Concerto Fisico di Balletto Civile. Spaccare la crosta, far colare la lava

Concerto Fisico di Balletto Civile. Spaccare la crosta, far colare la lava

Presto ci sarà una colata di lava, una lingua di fuoco che attraverserà Paesaggi del Corpo – Festival di Danza contemporanea. Tutto ciò si verificherà il 10 ottobre, quando la Compagnia Balletto Civile sarà ospite al Teatro Artemisio Gian Maria Volontè di Velletri. Concerto Fisico è il loro manifesto poetico, un solo act che contiene in sé non solo i codici e le coordinate della ricerca artistica di Michela Lucenti, l’ibridazione tra danza, teatro, suono e corpo, ma anche la loro cronistoria come “collettivo nomade di performers”. Un percorso umano e artistico che vibra e infonde una rinascita o semplicemente l’atto di svegliarsi. E, infine, c’è un libro-guida e un’autrice premio Pulitzer nel 1975, Annie Dillard, come ci ha raccontato Michela Lucenti nel corso dell’intervista.

Ci siamo lasciati all’inizio dell’estate scorsa, ci ritroviamo in autunno. Come hai trascorso e come hai vissuto tutto questo periodo di tempo? Cosa ti ha lasciato, che cosa hai conservato?

È stata un’estate piena di tante cose da fare; in parte nuove, in parte da recuperare, come per molti.  Stranamente il pensiero, a tratti, sembrava sospendersi perché c’era da essere estremamente operativi. Il punto in cui mi trovo adesso è qualcosa di bello, pieno, caldo che ha attivato in me delle riflessioni. Sto ripensando sia alla testimonianza fisica del mio, del nostro stare in scena, sia a nuove produzioni che per il momento sono nella la mia testa. Il lavoro estivo è stato riempito con tanta bellezza e successi, con ogni persona che abbiamo incontrato. Questo è il momento buono per una riflessione su quello che è accaduto, senza tristezza o nostalgia. Un tentativo di comprensione e di analisi  per ciò che riguarda lo stare in scena, ma anche la scrittura. La composizione mediante l’elaborazione cosciente di tutto quello che abbiamo attraversato, senza far finta che non sia accaduto, quindi mi trovi in questa posizione. 

Un approfondimento sul gioco di contrappunti, presenti in Concerto Fisico, tra te, e i tuoi compagni di scena: Maurizio Camilli e Tiziano Scali.

Concerto fisico è una materia lavica, un lavoro sui refusi. È nato come uno sfogo. Faccio un lavoro di drammaturgia fisica molto denso nella scrittura dei nostri spettacoli. Sicuramente faccio un lavoro coreografico ma per me è molto importante l’approfondimento, gli studi che si fanno all’inizio, il lavoro a tavolino precedente a quello delle prove. Da tanto tempo mi è stato chiesto di fare un lavoro da solista. Così non ho voluto ripercorrere la mia storia artistica, piuttosto esplorare un vuoto, una zona lavica che rappresenta la passione che io dedico e riservo a questo mestiere, il mio desiderio di essere una testimonianza con il corpo. Il rapporto con Maurizio e Tiziano è molto profondo. Maurizio è un attore e un danzatore, Tiziano è un fonico sui generis, molto spesso costruisce le partiture musicali dei nostri spettacoli. Lui è un musicista, un pianista. Sono entrambi le persone più adatte ad accompagnarmi e a “vegliare” su questa mia fuoriuscita artistica. Danno un’ulteriore forma a quello che io faccio. 

Lavorando insieme con loro, mi sono accorta che cavalcavano benissimo il mio flusso. La funzione che hanno non è quella di mettermi dei paletti o di chiudere, ma di fomentare la mia ricerca, come se fossero il trampolino su cui ogni volta posso prendere la rincorsa. Veniamo dalle repliche di Palermo e, ancora prima, Pordenone. Concerto Fisico è uno spettacolo che cambia, un work in progress, anche se la partitura è la stessa. Ma soprattutto è una materia che noi lasciamo fluire, ognuno di noi è totalmente in gioco. Un lavoro che ogni volta è un po’ diverso, costruito su una partitura di interpretazione, come se fosse uno spettacolo jazz. Vive del momento in cui siamo e questa materia è la vita. È una materia viva come tutti gli spettacoli, ma in questo caso lo è ancora di più.

Quali sono stati i principali cambiamenti operati in Concerto Fisico?

Il lavoro tra corpo e voce, per me, è estremamente connesso. Nonostante io abbia cantato fin da bambina, la formazione più grande che ho ricevuto è avvenuta con l’immenso lavoro fatto con Moni Ovadia. Parte da un’idea di canto arcaico, in qualche modo anche popolare. Seguendo una traccia molto chiara, si ascoltano le proprie “cavità”.  Un lavoro sui risuonatori che cambiano a seconda di come il corpo è, di come sta in quel momento, di cosa sta vivendo. La mia voce è cambiata, per prima cosa mi sento di dire questo. Cambiando la mia voce, naturalmente cambia anche il mio corpo. Anche se lo spettacolo rimane furioso, è più morbido, più coinvolgente rispetto al pubblico

Quando è nato voleva essere come un pugno, un manifesto. Adesso sembra sussurrare un piccolo suggerimento a chi lo guarda. Un “vieni con me”  inclusivo. In questo momento io non ho voglia di dare schiaffi, ma di prendere la gente per mano, di consegnare la mia storia condividendola insieme a quella degli altri. Magari qualcuno guardando Concerto Fisico lo troverà molto Punk, per noi invece è molto più caldo adesso, più coinvolgente, questo è ciò che mi viene da dire a getto. L’altra cosa importante è che si è affinato in questi anni ancora di più il lavoro tra lo spazio, il suono e il corpo. La nostra ricerca è andata avanti e, chiaramente, anche il rapporto tra di noi, tra me e Tiziano si è evoluto. Ci sono delle cose che funzionano meglio semplicemente perché sono state esperite di più. Come tutti gli artisti ricerchiamo e studiamo. 

Come sono stati selezionati autori, musicisti e opere contenuti in Concerto Fisico? Hai pensato di cambiare qualcosa, pensi di volerlo fare?

Dal punto di vista della macro traccia, dello scheletro drammaturgico non ho cambiato niente. Credo che non lo cambierò perché, anche se l’ispirazione è nata spontaneamente, dopo è stato a lungo meditato, abbiamo tracciato un filo rosso che per noi è fondamentale. È il risultato di un mio innamoramento letterario. Ogni parola contenuta in Concerto Fisico viene da un testo: Ogni giorno è un Dio, di Annie Dillard, Premio Pulitzer, una grandissima scrittrice americana. Lavoro sul testo della Dillard, che continua ad essere l’unico suo romanzo pubblicato in Italia, da molto tempo. Avrei così tanto materiale per fare ancora altri spettacoli. C’è una forte aderenza tra la mia e la sua scrittura. È incredibile, non ho trovato mai una forma così vicina a me. 

Quasi nessuno ci crede che quelle parole contenute in Concerto Fisico non siano scritte da me, ma che sono appunti che io volontariamente declamo. Ricordo che nell’estate in cui che comprai Ogni giorno è un Dio, ho avuto una vera e propria folgorazione, ho sentito che questa meravigliosa scrittrice poteva accompagnarmi per mano in questo viaggio lavico. Lei è quasi una studiosa, la sua non è una scrittura “calda”, in apparenza sembra scientifica, ma si percepisce che sotto e dentro le sue parole si muovono le energie della terra che per me continuano ad essere molto vitali, al punto da continuare a rendere un costante tributo interiore. 

A un giovane danzatore/performer, a una giovane danzatrice/performer consiglieresti ancora di non risparmiarsi, nonostante il futuro incerto, ma di cavalcare le proprie aspirazioni, suggestioni, idee?

Assolutamente sì, anzi in questo momento la cosa che suggerirei a un giovane è di farsi forte della propria diversità, ancora di più. Sento che nella danza il rischio è di un’etichettatura, un restringimento di campo. Ogni giovane artista ha delle cose da dire e questa è la cosa più virtuosa che c’è. Credo che ognuno debba provare ad ascoltarsi profondamente e non rientrare nelle etichettature che continuano brutalmente a dare in ogni luogo e in ogni dove. Trovarsi nell’affermazione di sé, senza mode, capire, scrivere. Con il mio nuovo incarico ERT (Artista Associato e Direzione artistica di una rassegna di drammaturgia fisica) proverò ancora di più ad aiutare e dare spazio ai giovani. Una dimensione nella quale i “fratelli maggiori” non intervengono, non fanno tutoraggi, ma ascoltano.

Lasciamo che le nuove generazioni facciano quello che vogliono e che sentono di fare, senza condizionamenti ed etichette. Proprio perché in realtà non ci sono delle linee guida, ci sono quelli che io chiamo “oggetti artistici”. Questo non è il momento di dare consigli, c’è bisogno che i ragazzi e le ragazze che si lanciano verso un percorso artistico leggano, studino, pratichino. Bisogna fare, io sono cresciuta facendo. Gli anni ’90, quelli in cui sono cresciuta io, sono stati molto feroci, ma c’era una libertà maggiore. Attraverso gli errori che ho commesso posso dire di aver raggiunto adesso la mia felicità personale. Insomma mi trovi critica su un po’ di cose come i tutoraggi, i progetti europei, la definizione “under 35”. Finché ho fiato cercherò di rappresentare un’alternativa a tutto questo perché crea dei piccoli mostri, non degli oggetti sinceri. La libertà bisogna urlarla, soprattutto in questo momento. 

Credi che siamo pronti ad accogliere concretamente, a convivere con le diversità?

È difficile per me cercare di spiegare che cosa sento, è come un freno nel nominare determinate parole come questa. Io credo che non dobbiamo più pensare ad accogliere le diversità, perché tutti lo siamo. Faccio un esempio: nonostante io sia una super femminista cerco di evitare rassegne al femminile. Trovo sbagliato qualsiasi evento concepito su categorie specifiche, chiuso in sé stesso. Dobbiamo provare a lavorare sullo stesso piano e invece abbiamo una società che fa una fatica incredibile a interagire con la diversità.
L’errore di questo momento è continuamente ricordare la diversità, noi dovremmo essere così bravi come artisti da darla per scontata senza farla diventare una sconfitta e nemmeno una conquista. Io in questo momento cerco di andare un po’ più all’osso e discutere di libertà. Quando parliamo delle diversità dobbiamo mettere in conto che fanno parte del sistema, la diversità è la normalità della nostra vita, anche all’interno di una stessa famiglia. Quindi perché non smettiamo di parlare di diversità? Abbiamo la possibilità, soprattutto nel campo artistico, di essere liberi. Spesso siamo noi i primi a darci un’etichetta.

Il presente risveglia o viene risvegliato dagli slanci emotivi? Come si realizza, cresce, si sviluppa una memoria sentimentale?

Credo che i sentimenti profondi, i ricordi che sono depositati in noi sono appunto quella lava di cui ti parlavo all’inizio. Le cose grandi sono sempre vive nonostante il passare degli anni, lo scorrere del tempo. Siamo come una montagna. I ricordi, intesi come grandi emozioni vissute, sono qualcosa che ci spinge, ci muove profondamente. Sono vivi, non vanno vivificati. Creata una piccola apertura, questa lava può risalire. In questo caso Concerto Fisico può servire a questo, fa da detonatore come quando si estrae qualcosa da una miniera. Io agisco in un modo molto Punk per spaccare la crosta, mi pongo per prima in questa condizione. Una cosa bella che succede è quando le persone mi dicono di essersi dimenticati di me e io godo per questa cosa. Significa che ad un certo punto io fungo da sciamana. Funziona proprio così, è come fare un viaggio e chi guarda, nei cinquanta minuti di durata dello spettacolo, va da un’altra parte con la sua testa. Quando ciò avviene, si realizza qualcosa di magico. Il risveglio emotivo avviene attraverso questo detonatore, questa spaccatura della crosta.

C’è qualcosa che hai perdonato, è avvenuta una riconciliazione con l’artista che è in te e c’è qualcosa invece per cui ti senti grata e orgogliosa?

Mi sento grata ancora oggi verso quelli che mi sostengono. I maestri che ho incontrato, in primo luogo Leo de Berardinis, quelli che mi hanno dato una spinta alla libertà. E sono grata di cercare, di poter dare anche io, a mia volta, lo stesso slancio. Il mio centro è il rapporto tra la danza, il corpo, il teatro e la parola. Mi vengono in mente quei maestri che hanno dato il via a quella che è diventata la ricerca della mia vita e per loro era un andamento naturale.
La cosa che non mi perdono è quando mi arrabbio discutendo tra danza e teatro. Bisognerebbe trovare una modalità più oggettiva, più concreta che si trova anche nell’accettare che alcune persone non capiranno e non vorranno mai comprendere il mio punto di vista. Vorrei essere più matura, più anziana, più tranquilla. Ogni tanto però ci sono delle circostanze che ancora adesso mi fanno infuriare come quando avevo vent’anni. Trovo insopportabile quando l’atteggiamento di chiusura proviene da enti e personalità che hanno un ruolo culturale importantissimo.

Essere produttori di felicità. L’utopia di Michela Lucenti e Balletto Civile

Essere produttori di felicità. L’utopia di Michela Lucenti e Balletto Civile

Michela Lucenti è un flusso incessante di gentilezza che si propaga attraverso la sua voce e i suoi occhi vivaci. Insieme con la sua compagnia Balletto Civile ha toccato diverse località italiane in questi mesi di palinsesti estivi. Era necessario recuperare gli spazi, il tempo e l’attenzione che l’emergenza sanitaria ha sottratto a M.A.D.  Museo Antropologico del Danzatore – lo spettacolo-performance che ha vinto il Premio Rete Critica 2020. Collocandosi a metà tra un esperimento antropologico e uno studio di materiale umano d’artista, è stato recentemente programmato in festival come Da vicino nessuno è normale, Scene di paglia e Fuori Programma.

Per ognuno di questi appuntamenti, una location specifica. Le “casette” del Museo sono state allestite in contesti particolari e suggestivi come il parco dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini a Milano, il Casone Romei a Piove di Sacco (PD) e il Parco Alessandrino a Roma.
Il 23 e il 24 luglio è stata la volta della rassegna estiva Metamorfosi, presso la Reggia di Venaria, dove le teche, le partiture orchestrali, i capitoli fisici di Balletto Civile hanno ulteriormente impreziosito il Giardino delle Rose realizzato dall’architetto Filippo Juvarra, a partire dal 1716. In coda al mese di luglio, il 28, sarà il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria, ad ospitare M.A.D. a Perugia.

Un po’ prima e in contemporanea è iniziata la tournée di Figli di un Dio ubriaco, la nuova produzione di Balletto Civile con Fondazione TPE, Fondazione Cantieri d’Arte di Montepulciano, con una serie di collaborazioni e con il sostegno del MIBAC.
L’attività artistica di Michela Lucenti con Balletto Civile può essere riassunta come un atto fisico e di resistenza, volta a trasformare la vita in un’opera d’arte. Può bastare leggere un grande romanzo, nutrirsi di una composizione musicale, coreografica o drammaturgica per comprendere (cum prehendere) la complessità dell’esistenza. Vi è in tutto questo il compito alto di lasciare una traccia tangibile di ciò che è intangibile.

In quasi venti anni di attività e carriera, Michela Lucenti, insieme con le donne e gli uomini della sua Compagnia, è stata instancabile esploratrice di dettagli e accadimenti dell’animo umano. Ricercatori di quei momenti di rara bellezza e poesia che la vita concede. Nonostante siano di breve durata e, quando finiscono, lasciano ognuno di noi senza troppe spiegazioni. In questo, Lucenti è l’esatto contrario dell’oracolo di Delfi, non indica una strada, non raccomanda la “cosa giusta” da fare, non fa allusioni, ma determina molteplici deduzioni. E solo così potrà compiersi il disegno: “Quello che vedi non rivelarlo a nessuno. Resta nell’immagine”.

Balletto Civile

MAD. Museo Archeologico del Danzatore, come è nato, quali sono le fasi di creazione che ha attraversato?

M.A.D. è nato durante il primo lockdown. L’idea, per me, era quella di ritornare, prima possibile, in scena e siccome Balletto Civile è una comunità, una compagnia numerosa che svolge un lavoro teatrale a contatto con il pubblico, doveva trattarsi di un progetto con un grande numero di danzatori. È stato immaginato nel momento in cui non era possibile ritornare a essere vicini con gli spettatori. L’idea, all’inizio, è stata quella di utilizzare un dispositivo che ci proteggesse il più possibile e fare in modo che le persone, come in un museo, non potessero avvicinarsi a noi.

Tutte le persone della comunità, le parti creative e gli artisti di Balletto Civile hanno sofferto la solitudine. Era come se ognuno di loro, nella loro condizione di isolamento, avesse aumentato la propria voglia di fare. Mi era venuta in mente l’idea di realizzare un’esposizione, dando importanza al fatto che dietro gli artisti ci sono uomini e donne con le loro vite, con le loro differenze. M.A.D. è nato in un momento nel quale non si poteva provare tutti insieme, con la compagnia. 

Ho creato una casetta alla volta nel nostro spazio, ognuno si è sottoposto al tampone e si è proceduto così fino alla fine. Montare il lavoro è stata la parte più difficile del lavoro. A ogni artista è stato chiesto di stare in un mondo unico e solitario, di avere una sola linea, non un excursus, in modo che l’insieme delle tante linee differenti potesse creare un senso di unione. Con alcuni è stato più facile, con altri è stato un processo più lento e laborioso, a qualcuno ho cambiato il personaggio.

Desideravo e siamo riusciti a realizzare una concertazione, ma prima ognuno ha lavorato su una propria musica. Abbiamo creato una geografia, un affresco musicale con Tiziano Scali e Guido Affini che sono due fonici e musicisti che lavorano con noi da molto tempo. È stata una bella sorpresa, abbiamo capito anche come calibrare le nostre energie, è stato faticosissimo. La condensa che si vede, a parte il performer con il ventilatore, è veramente una mancanza di ossigeno che, per tutto quello che abbiamo vissuto, ha delle molteplici letture. La mancanza lenta di un elemento vitale, l’arte che diventa evanescente nella sua solitudine, l’idea stessa di un museo.

Mediante il nostro esperimento, abbiamo ricevuto tante reazioni e tante letture. Nelle nostre casette-teche noi siamo accecati da barre led molto forti, non vediamo niente, non sappiamo se davanti abbiamo tante persone oppure se non c’è nessuno. È un’esposizione profonda, un esperimento bello per chi lo fa e anche per chi lo vede. Una sorta di destrutturazione dell’atto creativo, fisico, vocale.

Al centro dell’acronimo M.A.D. si trova la “A” di antropologico. C’è ancora un rapporto stretto tra politica e attività coreutica, con riferimento all’azione della Danza nella costruzione dell’identità di una comunità?

Assolutamente sì, per noi di Balletto Civile è proprio questo. L’idea di chiamarci in questo modo è nata dalla convinzione e condivisione di un pensiero preciso. “Balletto” inteso come un’azione danzata e “Civile” come derivazione etimologica da civis. La qualità di appartenenza di un individuo a uno Stato. Un corpo “testimone” insomma. Il lavoro sul corpo, per me è un lavoro centrale in qualsiasi arte dal vivo, sia che si tratti di un concerto o di teatro. La danza lo fa alla massima espressione perché il fisico è proprio il suo mezzo principale, in ogni performance dal vivo, ed è il rapporto di trasmissione del rito comunitario principale. Una comunità di spettatori si siede e, dall’altra parte, sul palcoscenico, uno o tanti artisti la rappresentano, raccontando qualcosa. In uno scambio reciproco. Questa è l’idea di un museo antropologico, vivo. 

Il messaggio che vogliamo lasciare è una riflessione politica ed è quello di non lasciarci mettere in un museo di ricordi. Durante il periodo delle lotte, nel lockdown, sembrava che dovessimo essere solo salvaguardati come categoria, come una specie in estinzione. Benissimo le rivendicazioni e i sussidi ma per Balletto Civile c’è sempre stata la voglia di tornare a capire anche come agire, come fare cultura. Studiamo insieme allora come tornare a essere elemento fondante della comunità, testimone fisico. La “A” di antropologico è la centralità, il punto cardinale del nostro concetto di museo.

Raccontare, raccontarci delle storie è qualcosa che abbiamo perso o lo stiamo recuperando dal passato?

Io credo che le storie non finiscano mai. Le raccontiamo sempre, anche quando ci sembra che ci siano momenti in cui ciò non avviene, non è così, vengono raccontate in altri modi. I giovanissimi, per esempio, si inventano delle modalità e dei linguaggi che noi che siamo più “grandi” leggiamo diversamente, ma sono nuove storie che loro si raccontano. La possibilità di raccontare, come elemento rituale, è fondamentale. La danza ha un’immagine molto potente che attraversa il passato e il presente, ha una grande tradizione.

Nel caso di Balletto Civile la storia è più evidente perché per me la danza perde il suo significato quando non ha un’intenzione molto chiara. Mi piace molto lavorare al concetto di drammaturgia fisica, un termine che per me rappresenta la lotta che sto portando avanti in Italia. Credo che la danza abbia bisogno di drammaturghi, cioè non è solamente improvvisare delle cose, sentire il ritmo, lasciarsi andare. Tutto questo è meraviglioso, è una grande testimonianza, ma poi è molto importante dare una grande rilevanza a che gesto facciamo, che cosa rappresentiamo, dove vogliamo arrivare.

Quello che chiedo e che ripeto continuamente ai miei interpreti è di non fare danza senza raccontare una storia. Possono essere storie poetiche o peculiari, non sempre sono tutte uguali. A volte la difficoltà consiste nel non riuscire a leggerle. La danza utilizza molto le immagini e c’è anche un filone che si nutre di una grande estetica, da cui io mi sento però molto lontana. L’urgenza, la natura di Balletto Civile è quella di essere una compagnia che volutamente mescola danzatori con una formazione molto alta ad attori con una formazione profonda. La storia, per me, dimora nel dialogo.

Quello che emerge è un linguaggio fluido, altamente comunicativo. Si realizza un intreccio, un ordito nelle opere di Balletto Civile tra “azioni danzate”, pensieri, canto, musica. Che ruolo hanno, in tutto questo, il silenzio e la stasi?

Amo che lo spettacolo sia come un rito furioso, quindi, i momenti di stasi o di silenzio per la mia scrittura, sono pochi e decisivi. Il ritmo è importantissimo e ha una valenza determinante nelle mie composizioni. Quando vedo degli spettacoli con enormi silenzi, dei ritmi molto lenti, dopo un po’, provo una certa insofferenza. Nelle mie opere mi piace essere coinvolta da un andamento ritmico impetuoso per poi trarre la riflessione e la stasi al termine dello spettacolo. Chiaramente, oltre ad essere funzionali al ritmo, il silenzio e le pause si inseriscono all’interno di una partitura. Per me sono fondamentali ma di solito sono molto pochi.

Il senso del comico, della comicità nella Danza…qual è il tuo punto di vista?

È una componente straordinaria, il comico e il tragico sono vicinissimi tra loro e sono vitali. Amo meno l’ironia, trovo che sia un po’ come un’astuzia mentale, invece mi piace andare un po’ più dritta, avere la forza di provare a far ridere oppure a far piangere, senza essere quella via di mezzo che trovo abbastanza furba, come qualcosa che mi sembra studiata e fatta a tavolino. Credo invece che il rapporto con la scena unisca gli estremi e credo che appunto la tragicità e la comicità siano molto vicine tra loro e molto “fisiche”. La danza le deve per forza contenere, comunicando attraverso il corpo. Anche nella vita, nei momenti in cui sembriamo ridicoli o tragici, ognuno di noi sa bene cosa sta esprimendo perché tutto passa attraverso le nostre esperienze e i momenti forti che abbiamo vissuto. Sappiamo bene quanto il corpo è ingabbiato in quelle dinamiche.

Con Balletto Civile emerge un senso di fiducia, di legame e di forte empatia tra di voi e con il pubblico. Traspare anche una sorta di divertimento e, sebbene il significato etimologico di questa parola sia “volgere altrove”, in molti casi, si pensa che il varco per la creatività sia la sofferenza. È proprio così?

Credo che il divertimento sia fondamentale per noi come gruppo, come comunità che lavora insieme da vent’anni. Abbiamo cominciato giovanissime e senza la gioia di fare quel che facciamo non ce l’avremmo fatta.  La sofferenza è qualcosa che non è tanto condivisibile. Le grandi esperienze come gruppo sono state indirizzate nel trovare un modo per rilanciare l’energia, reinventandola. Il concetto di divertimento, dunque, è alto, fondamentale per il nostro lavoro di gruppo, di grande possibilità nell’atto creativo.

Bisogna ricordarsi che, nonostante le nostre lotte per rivendicare la possibilità di lavorare meglio in un paese dove con molta difficoltà si cerca di tenere in vita la cultura, siamo pur sempre dei privilegiati. Fare dei periodi lunghi di prove ed uscirne stremati è di una bellezza, di una forza e di una soddisfazione indescrivibili. Perché di questo si tratta: una grande condivisione di gioia. Questa è l’utopia di Balletto Civile: essere produttori di felicità.

Noi spendiamo tanto tempo e tante parole con gli spettatori, con i produttori, con i critici per veicolare pensieri ed emozioni e questa per noi è una cosa importante, anche se può sembrare popolare. Non vuol dire fare spettacoli semplici o di grandi incassi, per noi è molto importante che il processo di creazione sia sereno e gioioso. Lo spettatore che guarda deve sentire che si tratta di un’evoluzione virtuosa. Si può e si deve mettere in circolo energia positiva, l’empatia che si percepisce è quella che noi cerchiamo con il pubblico e che abbiamo tra di noi, nonostante gli inevitabili conflitti, ma ricordandoci sempre di essere dei privilegiati.

La II edizione di Paesaggi del Corpo Festival Internazionale Danza Contemporanea

La II edizione di Paesaggi del Corpo Festival Internazionale Danza Contemporanea

Paesaggi del corpo

Dal 12 giugno al 21 novembre 2021, più di 30 spettacoli, performance site specific, incursioni urbane, eventi per ragazzi e ragazze verranno presentati da compagnie italiane e internazionali, durante la seconda edizione di Paesaggi del Corpo – Festival Internazionale Danza Contemporanea a Velletri (RM).

Dialoghi, titolo evocativo dell’edizione 2021 del Festival, rimanda alla caratteristica del progetto di mettere in moto processi di incontro e confronto tra le diverse arti, gli artisti e la comunità locale. La rassegna, interamente dedicata al contemporaneo, cerca di raccogliere al suo interno una rosa ampia di proposte artistiche differenti, ognuna caratterizzata dalla propria ricerca stilistica e poetica e dal proprio linguaggio innovativo, per dare una visione ampia e variegata, che vuole comprendere stili e percorsi di ricerca diversificati.

Tra le molte partecipazioni, si annoverano nomi di punta nel panorama italiano come Compagnia Zappalà Danza, Balletto Civile, Silvia Gribaudi, Compagnia Atacama, EgriBianco Danza, Ariella Vidach AiEP, Motus, Gruppo e-Motion, Compagnia ASMED Balletto di Sardegna, Megakles Ballet – Petranura Danza, Andrea Cosentino, DaCru Dance Company e Mandala Dance Company; oltre alla formazione portoghese Companhia De Dança De Almada. Il programma prevede anche produzioni di autori e coreografi emergenti under 35 come Uscite Di Emergenza, Riccardo Guratti, Antonio Taurino, Marta G. Tabacco.

Inoltre la rassegna intende dialogare anche con un pubblico di bambini/e e ragazzi/e ai quali è dedicato Il Brutto Anatroccolo della Compagnia Atacama che viene proposto anche in matinée per le scuole, a seguire diversi incontri con i bambini perché possano conoscere gli autori e gli interpreti, fare domande, condividere emozioni e pensieri.

Il programma comprende anche laboratori pratici con esito finale aperto al pubblico che verranno realizzati in collaborazione con le scuole di danza del territorio, aperti a danzatori, attori, performer, professionisti, amatori, in dialogo tra percorso creativo e approccio pedagogico, guidati da coreografi e docenti di fama internazionale come Patrizia Cavola e Ivan Truol, direttori artistici e coreografi della Compagnia Atacama, Riccardo Guratti, autore e ricercatore di fama internazionale e Beatrice Libonati danzatrice solista e assistente artistica nella compagnia di Pina Bausch dal 1978 al 2006 e poetessa autrice di sette libri di poesie.

Con la finalità di sostenere la creazione artistica, il programma prevede varie residenze creative: laCompagnia Atacama sul progetto Sine Tactu, Uscite Di Emergenza di Davide Romeo sul progetto AQuarium e all’interno della sezione Nuove generazioni due residenze di giovani autori under 35 selezionati in collaborazione con la Piattaforma coreografica Corpo Mobile 2021.

I luoghi della rassegna, scelti con l’attenzione a valorizzare il patrimonio culturale della città di Velletri, saranno come sedi degli spettacoli e delle performance il Teatro Artemisio Gian Maria Volonté, la Casa delle Culture e della Musica (Auditorium, Chiostro, Portici, Giardino, Sala degli affreschi) struttura seicentesca dell’ex Convento del Carmine, luogo denso di attrattive storiche e artistiche e monumento culturale, centro della vita sociale e culturale dei cittadini e dei giovani, essendo anche sede della biblioteca e della Accademia di Belle Arti di Roma.

Tutto incentrato sulle differenti declinazioni dei linguaggi delle arti performative, il Festival raccoglie al suo interno diverse sezioni tematiche che si sviluppano a partire dall’interesse per la multidisciplinarietà e per il dialogo fra le arti e per l’apertura all’internazionalità e alla relazione fra le culture.  Per approfondire la ricerca sul dialogo tra corpo/danza e architetture, beni culturali e paesaggi urbani le compagnie saranno invitate a far entrare in relazione le loro creazioni con i luoghi non convenzionali, dialogando con le architetture e gli spazi naturali. La compresenza delle varie performance dei diversi autori che si susseguono negli spazi, genera a sua volta un dialogo fra le opere, dando luogo ad una differente modalità di presentazione e incontro con il pubblico.

Anche per questa edizione, il Festival esplorerà le diverse ibridazioni tra la danza,intesa come poesia del corpo e la poesia come arte della parola attraverso il progetto tematico Transiti verso Dante. Nel 700° anniversario della morte del Sommo Poeta, verranno presentati spettacoli e tre giornate di performance dedicate alle tre cantiche della Divina Commedia come una sorta di cammino intorno alle idee che la figura di Dante e la sua Opera ci evocano. Ampio spazio sarà dato anche alla ricerca tra danza e arti visive e tra danza e nuove tecnologie con appuntamenti dedicati all’esplorazione e all’utilizzo dei media interattivi in relazione al corpo e al movimento.

Accanto alla programmazione di spettacoli, il Festival metterà in atto progettualità speciali e attività di laboratorio e didattica per creare nuove opportunità per avvicinarsi alla danza contemporanea: tra le altre attività culturali organizzate volte a educare e promuovere il pubblico il programma prevede la messa in atto di Progetti Multidisciplinari Speciali indirizzati ai giovani in collaborazione con IISS C. Battisti di Velletri e l’Accademia di Belle Arti di Roma, sede di Velletri, che coinvolgerà studenti e docenti delle triennali di Pittura e Grafica Editoriale nelle attività del festival.

Come per gli anni precedenti, il Festival verrà realizzato dall’associazione culturale La Scatola dell’Arte, sotto la Direzione artistica di Patrizia Cavola, con il contributo di Regione Lazio, in collaborazione con FONDARC Fondazione di Partecipazione Arte e Cultura Città di Velletri e con il patrocinio del Comune di Velletri. Tutte le attività si svolgeranno nel rispetto dei protocolli di sicurezza anti-covid.

Il programma del Festival è su: paesaggidelcorpo.it

“Noi siamo fuori, tu sei a posto?” Reportage di Fuori Posto – Festival di Teatri al limite 2020

“Noi siamo fuori, tu sei a posto?” Reportage di Fuori Posto – Festival di Teatri al limite 2020

Il ritorno alla normalità è probabilmente la condizione più auspicata per questo 2021, perché l’anno appena trascorso ha significato perdita di equilibrio, restrizioni, mancanza di libertà e faticosa accettazione dei limiti imposti.

Nel 2020, infatti, ognuno ha sperimentato uno stato di malattia collettiva che potrebbe ricordare più da vicino la disabilità, ma, in fondo, anche prima di questo critico anno, chi non si e mai scontrato con la propria inadeguatezza, con un limite autoimposto, fosse anche soltanto una paura? 

Questo è uno dei messaggi più carichi di senso del Festival Fuori Posto ― giunto alla sua ottava edizione ―, riflessione preliminare o consequenziale per approcciarsi alla disabilità con apertura, empatia e assenza di pietismo. Permettere l’incontro e l’interazione tra pubblico e artisti ― perché di artisti si tratta, ancor prima che disabili ― è dunque un’esperienza imprescindibile per combattere gli stereotipi su un tema spesso trattato con eccesso di accortezza e timorosità. A marzo 2020, mese in cui avrebbe dovuto tenersi l’evento, la compresenza non è stata possibile e, così, l’associazione culturale Fuori Contesto, entro cui è nato e il festival, ne ha reinventato la forma. 

Se per l’edizione dal vivo era stato previsto uno spazio museale dentro il quale raccontare storie, durante il lockdown esso è stato ripensato in modalità virtuale e con le sembianze di una casa dove chiunque, collegandosi a a questo link, ha la possibilità di navigare in maniera gratuita e interagire con gli items presenti nelle varie stanze, che rivelano contributi video, app e giochi.

Appena terminato il lockdown, sono stati realizzati i cortometraggi in presenza e, infine, il festival si è svolto in modalità streaming con cinque appuntamenti, uno a settimana per tutto il mese di dicembre, in diretta su Facebook e YouTube.

Agli incontri, condotti da Emilia Martinelli ― direttrice artistica di Fuori Contesto e Fuori Posto, nonché regista, autrice teatrale e insegnante di DanceAbility ― hanno partecipato artisti, membri dell’associazione, professionisti o, semplicemente persone che sono entrate in contatto più o meno diretto con la disabilità, riportando la propria esperienza e gli insegnamenti appresi.

Cinque temi cardine per parlare di disabilità

Danza

Nel primo appuntamento del 3 dicembre, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, si è parlato a lungo di danza e DanceAbility a partire dalla visione di un cortometraggio, pensato durante il lockdown, sulla relazione tra il corpo e un luogo fisico ristretto: Misurarsi, dove Giacomo Curti ed Eleonora Tregambe hanno interpretato la tensione di un incontro possibile tra disabilità e normalità.

Michela Lucenti, danzatrice e coreografa della compagnia Balletto Civile, è intervenuta ponendo l’attenzione sul significato della parola “limite”: «non un muro, ma una soglia attraverso la quale ci si può mettere in ascolto» e che riguarda, senza distinzioni, ognuno di noi. 

Tutti, infatti, devono misurarsi coi propri limiti, e non soltanto da un punto di vista spaziale. Così cambia anche il significato della relazione che avviene nel tentativo, nella tensione generata dal prendere le misure tra l’altro e noi stessi anche quando l’incontro non accade, e in ciò risiede il senso dell’esperienza.

Il misurarsi tra corpi differenti è un tema che ricorre anche nel video commissionato dalla RAI in occasione delle Olimpiadi Paralimpiche Together we defy gravity, e guardarlo ha offerto il pretesto per  approfondire il concetto di gravità.

Per Michela Lucenti, ad esempio, essa rappresenta anche la volontà del dire e il peso avvertito come responsabilità. Attraverso la danza, che deve essere paritaria e non costituire un ossimoro con la parola “disabilità”, l’artista esprime la sua urgenza di stare in scena, dove la sua condizione non è un limite, ma lo sguardo per vedere oltre.

Scrittura

Anche la parola scritta e l’urgenza di narrare diventano prioritari: per superare il disagio di esprimersi sull’argomento e dare voce non soltanto alla malattia, ma anche a chi si prende cura quotidianamente delle necessità connesse. Le parole del racconto di Emilia Martinelli, nel video Blu, danno voce alla fragilità di un padre, figura a volte assente nella relazione parentale, e al bisogno di entrare in connessione col figlio che vive in un mondo a lui inaccessibile.

Solo attraverso l’adattamento, ma soprattutto con l’ascolto e la reciprocità, può essere aperta una porta di comunicazione, essenziale per riuscire a comprendersi. In un linguaggio però differente che richiede lo sforzo di essere appreso.

«Lo sguardo che si posa su un diverso è imbarazzante, sconveniente, e così avviene anche nella scrittura» ― dice nel corso della seconda diretta Maria Irene Sarti, neuropsichiatra. Il suo messaggio, però, non è solo la parola di una professionista, ma anche quello di una donna che sperimenta ogni giorno, in prima persona, una malattia degenerativa e invalidante.

Nel toccante video La mano, in cui si svela al pubblico, la chiama ironicamente “Mr. Park” e, grazie al potere terapeutico della scrittura (curioso, per lei, che per mestiere è da sempre più abituata all’ascolto), ne indaga le origini, forse legate a un lontano senso di colpa: le sue mani tremano perché hanno tradito una promessa.

«Scrivere diviene dunque un modo per essere liberi, per far uscire dalle mura (reali e immaginarie) queste storie» ― è il messaggio conclusivo di Emilia Martinelli al termine del secondo appuntamento e, in generale, una delle missioni del festival.

LIS

Il linguaggio può inoltre declinarsi in varie forme. All’inizio del terzo incontro, avente come tema la lingua dei segni italiana (LIS), Dario Pasquarella ― insegnante, regista e attore ― guida il pubblico, attraverso il video Dario chi?, nel suo mondo senza suoni, cercando di comunicare la faticosa ricerca di se stesso con un’espressività che si propone di andare oltre i segni. Si fa dunque più marcata la correlazione tra il teatro e le emozioni, che nella disabilità diventano più difficili da esprimere e che in questa forma d’arte possono trovare un linguaggio preferenziale. 

La LIS ha infatti la potenzialità di diventare uno strumento creativo, una sorta di danza e dunque un atto performativo, di cui possono servirsi persino coloro che hanno la fortuna di parlare e sentire. E per venire incontro a chi invece non può farlo, anche solo per una condizione temporanea, il Festival Fuori Posto ha arricchito il tour museale con percorsi facilitati, tramite il supporto dei sottotitoli, della lingua dei segni e delle audiodescrizioni, utilissime per chi è affetto da deficit visivi.

L’audiodescrizione si è inoltre rivelata una risorsa dalla funzione anche estetica: la danza, per esempio, mai o raramente si associa alle parole, che le conferiscono qui una forma originale, gradevole per ipovedenti e non.

Maternità, amore e vita indipendente

Gli ultimi due incontri sono risultati poi strettamente connessi tra loro, laddove la relazione genitoriale ― in particolare quella con le madri, che sono le figure principali di riferimento ― diviene cruciale per il sano sviluppo dell’indipendenza della persona con disabilità.

La visione del cortometraggio Affari di Famiglia induce a un dialogo dove si rimarca l’importanza dell’autonomia e il bisogno di far crescere i figli in modo da prepararli il più possibile a una vita senza i genitori. 

Si è presentato dunque l’esempio positivo di donne che, pur prendendosi cura dei propri figli, evitano di preservarli troppo, favorendone la socialità; «ma ci sono purtroppo ancora storie di chiusura ― ricorda il giornalista RAI e blogger di InVisibili Marco Piazza ― ed è necessario spezzare la simbiosi che a volte si viene a creare». 

Spesso, infatti, si ha l’errata convinzione che chi ha una disabilità sia una persona diversa non solo nel corpo, ma anche nei propri bisogni interiori, che sono invece gli stessi di qualsiasi essere umano. 

Il video Battito, che introduce il quinto e ultimo incontro, parla proprio di una storia di amore e sensualità, aspetti dell’esistenza che anche il disabile deve avere la possibilità di vivere, se lo desidera. Armanda Salvucci ― ideatrice, nel 2016, del progetto Sensuability ― si batte fortemente affinché tali esigenze vengano soddisfatte, e si superi l’atteggiamento pietista e il pregiudizio che i disabili siano persone che possono aspirare al massimo all’affettività, ignorando le loro sanissime pulsioni sessuali.

A volte, come si evince dal video, sono addirittura essi stessi ad avere timore a lasciarsi andare, ma non è forse il medesimo sentire che potrebbero provare tutti davanti alla propria incapacità? Non a caso, l’irriverente slogan del progetto è: “la prima volta siamo tutti disabili”. 

Poter vivere la vita da persone libere, nella mente ancor prima che nel corpo, diviene allora il valore verso cui tendere, abbattendo gli ostacoli mentali, ma anche fisici (si pensi alle cosiddette barriere architettoniche) e infine lavorativi.

Anche l’indipendenza economica gioca infatti un ruolo fondamentale per rendersi autonomi e sviluppare autostima, ed è necessario promuovere sempre più la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro (retribuito) come già avviene in diverse realtà portate alla luce da Maura Peppoloni, della Sezione Laziale della UILDM. 

E riconoscere infine che gli ostacoli più complicati da superare sono paradossalmente non dentro la disabilità ma all’esterno, nella mente di chi li vede, all’opposto, come creature angelicate, da trattare diversamente, non accorgendosi di tutto ciò che li accomuna a loro prima ancora che allontana. Perché è solo guardando alla propria disabilità che si può riconoscere nell’altro un po’ di se stessi.

Fuori Programma, festival internazionale di danza contemporanea. Focus sulla quarta edizione

Fuori Programma, festival internazionale di danza contemporanea. Focus sulla quarta edizione

È l’evento estivo che ha celebrato la danza contemporanea a Roma, valorizzando le produzioni più interessanti. Giunto alla sua quarta edizione, anche quest’anno è arrivato puntuale come una brezza di innovazione e di cambiamento. Stiamo parlando di Fuori Programma, il Festival Internazionale con la lungimirante direzione artistica di Valentina Marini, alla quale è stata conferita la carica sociale di presidente dell’AIDAP (Associazione Italiana Danza Attività di Produzione) per il triennio 2019-2021.

Alcuni dati numerici descrivono meglio la dimensione delle novità della programmazione. Due sono i teatri di Roma che si alterneranno, dal 27 giugno al 7 settembre, in una staffetta simbolica. Il Teatro Biblioteca Quarticciolo ha dato l’avvio e concluderà il 6 e il 7 settembre la kermesse. Un punto di riferimento di aggregazione sociale, non solo logistico, per gli spettatori e gli artisti che si sono esibiti fino all’8 luglio. Il Teatro India, invece, ha ospitato nella sua sede i quattro spettacoli in calendario dal 10 al 27 luglio. Tre sono state le performance in site specific; le peculiarità dei luoghi open space hanno fornito uno scenario unico alle emozioni condivise. Piazza del Quarticciolo e Parco Alessandrino sono gli spazi urbani dove sono stati realizzati e presentati al pubblico Derivazione n.5 di Salvo Lombardo, il 27 giugno, e Variation n.1 di e con Camilla Monga, Pieradolfo Ciulli e Filippo Vignato,l’8 luglio. In un contesto più intimo e circoscritto, quello dei moduli abitativi dell’area del Quarticciolo, il Festival si concluderà il 6 e il 7 settembre con Anima di Emanuele Soavi. 

Dieci le compagnie e gli artisti che hanno caratterizzato l’edizione 2019 di Fuori Programma. Quattro le nazionalità presenti “on stage”: Italia, Germania, Francia, Spagna. Paesi che hanno una tradizione importante e che sono proiettati verso il futuro, nella costante evoluzione coreografica dei codici linguistici della danza. 
Un luogo di formazione e ricerca il Daf, Dance Art Faculty, con i suoi locali che hanno ospitato il 31 luglio la restituzione al pubblico del lavoro di creazione affidato ad Emanuel Gat. Un progetto laboratoriale denominato Summer Intensive. Cinque giorni durante i quali una selezione di professionisti, giovani danzatori in procinto di muovere i loro primi passi e studenti hanno potuto conoscere e sperimentare la metodologia e il lavoro creativo, perfezionati in 25 anni di attività, del coreografo israeliano naturalizzato francese.  L’opening di Fuori Programma è stato un momento vissuto in uno spazio pubblico, lontano dalle poltrone di velluto rosso. Con il profumo un po’ retrò di Mamma Roma e della vita di borgata, della città eterna vista dalla periferia. L’anelito di quella poetica neorealista e di quell’immaginario che forse non è cambiato nonostante le trasformazioni del contesto di riferimento e dei suoi abitanti. Là dove si ritrovano quei giovani ragazzi padre che, come cantava Enzo Jannacci, sanno di essere “peccatori per questa società”. E le loro compagne che fanno conversazioni di gruppo, tra donne, mentre i loro bambini sono liberi di scorrazzare in bicicletta. All’interno di ogni quartiere sopravvive, come una maledizione, la condizione sociale per cui quelle persone e quegli abitanti possono essere in balia del destino, ma difficilmente si lasceranno piegare dalle avversità. È così che la danza urbana di Salvo Lombardo, con Derivazione n.5, si è integrata e innestata nel cuore popolare del Quarticciolo trasformandosi in una festa di quartiere. Non poteva esserci un’inaugurazione più significativa e aderente con la realtà, nel segno dell’apertura e della riflessione sul territorio. La visione artistica di Lombardo, aperta al dialogo e alla comprensione, si manifesta spontaneamente attraverso l’azione di recupero di un’identità culturale. La stessa che il Teatro Biblioteca Quarticciolo esercita da anni. Una struttura che è nata dalla trasformazione di un ex mercato di quartiere ed è diventata un polo di ricerca e di aggregazione. 

Il primo luglio è andato in scena After the party – A duet  for one dancer. Anteprima nazionale e coproduzione tra la Thomas Noone Dance, Sat! Teatre Barcelona e Fuori Programma Festival. Uno spettacolo, il racconto tra un danzatore e il suo alter ego, un pupazzo senza nome, con diverse suggestioni, tracce di poesia e frammenti di storie. Narra l’incontro con Duda Paiva, maestro di teatro di figura ad Amsterdam, e con André Mello, creatore artigiano di marionette. Il tanto atteso ritorno di Noone alla danza, dopo un periodo di inattività, c’è stato. Con una nuova fisicità e con il coraggio di affrontare le sfide poste in essere dalla curiosità umana. Quasi sottotraccia c’era, infine, il tema del viaggio attraverso una serie di residenze effettuate in diversi paesi. 

After the party - Thomas Noone
After the party – Thomas Noone

Variation 1 è un piccolo gioiello di composizione istantanea. Creata ad hoc per Fuori Programma Festival, in collaborazione con Bolzano danza, fa parte dello spettacolo Golden Variations. Una performance in site specific che l’8 luglio è iniziata ancora prima che il pubblico raggiungesse il luogo, la destinazione finale. Attraversando in gruppo Il Parco Alessandrino ognuno dei presenti ha conosciuti le sfide e le opportunità di quello spazio urbano. Un’area silvestre che si estende ed è compresa tra via Molfetta, via del Pergolato dell’Alessandrino e via di Tor Tre Teste. Camilla Monga, Pieradolfo Ciulli e Filippo Vignato hanno esplorato le infinite possibilità dei movimenti. Dalle ripetizioni meccaniche alla morbidezza fluida ed espressiva. Hanno interagito con la natura incontaminata e con la musica proveniente da uno strumento apparentemente insolito come il trombone. La sua estensione, i colori e le sfumature sono state analizzate ed approfondite dalla creatività e dall’abilità di Vignato, in quello che è stato un tributo alle storiche Golden Variations Eseguite da Glenn Gould e Steve Paxton. 

Il primo degli spettacoli che il 10 luglio è andato in scena presso il teatro India di Roma, Concerto Fisico, è una composizione, una partitura fisica e vocale che racconta la storia di Balletto Civile. Un gruppo, nato nel 2003, fondato da Michela Lucenti, durante una lunga residenza artistica all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico di Udine. Nella performance è contenuta la storia personale della fondatrice e della sua compagnia, mediante ricordi ed emozioni che riaffiorano lasciando emergere anche delle trasformazioni dovute all’azione del tempo.

Erectus compagnia Abbondanza/Bertoni si
Erectus compagnia Abbondanza/Bertoni si

La compagnia Abbondanza/Bertoni si è esibita il 21 luglio con Erectus. È il secondo episodio del progetto Poiesis, dopo La morte e la fanciulla/Franz Schubert e prima di Pelleas e Melisanda/Arnold Schoenberg. Una trilogia compiuta nell’arco di tre anni, dal 2017 al 2019. L’idea che muove l’opera è quella di trasformare musica e corpi in suono da vedere, così come è stato dichiarato da Michele Abbondanza e Antonella Bertoni. Funzionale per questa esplorazione è stato il genere free jazz con le sonorità e le suggestioni di un album storico del 1956 di Charles Mingus: Pithecanthropus erectus. Marco Bissoli, Fabio Caputo, Cristian Cucco, Nicolas Grimaldi Capitello sono i quattro danzatori. Nella totale libertà dei loro corpi nudi e attraverso l’amalgama di percorsi diversi tra di loro, come Ying e Yang hanno mescolato i codici della musica e della danza. Esplorando le diverse forme e sensibilità del maschio del XXI secolo è stata riscoperta la matrice insita in ognuno di noi. Attraverso una serie di immagini e di videoproiezioni l’umanità e la bestialità sono state messe a confronto. Le evoluzioni fisiche e la ricerca dei movimenti hanno svelato l’anima animale in un comune percorso esistenziale fatto di fatica e sudore.

Quella del 24 luglio è stata una serata doppia che ha unito in un simbolico abbraccio la Spagna con l’Italia. Ad aprire è stato Equal Elevations, un progetto realizzato per il Museo Nacional de Arte Reina Sofía di Madrid. Ispirato ad “Equal-Parallel: Guernica-Bengasi” l’opera del 1986 di Richard Serra, scultore minimalista statunitense e videoartista contemporaneo. Il coreografo Marcos Moreau apre gli orizzonti e si affaccia con le sue visioni artistiche su due eventi storici. Il primo è il bombardamento della città basca di Guernica, avvenuto circa ottant’anni fa e che ispirò il celeberrimo quadro di Pablo Picasso. Il 26 aprile 1937, era un lunedì e come sempre era giorno di mercato. Fu il primo bombardamento a tappeto della storia, iniziò alle 16 di pomeriggio e durò circa tre ore. Il secondo è l’attacco aereo americano di Tripoli e Bengasi del 1986 in risposta all’attentato, attribuito a terroristi libici, nella discoteca La Belle Club di Berlino, frequentata da militari statunitensi. Moreau si muove tra un’indagine sullo spazio e le relazioni di similitudine del tempo. I danzatori-statue diventano sculture viventi sperimentando la leggerezza e la gravità.

Future man- Spellbound Contemporary Ballet

Future man, la nuova creazione di Spellbound Contemporary Ballet, volutamente è stata presentata al pubblico di Fuori Programma sotto forma di studio performance, a firma di Mauro Astolfi. Un assaggio, un momento di condivisione con il grande pubblico del Teatro India, prima del completo allestimento tecnico che sarà ultimato in autunno immediatamente dopo il debutto della nuova produzione al Grand Theater de Luxembourg a settembre. Quella che è stata rappresentata è la tipologia di un uomo che vive in sospensione. Il presente per lui è caratterizzato da una forma di controllo ossessivo e di distacco. Il passato viene invece rifiutato o negato, ma è qualcosa che ciclicamente ritorna. Il futuro è un mix di speranze e paura.

Sita Ostheimer ha chiuso i quattro appuntamenti sold out al Teatro India con un dittico, una coppia di creazioni originali, entrambe prime regionali: Us e Two. Potrebbe essere una precisa dichiarazione d’intenti: io e noi, io e tu. Dall’individuo all’interno del  gruppo, alla dimensione a due. Il singolo che, in una costante ricerca, divide lo spazio e il tempo in relazione ai suoi simili. E di come, all’interno di una coppia di amici, fratelli o amanti possono compiersi quelle piccole o grandi digressioni del proprio percorso. La coreografa tedesca, danzatrice e assistente di Hofesh Shechter, dal 2015 è concentrata sullo sviluppo di un personale lavoro artistico. Il suo è un processo di ricerca basato sull’interazione tra corpo, mente, spirito ed emozioni. Fondamentali risultano essere l’improvvisazione e il ritmo. È stata per la prima volta in tour in Italia con due tappe, prima a Bolzano Danza, il 25 luglio e subito dopo a Roma il 27.