Stanze aperte agli spettatori. Viaggio nel teatro di figura con la compagnia MaMiMò
“La necessità aguzza l’ingegno”, ricorda l’antico proverbio latino. Una constatazione che si affaccia spontanea, quando si osserva come lo spettacolo dal vivo stia reagendo alle attuali circostanze, con idee e formati innovativi per sopperire al vuoto lasciato dalla chiusura dei teatri e dalla sospensione di qualsivoglia performance dal vivo.
Come sempre, ultimamente, è il digitale a consentire nuove opportunità d’incontro, come quella raccolta da Fertili Terreni Teatro – progetto torinese di Acti Teatri indipendenti, Cubo Teatro, Tedacà e Il Mulino di Amleto – che ha organizzato Apriamo le Stanze, connessioni teatrali, il ciclo di appuntamenti (ogni giovedì alle 19:00, a partire dal 26 novembre, su Zoom) in cui gli artisti apriranno virtualmente le stanze della loro mente e dei laboratori fisici agli spettatori.
Il primo della serie, dal titolo L’uso della fiaba nella ricerca dell’identità attraverso il teatro di figura, ha introdotto il pubblico negli spazi creativi del teatro di figura con la compagnia MaMiMò e il loro spettacolo d’ombre La meccanica del cuore (La mécanique du cœur, 2007), tratto dal romanzo francese di Mathias Malzeiu.
È Marco Maccieri – direttore artistico del centro teatrale insieme ad Angela Ruozzi (che si è occupata di condurre e moderare l’evento) – a parlare di come è nata questa idea, ma gli spettatori ne vengono a conoscenza solo dopo aver assistito al trailer: una visione contemporanea e condivisa che ha permesso di venire a contatto con la performance un po’ a scatola chiusa, senza sapere ancora nulla al riguardo.
Maccieri racconta dunque a grandi linee della suggestione che ha colto durante un viaggio in treno, accompagnato dalla lettura di questo breve romanzo. Una favola, sostanzialmente, una storia molto semplice nella trama, pop e popolare (a cui il loro teatro aspira per poter essere accessibile a tutti), che proprio per queste caratteristiche ha colpito nel segno, costituendo un punto di partenza per riflessioni profonde attorno al tema dell’identità.
Alla scoperta della storia e dei laboratori creativi
È il 1874 e, nella notte più fredda del mondo, in una casetta sulla più alta collina di Edimburgo, il piccolo protagonista Jack nasce con un cuore completamente ghiacciato; sarà la levatrice un po’ strega Madeleine ad applicare a quel cuore difettoso un congegno, per salvarlo: un orologio a cucù, la cui meccanica perfetta potrebbe però essere danneggiata rovinosamente dalle emozioni, in particolare da quelle scatenate dall’amore.
Ma è impossibile per Jack, come per qualsiasi altro essere umano, tenersi al riparo da un sentimento a tal punto potente, cosicché, all’età di dieci anni, il suo cuore inizia ticchettare fin troppo forte per la cantante andalusa Acacia, contesa col suo rivale Joe; una passione che lo condurrà in giro per l’Europa in compagnia di Georges Méliès, un consigliere personale d’eccezione. La sua figura di regista e in particolare di illusionista, modello archetipo della storia del cinema, in aggiunta alle atmosfere dark e burtoniane presenti nell’opera, si riconnette perfettamente al genere peculiare dello spettacolo.
«Le ombre sono infatti illusioni e allusioni» – spiega Fabrizio Montecchi, direttore artistico insieme a Nicoletta Garioni del Teatro Gioco Vita di Piacenza, il centro di produzione specializzato in teatro d’ombre che si inserisce come aiuto fondamentale nel tradurre visivamente l’idea, ancora solo astratta, dei MaMiMò. La collaborazione diviene qui un incastro esatto, laddove Fabrizio, pur possedendo gli strumenti, dopo aver letto il medesimo romanzo, non aveva sentito quel clic necessario che lo spronasse a farne uno spettacolo.
Viene esplorata, dunque, con la guida degli artisti, la dimensione pratica del lavoro, svolto a partire dallo studio sul corpo, sul ritmo e sulle posizioni, e in obbedienza ai tempi limitati dell’ombra, aspetti difficilmente comprensibili al pubblico, che si è quasi sempre limitato a osservarli dalla platea. Qui, invece, è stata data la possibilità di addentrarsi fin dentro il laboratorio dell’Officina delle Ombre, accompagnati da Nicoletta Garioni.
È stata lei a occuparsi infatti della costruzione delle sagome, per rendere apparentemente immateriali oggetti fatti di cartone e policarbonato, traducendoli in personaggi e stati emotivi, attraverso la ricerca di una certa grafia nello stile: «come tradurre, dunque, le pulsazioni di un cuore meccanico?» – è una tra le tante domande che ha dovuto porsi durante il processo di creazione.
Per rendere tutto più comprensibile, Nicoletta mostra allora i suoi disegni, illustrando il suo immaginario sorto attorno ai personaggi: i grandi occhi di Acacia tutta dipinta di nero, il cuore incastonato dentro il marchingegno, un grande intrico di vene e arterie come rami o radici di una foresta, e il personaggio di Madeleine, immaginato come quello di una matrona e dunque, infine, di una montagna.
Dentro il teatro e l’atto performativo
Dopo essere entrati in connessione con questa fase creativa, è il momento di approfondire l’atto performativo, con l’attore dei MaMiMò, Fabio Banfo, che recita il monologo finale affidato a Méliès. La sala del Teatro del Piccolo Orologio di Reggio Emilia, che la compagnia ha in gestione da anni, vista da una prospettiva inconsueta, con l’attore di spalle alla platea e gli spettatori a guardarla frontalmente, potrebbe fare uno strano effetto, con le sedie rosse e vuote sullo sfondo.
Il breve monologo dà lo spunto a Banfo per raccontare meglio la figura del celebre regista, che si colloca a metà strada tra teatro d’ombra e cinema; cruciale, diventa inoltre la relazione tra l’arte e la vita e la ferita che si evince nel testo, dove i consigli di Méliès a Jack diventano alla fine consigli dati a sé stesso, toccando un senso di paura che accomuna in egual modo esseri umani e quasi-umani.
In teatro, è presente anche Cecilia Di Donato, attrice della compagnia, che rivela invece ciò che avviene al di qua del telo, tanto differente nelle dinamiche rispetto a ciò che si vede al di là. «A volte lo spettatore ha la sensazione che la mia ombra si trovi appena dietro, e invece io sono lontanissima!» – esclama. È lei, inoltre, a mostrare le sagome pensate da Nicoletta, i movimenti affidati alle sue mani, svelando qualche trucco del mestiere e raccontando quanto il lavoro sia stato un momento – a tratti anche faticoso fisicamente – di formazione, attraverso il quale ha imparato a “respirare con l’ombra”.
Uno studio che, ricordano, è stato approfondito materialmente dai residenti in Emilia-Romagna durante il corso di formazione in tecniche e i linguaggi del teatro di figura: Animateria del Teatro Gioco Vita che, per la sua seconda edizione 2020, si è svolto in modalità mista: a gennaio, in presenza, per concludersi in primavera, inevitabilmente, a distanza.
A tal proposito, l’ultima cosa che gli artisti regalano al pubblico sul finire di questo incontro virtuale è un momento inedito, una chicca tirata fuori durante il periodo del lockdown; li si ri-invita, infatti, a guardare un breve sketch, dove il testo, rimaneggiato in senso ironico, restituisce i personaggi di Jack e Acacia ai tempi del Covid, ossessionati dall’ansia del contatto e da questo nuovo, bizzarro modo di approcciarsi all’altro. Anche un modo per stemperare con la leggerezza il difficile momento che il teatro sta attraversando.
Aprire le stanze per dialogare, superare il pregiudizio ed esplorare nuovi mondi
Trascorsi i sessanta minuti prefissati, gli artisti, che hanno ospitato la piccola folla invisibile per un tempo ben speso, si congedano, ma non prima di chiedere se qualcuno ha le classiche, eventuali, domande. Era infatti anche, soprattutto, questo il senso dell’incontro.
I dialoghi, ormai sempre meno rari col pubblico, offrono infatti la grande opportunità di conoscere aspetti dello spettacolo dal vivo mai indagati prima, ancor meno, probabilmente, se si tratta di teatro di figura e d’ombra, genere che – ci ricorda Fabrizio Montecchi – è ancora ammantato da un nebuloso pregiudizio: così popolare nel Settecento e Ottocento, poi decaduto, e oggi collocato in quella che può essere definita la “preistoria del cinema”.
Incontri come questo dovrebbero servire allora a scavalcare il preconcetto, che si accompagna spesso all’idea che questi siano soltanto spettacoli per bambini. Niente di più sbagliato. E pare quasi incredibile, quando si è costretti a chiudere per troppo tempo la porta di casa dietro di sé e passarci dentro tutto questo tempo, di poterne invece aprire altre, impensate, che danno su mondi fantastici, finora rimasti nascosti.
Prossimi appuntamenti in programma:
CANDY-Do – Compagnia Contrasto | Giovedì 3 dicembre ore 19:00 |
FAHRENHEIT – Compagnia Il Mulino di Amleto | Giovedì 10 dicembre ore 19:00 |
INSIDE PERSPECTIVE/DIREZIONE PUBBLICO – Sciara Progetti | Giovedì 17 dicembre ore 19:00 |
Siciliana che non riesce davvero a mettere radici altrove. Si laurea a Roma e Messina in Comunicazione, poi in Scienze dello spettacolo, e fa un master in Imprenditoria dello spettacolo a Bologna. Le piace scrivere in prosa e poesia (ha pubblicato la raccolta “Preludio” con Ensemble Edizioni) e di teatro. Si sta addentrando nell’insegnamento delle discipline audiovisive, ma sotto sotto vorrebbe imparare a recitare.