Le dinamiche dissonanti di Claire Dowie: Argot Studio presenta Benji

Le dinamiche dissonanti di Claire Dowie: Argot Studio presenta Benji

Dal genio di Claire Dowie, scrittrice, attrice, poetessa e pioniera dello stand-up theatre, una delle figure più anticonformiste del teatro contemporaneo, arriva dal 17 al 20 febbraio ad Argot Studio Benji, con Chiara Tomarelli e la regia di Pierpaolo Sepe, traduzione di Anna Parnanzini e Maggie Rose.

Esplosiva, penetrante e leggera, la drammaturgia di Claire Dowie dà luogo a una sorta di manifesto impietoso e spassoso. Un’indagine, a metà fra un’autobiografia ribalda e talvolta dolorosa, sempre con l’attenzione ai mutamenti della società e a uno dei temi chiave della nostra tormentata fine di secolo e millennio: l’identità.
Benji racconta di un grave disagio psichico, mettendo in scena una personalità scissa che, per esistere in una collettività oppressiva, deve crearsi un amico immaginario.

In questa conversazione, l’attrice Chiara Tomarelli e il regista Pierpaolo Sepe raccontano Benji.

Quali motivazioni vi hanno spinto a lavorare su Benji di Claire Dowie?

Chiara Tomarelli: Il testo di Claire Dowie ha toccato dei nervi per me scoperti, inducendo un’adesione profonda al lavoro. Così è nato anche il mio desiderio di ricerca, di entrare con tutta me stessa nel disagio che permea il racconto. Avevo lavorato molti anni fa con Pierpaolo Sepe, come attrice mi ero sentita completamente libera, e ho pensato che fosse la persona giusta a cui affidare la regia dello spettacolo. 
Benji mi ha colpito sia perché è scritto in un modo che entra nelle viscere, dipanandosi in diversi registri, sia per la tematica: parla del disagio psichico di una ragazza, concentrandosi sulla nascita dello stigma.

Pierpaolo Sepe: Sono molto grato a Chiara per avermi sottoposto questo testo che non conoscevo, è stato commovente leggerlo perché consente di riconoscersi, di far affiorare i valori dell’infanzia. È come ritrovare quei momenti della formazione che hanno inciso sul nostro diventare adulti, facendo riaffiorare le tante cicatrici che ci portiamo dietro.

Come viene restituito nello spettacolo il delicato tema del disagio psichico affrontato in Benji?

P.S: Quando ci si trova in presenza di testi così intimi, così importanti, credo che il regista debba fare un passo indietro, mostrarsi il meno possibile e supportare l’attrice che si espone portando la sua storia, la sua sensibilità. Chiara è straordinaria, è un’attrice davvero formidabile, ha fatto suoi testo, personaggio, storia e storia, vederla lavorare è emozionante.
Ci vogliono cura e rispetto nell’affrontare il tema del disagio psichico per non rischiare di spettacolarizzare il dolore altrui, occorre un grande senso di pietas per affrontare una storia di questo tipo. Abbiamo cercato di raccontare due persone che vivono nello stesso corpo con due andamenti interpretativi differenti che si contrastano e lottano per affermarsi. Il fulcro del lavoro registico è stato proprio la ricerca di elementi recitativi che assecondassero le due personalità presenti all’interno della storia.  

C.T: Sicuramente è un testo che richiede un’adesione completa da parte dell’attore. Mi sono messa alla ricerca di quelle fratture, di quei dolori, di quelle distonie che ognuno di noi ha al proprio interno, per metterle al servizio dello spettacolo, toccando anche i miei punti più oscuri e profondi. Sentire la vicinanza di Pierpaolo mi ha aiutato tanto.

P.S: Benji è quella parte di noi che apparentemente tace ma che in realtà osserva e denuncia le offese subite, i dolori, le cicatrici fino a divenire protesta. Benji è una vendetta, è la vendetta per un dolore di cui non si ha il coraggio di parlare.

Quali risvolti emotivi e personali sono affiorati mediante il processo creativo condotto per Benji?

P.S: Rispecchiandosi, gli artisti indagano l’umano con una ricerca quasi ossessiva. Ho sempre avuto una curiosità accesa, febbrile, nei confronti di dinamiche dissonanti, delle fratture e ho sempre cercato di raccontare storie soprattutto attraverso una drammaturgia contemporanea, di cui sono un attentissimo lettore.
Quando ho avuto a che fare con testi straordinari mi sono focalizzato su quelle zone oscure che appaiono soltanto come un rumore di fondo e che i personaggi invece esprimono con violenza, dolore, tristezza, azioni magari inconsulte ma che riconosco nel confronto con le persone che ho intorno. Ogni volta mi lascio sedurre da questa indagine che si trasforma anche in un modo per conoscere meglio le persone che amo e soprattutto me stesso.
Un personaggio come quello di Benji, che Claire Dowie racconta in modo sublime, fa venir voglia di capire perché certe cose accadono e come fare per evitarle, per opporsi a certi destini crudeli. Io mi confronto soprattutto con Benji: mi è capitato di sentirmi figlio ma anche padre, sono stato quel bimbo e, avendo una figlia, oggi sono l’adulto con cui quel bimbo si scontra. Per me è molto educativo imparare a ragionare e ad agire in termini di evoluzione del pensiero, dell’esistenza.