Appia nel Mito: echi di voci e suoni dal passato per raccontare il presente

Appia nel Mito: echi di voci e suoni dal passato per raccontare il presente

Una moderna epicità, una riscoperta dei classici che rivelano una dirompente contemporaneità, che ci parlano di oggi e ci spiegano il presente, un coro di echi, voci e suoni dal passato per raccontare il presente lungo il percorso della celebre via Appia: questo è il senso della prima edizione di “Appia nel Mito”, rassegna che dal 18 giugno al 30 luglio abiterà e popolerà la Chiesa di S.Nicola a Roma e Villa Sciarra e Villa Torlonia a Frascati con 13 spettacoli, di cui 5 debutti assoluti, e circa 30 artisti, tra danza e teatro. Il progetto nato dall’idea di Alessandro Machìa Fabrizio Federici della compagnia teatrale Zerkalo, con il contributo della Regione Lazio, si pone l’obiettivo di riconnettere teatro e pubblico, artisti e comunità, dopo questo periodo di isolamento. Un incontro che è un prendersi cura, delle persone e dei luoghi, che rimette al centro i luoghi simbolo della via Appia, li abita, li riattiva, li pensa ma come soggetti vivi, frammenti di una narrazione mitica che continua potente fino ai nostri giorni.

«Abbiamo voluto intitolare questa prima stagione “RICORDARE IL PRESENTE”- annota il direttore artistico Alessandro Machìa. “ Questo ossimoro che contiene apparentemente un’impossibilità, una contraddizione, ci è sembrato risolvesse in sé non soltanto quella propria del mito, della tragedia antica e della nostra realtà – come capisce Shakespeare quando fa dire alle streghe del Macbeth “Il bello è il brutto e il brutto è il bello”; ovvero l’ambiguità, la duplicità della verità che il mito racconta, che è e non è. “RICORDARE IL PRESENTE” significa anche far emergere quella linea invisibile che connette il mito al nostro presente: al di sotto dei nostri progetti di razionalità, delle “magnifiche sorti e progressive”, agisce ancora potente il mito. E ci parla. Ci parla oggi. E dunque ricordare il presente è ricordare il mito nel presente, interrogarlo come facevano Omero e Esiodo, che chiedevano la parola alle Muse per comprendere il proprio tempo e l’enigma che siamo. In questi nostri tempi bui, in cui il pensiero sembra aver ceduto il passo al tifo e alla falsa contrapposizione delle opinioni dove tutto si annulla, abbiamo bisogno di parole autentiche, di parole che vengono da lontano, dal Mito. E di ascoltarle insieme, come comunità. Queste parole le chiediamo agli artisti presenti in questa prima edizione: se l’uomo, come dice Heidegger, è il parlante e il mortale perché ha la facoltà del linguaggio e fa esperienza personale della morte, l’artista è doppiamente mortale e parlante perché può giocare la morte, nel teatro nella danza, reinventa la parola, ce la restituisce. E la parola dell’artista è sempre parola autentica.

Dedichiamo, inoltre, la prima edizione di APPIA NEL MITO alla memoria di un attore straordinario scomparso da poco, uno dei più grandi che abbiamo avuto e forse non sufficientemente omaggiato; col quale ho avuto l’onore di lavorare, di percorrere un piccolo tratto di strada al suo fianco: PAOLO GRAZIOSI. Paolo era un attore immenso, asciutto, modernissimo, generoso, che da attore straordinario conosceva bene quella ambiguità della parola che il mito ci porta ancora oggi. Vogliamo dunque dedicare questo festival a lui».

Seguendo il fil rouge “RICORDARE IL PRESENTE”, la rassegna si snoda in un percorso di spettacoli site-specific che hanno al centro il Mito: una via nel mito che dal passato giunge fino a noi, attraverso il nostro di rappresentarci nel tempo e nella storia. Una anàbasi, una risalita da due anni drammatici che parte dall’origine della nostra civiltà: il mito, la classicità, il tragico; per come ci parlano oggi, nella nostra società complessa, attraverso le riscritture e le diverse modalità di rielaborazione nel teatro e nella danza. APPIA NEL MITO è anche un ritorno all’origine della nostra civiltà con un nuovo modo di guardare all’antico e alla tragedia per come ci parlano oggi, attraverso le diverse modalità di rielaborazione del teatro e della danza.

Grandi artisti e giovani compagnie si alterneranno per un mese e mezzo di programmazione, dal 18 giugno al 30 luglio, in diverse location immerse nella Storia e nel verde, tra Roma ( Chiesa S. Nicola) e Frascati (Villa Torlonia), con spettacoli di teatro e danza, reading, laboratori gratuiti di teatro, danza e giocoleria. Tra gli artisti presenti: Massimo Popolizio, Vinicio Marchioni, Daniele Salvo, Viola Graziosi, Andrea Tidona, Melania Giglio e Roberta Caronia.

Si inizia il 18 giugno alla Chiesa di San Nicola con CLITENNESTRA di Luciano Violante interpretata da Viola Graziosi, la quale intesse un viaggio dal mito alla contemporaneità sorretta da un fraseggio tragico che scolpisce le parole sulla declinazione di una storia di un esilio perpetuo post mortem, e con IFIGENIA IN CARDIFF (19 giugno) di Gary Owen con Roberta Caronia e la regia di Valter Malosti, un delirio monologante denso di lucidità che si rivela a poco a poco, ribaltando gli equilibri del senso comune e scardinando moralismi e perbenismi vari. 

Si continua il 24 giugno con EDIPO… SEH! con Andrea Tidona e la regia di Carla Cassola, uno scherzo intelligente e raffinato per “raccontare” con leggerezza una delle più grandi tragedie della storia del teatro, e il 29 giugno con la danza di Aurelio Gatti, che traspone una sua versione del mito di DAPHNE. 

Seguirà il 30 giugno CIRCE. Le origini con Alessandra Fallucchi e la regia di Manuela Favilla a delineare il ritratto di una figura ambivalente: crudele ma anche pietosa, ostile ma anche amica. Circe è Donna, Ninfa, Maga, Amante ma anche Moglie, racchiude le molte potenzialità del femminile, mentre il 1 luglio Melania Giglio e Daniele Salvo indagano la figura di Saffo, una delle poetesse più famose del mondo antico, con INNO AD AFRODITE- Serata per Saffo, in prima nazionale. 

Grande attesa per Vinicio Marchioni e il suo IN VINO VERITAS, il 2 luglio a Villa Torlonia (Frascati), un meraviglioso itinerario nella letteratura, nella musica e nell’umanità che si è sviluppata intorno al culto del vino e a tutto quello che il vino rappresenta: incontro, amicizia, andare oltre i limiti del concesso, creazione, disperazione e gioia di vivere; da Dioniso a Charles Bukowski, passando da Hemingway all’opera lirica, da Omero ad Alda Merini; mentre Giuseppe Pestillo il 10 luglio darà corpo e voce a ONISIO FURIOSO, diretto da Luca Mazzone, il quale affronta il tema della modernità del mito e lo fa costruendo un personaggio che si muove a un ritmo sul crinale tra la poesia e l’epopea, tra la parola tragica e la quotidianità. 

Venerdì 15 luglio (Frascati) sarà la volta della nuovissima produzione PASOLINI. UNA STORIA ROMANA di e con Massimo Popolizio che intreccia il racconto biografico di Pasolini, dal suo arrivo nella città eterna nei primi anni cinquanta fino alla sua tragica morte nel 1975, con i più celebri testi dell’autore, accompagnato dalle melodie eseguite dal vivo di Giovanna Famulari. 

A seguire sabato 23 luglio appuntamento con LE DONNE DI SAMO di Menandro, rito teatrale in maschera che conserva tutto il suo fascino, diretto da Roberto Zorzut, e il 24 luglio con MOSTELLARIA, una delle commedie più divertenti e significative di Plauto, con la regia di Vincenzo Zingaro. 

Il 26 luglio Ludovic Party tratteggia le coreografie di PROMETHEUS, uno spettacolo tra danza e video mapping. Il mito di Prometeo da sempre ha affascinato donne uomini, pensatori ed artisti di ogni secolo e di ogni disciplina, e questo probabilmente perché ha simboleggiato nel tempo la lotta delle forze amiche del progresso umano, e delle civiltà contro ogni forma di potere.


Chiude la rassegna il 30 luglio (Villa Torlonia), IFIGENIA IN AULIDE con Andrea Tidona tra i protagonisti e la regia di Alessandro Machìa, che offre una visione del tutto nuova dell’ultima tragedia di Euripide trasfigurandola in dramma borghese. 

Parallelamente agli spettacoli prenderanno vita una serie di laboratori come quello di giocoleria a cura di Leonardo Angelini il 18 e 19 giugno, uno dei responsabili del settore circo e clowneria in Italia, che presenterà e racconterà la giocoleria come una tecnica a disposizione di tutti, per giocare e per migliorare il proprio benessere psicofisico, e quello su “La pedagogia dell’espressione per tutti” condotto da Gilberto Scaramuzzo il 29 e 30 giugno. Il lavoro prevede la presentazione teorica e la sperimentazione pratica degli elementi fondamentali della Pedagogia dell’Espressione e una applicazione di questi principi nell’ambito della relazione educativa, in qualunque contesto questa si trovi a essere sviluppata. 

Una introduzione al Teatro della relazione e al Metodo Mimico di Orazio Costa Giovangigli, così come sono stati sviluppati dall’attività di ricerca del MimesisLab – il Laboratorio di Pedagogia dell’Espressione del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università Roma Tre.Le attività della classe sono strutturate in maniera tale da poter essere fruite da ciascuno dei partecipanti in maniera organica al proprio livello di preparazione.

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Artigiani di una tradizione vivente. Jacques Copeau e il rinnovamento dell’arte drammatica

Artigiani di una tradizione vivente. Jacques Copeau e il rinnovamento dell’arte drammatica

Jacques Copeau e il rinnovamento dell’arte drammatica

Jacques Copeau, uno dei maestri fondatori della pedagogia d’attore e del teatro di regia del novecento francese, nasce a Parigi il 4 febbraio 1879. Uomo di lettere, ancor prima che di teatro, Copeau fu protagonista di una delle esperienze più significative nella storia della critica teatrale europea: nel 1908 fonda, insieme ad André Gide, Jean Schlumberger, Henri Ghéon, André Ruyters e Marcel Drouin, la «Nouvelle Revue Française» di cui diviene direttore nel 1911. È a partire dalla riflessione critica sul teatro, promossa dalla NRF, che inizia a delinearsi l’idea di un nuovo teatro, di una riteatralizzazione necessaria della scena contemporanea.

La volontà di rinnovamento drammatico, si tradurrà ben presto in concreta e sistematica applicazione dei principi sottostanti alla rappresentazione scenica, intesa come forma compiuta di una trasmissione ereditaria dell’artigianato di mestiere.

L’incontro con Dullin

Nel 1911 Copeau lavora al suo primo adattamento teatrale: I Frères Karamazov di Dostoevskij, scritto e rappresentato in collaborazione con Jean Croué e Georges Durec, al Théâtre des Arts di Parigi. È in occasione della messa in scena dei Frères Karamazov, che avviene l’incontro di Copeau con Charles Dullin e successivamente con Louis Jouvet.

Fu Charles Dullin che, nella primavera del 1913, ospitò nel suo atelier di Montmartre, le audizioni per gli aspiranti attori della compagnia stabile del futuro teatro della NRF. Copeau riuscì a riunire intorno a sè, giovani artisti uniti da un sentimento di indignazione per il cabotinage, ovvero per un tipo di recitazione artificiale, meccanica, per lo sterile virtuosismo degli attori moderni e per la speculazione del teatro commerciale contemporaneo. 

Copeau
Arsène Durec e Charles Dullin dans – Les Frères Karamazov de Copeau,
messo in scena da Arsène Durec

Il Vieux-Colombier

Inizia così a delinearsi, per opposizione, la concezione dell’artista come artigiano, operaio del mestiere che costruisce una valida alternativa alla degenerazione dell’arte scenica. Individuato il primo nucleo di attori con cui dare inizio all’esperienza di creazione di un nuovo teatro, il 23 ottobre del 1913, al numero 21 della rue du Vieux-Colombier nella Rive Gauche, Jacques Copeau fonda a Parigi il Théâtre du Vieux-Colombier, inaugurando l’attività con due opere di repertorio: Une femme tuée par la douceur, di Thomas Heywood e L’amour médecin, di Molière.

L’anno successivo, la Prima guerra mondiale si impone alla vita ma non all’arte: il Théâtre du Vieux-Colombier chiude, la compagnia si disperde ma l’impossibilità di esercitare il proprio mestiere diviene, per infelice paradosso, un’occasione per approfondire gli aspetti costitutivi quell’idea di artigianato teatrale, emersa sin dalle prime riflessioni teoriche sul teatro, di Copeau e delle personalità vicine al milieu della NRF.

È nell’agosto del 1915, che Jacques Copeau scrive a Edward Gordon Craig per proporgli la traduzione in francese e la pubblicazione presso le Éditions de la NRF di On the Art of the Theatre, opera cardine del regista inglese.

Per orientarsi e confrontarsi con il pensiero di Craig e la sua poetica dell’arte scenica, Copeau decide di incontrarlo a Firenze; durante il soggiorno fiorentino rimarrà affascinato dalla realizzazione, nell’Arena Goldoni, di uno spazio teatrale che integra in sé il progetto pedagogico di una scuola, affiancato da diversi laboratori in cui esercitarsi nella pratica delle maestranze necessarie all’attività teatrale.

Il contatto con il pensiero di Craig sarà fondamentale per Copeau, nel definire i principi che guideranno la seconda fase del Théâtre du Vieux-Colombier, in un armonioso accordo tra esigenze registiche e pedagogiche.

Copeau, Appia e Dalcroze

Nel ripercorrere alcune tappe del percorso umano e artistico di Copeau, il viaggio continua da Firenze a Ginevra, dove il regista incontra altri due maestri del teatro del novecento: Adolphe Appia ed Émile Jaques-Dalcroze.

Con la lettura di The Eurythmics of Jaques-Dalcroze di Dalcroze e L’origine et les débuts de la gymnastique rythmique di Appia, Copeau si persuase di perfezionare il proprio metodo pedagogico, in accordo con i fondamenti teorici e pratici della ritmica di Dalcroze: per un’educazione estetica significativamente espressiva, Copeau si dedicò allo studio dei processi che regolano l’equilibrio corporeo, nel segno di una costante ricerca delle libertà potenziali di un corpo nello spazio e della qualità plastica dell’espressività corporea. 

Nel far ciò particolare attenzione era posta sulla componente propriamente pedagogica che struttura il rapporto maestro – allievo e la relazione tra allievi, caratterizzata dalla fiducia reciproca e dal rispetto dell’individualità, delle potenzialità creative di ognuno, concepite all’interno di un progetto di creazione collettiva a cui il gruppo aderisce.

Copeau
Théâtre du Vieux-Colombier

L’esperienza che i maestri e gli attori fanno, di partecipazione collettiva a un’unica creazione drammaturgica, nutre di senso l’idea di una confraternita di attori chiamati a lavorare dentro e fuori il teatro, abitando i luoghi della vita e dell’arte, che è allo stesso tempo il presupposto e il fine stesso dell’insegnamento e della teatralità nella scuola francese di Copeau.

La lealtà e la devozione al proprio mestiere e ai propri compagni, che sempre aveva contraddistinto le azioni degli attori del Vieux-Colombier, venne meno tra il 1917 e il 1919 quando Copeau diresse per due stagioni il Théâre Français di New York con sede nel Garrick Theatre; risale a questo periodo la prima crisi professionale e relazionale della compagnia, il frantumarsi di quell’ideale di confraternita a cui la realtà organizzativa del teatro americano sembrava non lasciare spazio.

Ne seguì l’allontanamento di Dullin, le incomprensioni con Jouvet e la scissione tra allievi e attori dell’École e del Théâtre duVieux-Colombier. Per Ccopeau, si impose la necessità di ri-formare l’attore: déborder l’acteur.

L’École du Vieux-Colombier

Di ritorno a Parigi, nel 1920, si dedica alla riorganizzazione del teatro e della scuola, segnando l’inizio della seconda stagione del Théâtre du Vieux-Colombier e la sistematizzazione dei corsi dell’École du Vieux-Colombier, con sede al numero 9 della rue du Cherche-Midi.

In seguito a una crisi organizzativa e finanziaria, l’ambizioso progetto di Copeau vide il suo epilogo nella definitiva chiusura dell’École e del Théâtre du Vieux-Colombier di Parigi, nel giugno del 1924; data che segna inaspettatamente un nuovo capitolo nella storia del teatro francese del novecento. 

Nel momento in cui il teatro si afferma come necessità, assistiamo all’instancabile ricerca di un luogo da ri-fondare nel segno di una tradizione teatrale vivificata: allievi e attori del Théâtre du Vieux-Colombier, si trasferiscono insieme a Jacques Copeau in Borgogna, a Merteuil e successivamente a Pernand-Vergelesses nella Côte-d’Or.

Mentre Copeau, mantenne in qualche modo i contatti con la capitale, il gruppo del Vieux-Colombier che in Borgogna prese il nome di Copiaus, creò attraverso il teatro un proprio mondo, profondamente radicato nella realtà territoriale e parallelamente, un teatro di mondo che li spinse a viaggiare per l’europa, dal 1926 al 1929 con tournée in Svizzera, Belgio, Olanda, Inghilterra, Italia. L’unicità e l’importanza dell’esperienza teatrale dei Copiaus si radica nella grande tradizione della Commedia dell’arte, per emergere nella forza creatrice della comédie nouvelle.

La storia umana e artistica di Copeau e dei suoi attori, è la storia di una vita dedicata al teatro e alla trasmissione del sapere teatrale, nel compimento di un dovere che, ricordando le parole del regista:

«Pedagogo, pesa su di noi come un destino che è allo stesso tempo un dovere, il dovere di servire l’arte e di consacrarsi totalmente ad essa, in uno slancio creativo che altro non è se non atto d’amore. Con l’impegno di trasmettere ai posteri i segreti del mestiere con la precisione di un artigiano, permettendo così al teatro di rinascere sempre alla vita, il Théâtre e l’École du Vieux-Colombier di Jacques Copeau rivoluzioneranno l’idea stessa di pedagogia teatrale e di regia, illuminando la strada a una nuova generazione di registi – pedagoghi, artigiani di una tradizione vivente».

Artigiani di una tradizione vivente di Jacques Copeau

Copeau
Manifesto del Théâtre du Vieux-Colombier

Artigiani di una tradizione vivente. L’attore e la pedagogia teatrale di Jacques Copeau, è un’antologia preziosa, edita nel 2009 da La casa Usher di Firenze, a cura di Maria Ines Aliverti, per la collana «Oggi, del teatro», fondata da Fabrizio Cruciani.

Artigiani di una tradizione vivente è il racconto di una parte significativa della cultura teatrale francese del novecento, dedicato a chiunque si ponga il problema della necessità del teatro. Le riflessioni di Copeau, riportate nell’antologia sotto forma di articoli, cahiers, corrispondenze letterarie, pongono l’accento sull’entità della vocazione artistica e l’identità strutturale tra mestiere drammatico e invenzione drammatica, aiutandoci a comprendere il senso dell’avventura teatrale e pedagogica intrapresa dagli attori e allievi del Vieux-Colombier.

Se il mestiere è per Copeau, «l’arte nell’atto della creazione», per gli attori e gli allievi del Théâtre e l’École du Vieux-Colombier, sarà la ricerca di una forma adeguata alle proprie intuizioni, la libertà dell’invenzione all’interno delle regole dello specifico drammatico.

L’attitudine di Copeau ad abitare i luoghi della vita e del teatro, ci introduce nell’universo poetico di Craig, di Appia, di Dalcroze, tra narrazioni di incontri che ci consentono di comprendere la teatralità dell’esperienza umana come base di una collettività rifondata e riscoprire il valore della comunità riscoprendo il valore del teatro come espressione sublime della cultura di un popolo, dell’identità di un popolo. 

Si spiega così la centralità dell’educazione dell’attore nel pensiero di Copeau, che sempre risponde alla necessità di un percorso di consapevolezza artistica e personale come presupposto di ogni creazione drammaturgica. Guardando contemporaneamente al passato e al futuro mentre si osserva il presente, come solo i grandi maestri sanno fare, Copeau tesse il fil rouge che unisce la grande tradizione della Commedia dell’Arte alla nascente Comédie improvisée:

 «All’inizio: la scoperta, e non l’apprendimento… noi non siamo nei confronti dell’antica farsa italo-francese, e neppure nei confronti di Molière, nella situazione in cui Molière si trovava nei confronti degli antichi farceurs. La tradizione è stata interrotta. Se noi la ritroviamo, sarà in noi stessi, al richiamo di una necessità […] Conviene che sin dall’inizio ci rimettiamo da noi stessi in uno stato di calore e di invenzione che ci permetta in seguito di ritrovare la tradizione come un apporto vivente e fecondante». 

Come ultima narrazione, in Artigiani di una tradizione vivente, è riportata l’esperienza teatrale di Copeau e di Les Copiaus nella Borgogna della Côte d’Or; rivelando in parte, il segreto del mestiere dell’artigiano di teatro come colui che viaggiando un po’ più lontano, nel tempo e nello spazio dell’invenzione, può aiutarci a comprendere il nostro presente e il nostro esistere come umanità teatrale.