da Redazione Theatron 2.0 | 29 Gen 2018 | AccaddeOggi
È il 29 Gennaio 1996, quando durante la notte esplode un incendio che distrugge il Teatro La Fenice simbolo della città di Venezia, un tempio della lirica dove Giuseppe Verdi rappresentò per la prima volta Rigoletto e La Traviata. Quella terribile notte soffiava un vento molto forte che contribuì ad alimentare il rogo dell’edificio. Ad aggravare la situazione la concomitante chiusura dei canali che costeggiano gli ingressi della struttura che, all’epoca, erano in secca per i lavori di pulitura. Questo impedì ai Vigili del Fuoco di raggiungere il teatro e li costrinse a ormeggiare le lance più lontane. Quello che apparve subito chiaro fu che per lo storico teatro c’era ben poco da fare e la priorità divenne evitare che le fiamme si propagassero agli edifici circostanti con conseguenze inimmaginabili per il resto della città.
Dopo l’incendio si decise di ricostruire il Gran Teatro il più fedelmente possibile al progetto originale. Nel settembre del 1996 venne pubblicato il bando per la ricostruzione, vinto dalla A.T.I. Holzmann con un progetto del noto architetto Aldo Rossi. I lavori furono molto lenti, e nel 2001 il Commissario per la ricostruzione decise di rescindere il contratto con la A.T.I. Holzmann, che aveva continuato a prorogare la data di conclusione dei lavori. Nel 2001 fu indetto un nuovo bando, vinto da un consorzio di quattro imprese, che finirono i lavori nel maggio del 2004 (ma già nel dicembre del 2003 il teatro aveva riaperto eccezionalmente per una settimana). Oggi il Gran Teatro è tornato a funzionare in maniera efficiente.
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La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Redazione Theatron 2.0 | 22 Nov 2017 | AccaddeOggi
Il 22 novembre 1928 all’Opéra di Parigi andò in scena per la prima volta il Boléro, diretto da Walter Straram con le coreografie di Bronislava Nijinska. Uno spettacolo di balletto eseguito sulla musica di Maurice Ravel,che raggiunse il più clamoroso successo con quest’opera, composta su richiesta della celebre ballerina russa Ida Rubinštejn.
Il Boléro è una musica per balletto, divenuta celebre anche come componimento sinfonico.
È sicuramente una danza spagnola nata alla fine del XVIII secolo, più celebre mai composto, nonché l’opera più popolare del compositore.
Ravel non ne voleva più sapere di balletti dopo che Sergej Diaghilev imperava a Parigi in quegli anni come direttore artistico nonché fondatore dei famosi Ballets Russes.
Ma cedette alle insistenze della Rubinštejn e decise di orchestrare un pezzo del compositore spagnolo Isaac Albéniz, il componimento per pianoforte Iberia, per un balletto.
Arrivò presto però la notizia che gli eredi del grande compositore spagnolo non avevano acconsentito a nessuna trascrizione di pezzi del maestro anche perché la partitura della Iberia era già stata orchestrata dal maestro Enrique Fernàndez Arbòs.
Fu a questo punto che Ravel, non scoraggiandosi, prese l’iniziativa di comporre ex novo un pezzo a tempo di bolero, scegliendo dunque un brano dal carattere tipicamente spagnolo. Il Boléro, pur molto innovativo e provocatorio, ottenne un clamoroso successo.
Il balletto originale è una sorta di ballo rituale durante il quale una donna danza seducente su un tavolo, mentre un gruppo di uomini si avvicinano a lei sempre più con il crescere della musica.
Esistono altre letture del balletto, come quella di Maurice Béjart che assegnò la parte principale ad un danzatore, o quella di Aurel Milloss, ambientata in una taverna.
La prima esecuzione come brano concertistico avvenne invece l’11 gennaio 1930 e fu eseguita sotto la direzione dello stesso Ravel.
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da Redazione Theatron 2.0 | 19 Nov 2017 | AccaddeOggi
Anna Marchesini nasce a Orvieto il giorno 18 novembre 1953. Si diploma all’Accademia di arte drammatica di Roma ed esordisce in teatro ne “Il borghese gentiluomo” di Molière, per la regia di Tino Buazzelli. Inizia poi un’intensa attività nel campo del doppiaggio, lavoro che nel corso della carriera avrà modo di ripetere in varie occasioni. Anna Marchesini ha così l’opportunità doppiare Judy Garland ne “Il mago di Oz” (1980, seconda edizione restaurata) e numerosi personaggi di cartoni animati trasmessi durante i primi anni ’80. E’ in questo campo, precisamente durante il doppiaggio della serie animata “Supercar Gattiger”, che nel 1981 conosce Massimo Lopez. I due poi si uniranno a Tullio Solenghi per dare vita a quello che verrà chiamato semplicemente “Trio”, e che raccoglierà tanti successi in campo artistico.
Nel 1982 il Trio Marchesini-Lopez-Solenghi fa il suo esordio in radio (RadioDue) con il programma “Helzapoppin” (nome che deriva dal celebre musical “Hellzapoppin'” del 1938 e dall’omonimo film di Henry C. Potter del 1941). Il successo radiofonico proietta i tre in tv: l’esordio televisivo arriva nel 1984 nello show “Tastomatto”, dove affiancano Lorella Cuccarini alla conduzione. Ed è proprio in questo contesto che nascono molti dei famosi sketch che renderanno famoso il Trio, come ad esempio le interpretazioni-parodia di telegiornali e pubblicità.
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Con il Trio partecipa a “Domenica in” nel 1985 e a “Fantastico 7” nel 1986. Il successo crescente li porta anche alle edizioni del Festival di Sanremo 1986, 1987 e 1989.
Il Trio si presenta anche nei teatri con gli spettacoli “Allacciate le cinture di sicurezza” (1987) e “In principio era il trio” (1991).
L’apice del successo del Trio si registra nel 1990 con la rilettura parodistica del dramma manzoniano “I promessi sposi”, trasmesso su RaiUno in cinque puntate.
Lopez, Solenghi e Anna Marchesini sciolgono il sodalizio nel 1994, senza però dichiarare una fine ufficiale. Insieme al solo Solenghi è protagonista dello show “La rossa del Roxy bar”. Poi, mentre Solenghi e Lopez intraprendono entrambi una carriera solista, Anna Marchesini si dedica alla vita privata e alla maternità (la figlia Virginia nasce nel 1993).
Per la tv prende parte ai film “Ci vediamo in tribunale” (1996) e “Primo cittadino” (1997). Nel 1998 conduce “Domenica In” in coppia con Giancarlo Magalli. Nel 1999 torna con proprie caricature e parodie che allietano la trasmissione “Quelli che il calcio”. Il rinnovato successo la porta nuovamente a Sanremo al fianco di Fabio Fazio, interpretando personaggi come Rita Levi Montalcini a Gina Lollobrigida.
Il suo primo spettacolo teatrale da solista è “Parlano da sole” del 1999; nel 2000 Anna Marchesini pubblica il libro “Che siccome che sono cecata” (slogan della signorina Carlo, uno dei suoi personaggi più conosciuti), corredato da un video di 85 minuti per la collana “I mostri della comicità”.
Nel 2001 torna in teatro con “Una patatina nello zucchero”; l’anno seguente è ancora a Sanremo, questa volta al fianco di Pippo Baudo, dove interpreta la sessuologa Merope Generosa, insegnante di educazione sessuale che durante le sue lezioni si lascia trascinare nel racconto delle sue esperienze disastrose con gli uomini; gli interventi zeppi di doppi creano un effetto comico dirompente.
Nel 2003 porta in teatro “La cerimonia del massaggio”, tratto da un racconto di Alan Bennett, e nel 2005 “Le due zittelle”, rielaborazione comica tratta dal romanzo di Tommaso Landolfi.
Tra le sue apparizioni straordinarie ricordiamo quella del 1998 nella soap opera “Beautiful” e quella del 2005, quando insieme a Solenghi conduce alcune puntate di “Striscia la notizia”.
Dopo una lunga assenza causata da un’artrite reumatoide, Anna Marchesini torna in televisione nel 2008 insieme a Tullio Solenghi e Massimo Lopez. Il Trio si riunisce per celebrare i 25 anni di attività: lo spettacolo – in tre puntate (RaiUno) si intitola “Non esiste più la mezza stagione”, frase tratta da uno dei più noti sketch teatrali del Trio. Torna anche in teatro come interprete e regista di “Giorni felici”, dramma in due atti di Samuel Beckett.
All’inizio del 2011 esce il suo primo romanzo dal titolo “Il Terrazzino dei gerani timidi”; dopo 60.000 copie vendute scrive un altro libro, che esce nel 2012 con il titolo “Di mercoledì”. Segue per Rizzoli, nel 2013, “Moscerine”.
Muore a Orvieto il 30 luglio 2016 all’età di 62 anni.
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da Redazione Theatron 2.0 | 12 Set 2017 | AccaddeOggi
Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (Trieste, 19 dicembre 1861 – Motta di Livenza, 13 settembre 1928), è stato uno scrittore e drammaturgo italiano, autore di tre romanzi, numerosi racconti brevi e opere teatrali.
Italo Svevo (questo il nome d’arte che si scelse, volto ad indicare la propria doppia componente culturale) compì gli studi a Trieste ed in Germania e ben presto scoprì la sua passione per la letteratura, una passione che lo spinse a pubblicare i primi romanzi, dai quali ottenne scarso successo.
Queste delusioni e le sue frustrazioni lavorative (fu malvolentieri impiegato di banca), lo trattennero dal pubblicare altre opere finché non incontrò l’ insegnante d’inglese James Joyce. L’attenzione di quest’ultimo e quella di Eugenio Montale nei confronti del suo romanzo “La coscienza di Zeno”, fecero sì che, dopo oltre 25 anni dalla sua prima pubblicazione, il successo internazionale arridesse allo scrittore dell’inettitudine e dei fallimenti, i temi privilegiati della letteratura di Svevo.
La componente psicoanalitica delle sue opere si contrapponeva visibilmente tanto al verismo quanto all’estetismo dannunziano ed “il caso Svevo” divenne uno degli argomenti privilegiati dalla critica italiana.
Italo Svevo morì in seguito ad un incidente automobilistico nel 1928.
“Davvero che mi verrebbe voglia di chiudere la mia vita tanto variopinta con una commedia”. Italo Svevo scriveva così a Eugenio Montale in occasione della messa in scena del suo atto unico Terzetto spezzato, al Teatro degli indipendenti di Roma diretto da Anton Giulio Bragaglia.
Pochi sanno che l’autore di Una vita, Senilità e La coscienza di Zeno è stato sempre affezionato spettatore, cronista teatrale e “tenace cultore di esperimenti drammatici”. E che il teatro rappresentava per lui la forma delle forme, la sola dove la vita possa trasmettersi per vie dirette e precise. Non stupisce, allora, come egli abbia ideato varie opere teatrali, sia pure non scritte per essere rappresentate, tanto che Mario Lavagetto le ha definite “Drammi senza teatro”.
L'immaginazione è una vera avventura. Guàrdati dall'annotarla troppo presto perché la rendi quadrata e poco adattabile al tuo quadro. Deve restare fluida come la vita stessa che è e diviene. (da Saggi e pagine sparse, 5 giugno 1927)
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da Redazione Theatron 2.0 | 4 Set 2017 | AccaddeOggi
Dopo il debutto felice di Oberto, Conte di San Bonifacio, Verdi si ritrovò a dover comporre un’ opera buffa per la stagione scaligera autunnale del 1840. In tempi stretti, dovette comporre la musica per l’opera, e lo stesso librettista Romani non si scomodò a fare un nuovo libretto, ma rispolverò uno dei suoi vecchi libretti e lo adattò alla musica. Per Verdi fu un infelice periodo per comporre l’opera, dovuto alla morte della prima moglie, Margherita Barezzi e dei due figli. Inoltre il libretto, scritto da Romani nel 1818, molto prima di intraprendere la gloriosa collaborazione con Vincenzo Bellini, rappresentava un gusto teatrale ormai del tutto superato.
L’ opera fu un fiasco totale, tanto che fu ritirata la sera stessa del debutto. Ripresentata al Teatro San Benedetto di Venezia l’11 ottobre del 1845, col titolo Il finto Stanislao, riuscì ad ottenere un lusinghiero successo (infatti il vero motivo per cui cadde alla Scala fu il libretto poco attuale più che il lutto famigliare, perché la musica, ispirata a Rossini e a Bellini, non presenta alcuna mancanza, considerato che Verdi era comunque al suo secondo esordio).
Oggi quest’opera viene rappresentata raramente, pur non mancando di arie pregevoli come quella del Cavalier Belfiore “Compagnoni di Parigi” o quella carica di lirismo della Marchesa del Poggio “Grave a cor innamorato”. La sinfonia è segnata dall’inconfondibile energia di Verdi, come anche i concertati finali del primo e secondo atto.
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