TITOLO TESI > Venite a teatro e facciamo la rivoluzione!Il teatro come pedagogia rivoluzionaria in Augusto Boal ISTITUTO > Università degli studi di Napoli Federico II – Corso di laureain Filosofia AUTORE > Antonio di Criscito
INTRODUZIONE DELL’AUTORE
Il seguente lavoro prende vita dall’amore per l’uomo e la sua libertà, per l’arte in tutte le sue forme e per il teatro in particolare. Se esso si sta gradualmente spegnendo, è conseguenza della disumanizzazione progressiva dell’uomo e della sua trasformazione in macchina oppure i due fenomeni non sono collegati? Che rapporto esiste tra teatro e politica? In che modo il teatro può essere rivoluzionario? Che cosa si intende quando si accosta il termine rivoluzione all’arte? La rivoluzione in sala o fuori? È rivoluzionaria la forma o il contenuto? È veramente possibile essere liberi? Sono questi alcuni dei quesiti che stanno alla base dell’elaborato.
La prima parte è caratterizzata da una ricostruzione storica (parziale) del Novecento teatrale europeo e dall’indagine sul rapporto esistente tra teatro e rivoluzione prendendo come punto di riferimento un intervento di Marco De Marinis (durante il Convegno organizzato dalla Sezione Musica Media e Spettacolo del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, tenutosi il 6-7 novembre 2017) che fa cominciare la suddetta relazione tra teatro e rivoluzione (e più in generale tra arte e rivoluzione) con uno scritto di Wagner del 1849: L’arte e la rivoluzione. Come Hannah Arendt fa notare nel testo Sulla rivoluzione, la concezione moderna di rivoluzione si differenzia per gli elementi di novità, inizio e violenza (assenti nel significato originario) ma eredita dall’accezione astronomica del termine il concetto di irresistibilità che caratterizza la rivoluzione stessa e che prescinde dalla volontà umana. Nel citare Condorcet però la Arendt rammenta che può definirsi rivoluzionaria soltanto la rivoluzione che ha come fine la libertà dell’uomo. Questo aspetto è molto importante per il nostro discorso poiché lo scopo ultimo del presente lavoro è tentare di indicare una strada per la libertà dell’uomo. «L’obiettivo della Rivoluzione era sovvertire l’ordine delle cose, lo strumento era – o almeno avrebbe dovuto essere – l’“uomo nuovo”».
L’uomo che libera se stesso è colui che può salvare oppressi e oppressori allo stesso tempo; è necessario però che l’oppresso (da cui poi nascerà l’uomo nuovo) prenda consapevolezza della propria condizione e che sia quindi cosciente della situazione repressiva in cui è immerso e di cui è vittima. Come renderlo consapevole dell’oppressione che lo tiene prigioniero? Attraverso il teatro (questa è la soluzione che tenta Boal e che noi proviamo a seguire). Dunque il teatro diventa un mezzo e non un fine. Lo scopo è la liberazione dell’uomo. È nel solco del sentiero segnato dalle esperienze teatrali rivoluzionarie del XX secolo che Boal si inserisce. La seconda parte del progetto è interamente dedicata alle innovazioni che Boal e il suo TdO (Teatro dell’Oppresso) hanno apportato. Parliamo di un autore estremamente importante che ha contribuito in maniera significativa al rinnovato modo di intendere la scena.
In una società che sembra sempre più sminuire gli studi umanistici e tutto ciò che si interessa all’animo umano per dare spazio esclusivamente all’avanzamento tecnologico e alla sostituzione dell’uomo con le macchine, ha senso parlare di teatro e di politica? Si può in questo clima tentare di rendere il teatro il mezzo per incentivare la nascita dell’“uomo nuovo”? Io penso che non solo si possa ma si debba provare a percorrere questa strada, forse è una delle poche possibilità rimaste per salvare la nostra natura umana che è ontologicamente proiettata ad essere di più. Risvegliamoci dal coma in cui vuole tenerci chi ci comanda, torniamo a pensare, a porci delle domande.
Un semplice quesito può far cadere un’intera costruzione eretta con fatica dagli oppressori. Perciò chi ragiona è pericoloso, è un rivoluzionario e va eliminato; infatti «le idee portano dietro alle sbarre». È questo l’obiettivo del teatro: far sì che l’uomo sia libero innanzitutto di pensare poi di agire, riportarlo alla sua vocazione originaria di “essere di più”, in altre parole renderlo umano. Questo è stato il fine a cui Boal ha sacrificato la propria vita ed è anche il mio; non so se sono riuscito a dimostrare che il teatro è un atto d’amore compiuto da un uomo per liberare se stesso e gli altri; non spetta a me dirlo e in tutta onestà mi interessa relativamente. Sarei invece estremamente contento nel caso in cui fossi riuscito a suscitare nel lettore (anche solo una persona) degli interrogativi circa la sua vita e quella altrui, riguardo al mondo che lo circonda e di cui è parte fondamentale. Se così fosse, avrei raggiunto il mio intento: generare domande, dubbi (è questo il compito dell’artista). Avrei così contribuito in una misera parte alla salvezza dell’umanità e il lavoro non sarebbe stato vano.
Nella domanda risiede l’ancora di salvezza dell’uomo. Provare a dare delle risposte è sicuramente legittimo ma non è la strada per condurre alla liberazione. L’artista non deve fornire delle soluzioni preconfezionate, già stabilite prima ancora del contatto con il pubblico. È soltanto dall’incontro con lo spettatore (un altro essere umano) che nasce la risposta ai problemi rappresentati in scena. Questa è la Rivoluzione che Boal mette in pratica e a cui noi aneliamo: che non ci sia più qualcuno che dall’alto della sua posizione di potere imponga agli altri la sua visione del mondo, la sua oppressione. La via della libertà va intrapresa insieme, attori e spettatori insieme.
La politicità del teatro sta quindi nel suo essere luogo di incontro e confronto per gli uomini che si scambiano idee attraverso la caratteristica che più di tutte li contraddistingue: la parola. Ed è proprio la parola (qui da intendere non solo letteralmente ma anche in senso metaforico se mi consentite) che non deve mancare neanche al pubblico. L’oppressore è tale proprio in quanto tappa la bocca all’oppresso che invece nel teatro di Boal torna ad essere libero di agire per cambiare la propria condizione e quella altrui. La differenza tra attori e spettatori si annulla (tant’è vero che Boal conia il termine spett-attore), lo spettatore diviene protagonista della scena. Ci rendiamo conto che oltre alla grande rivoluzione sulla scena, questo modo di intendere il teatro conduce ad una rivoluzione principalmente fuori dalla sala, nella vita reale ed è questo il vero obiettivo di Boal: un cambiamento che nasce sul palco e prosegue nella vita reale.
Antonio Di Criscito nasce a Napoli nel 1996. Sin da bambino dimostra un interesse verso la recitazione e la musica che lo porterà a girare il docu-film “L’alba del possibile” per la regia di Giuseppe Aquino. Dopo il raggiungimento della maturità classica comincia a studiare presso il Centro Teatro Spazio a San Giorgio a Cremano diretto da Vincenzo Borrelli. Nello stesso tempo la passione per il canto e la musica (che lo aveva portato in precedenza ad imparare a suonare la chitarra da autodidatta) lo spinge a intraprendere privatamente lo studio del canto con Valeria Attianese (soprano del Teatro San Carlo); nel corso degli anni partecipa a diversi laboratori del Napoli Teatro Festival e a partire dal 2019 (dopo il conseguimento della laurea triennale in filosofia) diventa allievo della scuola di mimo corporeo di Michele Monetta e Lina Salvatore. Nello stesso periodo inizia la sua esperienza con F2 Radio Lab la radio ufficiale della Federico II. Completa il suo percorso universitario con la laurea magistrale in filosofia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
TITOLO TESI > Approccio Psicofisiologico al Teatro dell’Oppresso ISTITUTO > Università di Roma La Sapienza – Corso di laurea triennale in Arti e Scienze dello Spettacolo AUTRICE > Alessia Pivotto
INTRODUZIONE DELL’AUTRICE
Il Teatro dell’Oppresso è un metodo estetico di analisi e comprensione della realtà sociale e politica, fondato da Augusto Boal e ispirato alle teorie pedagogiche di Paulo Freire. L’originalità del metodo teatrale di Boal consiste nella finalità trasformativa di rappresentazioni teatrali concepite come prova generale del cambiamento possibile di realtà sociali oppressive, attraverso la creazione di azioni sociali concrete e continuative da trasporre dal teatro alla vita sociale.
Nell’intento di comprendere il rapporto tra la struttura di personalità dell’attore e la capacità di assumere altre personalità diverse dalla sua, corrispondenti alle identità dei personaggi attraverso il processo di identificazione dell’attore con il personaggio, la dimensione dell’identità è stata individuata nelle sue componenti immaginative, espressive, posturali, emozionali, sulla base del modello pedagogico e psicofisiologico elaborato da Vezio Ruggieri.
Tale modello è fondato su un ampio dibattito scientifico, psicologico e fisiologico. esposto nei volumi Mente, corpo e malattia, L’identità in psicologia e teatro, rivisitando gli studi fisiologici classici di Anochin, le teorie classiche delle emozioni di James e Lange, gli studi sull’immaginazione sull’anatomia classica e sull’estetica, sulla dinamica fisiologica e psicologica delle posture, sulla struttura dell’Io che è tema centrale di analisi nel volume Struttura dell’Io tra soggettività e fisiologia corporea, è stato possibile teorizzare un approccio scientifico di psicofisiologia dell’attore e di educazione estetica.
Dall’analisi delle posture, degli atteggiamenti posturali caratteristici di ogni individuo, determinati dalla differente modalità di distribuzione delle tensioni muscolari e dal vissuto esperienziale di ognuno, è possibile comprendere come le posture possano essere lette come tratti di personalità e come un’auto-percezione unificata delle tensioni muscolari, generando a loro volta l’auto-percezione integrata del proprio corpo come unica realtà esperienziale. L’unità del corpo è la base dell’unità dell’Io e un Io coeso è alla base dell’impalcatura psicofisica integrata dell’identità dell’individuo, che a sua volta consente al soggetto di assumere l’identità del personaggio.
Nelle esperienze teatrali boeliane di Teatro-immagine e nell’applicazione delle tecniche dei flics dans la tête, per la costruzione di rappresentazioni teatrali centrate sul disvelamento dell’oppressione interiorizzata dai personaggi e in maniera analoga dagli attori, è importante considerare eventi corporei potenziali e intenzionali, non fenomenologicamente evidenti ma individuabili dal conduttore del processo di creazione nel caso in cui il modello psicofisiologico di Ruggieri diventi la base del lavoro attoriale nel teatro dell’oppresso.
L’oppressione in questi casi è rintracciabile nell’espressività corporea, in quanto manifestazione di rappresentazioni immaginative oppressive o meglio dell’oppressore, che possono non sono essere svelate ma su cui si deve poter intervenire concretamente, con esercizi che consentano di risalire all’immagine interiorizzata agendo sul sistema tonico posturale ad essa connesso. Alla base di una serena gestione dei conflitti e in questo caso del conflitto tra oppresso e oppressore, c’è sempre la percezione del proprio corpo come unità integrata, struttura-processo unificata e coordinata dall’Io.
Il metodo teatrale di Boal e le teorie psicofisiologiche sulla recitazione di Ruggieri, convergono sulla necessità estetica e sociale di una pedagogia teatrale che educhi ogni cittadino-artista alla creazione consapevole, di contesti rappresentazionali ri-creativi condizioni sociali, ambientali, situazionali, legate al reale vissuto di oppressione delle persone che partecipano all’esperienza teatrale con volontà e desiderio trasformativo, evidenziando come lo sguardo rivolto alle persone che reprimono, allo stato di disuguaglianza che reprime, non debba essere della persona ma del personaggio.
Nel teatro l’immaginazione e l’espressività corporea interagiscono per creare un contesto di esperienza reale e illusorio allo stesso tempo, un’esperienza teatrale generata dall’attore nell’interazione comunicativa ed estetica con lo spettatore. Lo spazio estetico del teatro consente di sperimentare e verificare la veridicità delle rappresentazioni di base del soggetto e crearne delle altre facendo esperienza di vissuti diversi dal proprio, vivendo ruoli diversi, indossando maschere sociali non abituali, abitando il luogo della non quotidianità.
L’applicazione del modello psicofisiologico pedagogico teatrale di Ruggieri è stata ipotizzata come base scientifica del lavoro teatrale di teatro dell’oppresso di Augusto Boal, nell’ottica di un solidale arricchimento teorico-esperienziale del lavoro di creazione, coerente con i principi etici ed estetici fondanti il teatro dell’oppresso e pedagogici di Paulo Freire a cui Boal fa chiaro riferimento.
Alessia Pivotto, laureata all’Università di Roma Sapienza in Arti e Scienze dello Spettacolo, ha effettuato il tirocinio presso la medesima con il laboratorio di Approccio Psicofisico all’Identificazione del Prof. Vezio Ruggieri e il laboratorio teatrale integrato Teatro e Carcere, a cura di FACT- Fort Apache Cinema Teatro. Si forma come danzatrice presso l’Accademia Arte Balletto di Campobasso e IALS (istituto addestramento lavoratori dello spettacolo). Ha partecipato al progetto di messa in scena “IX Sinfonia di Beethoven” a cura di A.E.P.C.I.S (Ass. Europ. Psicofisiologi Clinici per l’Integrazione Sociale ).
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Dal 2009 PartecipArte, compagnia di Teatro dell’Oppresso, lavora sul territorio nazionale e internazionale per promuovere attraverso le arti performative, con particolare attenzione al teatro, il cambiamento sociale e politico. La compagnia si avvale della competenza di Olivier Malcor, filosofo e artista, Claudia Signoretti, specialista delle convenzioni internazionali, Rosa Martino, psicologa e Lorenzo Macchi, specializzato nell’ambito della pedagogia e dell’istruzione.
Lo scorso 17 novembre, a SpinOff, centro abitativo e culturale di rilievo nella città di Roma, ha avuto luogo Forum Theater: l’immagine del cambiamento giornata di formazione promossa da PartecipArte e diretta da Hosni Almoukhlis, poeta e fondatore del Centro di Teatro dell’ Oppresso di Casablanca.
Il Metodo TdO
Il Teatro dell’Oppresso TdO è un metodo teatrale ispirato alla Pedagogia degli Oppressi di Paulo Freire, a cui il regista Augusto Boal attinge per sviluppare una forma radicale di attivismo artistico nel Brasile degli anni Sessanta del Novecento. Il Teatro dell’Oppresso ha come obiettivo l’identificazione e il superamento di situazioni di oppressione per mezzo dell’intelligentia collettiva. Le tecniche utilizzate (Teatro-Immagine, Teatro-Giornale, Teatro-Forum, Teatro-Invisibile, Teatro-Legislativo) nascono come risposta a una necessità obiettiva.
L’esperienza estetica costituisce il nesso tra la costruzione di mondi possibili e l’attuabilità di prospettive alternative e trasgressive nel contesto reale, attraverso azioni sociali concrete e continuative. Il teatro come metafora dell’esistenza si rifà al concetto di metaxis platonica, alla tensione tra una rete di polarità che struttura la condizione umana. Nello specifico della prassi scenica, consente la simultanea appartenenza a due autonome realtà al fine di sperimentare con efficacia la prova del cambiamento.
«Il desiderio permette l’utopia, la necessità esige strategia»
Nel 1973 in Perù, sulla spinta della proposta pedagogica di Paulo Freire, la necessità di alfabetizzare parte della popolazione del paese si concretizza nella proposta di un Programa de Alfabetizacao Integral – ALFIN. Il programma prevede il superamento della condizione di incomunicabilità attraverso forme e linguaggi espressivi che includono la pratica teatrale intesa come «espressione artistica che si costituisce e si dispiega in un fare politico». È in questo contesto che Augusto Boal inizia a sviluppare il Teatro-Immagine che, a partire dalla rappresentazione dell’immagine corporea, individuale e collettiva, indaga il senso e la funzione di micro azioni, verificandone l’efficacia comunicativa.
L’immagine assume una determinata forma-postura in relazione al vissuto esperienziale dell’individuo e si pone come veicolo di trasmissione di idee, emozioni, conflitti. Un linguaggio senza frontiere, condiviso dai componenti del gruppo e, simbolicamente, dalla società. Attraverso un lavoro di traduzione e decodifica, il Teatro-Immagine facilita la comunicazione creando un ponte tra il linguaggio corporeo e linguistico. Focalizza l’attenzione sulla componente corporea della struttura linguistica.
Creazione estetica dell’immagine
Il regista Hosni Almokhlis dirige l’ensamble di artisti e operatori culturali che hanno preso parte alla formazione, riportando subito l’attenzione sul valore pedagogico di giochi ed esercizi che sono la base della metodologia teatrale del TdO. I giochi consentono di instaurare un clima di fiducia e gioiosa collaborazione, coniugando disciplina e libertà. Il lavoro svolto in sala nega il principio di supremazia e subordinazione, si struttura in modo non gerarchico. A partire dalla consapevolezza di essere presenti a se stessi e agli altri, in un determinato luogo, per un fine specifico, ci muoviamo esplorando lo spazio. Il contatto visuale con l’altro determina l’occupazione di spazi altri, sincronizzando ritmicamente il movimento.
Il problema individuale di mantenersi in relazione costante con altre persone è suscettibile delle conseguenze di scelte altrui da cui siamo dinamicamente influenzati. Individuare il ritmo del gruppo è fondamentale per organizzare gli esercizi successivi che coinvolgeranno il corpo in relazione all’immagine corporea. Dalla parola significante, creo una postura-scultura esplicativa. Dall’immagine, riconosco e analizzo il significato. Il modo in cui introiettiamo e rappresentiamo un concetto, mette in luce meccanismi inibitori e stereotipi socialmente determinati che categorizzano la percezione.
A partire dalla tecnica del Teatro Immagine, Hosni Almoukhlis ha guidato l’equipe del TdO di Roma in direzione della creazione di un Teatro Forum. Nel forum, la rappresentazione scenica di un problema reale, con attori che vivono il problema stesso, mira alla ricerca di alternative per trasformare la realtà. Il processo trasformativo si attua nello spazio del dialogo tra partecipanti dell’evento teatrale. Lo scambio propositivo di visioni presuppone il superamento della quarta parete, un attraversamento di natura fisica e simbolica. Si scardina la convenzione teatrale che colloca attore e spettatore nel rispettivo ruolo di produttore e fruitore. Il dialogo diretto tra scena e platea è sollecitato dalla figura del Kuringa (facilitatore), il cui obiettivo è «stimolare la partecipazione impegnata per l’emancipazione».
La prova del cambiamento
Fondamentale è l’individuazione di un sistema di oppressione che a partire dalla percezione del conflitto da parte del singolo, si espande al macro contesto e alla macro struttura che lo determina. L’oppressione viene immaginata e collocata nella situazione sociale concreta di pertinenza, in cui solitamente ha luogo. Gli attori scelgono il personaggio con cui identificarsi, che agisce in quanto maschera (oppressore – oppresso/a – alleato dell’oppressore – alleato dell’oppresso/a – neutro) in riferimento al tema. L’elemento fisso della rappresentazione teatrale è “la maschera”, il ruolo che i vari personaggi assumono; l’elemento mobile è il personaggio stesso in relazione al contesto.
La tecnica dell’improvvisazione strutturata, che utilizza il proprio codice implicito in relazione al bagaglio esperienziale di ognuno, consente un’immediata restituzione dell’evento. Si agisce con chiarezza, l’ambiguità disincentiva una cosciente presa di posizione e ostacola la tempestività di un possibile intervento. Nella messa in scena, l’immagine iniziale proposta dagli artisti-spettatori è soggetta a modifiche da parte del pubblico-attore che interviene attivamente cambiando l’immagine per conformarla alla propria proposta alternativa.
Viene a crearsi, con il susseguirsi di riflessioni e interventi, un’immagine ideale che sarà l’immagine di riferimento per la trasformazione della realtà. I temi emersi nel corso della formazione (diritto all’abitazione, razzismo ed esclusione, violenza domestica, gerarchie di potere, cyber bullismo) sono stati analizzati e affrontati con rispetto dell’opinione altrui, con moderazione democratica e orizzontalità di sguardi. Come suggerisce Augusto Boal: «Nel trasformare le relazioni sociali e umane in una scena di teatro, ci si trasforma in un cittadino».
Dal sud del Marocco al Nord dell’Italia, l’accordo tra i cittadini del mondo è nel contatto visuale di una stretta di mano. Si fa teatro perché si crede nei valori fondamentali del diritto all’espressione e alla conoscenza. Etica e solidarietà, concetti fondanti e imprescindibili del metodo, realizzano l’integrazione valorizzando la differenza. Sono il fil rouge che ha permesso a una ventina di cittadini con provenienza, età, classe sociale e religione differenti, di incontrarsi e confrontarsi sulla responsabilità dell’agire in teatro e nella vita. Nonostante contesti culturali, storici e politici specifici, è stata tracciata una linea trasversale tra il teatro tradizionale del Marocco e il TdO del Brasile, che rende riconoscibili i principi comuni, pre-espressivi, propri dell’arte della rappresentazione.
Nata a Campobasso il 03/03/1994. Diplomata presso il Liceo Classico M. Pagano di Campobasso nel 2013. Si forma come danzatrice presso l’Accademia Arte Balletto e IALS (istituto addestramento lavoratori dello spettacolo). Dal 2018 segue le attività seminariali di A.E.P.C.I.S (Ass. Europ. Psicofisiologi Clinici per l’Integrazione Sociale ), dedicate all’arte dell’attore e del danzatore, a cura di Vezio Ruggieri. Laureata in Fondamenti di psicologia per l’arte, del corso di laurea in Arti e scienze dello spettacolo, della facoltà di Lettere e Filosofia, presso l’Università di Roma Sapienza nel 2020. Frequenta attualmente il corso di Laurea Magistrale in Scritture e produzioni dello spettacolo e dei media, della facoltà di Lettere e Filosofia, presso l’ Università di Roma Sapienza.
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