Tre racconti nell’umanità e nella bellezza dell’amore

Tre racconti nell’umanità e nella bellezza dell’amore

Parlare, scrivere, recitare l’amore possono avere anche la funzione di rilevare e condividere il coefficiente di umanità insito in ognuno di noi. Il teatro, la danza, l’arte in genere perderebbero l’appeal delle loro produzioni se all’improvviso, per qualche misterioso e incomprensibile motivo, sparissero questi due elementi.

Mediante la nostra esplorazione vogliamo raccontare le storie di tre creatori artistici, i loro punti di vista e le diverse, forti personalità che ne hanno ispirato gli ultimi spettacoli. Utilizzando i movimenti della danza, le estetiche e le poetiche, ognuno di loro ha declinato in chiave contemporanea tutto ciò che si muove intorno all’amore e all’umanità. In presenza o in assenza di essi. Nella vita reale, nella routine quotidiana. In questo secolo o in raccordo con quello precedente.

La passione di Davide Romeo per le partiture coreografiche, si delinea fin da giovane, dai tempi del liceo classico a Reggio Calabria, città dove inizia a studiare anche danza classica. Si specializza successivamente nella contemporanea e si laurea al Dipartimento Arte Musica e Spettacolo dell’Università Roma 3.

Era l’estate del 2014, il mese di Agosto per l’esattezza. Uno spettacolo di danza contemporanea “Lo que se mueve no se congela” andava in scena a La Paz e, ancora dopo, in tutto il Sud America con una tournée. La regia e le coreografie erano di Davide Romeo e grazie a quel momento nacque la compagnia Uscite di Emergenza di cui Romeo è il coreografo e il direttore artistico.

La missione che orienta la compagnia e le produzioni è un concept che unisce teatro e danza, interazione nella riflessione. L’unicità delle performance fa sì che ognuna di esse diventa un momento che non riproduce mai gli sviluppi, le stesse condizioni da cui nasce. Non a caso, una citazione dell’autore – commediografo austriaco Karl Kraus che piace a Davide Romeo è: “Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato.”

Ero filo d’agave

Ero filo d’agave

Ero filo d’agave è una delle ultime composizioni, un insieme di pezzi che rimanda a tante suggestioni a iniziare dal titolo. Una pianta medicinale l’agave, la cui fibra estratta è molto resistente e può essere trasformata in tessuto vegetale. La sua fioritura impiega dagli 8 ai 40 anni e, una volta avvenuta, con essa arriva la morte. Non prima però di aver lasciato i semi di un nuovo ciclo, contenuti nel frutto che si sviluppa dal fiore. Un ciclo vitale che insegna che in natura ci sono delle semplici regole. E poi c’è la libertà positiva dell’uomo, l’autodeterminazione. La responsabilità delle sue azioni e delle sue volontà.

Tre parole, un gioco di assonanze: Eros, Philia, Agape. I tre volti dell’amore. Quello carnale, quello sentimentale che realizza amicizia e complicità e, infine, quello spirituale, oblativo. Ero filo d’agave non è il racconto di una storia che da Alpha porta ad Omega, con una serie di passaggi intermedi. Non è l’equazione perfetta che, una volta risolta, conduce a Dio passando attraverso l’incontro carnale. Sono tante superfici riflettenti in altrettante composizioni.

Servono per guardarsi dentro e riconoscersi ora nell’uno, ora nell’altro. Lo spettacolo viene descritto dalla compagnia come “un modo frammentato di presentare una serie di possibilità di uno stesso universo”. La ricerca è stata realizzata e indirizzata verso il recupero di una essenzialità delle azioni, dei movimenti dei corpi. In ogni episodio i danzatori hanno vissuto un rapporto molto intimo, in una dimensione di coppia o individuale. Un rapporto molto forte con il pavimento, ricreato con lo studio sulle cadute, tema molto caro a Davide Romeo. Un equilibrio perfetto tra floorwork, contact e azioni fisiche.

Ero filo d’agave si compone di due parti, tre pas de deux, nella prima. Il primo è Zaffiro, con Francesca Vitillo e Lara Cerrato, seguito da Plenaria, con Jonathan Colafrancesco e Davide Romeo. L’ultimo è Luxury Problems con Marco Cappa Spina e Michael Pisano. In ogni passo a due, vengono raccontate storie da due punti di vista diversi che si consumano e si esauriscono all’interno delle relazioni vissute e portate in scena. La seconda parte è un gioco sugli stereotipi tra ironia e leggerezza. The Great Pretender con Marco Cappa Spina e Saturno a favore con Giovanna Zanchetta. Il finale avviene con Ceci, un tableau vivant, una composizione scenografica che mette insieme corpi, immagini oniriche e suoni, come quelli di una tammurriata, una pizzica, una tarantella.

Ero filo d’agave

Ero filo d’agave

La danza come atto di inclusione utilizza una molteplicità di linguaggi: assorbe umanità e amore per restituire bellezza e poesia

Questa è l’ispirazione alla base di “Simple Love: Odi sull’essere umano”. Uno spettacolo composto da quattro parti. Due sono le coreografie di Roberta Ferrara: Equal to men con Tonia Laterza e Simple Love con Nicola De Pascale e Tonia Laterza. Le altre due sono Walking & Talking di Jiří Pokorný danzatore e coreografo del Nederlands Dans Theater e Nunc di Gaetano Montecasino, danzatore della Compagnia Zappalà Danza.

L’indagine sull’essere umano è il filo conduttore del lavoro a più voci. Vari passaggi, mondi interiori che si rivelano, connessioni intime, partiture coreografiche e sonorità differenti realizzano un singolare momento performativo. Una connessione misteriosa unisce aspetti così diversi tra loro: la forza e la fragilità, l’amore verso gli altri e verso di sé.

Equal to men riprende la definizione di Omero, il quale apostrofò le Amazzoni, le donne guerriere, “uguali agli uomini”. Un rapporto del 2019 sulle donne, le imprese e la legge, promosso dalla Banca Mondiale, ha misurato la discriminazione di genere in 187 paesi. Risulta che gli unici paesi al mondo a sancire l’uguaglianza sono Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia, Lussemburgo e Svezia. Questo dato oggettivo serve a far riflettere senza arroccamenti ideologici. Kristalina Georgieva, presidente ad interim della banca, ha dichiarato che le donne rappresentano la metà della popolazione mondiale e hanno un ruolo da svolgere nella creazione di un mondo più prospero.

Walking & Talking è un “mono-dialogo interpersonale” che mette in luce diverse contraddizioni: la follia e l’equilibrio, il silenzio contrapposto al pericolo di evitare le voci interiori, i ricordi e la memoria. “Camminiamo e parliamo come se dormissimo e sognassimo”.

Gaetano Montecasino ha tratto l’ispirazione da “Il potere di adesso” di Eckhart Tolle per Nunc. Rappresenta il passaggio da un momento negativo a uno positivo. Tolle sostiene che il presente racchiude la chiave per la liberazione, ma non si può riconoscerlo finché sei tu la tua mente.

Simple Love è la storia di un amore semplice, di una ragazza che trova il suo equilibrio appoggiandosi al suo compagno, un ragazzo. I due si osservano e si confrontano mentre i loro corpi si cercano e si sciolgono in una sfida di contrappesi e simmetrie, tra sentimenti e sensazioni. L’accordo da raggiungere è quello tra ragione, corpo e sentimenti, fino al punto da stare in piedi e in equilibrio da soli.

Equilibrio Dinamico è la compagnia pugliese “non d’autore, ma di repertorio” fondata nel 2011 da Roberta Ferrara. A giugno del 2019 e per un mese, Simple Love sarà in tournée in America, nell’ambito del Seattle International Dance e presso l’Experimental Film Virginia.

La storia ci insegna che in ogni secolo ci sono stati momenti ed episodi di mostruosità

La progressiva disumanizzazione ha sempre condotto verso la violenza e, infine, alla guerra. In momenti di inaudita ferocia c’è sempre un anelito di speranza che produce e infonde bellezza. Fonte d’Amore è una località alle falde del monte Morrone a Sulmona. Un sito con un nome evocativo, famoso per essere stato, ironia della sorte, la sede di un luogo di prigionia. Un lager chiamato “Campo 78”. I tedeschi usarono i numeri non solo per i deportati, ma anche per denominare tutti i campi di concentramento sparsi sul territorio italiano.

Vita e morte, odio e amore, umanità e bestialità, orrore e bellezza: l’uomo è stato capace di generare ogni cosa e il suo opposto nel passato, ma continua a farlo anche nel presente. Tutto questo lo conosce bene e lo ha portato in scena Carlo Diego Massari con Beast without beauty. In due recenti occasioni, a Roma a febbraio, al Teatro Biblioteca Quarticciolo; a marzo a Schio, al Teatro Civico, in occasione del Festival Danza In Rete.

È uno spettacolo di teatro-danza che utilizza diversi linguaggi dal movimento fisico alla parola, dalla danza al canto. L’idea di Massari, autore del progetto Anfibia, è che “il movimento in realtà nasce da cosa voglio dire e come lo voglio dire. Cerco sempre di allontanarmi dallo stile dei classici, sebbene sia nel mio DNA. Tutto quello che fa parte del movimento canonico codificato, quando creo, mi arriva addosso perché comunque fa parte del mio passato, mi attraversa, ma cerco di separarmene.

Questo perché credo che così come si è evoluta la lingua con i modi di dire, gli slang, si debba evolvere anche il livello della comunicazione fisica. Tendo sempre a mantenere una struttura, un disegno scenico classico di spostamenti nello spazio. Il corpo si muove con nuovi linguaggi all’interno di un modello riconoscibile. Nižinskij ha introdotto l’idea, l’importanza del cerchio. Non ha inventato nulla perché ha preso dalle danze popolari tradizionali russe. Il cerchio rappresenta una società”.

I movimenti circolari compiuti da Carlo Diego Massari ed Emanuele Rosa durante Beast without beauty descrivono la forma di una società atemporale sulla base anche del modello di Vaclav Fomič Nižinskij, coreografo e ballerino ucraino di origine polacca. Sono l’insieme dei punti di una rappresentazione. Il cerchio per il dialogo, le linee spezzate per l’incomunicabilità, le parallele per l’impossibilità di un incontro.

Beast without beauty

Beast without beauty

Un altro elemento fondamentale è il tema delle relazioni umane che possono generare o meno la bellezza. La mostruosità dell’indifferenza, come dice Massari: “La base del nostro lavoro è il guardare i barconi che affondano sorseggiando una tazza di tè. È l’uomo contemporaneo nel suo egoismo. Come se fosse diventato prioritario, in questo momento storico, difendere il proprio orticello. Sicuramente c’è il discorso legato ai meccanismi del potere però il punto di partenza è proprio come si dice in francese “je m’en fous” – me ne frego di chiunque e di qualunque cosa. L’importante è sopravvivere ancora una volta.

È un meccanismo che nasce durante le guerre e cresce in assenza di combattimenti. In questo momento siamo in una sorta di conflitto taciuto, ci si scontra con altri sistemi, con altri mezzi, con i media. È una crisi culturale studiata, mirata, un imbarbarimento che porta ai nazionalismi. Questo lavoro è nato a livello di creazione nel marzo del 2017. Mi sono ritrovato a marzo 2018 e ancor più mi ritroverò a marzo 2019 a rifletterci. Guardandomi intorno mi sono detto che avevo fiutato qualcosa. Il pubblico si riconosce e riesce a leggerlo facilmente, perché ci appartiene. Mi spaventa quasi farlo perché quello che avevo previsto nel mio immaginario è accaduto nella realtà. Probabilmente, il prossimo passo sarà finire In una dittatura all’interno di un sistema del terrore”.

La storia insegna a riconoscere il volto di una dittatura, la mostruosità della guerra, il “sonno della ragione” citato da Francisco Goya. Il monito di quel che è stato nel passato scuote il torpore del presente dei nostri giorni. È nella crudeltà del male che si insinua il risveglio delle coscienze e dei cuori. Quando il comando italiano del Campo 78 ebbe la notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943, chiesto dal governo italiano e accolto dal generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane, i militari decisero di allentare la vigilanza.

Molti prigionieri evasero sperando di intercettare le truppe alleate, oltrepassato il fronte rappresentato dal fiume Sangro. Al sopraggiungere del comando tedesco iniziarono i rastrellamenti e le intimazioni. Nonostante l’alto rischio, Sulmona si distinse per la sua grande opera di solidarietà, di aiuto. Si attivarono i paesi, si aprirono le porte delle case di campagna della Valle Peligna, il Borgo Pacentrano. Ben settemila prigionieri furono così salvati. Far conoscere, tramandare l’esempio del cosiddetto “Spirito di Sulmona” oggi serve perché c’è un grande bisogno di ritornare a sentirsi simili nella stessa natura.

Nell’umanità e nella bellezza dell’amore. Non solo è possibile, ma è necessario.