Guardare oltre i nostri tempi, navigando a vista. Intervista ad Adriana Borriello

Guardare oltre i nostri tempi, navigando a vista. Intervista ad Adriana Borriello

Adriana Borriello

Inizia a studiare danza molto presto Adriana Borriello, a soli tre anni. Indirizzando la sua vita artistica e il suo corpo verso forme di ricerca e di espressione, di contenuti e di pensieri. Dopo il diploma presso l’Accademia Nazionale di Danza decide di perfezionarsi al Mudra di Maurice Béjart a Bruxelles, in un continuum di formazione umana e professionale, proseguito incessantemente come un fiume in piena.

Le persone che si “muovono”, nella Danza, sono quelle che scoprono, indagano e raccontano ciò che è scritto sul loro stesso corpo. Adriana Borriello è una danzatrice, coreografa, pedagoga che ha lavorato e lavora coinvolgendo e attivando nello spettatore, a livello fisico e corporeo, uno o più processi. Questo è l’aspetto fondamentale che caratterizza la dimensione della memoria (individuale o collettiva), nonché la crescita totale dell’artista.

Le parole e le considerazioni di Adriana Borriello, emerse durante questa intervista, estrinsecano quel passaggio ulteriore, quei concetti chiave che caratterizzano il suo moto interiore e la sua azione artistica. Inoltre, anticipano la sua partecipazione al Festival di Danza Internazionale Paesaggi del Corpo, convertita in evento streaming a seguito dell’emanazione dell’ultimo DPCM, con la performance La conoscenza della non conoscenza che verrà trasmessa in streaming sabato 31 ottobre alle ore 21:00.

Per prenotarsi e ricevere il link per vedere lo spettacolo su pc o su smartphone è necessario inviare una email a info@paesaggidelcorpo.it.

Un lavoro per andare in scena non dev’essere necessariamente finito, “complesso” non significa inafferrabile, il pubblico può essere coinvolto nel processo di creazione. Il gesto, il movimento e la parola sono segni che mettono in azione una relazione comunicativa tra le persone e così, solo così, per non essere vuoto, privo di significato, il movimento dev’essere significante.

Come si è svolta e come è cambiata l’esperienza di direzione artistica del progetto DA.RE. alla luce della complessità e delle criticità legate al momento di emergenza che stiamo attraversando?

Questo momento particolare, per tutto il mondo e per tutti i settori, ha modificato, influenzato la progettualità di DA.RE Dance and Research, prevista per questo 2020. Quello attuale è il terzo anno di un triennio per il quale era stato progettato, oltre a un programma didattico che avrebbe incrociato una serie di esperienze di ricerca affidate ad artisti diversi di livello internazionale, anche una serie di esperienze di approfondimento offerte agli allievi. Attività professionali nella forma di stage o tirocini indirizzate alle principali professioni: l’interprete – danzatore-performer –, l’autore – apprendista coreografo o creatore della scena –  e la figura del  didatta, nell’ambito soprattutto sociale. 

Tutto questo era già stato avviato a fine gennaio. Il lavoro più importante, però, cominciava in contemporanea con il lockdown, per cui abbiamo dovuto sospendere tutto. Per un periodo di tempo abbiamo cercato di capire l’andamento, riprogrammando più volte le attività. A un certo punto ho deciso di chiudere e di attendere gli sviluppi futuri. Abbiamo fatto partire degli incontri online evitando, per scelta personale, tutto ciò che attiene all’attività corporea, fisica a distanza.

Ho avviato delle lezioni teoriche che abbiamo offerto non solo agli studenti di DA.RE, ma in generale anche al mondo della Danza, al di là del progetto ristretto, e abbiamo avuto una rilevante partecipazione. Infine abbiamo attivato dei corsi particolari legati a dei processi di osservazione, di elaborazione creativa che contemplavano la possibilità di un lavoro individuale svolto a distanza e in confinamento, in linea con  le possibilità del momento, e degli incontri online di condivisione e di verifica, di rilancio.

Quando è stato possibile riprendere una parte delle attività in presenza, con tutte le limitazioni del caso, tra giugno e luglio, abbiamo realizzato una parte del programma così come era stato previsto. Di recente siamo stati in residenza per una settimana a Rosignano Marittimo, presso Amunia, e siamo riusciti a riprendere altre attività.

Insomma, stiamo navigando a vista. Da una parte, come tutti, stiamo cercando di realizzare il più possibile quello che era stato programmato e, dall’altra parte, io sto elaborando delle esperienze online. Possibilità future che guardino oltre questo momento particolare. Includendo inevitabilmente la previsione delle ricadute, anche quando la situazione sarà meno emergenziale.

Tutto questo impone però una riflessione. Da un lato, l’atteggiamento che ho assunto è quello di fare programmi man mano che la situazione evolve. Dall’altro guardo oltre,  spingendomi verso una progettualità a lungo termine che si adatta in qualche maniera senza svendere quella che è la nostra arte. Credo che tutto quello che sta accadendo sia anche un’occasione di riflessione, di sviluppo di altre progettualità che non sostituiscono l’arte dal vivo, ma che in qualche maniera la compendiano e la traducono in un’altra dimensione.

Proprio perché è necessario mantenere e tutelare l’arte dal vivo, la danza e la pedagogia della danza sono diventate entrambe più orizzontali e multidisciplinari?

Scinderei i due concetti. Esiste la questione della trasversalità e della circolarità tra le aree della formazione, della ricerca e della creazione artistica. Il centro del progetto DA.RE.  è basato fondamentalmente su questo. Credo fermamente che il concetto di studio, in generale, abbracci tutte le aree della danza, delle arti performative e delle arti in genere, per cui la sovrapposizione fra i campi della formazione, della ricerca e della creazione artistica, è necessaria e rappresenta un nutrimento a tutto tondo per tutti i protagonisti di questo tipo di pensiero, di atteggiamento.

DA.RE., infatti, si fonda sul concetto che studiano gli allievi, ma studiano anche i docenti, gli artisti. Tutti imparano da tutti, si mettono in circolo le varie fasi del lavoro. Anche la formazione va in questo senso. Penso che questo sia il momento opportuno per dedicarsi alla dimensione dello studio, della ricerca dell’intimità che questi campi richiedono, ancor più dell’esposizione finale.

Non necessariamente tutto deve avvenire solo dal vivo. Ci sono cose che possono essere sviluppate in diverse forme. Non penso solo al lavoro on-line, penso anche ad altri tipi di confronto come la scrittura, la lettura, il confronto attraverso il verbo, la parola, può essere un’altra forma di nutrimento. Questo non può sostituire l’arte dal vivo. Può essere un altro filone, un altro campo di ricerca e di sviluppo. 

Tra l’altro, viviamo un momento in cui, in particolare nella danza, esiste pochissima letteratura scritta. Ci si sta rendendo conto che è utile invece che le esperienze vengano tramandate attraverso la parola, lo scritto e altre forme che non sono solo quella dello spettacolo, del video. Forse potrebbe essere il momento per sviluppare in maniera più corposa questi aspetti. 

Può descriverci e raccontarci qualcosa a proposito del suo nuovo spettacolo La conoscenza della non conoscenza?

La conoscenza della non conoscenza non è uno spettacolo canonico. È una lectio performance, una sorta di conferenza spettacolo che abbraccia e si situa in quella intersezione di cui parlavo.  È un’esperienza nata in seno alla presentazione del mio libro Chiedi al tuo corpo, in cui si parla del mio lavoro. In particolare, la parte scritta da me, descrive la metodologia di lavoro che ho sviluppato mediante l’esperienza pedagogica ventennale e che nasce dalla mia esperienza di autrice, di coreografa e danzatrice.

Lo spettacolo in qualche maniera si manifesta anche attraverso il verbo perché è agito, ma è anche parlato. Attraverso la parola mette a fuoco i fondamenti del linguaggio della danza:  l’organizzazione dello spazio e del tempo attraverso il movimento. Agisce questi principi che vengono proposti e descritti al pubblico. Per cui è un continuo palleggio tra la parola che fa emergere i principi fondamentali del linguaggio della danza e l’azione che li mette in atto. È un percorso, quindi, che va dagli elementi fondativi per eccellenza ovvero il ritmo legato al visivo e al tempo, fino a elaborare il discorso sulla danza.

In che modo possono essere sviluppate nuove forme di prossimità, di contatto tra artisti e pubblico? 

Credo che stiamo vivendo un momento di evoluzione delle arti dal vivo, al di là della pandemia. Si sta di diffondendo realmente la necessità sia per il pubblico sia per gli artisti di avere un rapporto più prossimo ai processi di lavoro. Lo spettacolo ,nel senso canonico del termine, ovvero confezionato, prodotto in tutti i suoi aspetti e offerto come oggetto finito non scomparirà, esisterà. 

Sono molto interessata a quest’area in cui si mette in scena o si permette al pubblico di accedere ai lavori in fieri, a come si arriva al lavoro compiuto nella danza contemporanea. Questo permette alla gente di avvicinarsi a quei linguaggi, alle questioni che animano gli artisti, ai principi che fondano quei linguaggi autoriali. In qualche maniera soddisfano quell’elemento voyeuristico che esiste nell’essere spettatore e testimone.

Lo soddisfano e lo alimentano ulteriormente, ciò fa sì che gli artisti siano anche più comunicativi nel proprio lavoro e nei confronti dei diversi tipi di pubblico. In questo senso la prossimità va oltre il problema contingente della pandemia perché mancando la componente fisica da tenere a bada e c’è un altro tipo di prossimità che la può sostituire, può sopperire a questa mancanza. 

Al di là del mio interesse personale, c’è un orientamento che già da un po’ di anni sovrappone la pedagogia con la creazione artistica, il processo di lavoro offerto al pubblico al momento performativo compiuto. Credo che si troveranno altre forme di partecipazione, di condivisione per la relazione pubblico-evento. Questa situazione ci obbliga a navigare a vista, come suol dirsi e io mi scopro anche a guardare oltre. Nella tragedia e nella drammaticità di questa situazione mondiale, la pandemia può avere comunque degli aspetti positivi e stimolanti che devono essere colti. 

Si riuscirà a farlo se non si cavalcherà il panico che serpeggia e che viene alimentato attraverso il modo in cui stanno veicolando tutto questo. Io sono molto polemica rispetto alla stampa, per esempio perchè ogni tanto capto delle frasi, modalità di veicolare delle informazioni legate al Covid che, a mio avviso, sono da terrorismo puro. La situazione è drammatica, non va sottovalutata, le economie stanno saltando. 

È un momento di eccezionalità, come una guerra senza armi, però presuppone la capacità di guardare oltre e di vivere il momento nella sua poliedricità, in tutto quello che porta con sé. Sicuramente c’è un’utopia della speranza, ma si sta mettendo sotto la lente di ingrandimento la direzione in cui sta andando l’umanità nell’ordine dei problemi che stanno sconvolgendo l’equilibrio dell’universo, della terra. 

#THEATRONCONSIGLIA: Fuori Tempo Utile – Seminari residenziali con Adriana Borriello e Marco Sgrosso

#THEATRONCONSIGLIA: Fuori Tempo Utile – Seminari residenziali con Adriana Borriello e Marco Sgrosso

FUORI TEMPO UTILE dal 17 al 23 Luglio 2017, una settimana di seminari intensivi, eventi e incontri sulle arti performative nell’estremo meridione del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Alla ricerca di un agire artistico semplice e necessario, fondato sulla relazione, per il tempo di un respiro profondo, sulla sospensione dei ritmi folli dell’economia, sulla necessità di soffermarsi un istante in ascolto. In collina, immerso nel verde del Parco Nazionale e a pochi minuti dal mare incontaminato del Golfo di Policastro, Tortorella è il luogo ideale dove potersi dedicare con calma allo studio e all’approfondimento.

Un tempo sospeso, altro, lontano dalla inciviltà dei grandi numeri, del teatro svenduto come superfluo prodotto da supermercato, degli slogan più o meno efficaci, dall’incessante rumore di fondo delle strambe rendicontazioni e dell’esserci a tutti i costi. In somma: un tempo in-utile, liberato, silenzioso, immerso nella natura e nello studio.

ADRIANA BORRIELLO : La Processione – studi sul tempo > Info Seminario

MARCO SGROSSO : Voci lontane sempre presenti > Info Seminario

Abbiamo incontrato Carlo Roselli e Serena Bergamasco, direttori artistici di “Fuori Tempo Utile”:

-Ciao Carlo e Serena, parlateci in breve della vostra esigenza di dar vita a Fuori Tempo Utile e perché la scelta di questo nome?

Ciao a voi!Ogni nostro progetto nasce da una esigenza, una necessità a volte prorompente di realizzare delle piccole utopie temporanee, condivisibili quanto più possibile. Infatti, già nella prima edizione (che ha dato vita a una prima residenza di studio) i partner coinvolti da tutta la penisola sono stati numerosi, fra i tantissimi ricordiamo teatrAzione che è sempre vicina alle nostre proposte. Quest’anno condividiamo il progetto con ArteDanza, compagnia e validissima scuola di danza che lavora egregiamente da venti anni, diretta Tiziana Petrone e godiamo del sostegno di partner da sempre presenti nella vita di teatrisospesi come DuoDanza, Teatro Ygramul e del Festival di Commedia dell’Arte “Come d’Arte”. 

Il nome “Fuori Tempo Utile” nasce quasi per scherzo ma in effetti cercavamo un termine che indicasse la necessità (non solo nostra) di prendersi del tempo distante da una concezione “utilitaristica”, praticamente  imperante, della vita quotidiana e non solo nell’arte. Così con Fuori Tempo Utile rivendichiamo l’inutilità di quello che facciamo e della nostra vita che, appunto, non produce utili ma è tutta tesa a liberare il tempo dall’idea che niente possa esistere al di fuori del Consumo.

-In che maniera si articolerà l’intero progetto e quali saranno le tappe fondamentali di questo viaggio e in che maniera il territorio e gli abitanti entreranno in rapporto con Fuori Tempo Utile?

Si arriva il 17 Luglio e si continua fino al 23 con circa sei ore di lavoro quotidiano tra la Casa del Marchese (dimora storica recentemente restaurata) e la Sala Consiliare del Comune, posta sul belvedere ma con anche la possibilità di lavorare all’aperto. Non mancano bei posti. L’idea è quella di creare una possibilità di dialogo tra le diverse aree artistiche coinvolte e con il territorio che ospita il progetto. Ci si potrà incontrare in diverse occasioni durante la giornata: si inizia con il tai chi mattutino guidato da Adriana e aperto a tutti, non solo ai partecipanti ai seminari. Ci saranno diverse occasioni di convivialità tra tavolate in piazza, tuffi in piscina o al mare non molto lontano, passeggiate tra boschi e sentieri del Parco Nazionale del Cilento, l’Oasi del Capello… al termine di tutto questo Tempo Inutile, se sarà possibile, si farà una prova aperta al pubblico.

Vorremmo indagare il rapporto che lega il Cilento a questo progetto artistico e perché proprio Tortorella?

Siamo legati affettivamente al Cilento. Parte delle nostre famiglie sono originarie di questi luoghi. Tortorella è il paese di origine di una parte della famiglia di Serena. Qui si respira un tempo realmente diverso, più lento, sospeso se vuoi. Impagabile non dover quasi prendere appuntamento con gli amici dell’amministrazione comunale perché è più facile incontrarli per un caffè al bar del belvedere. In un primo momento, abituati ad altri ritmi e modi, la cosa ci ha sorpreso un po’ ma, in effetti, Fuori Tempo Utile non poteva nascere in un posto diverso. Siamo davvero immersi in un tempo e un luogo privilegiato.

– La danza di Adriana Borriello e il teatro di Marco Sgrosso. Come si svilupperanno le due proposte altamente formative?

Come detto in precedenza,  la giornata comincerà per tutti con gli incontri di Tai Chi di Adriana. D’altronde il suo lavoro ne è senza altro meravigliosamente impregnato. Di seguito inizieranno i laboratori veri e propri.

Il lavoro proposto da Marco “Voci lontane sempre presenti”, sarà incentrato sulla riscoperta della memoria come mezzo per lacostruzione di “Miti” personali (e non) che potranno mutarsi in “racconti” o “personaggi”. Dalla presentazione: “Questo richiamo a un passato dal quale sentiamo di provenire genererà un immaginario collettivo comune, sul quale innestare il linguaggio dell’invenzione e della creazione, permettendoci, forse, di trovare risposte inaspettate ad alcune domande del presente”. Il lavoro e il training proposto è assolutamente “fisico”, coinvolge e nasce dal corpo – è bene specificarlo.  Tra parentesi il suo seminario si svolgerà poco dopo il laboratorio che Elena Bucci terrà a Salerno nell’ambito del Napoli teatro festival. Forse la memoria ci inganna, ma ci sembra sia la prima volta che  Marco ed Elena si trovino in Campania nello stesso periodo per dei percorsi laboratoriali. Certamente un’ occasione unica per incontrare il lavoro di questa straordinaria compagnia che è “Le Belle Bandiere”.

“La processione – studi sul tempo” è un progetto coreografico che Adriana porta avanti dal ‘97 e che avuto diverse fasi di elaborazione.  Oggi è una indagine sulla natura del tempo. Si tratta di un’esperienza sinestetica dove il movimento è musica che si incorpora e si offre alla visione. “La danza diventa tempo organizzato che si materializza nello spazio del corpo e da esso promana, tocca gli altri corpi, li trasforma, crea distanze, produce risonanze, si dilata e si contrae…” Sarebbe bello avere la possibilità di incrociare i due percorsi, chissà…

-Come immaginate il futuro di questo vostro dialogare con un territorio ricco di arte e di storia, ma povero di iniziative culturali?

Se ti riferisci alla Campania, pensiamo che questo sia un buon momento di fermento culturale e artistico. Le realtà attive sono davvero tante e non sono pochi a fare un buon lavoro. Molto si muove attraverso canali sotterranei, indipendenti e trasversali a diverse discipline e urgenze artistiche, culturali, sociopolitiche, con tratti di forte autonomia che porta, a volte, a  un certo isolamento o alla difficoltà pratica a trovare collaborazioni e dialoghi duraturi, ma pensiamo che tanti, come noi, sentano forte l’esigenza di “mettersi in rete” e rompere questo isolamento. Se parli del Cilento il discorso è diverso. Qui le contraddizioni che viviamo nelle nostre città, nella super affollata provincia di Napoli ad esempio, non hanno spazio e supporre di replicarvi gli stessi schemi di produzione culturale è fallimentare in partenza. C’è poco, è vero, ma proprio per questo le tracce di un passato storico importante sono assolutamente visibili, nelle persone, nei piccoli paesi che costellano questa terra e si accompagnano, vive, con una natura spesso incontaminata la cui bellezza aspra richiede un atteggiamento rispettoso e umile. Ecco perché pensiamo al Cilento come luogo di residenza, come terreno fertile per un fare artistico fondato sulla relazione tra persone e ambiente. Il nostro dialogo con questi luoghi seguirà su queste tracce.

-teatrisospesi è attivo sul territorio campano, e non, dal 2013. Quali le progettualità future?

Hai una domanda di riserva? No, scherziamo! In realtà ci piacerebbe riprendere il discorso interrotto, per questa stagione, iniziato quattro anni fa, ovvero lineeperiferiche: una esperienza nata per ospitare gruppi e compagnie di danza contemporanea, teatro e musica qui a Salerno, provenienti da un po’ tutta Italia e dal Sud America, con i quali è stato importante incrociarsi confrontandosi sui reciproci percorsi. Finora portato avanti in modo indipendente e col sostegno delle numerose compagnie coinvolte. Continuiamo con la produzione di spettacoli, tre nuovi progetti di teatrodanza e commedia dell’arte (come l’ultimo dedicato a I. Calvino), l’elaborazione in forma audio di un progetto dedicato a Poe nato l’anno scorso in collaborazione con l’Università di Salerno, una videoinstallazione sulla Tempesta di W. Shakespeare, ancora laboratori e progetti formativi poi tantissima musica… sempre con i nostri tempi, però!

Maggiori info:  TEATRI SOSPESI