ConTest Amleta – Vedere è potere: drammaturgie oltre gli stereotipi cercasi

ConTest Amleta – Vedere è potere: drammaturgie oltre gli stereotipi cercasi

AMLETA, associazione di promozione sociale per la lotta contro la disparità di genere nel mondo dello spettacolo, indice il primo bando teatrale “ConTest Amleta – Vedere è potere: drammaturgie oltre gli stereotipi cercasi nell’ambito della prima edizione del Festival AMLETA che si terrà a maggio 2022 a Milano.

Il contest prende spunto dal Test Amleta, uno strumento d’analisi il cui scopo principale è quello di aprire una riflessione sull’immaginario femminile che ci circonda.

L’obiettivo del ConTest Amleta è, dunque, quello di valorizzare e premiare le opere che mostrano una rappresentazione più sfaccettata e variegata del mondo femminile, e che si fanno tramite di linguaggi e narrazioni scevri di stereotipi.

A chi si rivolge:

  • Cittadinǝ italianǝ o cittadinǝ residenti nell’Unione Europea.
  • Drammaturghǝ di età non inferiore a 18 anni.

Requisiti:

  • La drammaturgia deve essere originale, non saranno presi in considerazione adattamenti, rivisitazioni o riscritture.
  • Non sono ammesse proposte che siano già state allestite in forma completa. Sono invece ammesse le drammaturgie già presentate in forma di studio, anche in seguito a una residenza.
  • Ogni autrice/autore/autor può partecipare con un solo testo.
  • Sono ammesse drammaturgie che abbiano partecipato/vinto altri contest.
  • Il testo può essere sia edito che inedito.
  • Il testo deve essere in lingua italiana (nel caso di proposte in lingua straniera lǝ candidatǝ potranno partecipare previa traduzione in italiano).
  • La drammaturgia dovrà aver superato il Test Amleta con un punteggio uguale o superiore a 29 e il punteggio dovrà essere indicato sia sul Pdf del testo, sia nella Scheda di Partecipazione compilata dallǝ candidatǝ.
  • Non saranno ammessi alle selezioni testi in forma di monologo.

Modalità di partecipazione

Lǝ candidatǝ dovranno compilare la Scheda di Partecipazione (scaricabile a questo link), nella quale dovranno indicare i propri dati anagrafici e il punteggio ottenuto dal Test Amleta (vai al test).

Dovranno poi inviare, assieme alla Scheda compilata, una copia della drammaturgia proposta in formato PDF, senza inserire alcun riferimento all’autore/autrice/autor, limitandosi a indicarne il titolo e il punteggio Test Amleta ottenuto.

Il materiale dovrà pervenire via mail all’indirizzo eventi@amleta.org entro e non oltre la mezzanotte (24:00) del giorno venerdì 8 Aprile 2022.

Selezione e tempistiche

Le drammaturgie candidate saranno valutate da una giuria di addettǝ ai lavori, costituita da appartenenti al collettivo Amleta e da esponenti del panorama teatrale italiano.

  • Entro il 10 Maggio 2022 saranno comunicati lǝ tre finalistǝ.

Il 17 Maggio sarà proclamata la drammaturgia vincitrice.

Premi

Allǝ drammaturgǝ vincente sarà corrisposto un premio in denaro di euro 500.
Il suo testo sarà inoltre messo in scena in forma di reading dal collettivo Amleta durante la serata di apertura del Festival Amleta presso MTM Teatro Leonardo in data 26 maggio.
Allǝ drammaturghǝ finalistǝ sarà dedicata una scheda personale sul sito di Amleta, con parziale pubblicazione del testo selezionato in forma di anteprima.

Apriamo le stanze di Barbablù: Amleta contro la violenza sulle attrici in Italia

Apriamo le stanze di Barbablù: Amleta contro la violenza sulle attrici in Italia

Le abbiamo intervistate a novembre dell’anno scorso – poco tempo dopo la loro nascita come collettivo di volontarie impegnate nella battaglia contro la violenza e la discriminazione di genere – e, in conclusione, avevano espresso il più immediato obiettivo di farsi riconoscere come associazione; appena un mese trascorso, e questo si era già realizzato, permettendo ad Amleta di costituirsi parte civile nei processi giudiziari e aiutare così, ancor più incisivamente, le vittime di abusi perpetrati all’oscuro, nelle stanze nascoste dei teatri italiani.

A un anno di distanza, numerose, trasversali e diffuse sono state le azioni portate avanti, nonché i riconoscimenti – tra cui il premio “Arte e diritti umani” 2021 di Amnesty International – giunti in risposta al loro operato, fino ad arrivare alla più recente iniziativa “Apriamo le stanze di Barbablù”, la challenge lanciata sui social nel mese dedicato alla violenza sulle donne.

Ne abbiamo parlato con Silvia Torri – attrice, marionettista e una delle ventotto fondatrici di Amleta – che ha spiegato meglio di cosa si tratta, indagando un fenomeno complesso e delicato di cui si conosce ancora troppo poco.  

Amleta nasce durante il lockdown in seno ai dibattiti per la richiesta di maggiori tutele verso le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo; la missione ha fin da subito richiesto una serie di azioni eterogenee tra loro dirette verso un obiettivo comune. Puoi parlarci dei principali strumenti che avete messo in campo fino a questo momento?

La violenza e la discriminazione di genere sono fenomeni trasversali e, soprattutto, culturali sostenuti da un’impronta maschilista ancora predominante nel nostro Paese, ed è il motivo per cui risulta necessario ampliare il più possibile lo spettro d’azione. Siamo partite da un’attività di mappatura che ha confermato le nostre sensazioni, ovvero la netta minoranza di attrici rispetto agli attori nei teatri più strutturati a fronte di un grandissimo numero di donne che si formano nelle scuole, e la loro sconcertante assenza nei ruoli di direzione.

Oltre alla raccolta dei dati, che ci ha mostrato l’aspetto numerico della disuguaglianza, ci siamo occupate di agire sul versante culturale attraverso l’istituzione dei “mercoledì di genere” invitando esperte del settore e donne di teatro per poi restituirne testimonianza con brevi video trasmessi sui social; una parte del gruppo si è invece presa carico dei test sulle drammaturgie evidenziando quello che la critica cinematografica Laura Mulvey ha definito “male gaze”: se la drammaturgia è scritta da uomini, la rappresentazione della donna – elemento importantissimo nella costruzione dell’immaginario collettivo – è inevitabilmente viziata dal loro sguardo, risultando talvolta svalorizzante e limitativa.

Ciò che vogliamo si attui maggiormente è però l’unione tra piano immaginario e concreto, essendo l’uno lo specchio dell’altro, e la loro reciproca comunicazione: per questo, abbiamo attivato uno spazio protetto in cui raccogliere le testimonianze degli abusi subiti dalle attrici che possono scriverci a osservatoria.amleta@gmail.com; lo step successivo è quello di affidare i singoli casi a un team di esperte e avvocate dell’associazione – attiva già da diversi anni nel campo – Differenza donna con cui collaboriamo stabilmente dopo essere giunte all’arresto di un finto regista, sostenendo così percorsi di accompagnamento legale per le vittime di violenza. 

Come vi servite dei social e in cosa consiste la vostra più recente iniziativa? 

La nostra presenza sui social è utile soprattutto per informare con rubriche e spunti culturali, generando un polo di attenzione, ma è solo la parte più visibile di un grande impegno sottostante.
“Apriamo le stanze di Barbablù”, nello specifico, nasce sull’onda del movimento MetooThéâtre che ha preso avvio lo scorso mese in Francia: alcune colleghe attrici hanno infatti raccolto sui social le testimonianze di donne vittime di abusi e ciò ha determinato le dimissioni dei direttori di teatri coinvolti.

Amleta, per ciò che riguarda l’Italia, ha chiesto di contribuire e sostenere la sua campagna con una semplice azione: scattare una fotografia in cui si mostra il proprio volto e si impugna una chiave, quella che apre simbolicamente la stanza segreta dei Barbablù, postandola insieme all’hashtag dedicato #apriamolestanzediBarbablù; nel testo sottostante sarà possibile, a discrezione, raccontare la propria esperienza. Per chi invece preferisce mantenere l’anonimato, resta sempre valida la possibilità di esporsi in forma tutelata su Osservatoria. 
L’iniziativa andrà avanti per tutto il mese di novembre toccando il suo culmine il 25, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

È forse ancora presto per tirare le somme, ma come sta andando fino a questo punto in termini di adesione e cosa sta emergendo? 

Stiamo ricevendo un numero davvero alto di adesioni, ma in tal caso dovremmo anche sottolineare “purtroppo”. Mettere la faccia in queste situazioni non è affatto facile, e spesso le molestie subite sono più d’una e bisogna considerare anche ciò su cui si decide di esporsi. È come se pian piano si stesse scoperchiando il vaso di Pandora, sebbene risulti difficile riportare le testimonianze per un senso di vergogna, e poiché l’abuso, soprattutto in ambito teatrale, viene normalizzato, sminuito, direi quasi “romanticizzato”.

Quanto al sostegno, stanno arrivando diverse adesioni anche da parte di uomini, malgrado la loro presenza sia ancora marginale perché il problema non viene sentito a livello collettivo, è come se non li riguardasse. Non è inoltre da sottovalutare il fatto che, seppur con numeri inferiori, non è soltanto il genere femminile a subire violenza.

Che tipo di abusi si rilevano maggiormente e quanto conta il fattore età?

Le testimonianze che pervengono a Osservatoria sono lette soltanto da due persone dell’associazione, per cui c’è un grande riserbo al riguardo per tutelare le vittime. Quello che si può affermare con una certa sicurezza, anche attraverso ciò che viene reso pubblico, è che sia le violenze – le quali spaziano dalle molestie verbali all’aggressione fisica fino al vero e proprio stupro – sia l’età sono assolutamente trasversali: a cadere nella trappola non sono soltanto le donne più giovani, sebbene i Barbablù vadano a colpire maggiormente dove sanno di trovare situazioni di fragilità.

La ragazza che si trova all’inizio della sua carriera è infatti più ricattabile perché ha meno rete, meno tutele, è più sola; e dato che abuso di potere e ricatto lavorativo vanno di pari passo è più difficile sottrarsi e dire “no”. Una situazione aggravata dal fatto che, proprio perché meno presenti nei grandi teatri, le donne, anche quelle con più esperienza, finiscono in circuiti minori dove vi sono meno soldi e scarse protezioni.

Grazie al movimento internazionale MeToo sono venuti fuori vari casi e nomi legati però soprattutto all’ambito cinematografico. Perché nei teatri il fenomeno rimane così sommerso?

Io credo che il teatro, essendo un settore più di nicchia e ammantato di una patina di cultura, sia un luogo che nasconde ancora meglio i soprusi. Un fattore non trascurabile è poi la presenza di una forte disgregazione e precarietà lavorativa, ed è stato necessario l’arrivo di una pandemia affinché vi fosse una presa di responsabilità collettiva sulle tutele; non ritengo infatti un caso che si sia creato un tavolo di genere proprio quando si rivendicavano i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo.

Un altro elemento più subdolo, ma determinante, è che si viene condizionati dall’idea dell’“artista-genio”, colui a cui tutto è concesso perché ma sì, lo sai che lui è così… e che viene sostenuto nel suo agire fino a essere giustificato.
Cultura” e “violenza” – per riprendere le parole della presidente di Amleta Cinzia Spanò – sono invece due termini che devono smettere di stare insieme, e il secondo andrebbe liberato da quel velo di romanticismo che edulcora l’abuso e lo rende accettabile.

Barbablù è allora anche chi tace davanti alla violenza e le dà motivo per esistere. Un perverso meccanismo a incastro di cui anche le donne stesse fanno fatica a liberarsi…

Assolutamente sì. È l’intero sistema che protegge, sostiene e avalla i Barbablù, in cui la violenza non viene sminuita solo da chi la fa, ma anche dal contorno.  E di questo contorno fanno parte purtroppo anche le donne, con forme di maschilismo interiorizzate o semplicemente mosse dal bisogno di sopravvivere e non perdere il lavoro. È naturale, allora, che la vittima si ritrovi inascoltata, sola, e in preda a un senso di vergogna,  perché sente che qualcosa di grave non viene percepito come tale.Ed è qui, dunque, che si affaccia Amleta, che vuole essere questa solidarietà: una rete sicura a cui l’attrice può rivolgersi ed essere finalmente accolta.

A proposito del fare rete, oltre a quella con Differenza donna, quali sinergie avete creato nel piccolo e, in un’ottica più ampia, anche oltre confine?

Al momento la vera collaborazione stabile è quella con Differenza donna, ma siamo in contatto con tante altre realtà che supportano il nostro lavoro. C’è poi un aspetto importantissimo, che si genera dal basso, ed è quello che concerne le donazioni volte a finanziare le spese connesse agli iter legali, nonché le azioni culturali intraprese da Amleta e le competenze dei professionisti di cui ci avvaliamo. Ciascuno, nel suo piccolo, può contribuire alla nostra missione tesserandosi sul sito di Amleta al costo base di dieci euro, o anche di più, se lo ritiene importante. 

A un livello più ampio e internazionale, al momento, non si sono create vere e proprie sinergie, ma siamo sempre in ascolto, raccogliendo pratiche e contatti con altri movimenti che ci servono come spunto per crescere e agire in modo sempre più pervasivo ed efficace, come è stato per “Apriamo le stanze di Barbablù”.

La violenza e l’imprinting maschilista della società sono soprattutto un problema culturale, come più volte ribadito: quali altre azioni ci riserva il futuro su questo fronte e come si concretizzeranno sul breve e lungo periodo quelle già intraprese?

Ci sono delle metafore che trovo spieghino molto bene la situazione e i rischi in cui si incorre permanendovi. La prima è quella di un iceberg della violenza, dove al vertice, ovvero la parte visibile, troviamo la forma più estrema: il femminicidio. Ma l’iceberg è composto da più strati, tanti quanti sono gli aspetti multiformi del sopruso – dal linguaggio quotidiano passando per il ricatto emotivo nelle relazioni – ed è dunque necessario agire su ognuno di essi perché l’uno sostiene l’altro, e anche quella che viene definita un’innocua battuta può contribuire ad alzare l’asticella della tolleranza. Il rischio è appunto di trovarsi come la rana che, dapprima immersa in una pentola d’acqua fredda, non schizza via come farebbe se fosse bollente, ma comincia a cuocersi lentamente senza neanche rendersene conto.

Per sciogliere allora quell’iceberg è necessario partire dalla formazione, ed è per questo che il 22 novembre entreremo al Politecnico delle Arti, di cui fa parte la Civica scuola di teatro Paolo Grassi, per portare il nostro messaggio a chi decide di svolgere il mestiere di attrice o attore, ma anche a coloro che faranno parte del sistema occupando ruoli di responsabilità e potere.
Oltre alle attività a latere di cui informiamo sul nostro sito, la prossima primavera vedrà concretizzarsi il Festival di Amleta, ancora in via di organizzazione, ma già inserito nella stagione di MTM Teatro. 

Quanto a questa campagna social, invece, vedremo come procedere sul piano legale, fermo restando che i tempi sono purtroppo dilatati (non dimentichiamo che spesso è difficile procedere anche perché il reato di stupro cade in prescrizione dopo appena un anno!), e le questioni richiedono particolare delicatezza e rispetto della volontà delle vittime.
Sicuramente bisogna dare il giusto tempo affinché le cose accadano tenendo sempre alta l’attenzione, e queste piccole azioni su vari livelli vogliono essere come dei semini da piantare nel terreno: renderlo fertile mi pare già un ottimo obiettivo.

È nata Amleta. Intervista alle attiviste Chiara Chiavetta e Giulia Maino

È nata Amleta. Intervista alle attiviste Chiara Chiavetta e Giulia Maino

Amleta

La disparità di genere è un tema che continua a mortificare ed emergere nella vita di ciascuno di noi. Ciascuno, perché questo divario, feroce, invalidante e ancora troppo evidente, pur riguardando in larga parte le donne, è un problema sociale che investe tutte e tutti. Il fulcro della questione non è il rovesciamento dei rapporti di potere per dar vita a una preminenza femminile che annienti il maschile, ponendolo in una posizione di inferiorità. Si tratta di spezzare le catene dell’oppressione, alla ricerca dell’uguaglianza. Non una richiesta, ma la corretta applicazione dei principi della nostra Costituzione. 

Amleta, collettivo spontaneo nato alcuni mesi fa dall’incontro tra attrici e attiviste, riunitesi dapprima intorno al tavolo di genere di Attrici Attori Uniti, persegue questo obiettivo. Concentrandosi sull’impatto che il divario di genere ha in ambito teatrale, le attiviste di Amleta hanno indagato la disparità occupazionale in termini di ruoli di rilevanza ricoperti dalle donne nel settore, di meritocrazia, di trattamento sindacale, intavolando una concreta discussione sul diritto delle donne di non vedersi più rappresentate attraverso una narrazione del femminile viziata dalla visione maschile. 

Cuore pulsante delle battaglie condotte da questo collettivo è quella contro la violenza di genere. Un cancro che, insinuatosi nelle pieghe della società, tocca fisicamente e psicologicamente centinaia di professioniste per le quali il lavoro diventa un potenziale pericolo. Queste donne non possono più essere lasciate sole, la loro difesa è un dovere che riguarda tutti e tutte. Ecco perché Amleta ha istituito una mail (osservatoria.amleta@gmail.com) alla quale far pervenire segnalazioni e testimonianze che, una volta raccolte, vengono affidate ad avvocate ed esperti per un sostegno legale e psicologico.

Oltre ad aprire un dibattito su tali impellenti questioni, il progetto detiene il grande merito di tramutare tali argomentazioni in inconfutabili verità. Di fatto, per mezzo di una serie di attività e di un lavoro volontaristico portato avanti collettivamente, Amleta ha raccolto dati, monitorato ed evidenziato le differenze di trattamento tra donne e uomini nel mondo dello spettacolo. La situazione emersa è allarmante.

Ce ne parlano Chiara Chiavetta e Giulia Maino, attrici e attiviste, raccontando nascita, urgenza e obiettivi del collettivo Amleta.

Gli esordi di Amleta: come è nato il progetto, in che modo vi siete incontrate e intorno a quale tema avete sentito l’esigenza di unirvi?

Chiara Chiavetta: Ci siamo incontrate in maniera telematica per la prima volta grazie al tavolo di genere formatosi in seno ad Attrici Attori Uniti. Questa spinta ha fatto sì che attraverso incontri e riunioni, si sviluppasse quello che oggi è Amleta. La prima esigenza che abbiamo sentito è stata quella di mappare la presenza femminile nei Teatri nazionali e nei Tric facendo leva sui numeri: quante attrici, direttrici e drammaturghe sono presenti in questi teatri? In che misura vengono rappresentate le donne sui palchi ufficiali? I dati emersi, rispetto alla presenza femminile, sono allarmanti.

Abbiamo fin da subito sentito la necessità di fare autoformazione, per questa ragione sono nati quelli che chiamiamo I mercoledì in genere, durante i quali abbiamo dialogato con filosofe, psicologhe, drammaturghe. Tutti gli incontri sono stati registrati e usciranno sotto forma di “pillole video” sui nostri canali social, poichè sono molto utili per approfondire la questione di genere.

Giulia Maino: Con gli Incontri del mercoledì abbiamo voluto creare una conoscenza comune, un terreno fertile su cui ragionare e crescere insieme. Nel momento in cui ci siamo unite, ciascuna aveva un diverso livello di femminismo interiorizzato. Grazie al lavoro che stiamo svolgendo e a questi confronti con specialisti e professionisti del settore, stiamo cercando di avere un’idea di femminismo comune a tutte, che racchiuda la nostra mission: fare in modo che in Italia il settore dello spettacolo sia più paritario, più giusto, più equo e soprattutto più sicuro

Uno dei nostri maggiori obiettivi è contrastare la violenza di genere. Per questo, abbiamo pubblicato un decalogo che, forse per la prima volta in Italia, non si rivolge solo alle donne ma anche agli uomini, poiché occorre non dimenticare che questi terribili episodi accadono anche a loro. Siamo e saremo sempre dalla parte delle vittime e dalla parte di chi denuncia.

Il decalogo non si rivolge solo ad attrici e attori professionisti, ma anche a chi organizza i casting: riteniamo fondamentale, e non solo nel nostro settore, educare chi, come casting director, registi, registe, è in una posizione di potere. La consapevolezza deve essere acquisita da ambo le parti, in modo che chi detiene il potere sia in grado di non mettere e non far sentire in pericolo chi viene provinato ad esempio, dato che si tratta di lavoro.

A proposito della disparità occupazionale che Amleta mette in luce nell’ambito delle performing arts, qual è la causa per cui ruoli registici, autoriali, di direzione continuano a essere in larga parte affidati agli uomini? 

CC: Questa è una delle domande che ci stiamo ponendo. Personalmente, credo si tratti innanzitutto di un retaggio culturale. Fino a una certa storia del teatro, i ruoli femminili erano scritti da uomini. È ancora raro che il lavoro delle drammaturghe arrivi a una vasta platea. Qual è la causa, qual è l’effetto? Dal mio punto di vista, ripeto, una lettura storica di quello che è il teatro, dall’altro la mancanza di presa di posizione.

Non solo è necessario riflettere su quanto il patriarcato sia entrato nel teatro, ma anche su quanto gli si sia stato lasciato spazio. Di sicuro è fondamentale che si inizi a parlarne, a dire che il teatro ha una narrazione prettamente maschile e anche quando si vuole raccontare il femminile, questo racconto è fatto dal punto di vista degli uomini.

Considerando che, come dimostrato da numerose statistiche, la maggior parte del pubblico pagante è costituito da donne, e che queste donne hanno il diritto di vedersi rappresentate, su cosa dovrebbe vertere la riformulazione della rappresentazione dell’immagine femminile a teatro?

GM: Faccio un esempio più pop, ricollegandomi a un Mercoledì in genere di Amleta in cui è intervenuto il critico cinematografico Attilio Palmieri, specializzato in serialità. Attilio ha raccontato che, negli ultimi anni, la rappresentazione femminile nelle serie TV ha allargato gli orizzonti di visione del mondo in maniera incredibile.

Se, partendo dagli albori, pensiamo a Sex and the city, che ha sdoganato questa narrazione femminile, o a  Fleabag, un monologo teatrale scritto da una donna, che in Inghilterra riscuote ancora successo, notiamo come si sia verificata, anche attraverso le serie TV, una quarta ondata di femminismo. Questi tipi di narrazione sono in grado di aprire una finestra su un mondo in cui non solo le donne possano riconoscersi. La cosa incredibile è che una storia raccontata da una donna ha paradossalmente più incisività sul presente: la sensibilità che permea il racconto, inevitabilmente include tutti.

La donna è abituata a non essere rappresentata per questo riconosce la non rappresentatività anche in altre categorie sociali, comprese determinate specificità dell’uomo, dell’essere maschile, che egli stesso non prende in considerazione. Non vogliamo che si dia spazio alle donne per toglierlo agli uomini. Vogliamo che ci sia posto per tutti. Una molteplicità di rappresentazione, questo chiediamo.

Amleta non è solo un’iniziativa che raggruppa utenti intorno a una tematica per far scaturire un dibattito. L’impegno di Amleta si sostanzia in una serie di attività di supporto, di sostegno e di raccolta dati che, confutando il divario di genere, tentano di arginarlo. Come avete lavorato alla Mappatura Amleta?

CC: Per il lavoro sulla mappatura siamo partite dalle stagioni pubblicate nell’ultimo triennio dai Teatri nazionali e dai Tric. Prendendo in esame i titoli in cartellone, i nomi che comparivano, abbiamo iniziato semplicemente a contare. È stato un lavoro certosino e abbiamo impiegato mesi per farlo. Abbiamo sfruttato il periodo del lockdown, facendone anche un buon modo per impiegare il tempo con un obiettivo.

Durante l’estate alcune colleghe hanno fatto una sintesi del lavoro svolto, tirando fuori dei numeri allarmanti: nei Teatri nazionali non ci sono direttrici donne. O meglio, c’era una sola direttrice, poi quel teatro è stato retrocesso a Tric. Sulle grandi scene, anche coloro decide cosa c’è da guardare sono uomini. 

Abbiamo quindi creare dei grafici a torta, in cui la percentuale di presenza femminile è veramente bassa, che saranno fruibili alla fine di novembre. La seconda mappatura su cui siamo attualmente al lavoro riguarda le drammaturgie, ci stiamo chiedendo quante e quali donne vengono rappresentate. Cerchiamo di sdoganare il solito clichè della donna moglie, figlia e madre. Noi non siamo solo questo, siamo tutt’altro. 

GM: Il lavoro sulle drammaturgie si chiamerà Test Amleta e prende ispirazione dal Bechdel Test attraverso cui venivano analizzati film e serie tv, che passavano il test solo se presentavano almeno una conversazione tra due donne in cui non si parlava di uomini. Questa è la nostra base di partenza, stiamo ancora decidendo quali siano i parametri, quali siano le domande da farci quando approcciamo a una drammaturgia contemporanea.

L’impegno della lotta alla violenza è un punto cardine del progetto Amleta: a seguito delle segnalazioni, il team mette a disposizione della vittima un supporto concreto, prevedendo l’attivazione di un percorso di sostegno affidato a esperte ed esperti del settore. Qual è nel dettaglio il procedimento messo in campo? Che panorama hanno fatto emergere le segnalazioni sopraggiunte fino ad ora?

GM: Abbiamo un indirizzo email, osservatoria.amleta@gmail.com, che è a disposizione di tutte e tutti. Una volta giunta la segnalazione, noi la leggiamo, rispondiamo a chi c’è l’ha inviata e passiamo la testimonianza a delle avvocate, con cui siamo in contatto, che procedono in base alla propria esperienza.

Questo percorso si è concretizzato, a partire da quest’estate, quando siamo riuscite a far arrestare un violentatore che si fingeva regista e che purtroppo ha perpetrato diverse violenze anche ai danni di ragazze molto giovani. Grazie all’aiuto delle avvocate che ci assistono siamo riuscite a procedere con l’incarcerazione. Purtroppo abbiamo tra le mani altri casi, di cui uno molto recente.

Ci siamo più volte incontrate con le avvocate per farci spiegare  la differenza tra molestia verbale, violenza verbale, violenza fisica, stupro, proprio perché nel momento in cui ci giunge una segnalazione dobbiamo saperla leggere. Purtroppo, a livello quotidiano, ci giungono testimonianze da parte di tutte noi che, durante l’esperienza professionale, collezioniamo improperi, commenti non richiesti, violenze verbali, fino alle violenze più grandi.

Risulta sempre più necessario parlarne e prendere provvedimenti. Siamo molto orgogliose di poter essere un faro nella notte a disposizione di quelle attrici che si sentono sole e incomprese. Noi, in piccola parte, vorremmo rimediare a questa sensazione.

Quali sono le prospettive del progetto Amleta? Dopo aver vinto quali battaglie sentirete di aver raggiunto gli obiettivi prefissati?

GM: L’idea è quella di costituirci come associazione, portare avanti battaglie sempre più importanti. Il futuro, come per tutti, è molto incerto ma avere tante cose in comune, di cui discutere ogni giorno, rappresenta una certezza. C’è uno stereotipo, di cui sono stata vittima anch’io, che riguarda il fatto che la competizione o il giudizio non permetta alle attrici di unirsi attorno a una causa.

Questa cosa mi ha fatto soffrire a lungo, poi ho incontrato Amleta e donne con molta più esperienza di me, che hanno sulle spalle anni di lotta, attivismo e carriera. Mi sono resa conto che non c’è niente di cui avere paura, c’è solo bisogno di avere voglia di lavorare insieme e di spogliarsi di quegli stereotipi che ci hanno costruito addosso e che non ci appartengono più.

Questo mestiere, questo ambiente devono essere svecchiati, rinnovati e nutriti da un senso di comunione, da una coscienza di classe. Le donne, come stanno dimostrando al mondo proprio in questi giorni, possono andare molto lontano, specialmente se lo fanno insieme. 

CC: Amleta vive nel presente. I temi che affrontiamo quotidianamente – dalla violenza nel settore, alla presenza femminile sui palchi e nelle narrazioni – non si esauriranno in pochi mesi. Il nostro lavoro, che ricordo essere volontario, ha certamente una lunga gettata.

Vogliamo creare dei piccoli “anticorpi” per affrontare il tempo presente. Oggi siamo un collettivo spontaneo ma ci costituiremo Associazione proprio per rafforzare e sostenere al meglio i nostri studi e le nostre colleghe. La grande vera battaglia? Credo sia quella di non aver più bisogno di un’Amleta.