Processo a Fellini: il sogno di Giulietta, la voce di una donna oltre il silenzio
C’è una fase, un momento del sogno, in cui sembra che si possa influenzare lo sviluppo di una storia, di una nostra intima fantasia, talvolta determinando o cambiando il finale, poco prima di svegliarsi. Il nostro inconscio immagazzina come un database sensazioni improvvise, pulsioni mutevoli, informazioni bizzarre che vengono rielaborate in fantasmagorie. Superata la fase di montaggio, di post-produzione onirica, si manifesta il corto che può durare secondi o minuti. Ognuno di noi può essere lo spettatore, a volte l’interprete principale. Mai il regista poiché il processo onirico sfugge alla nostra volontà e alla nostra conoscenza.
Cesare Luigi Musatti, il padre della psicanalisi italiana, nel 1961 in Psicologia degli spettatori al cinema scriveva: «Vi è più di una analogia tra la dimensione spaziale del cinema e quella dei nostri sogni. Il sogno ci concede la possibilità di vivere un’occasione diversa che potremmo non avere quando non stiamo dormendo.»
Un regista che ha fatto del sogno il fulcro della sua opera è Federico Fellini. Il Maestro, il genio che fu capace di rendere universali la Fontana di Trevi e il Grand Hotel di Rimini immortalato nel suo Amarcord. Definito il “Picasso dell’immagine” riuscì a dipingere la vita di strada, il circo, la città di sole donne, la nave, la luna e molto altro ancora. Come un poeta che tende ad evadere per fare delle sue visioni oniriche un sogno collettivo, un patto. Come quello che aveva con i suoi attori, lui il burattinaio, loro le marionette. A 22 anni Federico Fellini conobbe la sua Giulia, di un anno più piccola e ne fu rapito da subito. A lei invece non piaceva molto la sua somiglianza a metà tra un fachiro e Gandhi, i suoi occhi indagatori. Era il 1942 quando si incrociarono nei corridoi degli studi della vecchia Rai che all’epoca si chiamava ancora Eiar. Si sposarono un anno dopo, nel 1943. Giulia Anna Masina diventerà, da quel momento in poi, Giulietta.
Processo a Fellini è un testo teatrale scritto da Riccardo Pechini, uno spettacolo diretto da Mariano Lamberti che ha portato in scena il sodalizio tra il regista che sosteneva di “aver fatto un patto con Dio“e la sua musa che per lui era “la sua aria, la sua telefonata, la sua preghiera”. Giulio Forges Davanzati e Caterina Gramaglia hanno interpretato, ma sarebbe più giusto dire che hanno riportato in vita il celebre Maestro e la sua Giulietta. Serviva uno spazio suggestivo e caloroso come l’Altrove Teatro Studio che ha fornito il contesto giusto, il luogo dove è avvenuto dal 25 al 27 gennaio un piccolo miracolo.
Federico Fellini, in una delle sue dichiarazioni, descrisse Giulietta come “una misteriosa persona” che si ricollegava a una sua nostalgia di innocenza. Lei era la chiave, l’accesso per tutta una serie di “incantesimi, magie, visioni, trasparenze”.L’idea dello spettacolo è quella di asportare dall’immaginario pubblico e collettivo un po’ di vernice di splendore da quell’archetipo di coppia del Cinema italiano, celebre in tutto il mondo. In quel ménage la Masina aveva un ruolo simile a quello di una First Lady, composta e sobria, apparentemente ingabbiata, talvolta, nei personaggi creati dal marito. Tra questi, aveva avuto difficoltà nel riconoscersi in quel ruolo femminile di “Giulietta degli Spiriti”. Poi c’era la ballerina di “Ginger e Fred”, arrivato nel 1985, in ritardo di trenta anni, secondo lei. Forse non sapremo mai come e perché avesse scelto il protocollo di silenzi e misteri.
Lei è stata il “volto in ombra della luna”, la definizione è di Gianfranco Angelucci, il regista-sceneggiatore e l’autore del libro “Giulietta Masina. Attrice e sposa di Federico Fellini”. Enigmi e misteri che emergono soavemente nel testo teatrale di Riccardo Pechini con la regia di Mariano Lamberti. Sono la chiave di lettura e di comprensione di quella persona e della sua personalità, a partire da quel distacco tanto chiacchierato dalla sua famiglia e dal suo luogo di nascita, San Giorgio di Piano. Aveva quattro anni, Giulia Anna Masina era ancora una bambina quando fu mandata a Roma a vivere presso una zia benestante, ufficialmente per ricevere un’educazione di prestigio.
Processo a Fellini utilizza il registro di una narrazione onirica, così peculiare e caratteristico della cinematografia felliniana. Non è concepito come una forma di vendetta, ma una catarsi che canalizza la rabbia e il dolore, li spinge con forza e li trasforma nel riscatto di una poliedrica Giulietta-Caterina Gramaglia. Come in un sogno lucido, negli ultimi istanti della sua vita, rivivono tante sfaccettature, tutte le anime di una sola donna. O di una donna sola. La cronaca racconta che la Masina, dopo la morte di Fellini, chiese a dei suoi amici che cosa ci stava a fare, lei, lì, senza di lui. Cinque mesi più tardi moriva e veniva seppellita a Rimini, accanto al marito. Aveva deciso di congedarsi dalla vita indossando l’abito da sera della notte dell’Oscar del ’93. Tra le mani una rosa rossa e una fotografia di Federico Fellini sorridente.
Ci sono tutti gli uomini importanti della sua vita in Processo a Fellini, tutti interpretati da Giulio Forges Davanzati. “È entrato uno in casa” inveisce Giulietta nella scena iniziale, il primo uomo è la rappresentazione della sua rabbia. Che è una parte di lei che ha vissuto l’abbandono, i tradimenti, le dipendenze. In successione vengono gli altri. La figura dello psicanalista, l’attore Richard Basehart che le cronache rosa indicavano come l’amante della Masina. Con il quale aveva recitato insieme nei film “La Strada” e il “Bidone”. C’è Marcello Mastroianni, il Mago cinico de “Le notti di Cabiria”, Casanova e Federico Fellini ovviamente.
Tanti uomini diversi che sembrano avere un denominatore comune, simili o quasi uguali nell’essere bugiardi, in transito tra la gloria e la fragilità, le debolezze umane. Tanti piccoli tagli invisibili quelli di Giulietta Masina che diventano ferite e che connettono una donna a tante altre nel mondo che hanno vissuto o vivono una o tante rinunce. E a tanti uomini tormentati dalle differenze tra ciò che si vuole che il mondo creda e ciò che si è nella realtà. Con tutta la sofferenza umana che scorre nel mezzo.
In Teatro è possibile dare vita ad un sogno, in tutta la sua complessità, affrontando l’alto margine di rischio che rappresenta l’operazione di Processo a Fellini. Quello di Giulietta non è l’occhio dietro la cinepresa, il film di qualcun altro. Non è lo sguardo di Gelsomina e nemmeno la signora borghese di Giulietta degli Spiriti, la prostituta Cabiria o l’anziana ballerina Ginger. È suo il corpo, l’energia e la voce che si rivelano al Teatro Altrove. Una presenza immaginata dall’autore e che vive attraverso il successivo lavoro, la sensibilità del regista e degli attori. Riesce ad avere una eco nella contemporaneità di una psicologia femminile con un messaggio rivolto a tutti. Anche perché il Teatro sa parlare a tutti nell’unità del tempo e dello spazio ed è sempre giusto ascoltare quello che dice ai nostri cuori.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.