“La Calata” è un evento ideato e realizzato da Casa dello Spettatore, che prevede “una serata a teatro, in cui spettatrici e spettatori “calano” nelle sale teatrali della città per osservarne e raccontarne la vita: pubblici, spazi, atmosfere e spettacoli. Per l’istantanea di una serata campione. La Calata è, quindi, un esperimento conoscitivo sul mondo del teatro condotto da una comunità di spettatrici e spettatori di ogni età che vestono per un giorno i panni del reporter e “calano” il loro sguardo sul territorio teatrale della città. La Calata è un invito a inserire la propria esperienza – con un breve testo e qualche immagine – all’interno di unracconto collettivo.
Portare La Calata lo stesso giorno nelle tre città è una sfida da raccogliere per dare voce a quell’altra parte fondamentale del teatro: il pubblico, silente in tutti questi mesi esattamente come gli artisti e le sale. Quel pubblico che ha destinato il vedere ad altre forme e altri linguaggi artistici, in casa e senza la possibilità di condividere una prossimità fisica oltre la cerchia familiare. La Calata è un modo per reagire a questi mesi, per attraversare la città, per unire le voci di chi ha sopportato quella lontananza e che ora ha il desiderio di tornare a teatro insieme; in sicurezza, ovviamente, ma insieme.
Anche nel 2021 La Calata raccoglierà i racconti di chi ama il teatro e non un teatro, di chi sente la mancanza dell’incontro con l’arte dal vivo, di chi vuole tornare a sedere con altri, non più solo sul divano di casa. Sappiamo che alcune sale non riapriranno, che altre non potranno programmare con regolarità, che i lavoratori del mondo dello spettacolo vivono ancora oggi difficoltà e disagi. La Calata vuole essere anche il racconto di quelle storie: di persone, spazi e spettacoli in questo delicato momento storico. Perché una comunità teatrale è fatta prima di tutto di cittadine e cittadini.
– la cittàin cui si intendere partecipare alla Calata; – nome – cognome (nel dossier finale verrà pubblicata soltanto l’iniziale) – numero di telefono (non verrà pubblicato) – età – professione
I punti fermi
Dal 2019 molte cose sono cambiate e qualcosa cambierà anche per La Calata, quest’anno. Tuttavia, vogliamo mantenere alcune buone abitudini di sempre:
la partecipazione gratuita;
il vostro breve racconto per testo e immagini che verrà inserito nel dossier finale
la presenza nel gruppo whatsapp: il nostro foyer virtuale che per un giorno trasformerà le tre città in un unico grande teatro;
l’assegnazione casuale del teatro e della nostra compagna o del nostro compagno di Calata.
Le novità
Gli abbinamenti tra iscritti e teatri saranno gestiti attraverso un’applicazione per estrazione casuale durante incontri online (su zoom), secondo il seguente calendario:
Napoli: mercoledì 3 novembre ore 19.30 Milano: giovedì 4 novembre ore 19.30 Roma: venerdì 5 novembre ore 19.30
La presenza agli incontri online è necessaria per ritrovarci, conoscerci e, soprattutto, scoprire in quale teatro “caleremo” e con chi. Non si tratta di una formalità ma del primo fondamentale passo per realizzare la Calata del 2021.
Le altre tappe
sabato 13 novembre: “La Calata” vera e propria. Si va in teatro a coppie, in tutte le sale programmate quel sabato a Roma, Napoli e Milano. Entro il 20 novembre inviare un breve testo e due immagini sulla vostra “Calata” (il racconto dell’esperienza complessiva, da reporter più che da critici teatrali) a lacalata@casadellospettatore.it
La giornata nazionale di studi
Entro il mese di dicembre del 2021 si svolgerà in data e luogo da definire la giornata nazionale di studi su “La Calata” per sviluppare una riflessione condivisa con spettatori, operatori culturali, amministratori pubblici, giornalisti e operatori della comunicazione, a partire dall’analisi dell’elaborazione dei dati effettuata sui dossier delle diverse edizioni.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Nonostante le immagini siano da tempo immemore veicolo di comunicazione, è dall’Ottocento in poi, con la nascita della fotografia – e poi del cinema, della televisione e di internet – che esse hanno assunto un’importanza sempre maggiore come via di accesso alla conoscenza. Eppure la didattica scolastica si è adattata con scarsa elasticità a questo cambiamento, restando orientata verso un tipo di educazione basato principalmente sulla lettura, piuttosto che sulla visione.
Casa dello Spettatore – associazione culturale che prosegue da anni la ricerca e la missione del CTE (il Centro Teatro Educazione, attivo dal 1997 al 2010 come struttura dell’Ente Teatrale Italiano) – si inserisce in questo contesto apportando il suo contributo tra i vuoti istituzionali ed educativi, ma anche favorendo la nascita di comunità spontanee attorno all’esperienza del teatro, grazie a un gruppo di mediatori che si occupano di portare avanti i cosiddetti “percorsi di visione” con iniziative su tutto il territorio.
Ma perché proprio il teatro e in cosa consiste praticamente la loro attività? A questo e ad altri quesiti ha risposto Giuseppe Antelmo, mediatore teatrale che si è formato e opera con Casa dello Spettatore.
Parliamo del vostro metodo, la “didattica della visione”: quali sono gli elementi fondanti e le finalità verso cui si orienta? Come vi si inserisce il teatro?
Se si considera il teatro come il primo audiovisivo della storia, e la sua funzione, perlomeno in Occidente, di partire da vicende personali per arrivare poi a trattare questioni di interesse sociale, possiamo rintracciare nei suoi elementi gli spunti per organizzare un discorso più ampio che faccia dello spettacolo “l’epicentro di una piccola o grande unità didattica” – riprendendo le parole del presidente e fondatore di Casa dello Spettatore, Giorgio Testa – nonché l’opportunità di attuare forme di cooperazione educativa.
Lo spettatore che va a teatro, infatti, porta con sé un bagaglio di esperienze pregresse, costituite dal pre-visto e dal pre-conosciuto che, nel dato momento del qui e ora, incontrano l’arte, con esiti spesso poco prevedibili. È per questo che la ricerca dello spunto educativo è continua e non si basa su una formula standard – non esistendo, per l’appunto, una persona standard – e utilizza strumenti e tecniche presenti in ogni didattica, ma altamente flessibili. La rielaborazione dell’esperienza e lo sviluppo di una traccia che ci si era prefissati di portare avanti dopo la visione di uno spettacolo, può infatti prendere strade secondarie o, addirittura, essere abbandonata ma non per questo persa.
È il gruppo, nella sua variabilità, a determinare di volta in volta l’evoluzione del percorso, dove non esiste “giusto o sbagliato”. In quest’ottica, educare alla visione ha l’obiettivo di portare, attraverso la presa di familiarità con le forme e i linguaggi che lo caratterizzano, a una maggiore frequentazione del teatro, favorendo la progressiva consapevolezza dell’essere spettatori – e in senso più ampio, cittadini – e lo scambio di ciò che si è adesso.
I percorsi di educazione alla visione sono rivolti dunque ad allievi in età scolare, ma anche agli adulti (insegnanti e famiglie), nonché a un pubblico largamente eterogeneo che si costituisce spontaneamente in comunità di spettatori. Una varietà di interventi di cui vorremmo sapere di più, anche in riferimento ai feedback che ne conseguono.
La comunità degli spettatori è formata da adulti che hanno condiviso percorsi di visione cittadini, a partire da una selezione degli spettacoli in programmazione nei vari teatri della città, secondo nuclei tematici o di linguaggio. In questa comunità così strutturata, i partecipanti hanno trovato dunque spazio e tempo per condividere l’attesa, l’esperienza e infine la rielaborazione attorno alla visione di uno spettacolo teatrale. L’accettazione di questa proposta, con percorsi che vanno avanti dal 2012, è indicativa di un bisogno e di una partecipazione realmente sentita, che ha portato all’instaurarsi di nuclei fissi, ampliatisi nel tempo.
Altre iniziative sono quelle rivolte ai genitori: ad esempio Famiglia a teatro, progetto che ha coinvolto con interesse genitori e figli nella visione di spettacoli; un’esperienza condivisa che determina l’annullarsi dell’asimmetria nei ruoli e favorisce spunti per il dialogo, in un tempo separato da quello istituzionale e con una distanza che normalmente non c’è in ambito domestico.
Vi è poi una doppia modalità per quanto riguarda il percorso degli insegnanti: da un lato, l’accoglienza della proposta di portare la classe a teatro e la presenza agli incontri coi mediatori di Casa dello Spettatore e gli studenti; dall’altro, i corsi di formazione esterni al contesto classe, dai quali si possono poi ricavare modelli e approcci da implementare all’interno della scuola, per favorire ad esempio un tipo di apprendimento cooperativo.
In tal senso, sono stati svolti anche corsi specifici per insegnanti di sostegno, i quali potrebbero riconoscere metodologie adeguate per venire incontro ai cosiddetti “bisogni educativi speciali” dei loro allievi. E sono proprio gli insegnanti, infine, a darci una conferma che le impressioni ricavate da noi mediatori, in termini di attenzione e interesse, corrispondano alla realtà. Segnali positivi che di solito si osservano quando si crea una certa continuità negli incontri.
I giovanissimi, pur essendo del tutto immersi in un mondo di immagini, sono paradossalmente poco “allenati” alla visione. Il “cosa” guardano è realmente il problema?
Io credo che più che poco allenati alla visione, essi abbiano poche occasioni di condividere una riflessione sull’esperienza in un contesto educativo. Non sempre accade infatti che le famiglie portino i ragazzi a teatro e spesso il primo approccio avviene con la scuola; ma è sempre da tenere in considerazione il numero di occasioni e le modalità di confronto. Riferendoci alla questione del “cosa” guardano, ci si muove su un terreno scivoloso, poiché subentra il giudizio su ciò che è brutto o bello, valido o no, quando l’importante è verificare il senso dell’esperienza dalla viva voce di colui che l’ha fatta, il “come” più che il “cosa”.
Senza contare l’entrata in gioco di un elemento, ovvero il gusto personale, da cui non si può prescindere nemmeno dopo che, frequentando il teatro, esso si è gradualmente affinato. Anche il mediatore teatrale, come tutti, ha il proprio gusto, ma questo non deve costituire il criterio di scelta, dato che il punto di partenza del percorso è l’individuazione, di volta in volta, dello spunto educativo che uno spettacolo può offrire.
Inoltre, ciò che rimane centrale, al di là dell’impressione positiva o negativa dopo aver visto un’opera teatrale, è la rielaborazione personale e soprattutto collettiva che ne consegue: nessuno infatti vedrà mai la stessa identica cosa, e il teatro, in questo senso, offre una grande libertà allo sguardo che diviene persino anarchico, difficile da imbrigliare. Essendo poi un’esperienza di compresenza dal vivo, gli elementi che entrano in gioco sono diversi.
Ciò che manca adesso è proprio l’elemento di compresenza, il dialogo dal vivo tra palco e platea e tra spettatore e spettatore. Come vi siete adattati al cambiamento imposto dalla pandemia, ora e nel periodo del lockdown?
Intanto, partirei da una premessa: non si può pensare che l’esperienza dal vivo sia sostituibile con quella a distanza. È un dato di fatto e pensare il contrario cercandone dei surrogati creerebbe solo frustrazione. L’imposizione di un mezzo che si frapponga tra pubblico e il teatro, o all’interno di un patto con finalità educative, non dovrebbe essere vista come una triste alternativa a ciò che non si può al momento avere. Bisognerebbe osservare le nuove possibilità che apre, tra cui quella di entrare in contatto con un linguaggio.
Faccio qualche esempio: prima dell’arrivo della pandemia, a Bari, stavamo tenendo un corso di formazione rivolto agli insegnanti, avente per oggetto uno spettacolo di danza ispirato a La metamorfosi di Kafka, per mantenere il dialogo tra lettura e visione. Una volta sopraggiunto il lockdown, questo binomio che crea l’unità didattica, e che pareva destinato a perdersi, si è ricomposto, attraverso un riadattamento in termini di tempo, gruppo e contenuto.
Per continuare a lavorare a distanza, e in maniera gestibile, si è sentita l’esigenza di dividere gli insegnanti in tre gruppi; si è sostituito il racconto La metamorfosi con uno più breve, sempre di Kafka, e la visione si è rivolta verso corti cinematografici trovati in rete e ispirati a quell’opera. Si è così potuto mantenere un occhio teatrale pur osservando qualcosa di diverso. Questo è poi il senso in cui si è evoluta la didattica della visione.
Come è evoluto il metodo negli anni, cosa è cambiato?
Ciò che è cambiato è il rapporto con le altre arti: mentre prima il teatro era centrale (e continua assolutamente ad esserlo) e le altre forme artistiche costituivano un controcanto per arrivare a parlare di esso, da qualche anno ci siamo concentrati sul confronto tra esperienze diverse, a un livello più paritetico. Il cinema, ad esempio, si è rivelato una grande risorsa anche per il progetto Allunaggi mitici, iniziato circa due mesi fa, quando ancora si poteva andare a teatro.
A proposito del progetto Allunaggi mitici, di cosa si tratta e come è proseguito a seguito della seconda chiusura dei teatri?
Si tratta di un progetto in collaborazione con la Compagnia La luna nel letto di Ruvo di Puglia, che ha voluto formare una comunità di spettatori sul territorio. A causa dei lavori di ristrutturazione del Teatro Comunale in loro gestione, gli spettacoli, che avevano come tema la rielaborazione contemporanea dei miti, sono stati allestiti in una chiesa nel periodo di ottobre e, seguendo una modalità mista, il percorso di visione è avvenuto a distanza, con il supporto del materiale didattico in digitale, altra grandissima risorsa.
Una volta che anche lo spettacolo dal vivo è stato sospeso, quella stessa comunità ha deciso di proseguire il dialogo e, anche in questo caso, è avvenuta una transizione dal teatro al cinema: per continuare sul filone del rapporto tra mito e religione è stato scelto il film La via lattea di Luis Buñuel e, per mantenere almeno “l’ora”, non essendo possibile il “qui”, ci si è dati un appuntamento per guardarlo insieme. Si è poi creata una nuova fase intermedia tra la visione e l’incontro a distanza condividendo le prime impressioni sul film attraverso un gruppo Whatsapp.
Quest’esperienza tenace ed entusiasmante è dunque la dimostrazione che distanziamento fisico non sempre equivale a distanziamento sociale e che l’uomo, da sempre, fin dai segnali di fumo, ha sempre cercato di rimanere in contatto e di soddisfare il suo bisogno di socialità. Anzi, è proprio nella distanza che può misurarsi il livello di un certo bisogno: penso anche alla trasmissione della cultura attraverso i libri, o alle lettere d’amore tra gli innamorati che non possono vedersi.
Potremmo dire che il sentimento acquisisce ancora più valore nella distanza…
Bisogna certo capire quanto questo amore sia realmente forte. Come si dice: “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Lontano dagli occhi, quanto? Lontano dal cuore, quanto? Anche per ciò che riguarda il teatro questo è un buon momento per capirlo.
Siciliana che non riesce davvero a mettere radici altrove. Si laurea a Roma e Messina in Comunicazione, poi in Scienze dello spettacolo, e fa un master in Imprenditoria dello spettacolo a Bologna. Le piace scrivere in prosa e poesia (ha pubblicato la raccolta “Preludio” con Ensemble Edizioni) e di teatro. Si sta addentrando nell’insegnamento delle discipline audiovisive, ma sotto sotto vorrebbe imparare a recitare.
In un momento delicato, come quello post-pandemico, scegliere di ripartire da una proposta culturale incentrata sul territorio e sul ripensamento comunitario dello spazio è un atto coraggioso. Giunto alla terza edizione, Urbino Teatro Urbano,che si svolgerà dal 10 al 17 luglio, ha scelto di sfidare l’incertezza causata dall’emergenza sanitaria, puntando su una ricca offerta spettacolare e formativa.
Accanto al festival si svilupperanno altri percorsi, come lo spin off UTU #Piazze, tra i comuni della Valle del Metauro e del Montefeltro, il corso di alta formazione Fai il tuo teatro, tenuto dai più importanti professionisti del settore, e il protocollo GoDot, unico in Italia, pensato ad hoc per gestire gli eventi dal vivo in tempo di pandemia. In questa intervista, il direttore artistico Michele Pagliaroni racconta organizzazione e obiettivi di Urbino Teatro Urbano.
Nonostante i rallentamenti causati dalle pandemia, Urbino Teatro Urbano riparte con una proposta ricca e molto varia. Cosa ha significato per voi scegliere di organizzare questa terza edizione del Festival? A quali difficoltà avete dovuto far fronte?
È stata una scelta condivisa che abbiamo preso già nel mese di Marzo. Avevamo compreso fin da subito che sarebbe stato molto complicato, vista anche l’incertezza sulle normative molto diffusa durante la quarantena. Ci è risultato immediatamente chiaro che organizzare un festival quest’anno sarebbe stato difficile e costoso. Abbiamo iniziato occupandoci dell’aspetto organizzativo, successivamente di quello progettuale e artistico. Dalle prime visioni sulla gestione dello spettacolo dal vivo in tempo di pandemia, è emersa l’idea del protocollo GoDot a cui abbiamo lavorato con una serie di partner importanti che abbiamo la fortuna di avere a Urbino. GoDot è il primo protocollo poetico per lo spettacolo dal vivo che proveremo a utilizzare, in maniera prototipale, a Urbino Teatro Urbano. La difficoltà principale che stiamo affrontando a livello organizzativo è di ordine burocratico. I costi della sicurezza sono aumentati esponenzialmente e, soprattutto, abbiamo dovuto effettuare un’approfondita formazione dello staff, per prepararlo a gestire l’emergenza, attraverso dei laboratori online e delle call con degli specialisti della sicurezza sul lavoro. Questa è stata la parte più estenuante. L’obiettivo è mostrare al pubblico il meno possibile queste difficoltà che, però, di fatto esistono.
Il Festival sarà suddiviso in 4 percorsi differenti dedicati ad artisti, pubblico e operatori con un’intensa programmazione volta alla valorizzazione del territorio. Attraverso quali azioni si attiverà questo scambio con la comunità?
Ogni aspetto del festival è legato a doppio filo con la comunità. Tutte le nostre attività hanno una ripercussione sul territorio. Con il percorso Fai il tuo teatro abbiamo invitato circa 30 compagnie, per un totale di 120 allievi che saranno presenti al festival. Due alberghi, che sarebbero rimasti chiusi durante l’estate, hanno aperto appositamente per offrire accoglienza a queste persone. Si è creato così un indotto per il territorio, svuotato per l’assenza degli studenti la cui presenza è caratteristica peculiare della nostra città e del nostro progetto essendo un centro teatrale universitario. Circa 50 studenti sono tornati a Urbino proprio per lavorare con noi. UTU #Piazze è uno spin off del nostro festival, pensato per far continuare il lavoro sul territorio anche dopo la fine di Urbino Teatro Urbano: sono previste 10 repliche di una serie di spettacoli nei piccoli borghi della provincia di Pesaro e Urbino. In questo modo si creano ricchezza e cultura anche nei comuni limitrofi. Abbiamo poi fatto in modo di far confluire direttamente nel festival il lavoro degli allievi di Fai il tuo teatro, come avverrà ad esempio con la classe di scenotecnica che costruirà un palco di legno modulabile e trasportabile che useremo per gli spettacoli.
Come funziona il Protocollo GoDot? Come ne è avvenuta l’adozione anche da parte di altri festival?
Quando lo abbiamo messo a disposizione, essendo completamente gratuito anche per le altre realtà che decidono di adottarlo, siamo rimasti colpiti dalla risposta ricevuta. È stato richiesto da oltre 40 festival in tutta Italia e addirittura da un circuito teatrale di New York, da uno spagnolo e dal Ministero della cultura dei Paesi Baschi. Questo ci ha fatto capire che sarebbe stato uno strumento utile all’organizzazione e da lì siamo partiti per immaginare la proposta artistica. Chiediamo a chi ci contatta di compilare un modulo attraverso il quale conoscere la realtà in cui verrà applicato il protocollo. Non intendiamo GoDot come una soluzione definitiva per tutti i problemi, ma è certamente un mezzo in più per gestire i flussi di pubblico. Questo avviene tramite un’infografica pensata ad hoc per lo spettacolo dal vivo da ISIA. GoDot è articolato in una segnaletica interattiva che richiede a chi la utilizza l’intervento diretto e la partecipazione al gioco. Ci sono una serie di indicazioni che fanno riflettere sull’utilizzo dello spazio, ad esempio, invitando al rispetto delle normative sanitarie. L’altra parte di cui si compone GoDot è WOM DiAry, un’app nata per il tracciamento del covid e ripensata per essere utilizzata come implementazione di questa segnaletica a terra. Per cui, se si installa l’applicazione e si è nel luogo di spettacolo, tramite una call to action le possibilità poetiche della segnaletica aumentano. Riporto un esempio: durante il festival andrà in scena la conferenza-concerto Rock around the moon del planetologo Ettore Perrozzi, che in origine prevedeva delle proiezioni su un maxischermo. Insieme agli artisti, abbiamo deciso di non utilizzare il maxischermo e, per rendere più sostenibili le spese del festival, quelle diapositive verranno sugli smartphone di chi avrà deciso di installare WOM DiAry. È anche un modo per dividere il pubblico e fargli scegliere l’esperienza più consona alle sue esigenze: alcuni spettatori potranno godere dello spettacolo senza l’interferenza della tecnologia, altri potranno fruirlo in una dimensione 2.0, con un’implementazione di contenuti multimediali che verranno inviati sullo smartphone, tramite l’applicazione.
Fai il tuo teatro è un percorso di formazione dedicato ad artisti e addetti ai lavori che coinvolge importanti professionisti del settore, pensato per offrire strumenti utili per la ripartenza. A proposito di ripartenza, oltre alla formazione, verso quali criteri ritieni necessario orientare il nuovo assetto dello spettacolo dal vivo?
Sicuramente sulla formazione del pubblico e degli addetti ai lavori e sulla coscienza professionale di categoria. Occorre ripensare dei paradigmi fondamentali che riguardano anche i grandi centri del potere culturale e che possono essere innovati solo se gli strumenti per fare cultura vengono distribuiti dal basso. Questo è quello che fa Urbino Teatro Urbano, offrendo una formazione totalmente gratuita e una serie di competenze utili a strutturare una proposta di offerta culturale concreta e adatta al proprio territorio. Se si parla di teatro popolare d’arte, bisogna partire dal basso e, a nostro avviso, l’unico modo per farlo è attraverso la formazione. Le classi principali del percorso di progettazione, in seno ai laboratori, sono quelle incentrate proprio sulla formazione del pubblico, una con un grande saggio del teatro italiano che è Giorgio Testa di Casa dello spettatore insieme a Giuseppe Antelmo, e l’altra coordinata da Franco Cordelli. Bisogna partire da una professionalizzazione che non può ammettere incertezze.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Educare al teatro è il nuovo progetto formativo destinato ai docenti delle scuole superiori di secondo grado che il Romaeuropa Festival, in occasione della trentunesima edizione della rassegna di arti performative e contemporanee, ha pensato in collaborazione con Casa dello Spettatore. Romaeuropa Festival è un’occasione imperdibile per quegli insegnanti che intendono educare al teatro, facendone conoscere ed amare le forme, o anche cogliere l’opportunità di uno spettacolo per consolidare un apprendimento, per aprire a un tema di conoscenza nuovo, per suscitare una discussione.
Educare al teatro punta alla formazione dell’insegnante come mediatore culturale attraverso due azioni:
Portare a vedere a Romaeuropa festival: cosa e perché
Un seminario intensivo di 6 ore il 27 maggio (ore 10.30-13.30 e 14.00-17.00) presso la Biblioteca Centrale Ragazzi (via San Paolo alla Regola, 18), durante il quale, guidati da Giorgio Testa, un gruppo di quindici di docenti delle scuole superiori del territorio, sulla base di una rosa preliminare, sceglierà quattro spettacoli da far vedere agli studenti, individuando per ognuno le potenzialità educative specifiche.
Portare a vedere a Romaeuropa festival: come e con quale esito
Una serie di incontri da ottobre a dicembre tenuti da operatori della Casa dello Spettatore, due per ognuno degli spettacoli scelti: uno prima della visione per predisporre materiali per una didattica che ne faciliti la visione e uno dopo la per una verifica del lavoro.
Il corso di formazione è gratuito ed è destinato a un massimo di 15 insegnanti. È quindi richiesta la prenotazione. Gli insegnanti che parteciperanno al seminario di maggio si impegneranno a portare una classe di ragazzi ad almeno uno dei quattro spettacoli del Romaeuropa Festival 2017 su cui il gruppo deciderà di lavorare.
Per info e prenotazioni:
Fondazione Romaeuropa – promozione@romaeuropa.net 06 45 55 3050 ( dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 17 )
La Fondazione Romaeuropa è una delle istituzioni di maggior prestigio, in Italia e in Europa, per la promozione e la diffusione dell’arte, del teatro, della danza e della musica contemporanea. Nata nel 1986 come Associazione degli Amici di Villa Medici, frutto di un’iniziativa italo-francese, la Fondazione è ormai un crocevia degli scambi culturali con il mondo intero. È stata costituita il 7 febbraio 1990 e ha ricevuto il riconoscimento della Personalità Giuridica il 30 aprile 1992 con Decreto del Ministero del Turismo e dello Spettacolo.
Casa dello Spettatore è un’associazione culturale che lavora per facilitare la creazione di una comunità tra gli spettatori e per migliorare il loro rapporto con il teatro. Nata nel 2011 ma con le radici che affondano in quello che è stato l’ETI e soprattutto nell’esperienza del CTE il Centro Teatro Educazione attivo dal 1997 al 2010, la Casa dello Spettatore svolge attività di formazione, ricerca e fruizione di spettacoli dal vivo attraverso progetti culturali che possono prevedere percorsi di visione, laboratori, corsi di formazione / aggiornamento, seminari.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
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