si cercano e si sciolgono in una sfida di contrappesi e simmetrie, tra sentimenti e sensazioni. L’accordo da raggiungere è quello tra ragione, corpo e sentimenti, fino al punto da stare in piedi e in equilibrio da soli.

Equilibrio Dinamico è la compagnia pugliese “non d’autore, ma di repertorio” fondata nel 2011 da Roberta Ferrara. A giugno del 2019 e per un mese, Simple Love sarà in tournée in America, nell’ambito del Seattle International Dance e presso l’Experimental Film Virginia.

La storia ci insegna che in ogni secolo ci sono stati momenti ed episodi di mostruosità

La progressiva disumanizzazione ha sempre condotto verso la violenza e, infine, alla guerra. In momenti di inaudita ferocia c’è sempre un anelito di speranza che produce e infonde bellezza. Fonte d’Amore è una località alle falde del monte Morrone a Sulmona. Un sito con un nome evocativo, famoso per essere stato, ironia della sorte, la sede di un luogo di prigionia. Un lager chiamato “Campo 78”. I tedeschi usarono i numeri non solo per i deportati, ma anche per denominare tutti i campi di concentramento sparsi sul territorio italiano.

Vita e morte, odio e amore, umanità e bestialità, orrore e bellezza: l’uomo è stato capace di generare ogni cosa e il suo opposto nel passato, ma continua a farlo anche nel presente. Tutto questo lo conosce bene e lo ha portato in scena Carlo Diego Massari con Beast without beauty. In due recenti occasioni, a Roma a febbraio, al Teatro Biblioteca Quarticciolo; a marzo a Schio, al Teatro Civico, in occasione del Festival Danza In Rete.

È uno spettacolo di teatro-danza che utilizza diversi linguaggi dal movimento fisico alla parola, dalla danza al canto. L’idea di Massari, autore del progetto Anfibia, è che “il movimento in realtà nasce da cosa voglio dire e come lo voglio dire. Cerco sempre di allontanarmi dallo stile dei classici, sebbene sia nel mio DNA. Tutto quello che fa parte del movimento canonico codificato, quando creo, mi arriva addosso perché comunque fa parte del mio passato, mi attraversa, ma cerco di separarmene.

Questo perché credo che così come si è evoluta la lingua con i modi di dire, gli slang, si debba evolvere anche il livello della comunicazione fisica. Tendo sempre a mantenere una struttura, un disegno scenico classico di spostamenti nello spazio. Il corpo si muove con nuovi linguaggi all’interno di un modello riconoscibile. Nižinskij ha introdotto l’idea, l’importanza del cerchio. Non ha inventato nulla perché ha preso dalle danze popolari tradizionali russe. Il cerchio rappresenta una società”.

I movimenti circolari compiuti da Carlo Diego Massari ed Emanuele Rosa durante Beast without beauty descrivono la forma di una società atemporale sulla base anche del modello di Vaclav Fomič Nižinskij, coreografo e ballerino ucraino di origine polacca. Sono l’insieme dei punti di una rappresentazione. Il cerchio per il dialogo, le linee spezzate per l’incomunicabilità, le parallele per l’impossibilità di un incontro.

Beast without beauty

Beast without beauty

Un altro elemento fondamentale è il tema delle relazioni umane che possono generare o meno la bellezza. La mostruosità dell’indifferenza, come dice Massari: “La base del nostro lavoro è il guardare i barconi che affondano sorseggiando una tazza di tè. È l’uomo contemporaneo nel suo egoismo. Come se fosse diventato prioritario, in questo momento storico, difendere il proprio orticello. Sicuramente c’è il discorso legato ai meccanismi del potere però il punto di partenza è proprio come si dice in francese “je m’en fous” – me ne frego di chiunque e di qualunque cosa. L’importante è sopravvivere ancora una volta.

È un meccanismo che nasce durante le guerre e cresce in assenza di combattimenti. In questo momento siamo in una sorta di conflitto taciuto, ci si scontra con altri sistemi, con altri mezzi, con i media. È una crisi culturale studiata, mirata, un imbarbarimento che porta ai nazionalismi. Questo lavoro è nato a livello di creazione nel marzo del 2017. Mi sono ritrovato a marzo 2018 e ancor più mi ritroverò a marzo 2019 a rifletterci. Guardandomi intorno mi sono detto che avevo fiutato qualcosa. Il pubblico si riconosce e riesce a leggerlo facilmente, perché ci appartiene. Mi spaventa quasi farlo perché quello che avevo previsto nel mio immaginario è accaduto nella realtà. Probabilmente, il prossimo passo sarà finire In una dittatura all’interno di un sistema del terrore”.

La storia insegna a riconoscere il volto di una dittatura, la mostruosità della guerra, il “sonno della ragione” citato da Francisco Goya. Il monito di quel che è stato nel passato scuote il torpore del presente dei nostri giorni. È nella crudeltà del male che si insinua il risveglio delle coscienze e dei cuori. Quando il comando italiano del Campo 78 ebbe la notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943, chiesto dal governo italiano e accolto dal generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane, i militari decisero di allentare la vigilanza.

Molti prigionieri evasero sperando di intercettare le truppe alleate, oltrepassato il fronte rappresentato dal fiume Sangro. Al sopraggiungere del comando tedesco iniziarono i rastrellamenti e le intimazioni. Nonostante l’alto rischio, Sulmona si distinse per la sua grande opera di solidarietà, di aiuto. Si attivarono i paesi, si aprirono le porte delle case di campagna della Valle Peligna, il Borgo Pacentrano. Ben settemila prigionieri furono così salvati. Far conoscere, tramandare l’esempio del cosiddetto “Spirito di Sulmona” oggi serve perché c’è un grande bisogno di ritornare a sentirsi simili nella stessa natura.

Nell’umanità e nella bellezza dell’amore. Non solo è possibile, ma è necessario.

Attraversamenti Multipli 2018: La prima settimana con Ascanio Celestini, C&C Company e Roberto Latini

Attraversamenti Multipli 2018: La prima settimana con Ascanio Celestini, C&C Company e Roberto Latini

Sette appuntamenti densi e articolati nell’orario che solitamente si estende dall’aperitivo al dopo-cena. Attraversamenti Multipli ( qui un approfondimento) è un festival crossidisciplinare, della durata di sette giorni non consecutivi, ma articolati in tre fine settimana, nel quartiere popolare di Roma del Quadraro, più precisamente nell’isola pedonale di Largo Spartaco, un luogo fiero come il leggendario Spartaco che fu tante cose: pastore della Tracia, ausiliario della milizia romana, disertore, gladiatore e rivoluzionario, tra i primi della storia. Forse non è un caso che quel piazzale aperto che, qualcuno ha recentemente “desalvinizzato”, come recita uno slogan scritto con vernice nera su un muretto, sia stato in precedenza consacrato a quel condottiero ribelle. Nomen omen. E sempre nei nomi troviamo qualche traccia di un presagio, una formula o semplicemente una dichiarazione d’intenti.

foto di Chiara Cocchi

Attraversamenti Multipli è, dunque, un festival crossdisciplinare, un progetto che prende forma e svolge la sua azione in spazi pubblici e luoghi simbolici; mette in connessione arti, codici e artisti diversi, creando una rete con la realtà sociale, con i frammenti di vita di una comunità. È un manifesto che riunisce insieme teatro, danza, musica, video e performance attraversandoli, con la messa in opera di residenze artistiche, performance site specific e workshop. Passare attraverso, da una parte all’altra, comporta lo stato di necessità e le visioni esplicitate nello slogan #sconfinamenti perché inevitabilmente Attraversamenti Multipli tende al superamento dei confini tra culture diverse, tra differenti generi artistici e, infine, il definitivo superamento dei margini di azione tra artisti e spettatori. Lo spazio scenico infatti è volutamente concepito e lasciato senza reti di protezione e senza il perimetro della recinzione diventando il luogo di ciò che accade con le diverse creazioni artistiche. È un dato certo e oggettivo, un elemento costitutivo di Attraversamenti Multipli, così come è garantito incontrare i sorrisi di Giulia Taglienti e Antonella Bartoli, le ragazze dell’ufficio stampa e comunicazione.

Tutt’intorno ci sono ragazzi sui muretti e sulle moto, i ragazzi dell’accoglienza e della logistica, gli spettatori di un pubblico mobile ed eterogeneo, un po’ nomade per vocazione, i cani randagi e quelli toelettati, gli operatori dei pub con hamburger e patatine che, di tanto in tanto, urlano i numeri delle prenotazioni. Ci sono gli alberi rivestiti di blu dalla luce dei riflettori e le biciclette addossate sulla loro corteccia, i condomini che sembrano tante caselle illuminate del Bingo. Mescolandosi tra di loro le persone, creano i presupposti dell’inclusione, della solidarietà e di quelle condizioni che nel passato portarono allo sviluppo delle civiltà. Avvenne in questo modo, mediante una mescolanza e sempre con un’opportunità di rinnovamento per ogni sfida dell’umanità. E così dovrebbe continuare ad essere. È così che vogliamo raccontare la diciottesima edizione ideata e creata da Margine Operativo con la direzione artistica di Alessandra Ferraro e Pako Graziani.

foto di Chiara Cocchi

Il viaggio è iniziato con la prima tappa del 15 e 16 settembre: un’affollata ouverture. La piazza si è riempita con uno pubblico numeroso e sconfinato oltre il perimetro di Largo Spartaco. L’apertura ha avuto come protagonista Ascanio Celestini che in un passaggio de Il Nostro Domani si presenta come un uomo di quel quartiere, uno del Quadraro, prima ancora che un intellettuale. Autentico perché nella descrizione di fatti e persone non risparmia niente a nessuno, commuove e si commuove, sembra volersi più volte sollevare la t-shirt scura, quasi a scoprire l’ombelico, mentre interpreta le pagine dure e di crudele ingiustizia con la musica eseguita dal vivo da Gianluca Casadei.

Parla di Gramsci come se ce ne fosse più che mai bisogno: immagina l’urgenza che avrebbe avuto un gigante di un metro e cinquanta di nominare oggi come ministro della Giustizia una donna, una madre, una sorella, un fratello che hanno conosciuto l’ingiustizia di veder ammazzato il proprio familiare, intrecciando così la storia del padre del comunismo italiano con quella delle vittime di Stato come Davide Bifolco, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e gli altri tristemente noti. Ascanio Celestini, con estrema semplicità e una buona dose di surrealismo, ambienta le proprie fiabe moderne in luoghi paradossali dove regnano l’antinomia e la violenza, scava in profondità nella storia italiana e fa riemergere tutta l’ignavia umana nel raccontare l’indolenza di quell’uomo che abita al venticinquesimo piano, incurante di quel rubinetto rotto e di tutte quelle gocce che allagheranno inesorabilmente il suo appartamento e quelli sottostanti, in una narrazione metaforica di una Italia senza antenati né posteri perché senza memoria.

Successivamente si è svolta la performance di C&C Company A Peso Morto, con l’interpretazione di Carlo Diego Massari. Il suo racconto prende vita all’interno dell’isola pedonale di Largo Spartaco, la abita con l’energia espressiva del corpo descrivendo la parabola di un anziano abbandonato a sé stesso: un emarginato di una qualsiasi periferia che incede inesorabile, con la sua faccia stanca, con le sue buste da clochard, verso la fine. L’epilogo lo attende come se fosse la chiusura di una pratica, l’oblio lo ha conosciuto già ed è stampato sul suo volto come il segno di una resa invincibile.

Anfibio, senza forma definitiva per natura umana e per natura artistica si definisce Carlo Massari con il quale tentiamo di tracciare un primo bilancio di vent’anni di attività. Le prime importanti esperienze a 14 anni con il regista e drammaturgo Pietro Luigi Floridia del Teatro dell’Argine, che oggi dirige “Met”, acronimo per Meticceria extrartistica trasversale, nuova casa di incontri, arte e teatro di “Cantieri Meticci”, riunendo rifugiati e richiedenti asilo, migranti e giovani artisti, con Luigi Gozzi, drammaturgo e regista, docente del Dams di Bologna e Barbara Nativi del teatro della Limonaia di Firenze con cui ha collaborato nell’ultimo lavoro “Binario morto”. Tanti i nomi e i luoghi incontrati lungo la strada del teatro: le repliche frenetiche fra Italia e Grecia con Sergio Pisapia Fiore e poi con la Compagnia della Rancia, ma decisivi soprattutto le collaborazioni a Londra presso la compagnia Theatre de l’Ange Fou, fondata dagli allievi del mimo francese Decroux, al Teatro Due di Parma con Claudio Longhi e Malu, prima ballerina di Pina Bausch e a Bruxelles con il coreografo coreano Hun-Mok Jung della compagnia di danza contemporanea Peeping Tom.

Come un’epifania, l’incontro con Michela Lucenti di Balletto Civile ai tempi in cerca di nuovi performer per la compagnia. La sua formazione eccezionale è stata uno dei cardini della mia vita – ricorda con felicità Massari – sono rimasto con Balletto Civile per cinque anni finché non c’è stato il subentro di C&C. Dal 2011 infatti inizia la collaborazione con Chiara Taviani, nata all’interno di Balletto Civile, che sfocerà nel nuovo sodalizio. Sia da una parte, sia dall’altra ci siamo dovuti scorporare portando avanti i nostri rispettivi percorsi. All’inizio molto all’estero, poi è arrivato il momento in cui anche all’Italia interessava un tipo di linguaggio di questo tipo e quindi siamo stati accolti a Brescia dove abbiamo la residenza di compagnia. Dopo aver lavorato a lungo insieme in numerosi spettacoli, Chiara ha deciso di tirarsi fuori dal progetto per una propria scelta personale di vita ma il lavoro della Compagnia proseguirà in Italia e in Europa con nuove residenze e repliche degli spettacoli, fra cui ci sarà anche la prima delle tre produzioni del progetto Beast Without Beauty – vincitrice del Premio Giuria e del Premio Pubblico di Crash Test Festival in Valdagno, Vicenza NdR..

ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI | 15 sett 2018 | performance di Carlo Diego Massari / C&C company | Largo Spartaco, Roma | foto di Chiara Cocchi

Protagonista di rilievo del 16 settembre, con le suggestioni liriche e la sua voce che sa circumnavigare le perifrasi e il “campo della poesia” di Mariangela Gualtieri, è stato Roberto Latini. Con La delicatezza del poco e del niente ha inaugurato lo spazio di Garage Zero che verrà utilizzato anche per prossimi spettacoli. Sconfinando tra poesia, teatro e musica la rotta ha unito Dio, l’uomo e l’amore. Uno sconfinamento che ci ricorda che in fondo siamo tutti noi donne e uomini in movimento e la ricerca della libertà o anche di semplici risposte a domande complesse, ci contraddistingue. Come nella vita, chi ci passa accanto, attraversando la nostra strada, può essere qualcuno che capita per caso o che è venuto apposta. Ma di sicuro c’è una sincronia negli eventi che nell’attimo di attraversare la nostra esistenza diventano multipli di essa.

Ph. Carolina Farina/ Carolee Oh

Il programma di questa settimana di Attraversamenti Multipli 

Sabato 22 settembre alle ore 19.00 il danzatore e artista visivo Alessandro Carboni presenta il site specific “Unleashing Ghosts from Urban Darkness” con i performer e i danzatori partecipanti al workshop (che si svolge nei giorni precedenti ) una performance che unisce dimensione installativa e pratiche performative in un percorso in cui il corpo viene utilizzato come strumento cartografico,attraverso un processo di mappatura dello spazio urbano attraverso azioni corporali. Alle ore 21.00 il coreografo/danzatore Daniele Ninarello con il site specific “God Bless You”dilata il “tempo” della performance diventando per una sera parte dello spazio urbano che lo accoglie, creando dinamiche interattive con il pubblico. “God Bless You” riflette sull’enorme quantità di desideri che abbiamo e sulla figura del senzatetto, come custode di desideri inesauditi.

Alle ore 21.30 il Collettivo D.A.B. – Dance Across Border una compagnia nata nel 2016 dalla volontà di 3 danzatrici – Livia Porzio, Francesca Lombardo e Emanuela Serra – per sviluppare un progetto di formazione e ricerca artistica all’interno dei centri d’accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo con l’obiettivo di creare, attraverso il lavoro artistico, occasioni d’ incontro tra migranti e cittadini. Il Collettivo D.A.B. presenta in prima nazionale lo spettacolo “We Are The Birds Of The Coming Storm”. Uno spettacolo che vede in azione performer di diversi paesi e che riesce a raccontare “gli sconfinamenti” attorno a cui ruota tutto il festival.

Domenica 23 settembre alle ore 17.00 parte la performance itinerante creata da Valerio Sirna / Dom ”MAMMA ROMA_ Esplorazioni urbane / Pratiche della percezione TUSCOLANA MITOLOGICA” un progetto che si fonda sull’esercizio del camminare, inteso come strumento di conoscenza e di lettura sensibile del circostante, e sulla relazione sottile che lega il corpo al paesaggio che attraversa. L’esplorazione del 23 settembre traccia un’orbita intorno agli avamposti del Quadraro, e sconfina nel quartiere Tuscolano, instancabile centro generativo dell’iconografia capitolina. Alle ore 21.00 è in azione Collettivo Cinetico, fondato dalla coreografa Francesca Pennini, il cui focus principale di ricerca è la discussione della natura dell’evento performativo e del rapporto con lo spettatore tramite formati e dispositivi al contempo ludici e rigorosi che si muovono negli interstizi tra danza, teatro e arti visive. Collettivo Cinetico presenta la performance “I X I No, non distruggeremo (…)”un dispositivo coreografico interattivo che si plasma ai luoghi che abita e che permette al pubblico di determinare i movimenti dei performer.

A breve ci saranno nuove incursioni di Theatron 2.0 ad Attraversamenti Multipli 2018: continuate a seguirci!

Attraversamenti Multipli 2018

Per scoprire tutto il programma di Attraversamenti Multipli 2018:

www.attraversamentimultipli.it
facebook: attraversamenti multipli
info: info@attraversamentimultipli.it