Pubblicati i bandi 2022/2023 di Biennale College Teatro

Pubblicati i bandi 2022/2023 di Biennale College Teatro

Saranno on line da oggi martedì 23 novembre sul sito web della Biennale di Venezia i tre nuovi bandi di Biennale College Teatro secondo il disegno dei Direttori artistici Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci/forte).

I bandi sono rivolti a:

  • registe e registi italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni per la realizzazione di uno spettacolo inedito che debutterà in prima assoluta alla Biennale Teatro 2023; il bando sarà on line dal 23 novembre 2021 al 24 gennaio 2022
  • autrici e autori italiani di età compresa tra i 18 e i 40 anni per la scrittura di due testi originali – su un tema assegnato dai direttori artistici – che verrà presentato in forma di lettura scenica alla Biennale Teatro 2023; il bando sarà on line dal 23 novembre 2021 al 14 marzo 2022
  • performer italiani e stranieri di età compresa tra i 18 e i 40 anni per la realizzazione di due proprie creazioni originali ideate per ambienti esterni in linea con il concept della manifestazione 2022 – il Rosso; il bando sarà on line dal 23 novembre 2021 al 17 gennaio 2022

Concepiti per dare voce e visibilità a chi opera nel panorama teatrale del nostro Paese, il bando per registi, alla sua quinta edizione, e il bando per autori, giunto alla terza edizione, si articolano entrambi nell’arco del biennio 2022-2023

Dopo varie fasi di selezione, come tante tappe di avvicinamento e messa a fuoco del proprio progetto, verrà selezionato un unico regista vincitore che verrà annunciato nel corso della Biennale Teatro 2022; sarà nel corso del 2023 che il vincitore definirà e svilupperà il suo spettacolo con il supporto dei direttori artistici del settore teatro in vista del debutto sul palcoscenico internazionale della Biennale Teatro.

Il percorso di selezione previsto per il bando autori prevede un workshop di drammaturgia che si svolgerà nel corso della Biennale Teatro 2022 sotto la guida di Davide Carnevali, dall’esperienza internazionale, con la supervisione dei Direttori artistici Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci/forte). Alla fine del percorso saranno annunciati, nel corso della Biennale Teatro 2022, i due nomi vincitori. A loro il compito di sviluppare un testo originale, sul tema indicato dai direttori, che verrà rappresentato in forma di lettura scenica alla Biennale Teatro 2023 avvalendosi della collaborazione di un riconosciuto centro di formazione teatrale.

Dallo scorso anno, all’attenzione per la regia e la drammaturgia italiane, si è aggiunta la performance, con il lancio annuale di un apposito bando internazionale, giunto alla seconda edizione. Dopo varie fasi di selezione, verranno scelti due vincitori che svilupperanno ognuno la propria performance originale in esterni, nei luoghi della vita quotidiana lagunare e in linea con il concept scelto dalla stessa direzione artistica per la prossima Biennale Teatro, il Rosso. La fase di sviluppo e realizzazione, che si avvarrà del tutoraggio di Stefano Ricci e Gianni Forte, si concluderà nella presentazione delle due performance alla Biennale Teatro 2022.

Affermano ricci/forte: “In questa necessità di costruire un gesto performativo nei perimetri sociali del quotidiano, il fatto teatrale andrà a collocarsi negli spazi vitali, rilanciando il senso di collettività che l’arte deve saper portare ai suoi cittadini. Constatato il grande interesse che oggi suscita l’autorialità performativa nel resto del mondo, così profondamente connessa con le Arti Visive, quelle della Musica e della Danza, La Biennale di Venezia ritiene importante e necessario invitare artisti/e internazionali a confrontarsi con una scrittura scenica, come quella performativa in site-specific, in grado di raccontare le istanze del Contemporaneo.”. 

Il testo ufficiale e completo dei bandi è consultabile da oggi martedì 23 novembre sul sito web della Biennale di Venezia all’indirizzo: www.labiennale.org  

Biennale College è un’esperienza che integra tutti i Settori della Biennale di Venezia – Arte, Cinema, Danza, Musica, Teatro – per promuovere giovani talenti offrendo loro di operare a contatto di maestri per la messa a punto di creazioni.

Biennale College – Teatro, realizzato dalla Biennale di Venezia, ha il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale dello Spettacolo e della Regione del Veneto.

Il fallimento di Saul, tra Gide e l’Antico Testamento. Intervista a Giovanni Ortoleva

Il fallimento di Saul, tra Gide e l’Antico Testamento. Intervista a Giovanni Ortoleva

Se questo è il migliore dei mondi possibili, allora dove sono gli altri?

(Voltaire – Candido)

Era il 1759 quando Voltaire scrisse Candido. Prese di mira e ribaltò la concezione secondo cui la bontà divina sceglie sempre la migliore tra le infinite combinazioni delle monadi, le sostanze costitutive del mondo.

Prendendo le mosse da riflessioni analoghe, Giovanni Ortoleva e Riccardo Favaro hanno riscritto la vicenda di Saul, personaggio biblico in forte connessione con il declino e le ossessioni della contemporaneità. A ispirare il processo di scrittura sono stati il Sauldi André Gide, un dramma in cinque atti, e l’Antico Testamento. In quest’ultimo, Saul viene presentato come il primo re d’Israele, eletto da Dio e da Lui successivamente ripudiato. Il giovane David, mandato a palazzo, riesce a risollevare il sovrano dal dolore in cui è precipitato con il suono della sua cetra che diventa, nella chiave interpretativa di Ortoleva e Favaro, una tastiera elettrica. Non è l’unica variazione che coinvolge il personaggio: da pastore accondiscendente diventa un iconico performer, il ragazzo emergente, la “guest star” in una pianificata collaborazione artistica. 

In questa drammaturgia il frontman al crepuscolo vive il declino della sua leadership in una camera d’hotel. Suo figlio Gionata è diventato una sorta di segretario personale; un manager assistant con un’alta resistenza allo stress che sacrifica qualche pezzo importante della sua vita privata. Saul cerca di resistere al cambiamento che procede verso la fine ineludibile, ma è una star, un padre, un uomo che cade e che fallisce. In questo triangolo si inserisce David che in breve tempo, conquista l’attenzione dei due uomini. Quando però il giovane sconfigge il gigante Golia, il suo ruolo diventa più grande di quello per cui è stato annunciato.

Al re sembra quasi di non riconoscerlo più, come se fosse un’altra persona, ed è proprio questo il taglio originale della storia raccontata da Giovanni Ortoleva eRiccardo Favaro: il fallimento individuale diventa il paradigma di un sistema sociale. Condensato nell’apice di una battuta di Saul: “Sono nel posto in cui non sono ora e mai sarò”. Rappresenta la dimensione del tempo presente con il vuoto di identità e delle relazioni. L’interrogativo filosofico di Voltaire allora potrebbe essere così riformulato: « Se questo è il migliore dei mondi possibili, perché non sembriamo tutti così felici? ».  

Menzione speciale alla Biennale di Venezia 2018, concorso “Registi Under 30” lo spettacolo, diretto da Giovanni Ortoleva con in scena gli attori Marco Cacciola, Federico Gariglio e Alessandro Bandini ha debuttato a luglio 2019 proprio alla Biennale di Venezia iniziando una tournèe nazionale.

Parliamo dello spettacolo con il regista Giovanni Ortoleva a partire dalla genesi del progetto artistico presso La Biennale Teatro di Venezia. 

La Biennale Teatro di Venezia ha caratterizzato una fase molto importante della tua carriera?

L’esperienza della Biennale è stata molto lunga e complessa. Tutto è iniziato con il concorso registi Under 30, le sue varie fasi di selezione fino a quella finale, a inizio Agosto 2018; in quell’occasione abbiamo ricevuto la menzione e un anno dopo è avvenuto il debutto. È stato un percorso di crescita molto importante. Ogni step mi ha portato a confrontarmi con qualcosa di diverso. Il primo passo è stato quello di convincere il mio interlocutore che avevo qualcosa da dire. Il secondo, quello di farglielo vedere in 10 minuti. Il terzo in 30. Ogni fase ha portato delle grandi crisi che, come si sa, sono sempre molto formative. È stato un percorso lungo, faticoso ma arricchente in un modo incredibile. Non solo per l’opportunità di debuttare di fronte a quel pubblico, in quella sala, in quel contesto, ma anche per tutto quello che mi ha fatto capire di me e del modo in cui lavoro.

Un’esperienza formativa molto importante è stato il laboratorio con Antonio Latella. Che ricordo hai di quei momenti?

Quell’incontro è stata la miccia che ha fatto scattare tutto. È come se fosse stata la chiave giusta per me in quel periodo in cui il teatro era un interesse ma non una professione (studiavo Neuroscienze, all’epoca). Il laboratorio metteva al centro la drammaturgia, mostrando come in essa può confluire non solo la parola ma anche la musica, il movimento, l’immagine… È stato importante per me conoscere subito quella forma di drammaturgia “ricca”, perché la cosa che mi interessava di più in teatro non è mai stata solo la parola. Quell’incontro mi ha fatto intravedere delle strade, delle possibilità per il teatro che io non conoscevo.

Il processo di scrittura e di composizione drammaturgica per te è qualcosa che nasce ed emerge in modo istintivo? 

Saul è stato un lavoro a quattro mani. Ho collaborato con Riccardo Favaro, il quale ha creato la prima parte. Io ho composto la seconda, la terza l’abbiamo realizzata insieme scrivendo indipendentemente vari pezzi che poi abbiamo unito in una sorta di collage. È stato molto eterogeneo come processo; mentre sui primi due atti ci eravamo confrontati, prima che ognuno di noi li scrivesse, c’era stata una pianificazione insomma, sul terzo abbiamo improvvisato. Abbiamo deciso che avremmo usato la forma frammento e ci siamo rivisti dopo un paio di settimane. Abbiamo messo tutti i segmenti sul tavolo e cercato l’ordine, la composizione migliore. Ci siamo mossi in libertà ma dentro gli schemi molto stretti che ci siamo dati. Darsi una griglia il più rigida possibile per cercare di scardinarla, di andare oltre; nella disciplina più stretta si trova una grande libertà.

Ci sono degli elementi, dei temi ricorrenti che caratterizzano la tua scrittura la tua visione registica?

Parlo spesso di fallimento, nel precedente spettacolo Oh little man ho parlato di un tracollo finanziario, in Saul parlo della disfatta dell’anima, dell’artista, dell’uomo di potere. Mi interessano sicuramente molto le ascese e le cadute, ciò che rende una persona quella che è, ovvero ciò che dà a quella persona identità. Per questo mi interessano le crisi, i fallimenti; perché causano delle rivoluzioni all’interno. Mi interessa molto il modo in cui gli eventi “esterni” entrano “dentro” le persone, influenzano il loro modo di definirsi. In questo senso dico che bisogna parlare di soldi, perché li abbiamo in testa in un modo ossessivo ma non riusciamo a parlarne. Oppure lo facciamo sempre male: con esibizionismo, o con vergogna, o in modo morboso… È diventata una sorta di tabù parlare delle proprie condizioni economiche in modo limpido, il che è disgustoso.

In che modo vengono sviluppate le dinamiche di empatia tra i protagonisti di Saul e il pubblico?

Una cosa che mi ha sempre incuriosito è che è David, colui che di fatto prenderà il potere alla fine, che crea empatia con il pubblico, mentre Saul è una figura respingente verso il quale si prova una sorta di fastidio; è un fallito, posseduto dai demoni, un personaggio repellente che non vorremmo essere. Abbiamo difficilmente accesso alla sua “umanità”, fino alla fine, in cui ne dà una prova che, credo, arriva a spiazzare. In ogni caso il pubblico “sta” con quello che tradizionalmente sarebbe l’antagonista. È una vicenda in cui è molto difficile stabilire chi sia il protagonista, nonostante il titolo ne inquadri uno in modo chiaro.

Oltre a quello materiale e politico sembra esserci un’altra forma di potere, quello dei sentimenti, in un rapporto a tre. Era quello che volevi analizzare?

Il tema dell’omosessualità deriva da Gide il quale ha avuto una grande intuizione, ha letto bene quello che nella Bibbia è solo accennato ma con grande precisione. Più che sull’omosessualità per me è uno spettacolo sull’amicizia. La storia d’amore tra David e Gionata in realtà è un prolungamento della loro amicizia fraterna. La loro è un’affinità elettiva. Non concordo con Houellebecq, il quale scrive che l’amicizia è una sorta di “amore light”, un sentimento debole. Penso tutto il contrario. Quella che si instaura tra David e Gionata è una dinamica che fa sì che Saul sia il perdente: il loro legame li porta in una dimensione cui Saul non può accedere, nonostante ci provi disperatamente. Lo spettacolo ha in calce una frase che deriva da uno standard blues di Jimmy Cox, “Nobody knows you when you’re down and out” (Non piaci a nessuno quando sei a terra e finito). Trovo che sia vero il fatto che quando hai successo sei più bello, e che quando o se cadi quell’allure si perde. È una cosa spaventosa, in realtà. Non so se viene dal fatto che andiamo dietro e ci attacchiamo alle persone di successo perché è lì che vogliamo arrivare, o dal fatto che siamo più belli quando abbiamo successo perché siamo più felici. Non è una cosa che critico, però, come diceva Rainer Werner Fassbinder:Se non la puoi cambiare la devi almeno provare a descrivere”.

In Saul ognuno dei protagonisti reca in sé un dramma interiore; c’è un flusso di parole, di azioni, tanti linguaggi. Che tipo di ricerca e di utilizzo hai fatto sui movimenti?

Mi interessa molto la dimensione del movimento nel teatro di prosa. Noto che sta diventando centrale anche a livello formativo, per cui molti attori che escono delle scuole adesso sono molto più forti da quel punto di vista e questo è molto importante. In Saul il lavoro sul movimento è avvenuto in modi diversi. Per la scena della cena, ad esempio, era già in scrittura. In un certo modo il ritmo della narrazione dettava anche il movimento, tanto che lo abbiamo scritto e montato nell’arco di neanche un’ora, perché già dalla lettura era chiaro a tutti come girava la scena. Nella parte finale, invece, non c’era nessuna idea inscritta nel testo. Allora abbiamo iniziato a pensare a questo concerto. Tutti noi abbiamo una grande fascinazione per la Videodance e ci sembrava giusto che la potenza di Davide potesse essere espressa non solo con la spada ma anche con la danza, un movimento contemporaneamente vigoroso e molto femminile, in alcuni casi anche fragile. È padrone di quelle movenze ma al tempo stesso ne è posseduto; deve eseguirle, “per contratto”. 

Un altro ingrediente di Saul è il meccanismo della ripetizione… 

L’elemento di ripetizione deriva dalla Bibbia, dove gli eventi sono replicati diverse volte perché assumono significati diversi. Per esempio Saul conosce David due volte. Dopo che ha sconfitto Il Gigante, Saul chiede in giro chi sia quel ragazzo, dopo averlo in realtà già incontrato e aver stretto con lui una forte amicizia. Questo potrebbe essere letto come un errore, ma l’altra possibile e interessante lettura è che quando diventa evidente che il ragazzo prenderà il trono, in quel momento il re vede un’altra persona. Non più l’amico ma il nemico. Noi allora abbiamo esasperato l’elemento di ripetizione, facendolo diventare linguaggio scenico.

Ne Il Visconte dimezzato Calvino dichiarava che “Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane”. Qual è il tuo pensiero?

Non per dire che non mi appartiene questa frase, ma la ribalto dicendo che l’incompletezza non si cura con l’età. Con l’avanzare degli anni si smette probabilmente di cercare, si smette di sentirsi incompleti forse, non di esserlo. Ci si accetta. E poi non ho un problema con il sentirmi incompleto, perché per quanto sia sgradevole mi tiene vivo. Sentirsi inadatti è una grande spinta a fare, a cercare. Insomma è un trucco, ma funziona.

Biennale Teatro 2019: focus sulle drammaturgie

Biennale Teatro 2019: focus sulle drammaturgie

Il 47. Festival Internazionale del Teatro diretto da Antonio Latella e organizzato dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta si svolgerà a Venezia dal 22 luglio al 5 agosto: 14 gli artisti in programma, ognuno con più titoli in una sorta di breve “biografia artistica”; 28 gli spettacoli con 23 novità, di cui 2 in prima europea e 6 in prima assoluta.

Dopo il focus sulle registe europee e l’indagine sul rapporto attore/performer, il 47. Festival Internazionale del Teatroaffronta il suo terzo atto con Drammaturgie, “titolo volutamente lasciato al plurale – spiega il Direttore Antonio Latella – proprio perché crediamo che, nel ventunesimo secolo, sono tante e differenti le drammaturgie per la scena e, direi, per tutto ciò che concerne lo spettacolo dal vivo. (…) In questo terzo atto cercheremo quindi di evidenziare diversi tipi di drammaturgia e dell’essere drammaturghi, dal ruolo drammaturgico rivestito dalla Direzione Artistica al regista autore o autrice che mette in scena i propri testi; dal gemellaggio tra registi e autori che scrivono per loro e per gli attori di un ensemble all’artista-performer che traccia percorsi scrivendo per la scena; dalla scrittura propria del teatro visivo a quella del teatro che ha una matrice musicale o che è a stretto contatto con il teatro-danza. Citando per ultima, ma forse prima per importanza, la drammaturgia destinata al teatro-ragazzi, nata per creare un nuovo pubblico, crescerlo e proteggerlo dall’ovvietà, proponendo grande teatro non rivolto soltanto a un pubblico giovane o molto giovane”.

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Proprio dal teatro-ragazzi dell’olandese Jetse BatelaanLeone d’Argento, prende il via il 22 luglio il Festival, riallacciandosi a una tradizione della Biennale che in passato aveva dato ampio spazio a questo settore, oggi forte di un rinnovamento linguistico che lo rende partecipe degli sviluppi della ricerca teatrale. War e The Story of the Story, presentati alla Biennale, rappresentano lo stile visionario che questo regista e autore intreccia a una vena filosofica affrontando miti e temi di oggi. Ma è anche nel segno di Heiner Müller che si apre il 47. Festival Internazionale del Teatro. Con il più osannato, controverso e imprescindibile degli scrittori tedeschi si misurano infatti la scrittura registica, la biografia e la storia di due nomi di punta della scena europea e dei loro ensemble: dai Balcani Oliver Frljić, autore di una graffiante e provocatoria messinscena di Mauser, e dalla Germania Sebastian Nübling, che realizza TheHamletmachine con l’Exile Ensemble. Il nome di Sebastian Nübling – in questo ideale gemellaggio fra registi e autori proposto dal Festival – si associa anche a quello di Sibylle Berg, autrice di culto tradotta in più di trenta lingue, per The So-Called Outside Means Nothing to Mepremiato da Theater Heute come testo dell’anno nel 2014.

Per la prima volta in Italia arrivano alla Biennale Teatro le australiane Susie Dee – regista, attrice, direttrice di teatro – Patricia Cornelius – una delle voci più forti della drammaturgia di lingua inglese – che da trent’anni costituiscono un inossidabile sodalizio artistico votato al teatro indipendente e militante. Coraggioso nei temi, tra degrado morale e critica sociale, tutti improntati all’oggi e spesso affidati programmaticamente a team di sole donne. Da questo retroterra nascono anche i due spettacoli presentati alla Biennale: Shit e Love. Cerca invece il “timbro riconoscibile” di un classico del teatro come Il giardino dei ciliegi di Cechov Alessandro Serra, artigiano della scena che della scrittura cura ogni aspetto – costumi, luci, scene, musiche – e che da più di vent’anni persegue una sua idea di teatro-laboratorio con la compagnia Teatropersona. Atteso in questa prova dopo il successo internazionale di Macbettu.

Tra gli autori che mettono in scena i propri testi, il Festival ospita la cilena Manuela Infante, scrittrice di primo piano della scena sudamericana ma anche direttrice del prestigioso Teatro de Chile oltre che regista, i cui spettacoli sono stati presentati in tutta Europa e negli Stati Uniti e i testi tradotti in inglese e in italiano. Della Infante si vedranno due spettacoli, due esilaranti ma profonde riflessioni – suffragate dalle più moderne correnti di pensiero – per un teatro non antropocentrico: Estado Vegetal, un one-woman-show che prende spunto dalle teorie rivoluzionarie sulla vita e l’intelligenza delle piante del filosofo Michael Marder e del neurologo Stefano Mancuso; e Realismo, ispirato alla corrente filosofica del realismo speculativo che “ricolloca” il mondo degli oggetti stravolgendo le abituali gerarchie. Anche Paola Vannoni e Roberto Scappin, noti come Quotidianacom, lavorano sul linguaggio facendo del meccanismo dialogico, quello sinteticamente indicato come Q/A, una cifra stilistica, tra folgoranti battute e siparietti surreali intinti nel curaro, o incongrui al limite dell’assurdo. A Venezia presentano segmenti della loro biografia artistica con L’anarchico non è fotogenico, Sembra ma non soffro e la novità Il racconto delle cose mai accadute.

Già apprezzato ma meno conosciuto al grande pubblico, il regista e autore Pino Carbone alla Biennale Teatro propone ProgettoDue, che mette in rapporto due lavori distanti nel tempo ispirati al mondo della fiaba e del mito. Si tratta di BarbabluGiuditta scritto con Francesca De Nicolais e di PenelopeUlisse con Annacarla Broegg: due testi che operano un rovesciamento dei punti di vista nella scrittura (sono le due autrici a dare voce a Barbablu e Ulisse mentre il regista scrive le battute dei personaggi femminili) e che si strutturano drammaturgicamente sull’esempio del melodramma. Infine, Pino Carbone presenta la novità assoluta Assedio da Cyrano de Bergerac: riscrittura che trasporta l’eroe romantico ai nostri giorni, sullo sfondo dell’assedio di Sarajevo, quando la guerra irrompe nella vita con le sue devastazioni mutando per sempre i nostri destini. Lucia Calamaro è riconosciuta autrice di un teatro fondato sulla lingua, un teatro di parola che nasce sulla scena e che richiede ai suoi attori di essere “atleti della parola” (Christian Raimo), affrontando temi universali attraverso storie personali. Alla Biennale Lucia Calamaro presenta il suo nuovo lavoro: Nostalgia di Dio.

PenelopeUlisse - Regia di Pino Carbone

PenelopeUlisse – Regia di Pino Carbone

Il Festival ospita anche nomi che sono punta avanzata fra gli artisti-performer: il tedesco residente ad Amsterdam Julian Hetzel, formato alle arti visive e alla musica, la belga Miet Warlop, con studi nelle arti multimediali, l’ensemble di teatro musicale Club Gewalt da Rotterdam. Invitati nei contesti più diversi, sono figure poliedriche che spostano i confini delle diverse discipline mettendo in gioco le reciproche influenze e proponendo nuovi linguaggi drammaturgici dove la scrittura è per lo più scrittura scenica e non testuale. Per la prima volta in Italia, Julian Hetzel, autore di performance dal segno politico, è invitato alla Biennale con tre opere. All Inclusive è stato paragonato alla versione teatrale del film di Ruben Ostlund The Square: al centro l’estetizzazione della violenza che un cumulo di macerie provenienti dall’area del conflitto siriano rappresenta, sollevando il velo sulla linea sottile e ambigua tra sfruttamento e impegno nel processo artistico. The Automated Sniper riflette sull’oscillazione tra reale e virtuale, sulla “ludicizzazione” della violenza, quando le guerre sono combattute sempre più a distanza, attraverso i droni, per cui guardare in uno schermo equivale a uccidere. I’m Not Here Says the Void è un “poema” sull’assenza tra teatro visivo, danza, scultura, musica elettronica, un lavoro sull’immaginazione e sulla realtà come creazione dello spettatore.

Ha fatto il giro del mondo Mystery Magnet di Miet Warlop, oltre ad aver vinto il premio Stuckemarkt Theatertreffen nella sezione per nuovi modi di teatro, con la sua trama di colori, forme e figure che prendono vita in un universo allucinato e stravagante. Di Miet Warlop si vedrà anche Ghost Writer and the Broken Hand Break, performance fondata sull’ossessione per il movimento concentrico: tre performer danzano sul proprio asse come dervisci rotanti, fanno esplodere la loro potenza nascosta propagando negli spettatori un senso di libertà. Monteverdi e David Bowie, Wagner, Skrjabin e Kaynee West, ma anche Andy Warhol e Marcel Duchamp: è l’energia esplosiva (questo significa Gewalt) del collettivo di sette performer, cantanti, musicisti, attori che offrono una vitale e anticonformista alternativa al mondo dell’opera. Alla Biennale, che li ospita per la prima volta in Italia, si vedranno Yuri, ovvero ascesa e caduta del “signore degli anelli”, il ginnasta olandese Yuri Van Gelder, e la techno-opera Club Club Gewalt 5.0 Punk, un night club folle ed eclettico con le sue esplosive esibizioni musicali e un bar che non chiude mai.

È infine Jens Hillje, premiato con il Leone d’Oro alla carriera, a compendiare in varia misura tutte le declinazioni del drammaturgo oggi. Per anni condirettore artistico della Schaubühne di Berlino che ha rivoluzionato insieme a Thomas Ostermeier e Sasha Waltz, Hilljie rappresenta il drammaturgo che non è più solamente artefice della scrittura o dell’elaborazione di testi teatrali. Oggi Hillje è condirettore artistico del Gorki Theater, che ha contribuito a rendere fulcro della nuova scena berlinese, collaborando con i più importati nomi della scena internazionale ma anche cercando sinergie fra giovani artisti, autori, registi, scoprendo nuovi talenti e creando anche un nuovo pubblico.

Il tema drammaturgie sarà sotto i riflettori di un simposio con alcuni esponenti delle migliori riviste internazionali di teatro; il tema sarà, inoltre, oggetto degli incontri quotidiani con gli artisti del Festival, moderati da Claudia Cannella, critica di teatro e direttrice della rivista “Hystrio”, con la traduzione simultanea di Ilaria Matilde Vigna.

Debutta il 45° Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia

Debutta il 45° Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia

Debutta martedì 25 luglio (fino al 12 agosto) il 45. Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta, secondo il programma ideato dal neo direttore Antonio Latella e intitolato Atto primo: regista.

Al centro la regia, tema attorno al quale ruota la storia teatrale a partire dal secolo scorso, per vederne l’evoluzione attraverso nove registe provenienti da Italia, Germania, Francia, Polonia, Olanda, Estonia: tutti volti nuovi che offrono uno spaccato del più aggiornato panorama europeo. Sono registe per lo più quarantenni, con un percorso artistico accreditato in patria e all’estero, di cui il Festival presenta fino a quattro spettacoli, tutti in prima italiana, come tanti ritratti che tracciano il processo creativo di ognuna di loro.

“Quest’anno – dichiara Antonio Latella – l’accostamento di spettacoli, e quindi la creazione di mini-personali, ha evidenziato che soprattutto nelle registe donne è più facile, anche in un breve tempo, intravedere la nascita, o meglio, l’evoluzione dei linguaggi, e ovviamente questo ci ha stimolato a dare, per questa nostra prima Biennale, per questa nostra apertura di porte su un quadriennio, il passo di entrata alle registe donne. Molte di loro capaci di evolvere con grande naturalezza, ma al contempo con profondo senso critico, l’unione dei linguaggi che fanno da ponte tra il secolo scorso e questo. E’ proprio nella concentrazione di una ricerca del linguaggio che, soprattutto nelle registe donne, abbiamo riscontrato un’esigenza, una necessità mai gratuita, mai legata a un bisogno puramente carrieristico o di affermazione, ma da una sincera urgenza creativa”.

Martedì 25 luglio il Festival si apre nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian (ore 15.00), sede della Biennale, con la consegna del Leone d’argento alla regista polacca Maja Kleczewska e del Leone d’oro alla carriera, che per la prima volta è destinato a una scenografa, la tedesca Katrin Brack.

43 anni, da Cracovia, Maja Kleczewska è considerata una delle figure più rilevanti del teatro polacco lungo la linea che da Tadeusz Kantor arriva a Krystian Lupa e Krzysztof Warlikowski (di cui è stata assistente); a sua volta Katrin Brack è una delle grandi firme della scenografia teatrale europea e la sua opera testimonia “come la scenografia non sia soltanto un oggetto artificiale da far abitare agli attori, ma un vero contributo drammaturgico che partecipa attivamente alla scrittura scenica, quanto le parole di un testo” (A. Latella).

Alla premiazione, seguirà una conversazione con Maja Kleczewska e Katrin Brack, primo di un ciclo di incontri con le artiste invitate al Festival condotti da Claudia Cannella, critico di teatro e direttrice della rivista Hystrio.

La sera, al Teatro Piccolo Arsenale (ore 19.30), debutta in prima per l’Italia The Rage, regia di Maja Kleczewska, dall’omonimo testo teatrale di Elfriede Jelinek – premio Nobel per la letteratura nel 2004, ma già nota al pubblico internazionale per La pianista, romanzo e poi film di Michael Haneke, con Isabelle Huppert e Annie Girardot, premiato al Festival di Cannes nel 2001.

La Jelinek comincia a scrivere The rage dopo la strage di Charlie Hebdo a Parigi, traendo ispirazione anche dal testo del sociologo tedesco Klaus Theweleit, The laughter of killers. Sperimentale, antinaturalistico, provocatorio, intriso di critica sociale, costruito sulla parola – frammenti di immagini, riflessioni, aneddoti, lunghi monologhi – più che sull’azione e i personaggi, il teatro della Jelinek artiglia la realtà ed è una sfida per attori e registi.

La rabbia, tema dell’opera, diventa nella regia di Maja Kleczweska, alla sua quarta messinscena di un testo della Jelinek dopo Shadows (Eurydice speaks), Babel e Winter Journe, uno spettacolo ad alta intensità, in cui i generi si fondono in un teatro sperimentale e politico al tempo stesso. Avvalendosi della collaborazione di Łukasz Chotkowski, che ha curato la drammaturgia sotto la supervisione della Jelinek stessa, e dello scenografo e artista Zbigniew Libera, Maja Kleczweska ha immaginato un gruppo di attivisti che prende il controllo del teatro e lo trasforma in uno studio televisivo dove, tra programmi e notizie realmente attinte dai media, si svolgono gli scontri tra vittime e carnefici, tutti travolti da una rabbia accecante.

“La rabbia – afferma la regista – è la rabbia dei terroristi, ma è anche la rabbia degli impotenti, quella dei politici di destra, quella degli eroi antichi e persino la nostra, un sentimento che si dissolve in una comune, immensa, emozione. La rabbia, a tutti i suoi livelli, è indagata come un fenomeno potente, creativo e distruttivo insieme… Il testo è anche un requiem per l’Europa, per questo continente tragico, indifferente, impotente e vuoto. E questo vuoto si riempie di rabbia”.

Laureata in regia alla scuola del Teatro Nazionale di Cracovia, Maja Kleczweska ha lavorato in molti teatri, come il Teatro Nazionale di Varsavia, il Teatro Polacco di Bydgoszc, il DeutschesSchauSpiel Haus di Amburgo. Fra i suoi ultimi lavori: Rats, dal testo di Gerhart Hauptmann, Painted bird, dal racconto di Jerzy Kosinski, Dybuk di Anski e The Rage di Elfriede Jelinek.

Biennale di Venezia : Annunciati i programmi dei settori Danza Teatro Musica

Biennale di Venezia : Annunciati i programmi dei settori Danza Teatro Musica

I programmi dei settori dello spettacolo dal vivo della Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta, si svolgeranno quest’anno da giugno a ottobre, e precisamente:
– dal 23 giugno all’1 luglio si svolgerà l’11. Festival Internazionale di Danza Contemporanea diretto da Marie Chouinard e intitolato Capitolo primo (First Chapter); il Leone d’oro alla carriera per la Danza è stato attribuito alla danzatrice e coreografa statunitense Lucinda Childs, il Leone d’argento alla performer e coreografa canadese Dana Michel;
– dal 25 luglio al 12 agosto avrà luogo il 45. Festival Internazionale del Teatro, intitolato Atto primo: REGISTA, secondo il programma del direttore Antonio Latella; Leone d’oro alla carriera di questa edizione del Festival è la scenografa tedesca Katrin Brack; Leone d’argento è la regista polacca Maja Kleczewska;
– dal 29 settembre all’8 ottobre è programmato il 61. Festival Internazionale di Musica Contemporanea, dal titolo Est!, sotto la direzione di Ivan Fedele; Leone d’oro alla carriera per la Musica è il compositore cinese Tan Dun; il Leone d’argento è stato attribuito al compositore giapponese Dai Fujikura.

Dichiara Paolo Baratta:
“I tre programmi sono ispirati a un indirizzo comune. Ciascuno è focalizzato su modi particolari di concepire la regia teatrale e l’impostazione coreografica della danza, mentre nel caso della musica ci si concentra in particolare su quella proveniente da una parte del mondo, l’Est, il grande Oriente. Per la Biennale si tratta di scelte importanti ai fini di una qualificazione del suo ruolo di luogo di ricerca. Un particolar modo di intendere il festival, che mette in luce i partecipanti per l’interesse che ciascuno rappresenta, tanto da essere convocato con più di uno spettacolo; registi di cui si vuole cogliere l’evoluzione, coreografi di cui si vuole cogliere una linea omogenea applicata a diverse esperienze; mentre per la musica, al di là del focus particolare su una regione del mondo, si affianca una grande apertura nei confronti dei diversi generi musicali effettuata nel nome della qualità. Molto interessanti – prosegue Baratta – gli sviluppi di Biennale College in ciascuno dei tre settori. Il College si rivolge non solo ai danzatori ma per la prima volta anche ai coreografi, non solo agli attori ma anche ai registi, mentre per la musica è cresciuto l’impegno a proporre e produrre tre lavori di teatro musicale.
Sono tutt’e tre l’atto primo, il capitolo primo, il momento primo di un percorso che proseguirà seguendo la stessa metodologia e che segnerà, anche per coerenza di impostazione, un capitolo molto importante nella storia della Biennale”