Matera 2019: con Altofest l’arte entra nelle case
“Michelina è originaria di Montemurro ma vive da molti anni a Tursi. Quando le abbiamo proposto di partecipare al progetto ‘Altofest Matera-Basilicata 2019′ è stata un po’ timorosa per la nuova esperienza in sé, ma felice di ospitare una famiglia di artisti: lui spagnolo e lei giapponese con il loro bambino. Non solo una ‘donatrice di spazio’ ma un mini-mondo dentro casa sua”.
Nelle parole di Massimiliano Burgi della Fondazione Matera-Basilicata 2019 c’è l’essenza della contaminazione culturale incentivata da “Abitare Futuro”, progetto di AltoFest realizzato in occasione di Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, nel quadro del tema Riflessioni e Connessioni. Dal 4 novembre all’8 dicembre, 30 artisti internazionali, con performance in 11 città, saranno ospiti dei cittadini residenti presso le comunità di 4 differenti aree della Basilicata, il Vulture, la Val d’Agri, l’Entroterra Jonico e la Collina Materana.
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Altofest nasce a Napoli nel 2011, ideato e curato da TeatrInGestAzione, diretto da Gesualdi-Trono, in dialogo con Loretta Mesiti. Altofest è concepito come un’opera-sistema in forma di festival, che si innesta nel tessuto socio-urbano in cui accade. È costruito con la partecipazione dei cittadini residenti, che ospitano nelle proprie case artisti nazionali ed internazionali. Le case diventano spazio di creazione artistica durante due settimane di residenza, e luoghi di programmazione aperta al pubblico durante i giorni del festival, accogliendo opere che sono espressione dell’arte contemporanea dal vivo, autori che sperimentano prassi ibride. L’opera d’arte irrompe nel quotidiano, lasciando emergere la parte poetica dell’esistenza. È un progetto di socialità sperimentale che si fonda sulla prossimità, sul dono, sulla cura reciproca, dando vita ad una relazione diretta tra artista e cittadino residente.
Altofest inaugura un dialogo sul senso profondo dell’ospitalità, miscelando la dimensione intima e quella pubblica, predisponendo uno spazio di promiscuità tra artisti e cittadini, tendendo al superamento dei ruoli, a favore di una partecipazione corale, di un’esperienza totale che genera “relazioni inedite”. Non si tratta solo di ospitare un’opera nella propria casa, ma di lasciare che la presenza quotidiana di un artista al lavoro contamini la visione di chi abita o attraversa quello stesso spazio. L’urgenza creativa dell’artista si fonde con le necessità del suo ospite, in un dialogo che ridefinisce l’opera, i segni che la compongono, così come lo spazio abitato e gli oggetti che lo definiscono “familiare”.
Il cittadino che partecipa al progetto ne è parte strutturale e fondante, non utente o destinatario, ma agente del processo; egli si prende cura dell’opera d’arte e l’artista a sua volta si prende cura del suo ospite e della sua comunità di riferimento. La prospettiva curatoriale che disegna il “fest” si origina da una meticolosa attenzione al rapporto uno ad uno fra artista e donatore, lasciando che il potenziale generativo di questo incontro possa propagarsi al sistema di relazioni entro cui ciascuno si muove: infiltrarsi attraverso i diversi strati dell’abitare.
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