Tra corpo e tecnologia: viaggio a due nella settimana di Residenze Digitali

Tra corpo e tecnologia: viaggio a due nella settimana di Residenze Digitali

Articolo a cura di Federica Balbi e Serena Previderè

Si è conclusa lo scorso 28 novembre la settimana di Residenze Digitali, festival online dedicato alle contaminazioni tra arti performative e ambiente digitale promosso dal Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt) in partenariato con AMAT Associazione Marchigiana Attività Teatrali, Cooperativa Anghiari Dance Hub, ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rosellini, Centro di Residenza dell’Emilia Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, La Corte Ospitale di Rubiera), Fondazione Luzzati Teatro della Tosse e ZONA K.

La rassegna, nata nel 2020 e giunta con successo alla sua seconda edizione, sostiene progetti artistici e performativi legati ai linguaggi del contemporaneo che si distinguono per un utilizzo sperimentale dell’ambiente digitale, sia esso inteso come spazio deputato entro cui sviluppare la propria idea, sia come strumento funzionale per esplicitarla. L’intento è quello di aprire e aprirsi all’esplorazione di nuove opportunità di creazione e fruizione, producendo contenuti innovativi di altissima qualità destinati a stimolare nuove riflessioni sul concetto di spettacolo dal vivo.

Il bando – che ha cadenza annuale era stato lanciato durante la scorsa primavera attirando la partecipazione di ben 178 compagnie, tra le quali sono stati selezionati i 7 progetti meritevoli destinati ad ottenere, nel corso dei sette mesi a venire, un sostegno economico e di tutoring (da parte delle studiose Laura Gemini, Anna Maria Monteverdi e Federica Patti) attraverso cui sviluppare la visione artistica, i modelli di realizzazione e la forma di restituzione al pubblico. L’esito di questo percorso è andato per l’appunto in scena nella settimana di Residenze svoltasi dal 22 al 28 novembre, con un ricco calendario di appuntamenti che ha visto alternarsi quotidianamente i singoli progetti artistici e talk di approfondimento sulle macro-tematiche toccate dai principali spettacoli presentati.

Tra interferenze e libertà

L’esperienza delle Residenze Digitali obbliga a confrontarsi non solo con una lunga serie di quesiti, ma anche di contenuti multimediali insoliti. Se da un anno e mezzo si sono incrementate la ricerca e la sperimentazione verso il digitale, le performance della Rassegna non paiono delle risposte, piuttosto delle proposte, senza aspirazioni a qualche forma di perfezione, senza la pratica di anni e decenni, ma con la voglia di dar vita alla particolare dimensione ludica che è assente dalle nostre vite quando i palcoscenici sono chiusi.

Per questo motivo, anche se siamo fruitori e consumatori di prodotti multimediali, le performance delle Residenze hanno una componente estranea, scomoda e intrigante. Al contrario della maggior parte di ciò che possiamo fruire attraverso uno schermo, queste performance non seguono regole “di genere”: quando scelgono di imporsele, non lo fanno nell’ottica di obbedire a un programma di fruizione ideale, ma cercando di risvegliare altri stimoli, altri sensi, cercando di essere più “digitali”, quasi tattili, e non soltanto ottiche.

È così che si creano situazioni tecnologicamente improbabili, grossi anacronismi, che gli “errori” tecnici aprono vasti spazi di libertà. Cambiando il mezzo poi, cambiano i riferimenti: non tanto più alla storia del teatro o delle arti performative, ma alla cultura popolare, all’immediatezza del momento storico presente, a film, videogiochi, o cartoni animati e alla storia di queste più recenti forme d’arte, in un meccanismo di citazioni il cui funzionamento è forse vicino a quello che avviene sul palcoscenico, ma inserito in un sistema diverso.
Il viaggio anacronistico attraverso cui ci accompagnano le performance, ricco di interferenze, può essere raccontato in molti modi. Proviamo qui a tracciarne un percorso.

Into the Woods e Wastage Of Events utilizzano due diverse tecniche di animazione. Il primo, il cui titolo è già citazione, pare un cartone animato dalla tecnica ormai quasi obsoleta (pur essendo girato e non realizzato in stop motion), realizzato facendo muovere manualmente oggetti e personaggi all’interno dell’inquadratura. Le inquadrature, però, sono due, in 4k e a 360°, e lo spettatore può scegliere il punto di vista da cui osservare la performance. Wastage Of Events, al contrario, sfrutta le tecniche della modellazione in 3D, con cui sono realizzati oggi cartoni animati e videogiochi. La configurazione è più vicina a quest’ultima categoria, ma invece di un protagonista che gioca, c’è un cursore che di volta in volta disegna, scaglia oggetti, crea, distrugge, inonda, e scappa, in un mondo ricordato dagli anni ’90.

Un piccolo excursus tecnico e temporale si ha anche attraverso altre tre performance. Olga legge i critters è una diretta radiofonica, che si accompagna però allo sfogliare (o “scrollare”) delle foto dei vetrini da laboratorio in archivio. L’esperienza cessa di essere solo uditiva, ma avvicina ad una partecipazione attiva e invita a utilizzare la propria immaginazione.
Whatever happens in a screen stays in a screen utilizza invece la tecnica del green screen, sviluppata intorno agli anni ’70, per animare fotografie, e schizza i personaggi in vari contesti. Con un salto indietro al tempo del cinema muto, le battute non sono udibili ma sovraimpresse, mentre i movimenti appaiono rallentati. Dealing with absence esplora invece una tecnologia più moderna, quella dei visori e della realtà aumentata, ma forse più di tutti riesce a riavvicinare lo spettatore a una forma nota più tradizionale, quella della danza. Come la ballerina rende visibili sensazioni ed emozioni attraverso i suoi movimenti, una danzatrice col visore restituisce non solo quello che vede, ma anche le sue reazioni, tanto fisiche quanto emotive.

Le ultime due performance ci riavvicinano a quella che per molti è stata l’esperienza del lockdown. fuse* propone una seduta di meditazione guidata, a cui lo spettatore può prendere parte, mentre strumenti di monitoraggio corporeo mostrano i dati dei processi fisici delle due performers. I am dancing in a room, invece, ci riporta alle videochiamate di gruppo che sono diventate esperienza comune, ai tentativi di stare vicini agli amici pur rimanendo confinati, e di fare tutto ciò che si è sempre fatto, cercando una maniera alternativa di “stare insieme”.

Lorenzo Montanini, Simona Di Maio, Isabel Albertini

Into the Woods – La finta nonna

Dieci brevi episodi tratti da La finta nonna, tra le Fiabe Italiane di Italo Calvino, raccontano la storia della piccola Anna, che viene mandata dalla mamma ad attraversare un bosco misterioso per raggiungere la nonna, che però è stata mangiata da un’orca cattiva. Rivolto ad un pubblico di giovani generazioni (a partire dai 7 anni), il mondo artigianale di Into the Woods ricreato attraverso il teatro di oggetti incontra una telecamera in 4K, una telecamera a 360° e un Lidar scanner per creare un ambiente immersivo e permettere così allo spettatore di fruire della storia in VR.

Chiara Taviani

Whatever happens in a screen stays in a screen

Ogni puntata del lavoro di Chiara Taviani mette in scena un personaggio, letteralmente. Rielaborando foto libere da copyright con la tecnica del green screen, il personaggio entra nelle inquadrature e le anima con gesti, sguardi, o con la sola presenza. La luce e gli effetti delle immagini rievocano un’estetica “vintage”, ma la dimensione videografica rimpicciolisce davanti al senso predominante di fissità, a cui contribuiscono le “pose” (piuttosto che le azioni) dei personaggi, e il loro sguardo spesso rivolto verso la camera.

Margherita Landi e Agnese Lanza

Dealing with Absence

Le inquadrature di Dealing with Absence rappresentano sempre una danzatrice, sola se non per qualche passante inavvertito. Pur indossando un visore, che impedisce di vederne il volto, ciò che lei vede è trasmesso – trasformato – attraverso i suoi movimenti e la sua danza. Le due protagoniste, mai compresenti nella stessa inquadratura, sono talvolta sdoppiate, o specchiate, o creano una simmetria inesatta. L’insistenza sulla dimensione visiva e sull’immagine dello specchio accresce la sensazione di solitudine, o di isolamento, percepibile dall’esterno, anche se verosimilmente non dall’interno.

Jan Voxel (Lorenzo Belardinelli, Cinzia Pietribiasi e Lizia Zanelli)

Olga legge i critters

Performance asincrona, Olga legge i critters è una diretta radiofonica che si accompagna ad un archivio di immagini che lo spettatore può esplorare a suo piacere. Vi sono contenuti oltre 400 ingrandimenti di vetrini da laboratorio, fotografati dopo essere stati lasciati all’aria aperta. Alcuni intervistati, e lo spettatore stesso, sono invitati da una parte a immaginare conformazioni e creature (perché “i popoli senza immaginazione sono vittime di chi controlla le immagini” e “immaginare significa soprattutto fare politica”), dall’altra parte a riflettere sul contenuto, più o meno salubre, dell’aria che respiriamo. Quella presentata da Jan Voxel è una pièce ecocritica che trova un linguaggio efficace per parlare di scienza, ma anche di condizione umana, di politica e di storia presente, passata e futura.

fuse*

Sàl | Rite – Studio 0.2

Sàl | Rite è il secondo studio all’interno del più ampio progetto Sàl – “anima” in islandese – che presenta i tratti di una sessione live di meditazione guidata durante la quale i tracciati neurofisiologici dei due performer partecipanti vengono raccolti in tempo reale e presentati in una geometria di dati che appare in sovrimpressione sullo schermo. Si può scegliere di prendere attivamente parte alla sessione meditativa dotandosi di tappetino, cuscino e sedia, oppure di fruire la performance da spettatori. A conclusione del percorso esperienziale si viene condotti verso un momento di rielaborazione e consapevolezza e si è chiamati a rispondere ad alcune domande riguardanti l’esperienza appena vissuta: le risposte verranno raccolte in un database destinato alla creazione di un archivio di sensazioni.

Giacomo Lillù, Collettivo Ønar e Lapis Niger

WOE – Westage of Events

“Scorie degli eventi” sono quelle che rimangono su una pietra dalle centinaia di anni della sua esistenza. Cosa resta allora su una chiavetta USB dopo esser stata usata, magari riscritta, o dopo che i suoi file sono stati cancellati? Cosa resta di un floppy disc? WOE ricostruisce una memoria tra umana e digitale, ne analizza i sentieri e gli esiti, mentre un cursore ripercorre un paesaggio deserto e i corridoi di una scuola abbandonata, in mezzo a oggetti e immagini arrivati dal Giappone negli anni ’90. Mentre il cursore “gioca” il videogioco della memoria, alterando e distruggendo, gli spettatori possono partecipare in maniera attiva scrivendo i loro messaggi sulla chat pubblica della piattaforma Twitch.

Mara Oscar Cassiani

I Am Dancing in a Room – La Fauna 2k21

Utilizzando la piattaforma social tumblr, MOC compone una performance digitale corale, una coreografia sincopata e persistente a partire dalla rielaborazione del concetto di fauna, intesa come habitat della rete e delle sue molteplici forme di manifestazione. Attraverso lo schermo, lo spettatore è portato a ridurre il senso di lontananza e gli è concesso di entrare nell’intimità della stanza (fisica e virtuale) di ciascun utente, esplorando ed indagando il concetto di assenza, di internetloneliness e di ricerca di un contatto con l’esterno al di là del vetro di un dispositivo.

La danza contemporanea approda su Tik Tok. Simone Pacini e Giselda Ranieri raccontano Isadora – The Tik Tok Dance Project

La danza contemporanea approda su Tik Tok. Simone Pacini e Giselda Ranieri raccontano Isadora – The Tik Tok Dance Project

Articolo a cura di Caterina Giangrasso

TikTok è il social del momento con 800 milioni di utenti attivi al mese. Proprio su questa piattaforma ha debuttato Isadora – The TikTok Dance Project, una sperimentale residenza artistica digitale di Giselda Ranieri, danzatrice e coreografa, e Simone Pacini, esperto di comunicazione digitale. Il progetto, che guarda soprattutto ai giovani della Generazione Z, indagherà il tema della didattica a distanza e la possibilità di coinvolgere nuovi potenziali pubblici teatrali su una piattaforma “pop”.

Isadora – The Tik Tok Dance Project
Giselda Ranieri – Isadora – The Tik Tok Dance Project

L’idea è che le difficoltà causate dalla crisi sanitaria possano diventare un’opportunità per riaffermare il valore trasversale e comunitario dello spettacolo dal vivo, e che il web sia una delle vie per sostenerlo. All’evento finale si accederà attraverso il gruppo Facebook il Foyer di Isadora, che potrebbe raccogliere in futuro altri progetti performativi.

Isadora – The TikTok Dance Project è fra i sei vincitori di un bando promosso durante il lockdown, dal titolo “Residenze digitali”, a cura di Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), in collaborazione con AMAT, Anghiari Dance Hub, ATCL per Spazio Rossellini. Isadora ha trovato inoltre il supporto della rassegna internazionale di danza Resistere e Creare, diretta da Michela Lucenti di Balletto Civile e Marina Petrillo della Fondazione Luzzati Teatro della Tosse.

Giselda Ranieri, danzatrice di formazione classica e contemporanea, ha fatto della composizione istantanea il suo tratto distintivo. Dall’indirizzo  www.tiktok.com/@isadora.danceme creerà una web performance interattiva basata sull’improvvisazione, a partire da un processo partecipativo ispirato alla didattica a distanza. In una seconda fase,  Isadora – The TikTok Dance Project potrebbe diventare una proposta rivolta alle scuole.

I giovani coinvolti realizzeranno una coreografia basata su parametri coreografici come la ripetizione, il ritmo, lo stop motion, la segmentazione del movimento, dando vita a un processo di ricerca in linea con il “learning by doing” della generazione Z, iperconnessa, performativa, con forte spirito autodidatta. Simone Pacini, docente per IED e Università La Sapienza di Roma, specializzato in Social media storytelling ed esperto di fruizione digitale, nel contempo monitorerà l’engagement e le reazioni dei followers e del contesto, in un dialogo con la danzatrice utile al processo artistico ma anche all’analisi delle potenzialità di questo social network in ambito culturale

Il titolo omaggia chiaramente Isadora Duncan, figura rivoluzionaria della danza e donna emancipata che, in questa occasione, (ri)vive sulla piattaforma più scaricata al mondo che sta attirando l’attenzione di enti di caratura internazionale come le Gallerie degli Uffizi, il Museo del Prado di Madrid, il Rijksmuseum di Amsterdam, il Naturkundemuseum di Berlino e il Grand Palais di Parigi. 

In questa intervista Giselda Ranieri e Simone Pacini raccontano Isadora – The TikTok Dance Project, progetto realizzato in collaborazione con Isabella Brogi ed Elisa Sirianni.

Qual è l’intento comunicativo e mediatico di un’iniziativa come Isadora – The Tik Tok Dance Project?

Simone Pacini: Complice la situazione creatasi con il lockdown, il web ha messo in moto la creatività. Inizialmente siamo partiti io, Isabella Brogi e Elisa Sirianni con l’intento di partecipare al bando “Residenze digitali”. Abbiamo pensato di coinvolgere Giselda Ranieri per l’apporto artistico, per creare insieme a lei l’ambiente “virtuale”, immaginarlo e progettarlo. Mentre passavamo in rassegna diverse cose, Giselda ha pubblicato sulla sua pagina facebook un video in cui danza con l’espressione del volto. Il video ha avuto successo e abbiamo pensato di adattarne formato e durata alla piattaforma di Tik Tok, con la volontà di diffondere anche un progetto di danza contemporanea su questo nuovo social network.

Il pubblico di Tik Tok è performativo, ama mettersi in gioco ma il campo di riferimento artistico per quel che riguarda la danza, spesso, è solamente l’hip-hop. Il progetto si pone in una dimensione davvero sperimentale, sia dal punto di vista artistico sia comunicativo o più tecnicamente digital. Sicuramente stiamo cercando di portare la nostra cifra stilistica di artisti per cui Giselda non sceglie le canzoni di tendenza che Tik Tok stesso suggerisce ma, pur andando contro le logiche di visibilità – scegliere una canzone di tendenza aumenterebbe l’engagment –, mantiene una sua identità e integrità di danzatrice.

Con questo progetto mi piacerebbe poter segnalare al mondo “colto” che vale la pena aprirsi alle nuove piattaforme e tendenze, specialmente se sono un ponte di collegamento con le generazioni. Allo stesso modo mi piacerebbe che le nuove generazione si dimostrassero curiose e disponibili nei confronti dell’arte. 

Qual è il processo creativo del progetto? Quanto la sua modalità di diffusione condiziona la creazione?

Giselda Ranieri: Il processo prevede due tranche di lavoro, due mesi di residenza suddivisi tra l’estate e l’autunno, sulla piattaforma Tik Tok, in cui produrrò due video a settimana. La sfida più ardua è scoprire le strategie per “rendersi visibili”: raggiungere un buon numero di ragazzi che siano incuriositi e invogliati a rifare le coreografie che propongo. Questo significa comprendere di volta in volta come ricalibrare l’approccio coreografico per chiarire quali siano i pattern fondamentali nella composizione proposta (ripetizione e ritmo, stop motion e fast foward, keep e dro).

All’inizio ero destabilizzata: imparare a creare una coreografia in soli 15 secondi di video, provando a esprimere qualcosa, sembrava molto lontano di miei metodi compositivi in cui il processo è essenziale. Poi, ho scoperto che in questo progetto l’esperienza nella composizione istantanea è a tutti gli effetti il processo creativo che mi supporta. 

The Tik Tok Project è un progetto comunitario, o, per lo meno, ambiamo a farlo diventare tale. A condizionare le mini creazioni, più che la modalità di diffusione è proprio la modalità di coinvolgimento della comunità, che è tutta da scoprire.

Isadora – The Tik Tok Dance Project
Giselda Ranieri – Isadora – The Tik Tok Dance Project

Quali sono state le fonti di ispirazione e quali sono le tue aspettative nei confronti di questo progetto?

GR: A dire il vero le fonti d’ispirazione sono poche, mi sono gettata a capofitto nella sfida progettuale. Forse, parlerei più di fonti di studio. Questo progetto si configura realmente come una residenza digitale, il che significa che per tutta la sua durata, fino a prima della restituzione finale, è interamente dedicato allo studio: dalla visione di webinar di esperti sull’argomento, ai consigli dei tiktoker più in voga, fino al semplice girovagare sulla piattaforma alla scoperta della “linea editoriale” più affine da cui trarre eventualmente ispirazione.

Trovo interessanti soprattutto quei video, non solo di danza, in cui emerge con forza la creatività dell’ideatore, perché suggeriscono la presenza di un pensiero dietro al girato. Mi attrae lo scanzonato e il giocoso, laddove c’è una qualche maestria e nessuna affermazione o presa di posizione. Se proprio dovessi dire a cosa mi sto ispirando risponderei che per me è diventata fondamentale quell’attitudine di fondo comune a questa generazione: learn by doing…anch’io imparo facendo.

A prescindere dalla crisi sanitaria e dalle sue conseguenze, la digitalizzazione di determinati processi potrebbe essere la chiave vincente per avvicinare la generazione Z alla danza e, più in generale, allo spettacolo dal vivo?

SP: La residenza digitale è stata, a mio parere, una bella intuizione. Diciamo che però ogni cosa ha i suoi tempi. Noi ci troviamo a vivere un progetto in residenza digitale mentre quasi tutti gli  altri, in diversi ambiti e con diversi scopi, si stanno incontrando di nuovo in una configurazione dal vivo. Posso dire, con piacere, che è definitivamente crollato il tabù di alcune tecnologie. L’idea di scandagliare e cogliere nuovi terreni fa parte della ricerca stessa. Alla base resta sempre il rispetto del lavoro artistico, con le sue esigenze e collocazioni. Credo ci siano tutti i presupposti per essere curiosi e ben disposti nei confronti delle possibilità digitali che abbiamo a disposizione e di quelle che verranno.

GR: Per certi versi questo è già avvenuto prima della pandemia e sta avvenendo, ora, in modo più massiccio e forse consapevole. In ogni caso, penso di sì perché permette un avvicinamento più diretto e giocoso. Credo poi – o per meglio dire lo spero – che piano piano l’offerta si possa diversificare e che la danza in ogni sua forma, non solo quella da videoclip, si faccia strada. Questo è il tentativo che sto portando avanti con The Tik Tok Dance Project.

In che modo è stata concepita la diffusione del progetto?

SP: Il progetto ha una sua collocazione molteplice, crossmediale. Rispetto alla diffusione, influisce molto il fatto che i contenuti viaggiano da Tik Tok verso altri social come Facebook, Instagram e YouTube. Così si ha modo di vedere le reazioni delle diverse community, e dei diversi target. L’idea creativa è anche quella di incrementare l’utilizzo di altre parti del corpo della danzatrice, di creare un corpo unico che vive – separato e unito – su Tik Tok e non solo. La danza è sia scomposizione sia composizione e, mediante questi formati, viene stimolata la creatività.