#5CuriositàSu: Marius Petipa il primo maître de ballet di San Pietroburgo

#5CuriositàSu: Marius Petipa il primo maître de ballet di San Pietroburgo

Marius Petipa (Marsiglia, 11 marzo 1818 – Gurzuf, 1º luglio 1910) è stato un ballerino e coreografo francese. 

Maestro di danza e primo maître de ballet del balletto imperiale di San Pietroburgo. Formatosi alla scuola francese, Petipa ha sviluppato considerevolmente la tecnica del balletto classico influenzando in modo particolare l’evoluzione e lo sviluppo della scuola russa.

 

 

1 > Fils d’art

Victor Marius Alphonse Petipa figlio di Jean-Antoine Petipa, era un famoso ballerino, coreografo e insegnante che insegnò danza classica ai figli Marius e Lucien. Lucien ebbe molto successo come ballerino, creando diversi ruoli principali, tra cui il ruolo di Albrecht, nel balletto Giselle. La madre, Victorine Grasseau, era una nota attrice tragica e insegnante di teatro.

Alla nascita di Marius, il padre era Premier Danseur presso il Grand-Théatre de Marseille e nell’anno 1819 fu nominato maître de ballet del teatro. Il giovane Marius passò l’infanzia viaggiando per l’Europa con la famiglia poiché gli impegni professionali dei genitori lo costringevano a continui trasferimenti da una città all’altra. Nel 1824 la famiglia si stabilì a Bruxelles, in Belgio e a sette anni Marius iniziò lo studio della danza; frequentò contemporaneamente il conservatorio dove studiò violino.

 

2 > Chorégraphie

Marius Petipa può essere considerato il vero fondatore del balletto classico, il grande continuatore della tradizione romantica ed uno dei più grandi coreografi. La sua ricerca coreografica lo ha portato infatti a comporre ben cinquantaquattro balletti ed a riallestire diciassette lavori di coreografi che lo hanno preceduto. Il suo lavoro per ogni produzione si è rivelato sempre minuzioso, con attente ricerche e con un’ ottima collaborazione coi scenografi e coi compositori delle musiche. La caratteristica principale delle sue creazioni è stata la realizzazione del grande balletto in molti atti con virtuosistiche variazioni nel pas de deux.

Grazie alla sua ideologia coreografica, che unisce la purezza della scuola francese al virtuosismo di quella italiana, il balletto russo ha ottenuto grande fama internazionale raggiungendo il massimo del suo splendore. Oggi Petipa è comunemente associato all’eredità classica del balletto.

 

 

3 > Balletti à grand spectacle

Il celebre coreografo fu designato come il primo maître de ballet della compagnia imperiale di San Pietroburgo, noto a tutti gli amanti dell’arte. Durante questo periodo creò centinaia di balletti e dozzine di opere. Iniziò così l’epoca dei cosiddetti balletti à grand spectacle: primi tra queste nuove produzioni furono Le Roi Candaules nel 1868 e la celebre La Bayadère nel 1877.

 

4 > Divertissements

La caratteristica di ogni balletto messo in scena da Petipa è lo stile brillante, lirico ed elegante, dove la sequenza dei passi contribuisce a definire la peculiarità del personaggio. Egli crea variazioni femminili con grande attenzione, considerando le attitudini dell’interprete. Dà al passo a due una struttura stabilita (adagio, variazione maschile e femminile e coda), sviluppando un lavoro di coppia molto dettagliato e sublime.

Importanti nelle produzioni di Petipa sono i “divertissements” di carattere (danze spagnole, russe, polacche) i cui elementi caratteristici si ispirano dalle danze tradizionali, adattati sapientemente allo stile classico.

 

                                

 

5 > Le déclin

Benché ufficialmente definito maestro di balletto a vita, l’ultima sua opera, Lo specchio magico, si rivelò un disastro. Il balletto fu creato all’inizio del nuovo secolo, nel 1902, ma i suoi oppositori lo considerarono fuori moda. L’ ultra ottantenne Petipa si ritirò a vita privata, anticipando la pensione e non concludendo la stagione.

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#5CuriositàSu: Kibbutz Contemporary Dance Company (KCDC) di Yehudit Arnon

#5CuriositàSu: Kibbutz Contemporary Dance Company (KCDC) di Yehudit Arnon

 

La Kibbutz Contemporary Dance Company (KCDC) è una compagnia di danza acclamata a livello internazionale, fondata nel 1973 da Yehudit Arnon che ha gettato le basi per il fiorente International Dance Village di oggi. Continua il suo processo evolutivo confermandosi centro di prima classe per la danza sotto la guida di Rami Be’er.

 

1 > Founder

Yehudit Arnon nata in Cecoslovacchia è sopravvissuta alla seconda guerra mondiale a al campo di sterminio di Auschwitz. Dopo la sua liberazione nel 1945 si trasferì a Budapest e si unì a Hashomer Hatsa’ir. Nel 1948, insieme a suo marito Yedidia, arrivò in Israele con il primo gruppo di pionieri dall’Ungheria e fondò il Kibbutz Ga’aton nella Galilea occidentale.

 

2 > Artistic Director

Nel 1980, Rami Be’er si unì alla Compagnia di danza contemporanea della Kibbutz come danzatore, e poco dopo, come coreografo. Nel 1987 è stato nominato House Choreographer e Assistant Artistic Director della Kibbutz Contemporary Dance Company. Nel 1994 Be’er ha dato il via alla formazione della seconda compagnia della Kibbutz Contemporary Dance Company (KCDC 2).

“Dance is life, movement is life. For me Kibbutz Contemporary Dance Company is home. Here I was born. Here I chose to live. Here I chose to continue this great project.”

Rami Be’er

 

3 > Inter-Collective Dance Company

La compagnia era originariamente chiamata Inter-Collective Dance Company. A quel tempo, tutti gli artisti del gruppo erano membri del kibbutzim. A causa dei vincoli di budget e dell’impegno della compagnia verso l’indipendenza creativa, tutte le sue produzioni erano basate sulla coreografia degli artisti israeliani. Le performance erano inizialmente considerate amatoriali, sia per la loro bassa qualità di produzione che per la dipendenza della compagnia dagli artisti locali.

 

4 > Kibbutz?

Kibbutz è una forma associativa volontaria di lavoratori dello stato di Israele, basata su regole rigidamente egualitarie e sul concetto di proprietà comune.

Kibbutz è nato come ideale di eguaglianza, di lavoro a favore della comunità; questo comporta, per ogni singolo individuo appartenente al kibbutz, chiamato kibbutznik, l’obbligatorietà di lavorare per tutti gli altri, ricevendo in cambio, al posto di denaro, solo i frutti del lavoro comune, evitando così alla collettività di cadere nelle mani di quello che viene considerato il consumismo di stampo occidentale.

 

5 > KCDC’s home

La casa della compagnia si trova sulle colline della Galilea occidentale nel nord di Israele nel Kibbutz Ga’aton. L’Int’l Dance Village è il cuore e la casa della compagnia e comprende un totale di quasi 100 danzatori provenienti da tutto il mondo.

Questi danzatori costituiscono la Compagnia Principale, la Seconda Compagnia (KCDC 2) e il Programma di danza internazionale di studio all’estero noto come ‘Dance Journey.

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#5CuriositàSu: La danza

#5CuriositàSu: La danza

1 > Danzare in punta di piedi

L’uso delle scarpe da punta si diffonde tra le ballerine nel 19°secolo. Le donne sfidano le leggi dell’anatomia e come creature sovrannaturali danzano eteree in punta di piedi: un’immagine perfetta per gli ideali del Romanticismo che proprio allora influenzava le arti in Europa. Fu l’italo-svedese Maria Taglioni ad eseguire il primo balletto interamente sulle punte, con La Sylphide, nel 1832. Da allora le scarpe da punta si sono evolute parallelamente all’evoluzione dei passi di danza, secondo le scuole delle varie nazioni, portando sempre più virtuosismo nella danza classica e poi neoclassica.

2 > La danza è donna?

No, è assolutamente falso, come tutte le forme artistiche, in realtà non ha genere sessuale. All’inizio tutti i ballerini erano esclusivamente uomini! La prima ballerina professionista all’Opera di ParigiM.lle de La Fontaine, salì sul palco solamente nel 1681, nel balletto Le Triomphe de l’amour.

3 > Chi ha inventato il tutù?

La danza classica trova nel 1800 la sua massima espressione con balletti che ne fanno la storia e che, da un punto di vista accademico, ne segnano il futuro. È a questo periodo evolutivo che si deve l’origine del costume femminile per eccellenza della danza classica: il tutù.  Inventato da Eugène Lami, illustre pittore e litografo francese. Indossato, invece, per la prima volta, da Maria Taglioni il 12 marzo 1832 all’Opéra di Parigi per la rappresentazione de La Sylphide.

Il tutù, termine francese che significa “sederino”, può essere prodotto in una versione con piatto corto, professionale o semiprofessionale. Il piatto è un gonnellino corto, rigido che forma un disco vaporoso sopra le anche della ballerina. Resta piatto, rigido a giro vita, quasi parallelo alla linea del pavimento e lascia del tutto le gambe scoperte. Esso era abitualmente separato dal corpetto che veniva steccato e chiuso sul busto, e che andava a coprire la cucitura della gonna. Oggi, volendo rendere sempre più comodo il tutù, si è cucito insieme gonna e corpetto, in modo da essere indossato come un body.

Il piatto corto è generalmente composto da 6 veli di diametro 25 cm circa. Il semiprofessionale ha una ruota larga circa 35/38 cm e si compone di 8 veli.  Mentre il professionale può essere anche 40 cm largo ed avere 11 o più veli. Al tulle si aggiunge uno strato finale detto copripiatto, decorato con le più svariate decorazioni, dalla passamaneria alle paillettes, dagli strass ai fiori, etc.

4 > Come fanno le ballerine a non soffrire di mal di testa, dopo una serie interminabile di piroette?

Il segreto è nel loro cervello: le danzatrici, dopo anni di allenamento, evolvono differenze nella modalità di trasmissione dei segnali relativi all’equilibrio che permettono loro di girare su se stesse senza avere capogiri. Dopo un duro allenamento, possono compiere diverse piroette su un piede solo senza farsi girare la testa: ci riescono grazie a una tecnica chiamata spotting, che consiste nel concentrarsi su un punto davanti a sé e far sì che la testa sia l’ultima a muoversi e la prima a ritornare su di esso.

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5 > Perché il 29 Aprile è la Giornata Internazionale della danza?

Nel 1982 l’International Dance Council dell’Unesco ha istituito la Giornata Mondiale della Danza che si celebra in tutti i paesi del mondo il 29 Aprile, giorno in cui nacque Jean-Georges Noverre, danzatore, coreografo e maitre de ballet di corte francese, vissuto dal 1727 al 1810. 

Viene considerato l’inventore del balletto moderno. Era in contrasto con la danza del suo tempo, contestava l’organizzazione gerarchica del balletto, predicava una danza veritiera e alleggerita. Per lui il compositore di balletto doveva rappresentare la natura e la verità, offrire una narrazione logica fondata che si occupasse di tre importanti passaggi: l’esposizione, il punto culminante e l’epilogo, esattamente come avveniva nel teatro. I ballerini, secondo Noverre, necessitavano di una cultura generale molto approfondita come lo studio della storia, dell’anatomia, della geometria e di tutte le arti.

La Giornata Mondiale della Danza nasce, però, per ricordare a tutti che l’impulso di ballare è intrinseco nell’essere umano: fa parte della sua natura e incarna la natura stessa. L’energia che l’uomo ha dentro di se può materializzarsi anche attraverso il movimento del suo corpo e la bellezza dei gesti tecnici che sono il mezzo con cui i ballerini si esprimono.

 

#5CuriositàSu: Ettore Petrolini

#5CuriositàSu: Ettore Petrolini

“Ho imparato a sondare la stupidaggine, ad anatomizzare la puerilità, a vivisezionare il grottesco e l’imbecillità del nostro prossimo, per arricchire il museo della cretineria. Il mio ideale era ormai la creazione dell’imbecille di statura ciclopica”

Ettore Petrolini (Roma, 13 gennaio 1884 – Roma, 29 giugno 1936) è stato un attore, drammaturgo, scrittore sceneggiatore e compositore italiano, specializzato nel genere comico. È considerato uno dei massimi esponenti di quelle forme di spettacolo a lungo considerate teatro minore, termine con il quale si identificavano il teatro di varietà, la rivista e l’avanspettacolo.

La sua importanza nel panorama del teatro italiano è ormai pienamente riconosciuta. Riassumendo in sé l’attore e l’autore, Petrolini ha inventato un repertorio e una maniera, che hanno profondamente influenzato il teatro comico italiano del Novecento.

Scopriamo 5 curiosità su Ettore Petrolini: 

1 > Dopo aver fatto, a tredici anni, la dura esperienza del riformatorio, a quindici anni decise di lasciare la casa paterna per dedicarsi alla carriera teatrale. Il più antico riscontro documentario, a tutt’oggi verificabile, che attesti il momento dell’ esordio artistico di Petrolini risale all’anno 1900 e conduce nel rione di Trastevere, nel Teatro Pietro Cossa.

2 > Alcuni caratteristici numeri comici, nati come semplici macchiette, furono rielaborati da Petrolini, che diede loro spessore e consistenza di veri personaggi di commedia. È il caso di Gastone, nato da una macchietta, Il bell’Arturo, inserita nella rivista Venite a sentire del 1915 (scritta da Petrolini in collaborazione con G. Carini), che irrideva sia le star del declinante cinema muto sia i cantanti dell’epoca di Gino Franzi, e che fu ripreso più volte fino a diventare il tragicomico protagonista della commedia Gastone del 1924.

3 > Fu il primo a parlare dell’uso di droghe nel mondo dello spettacolo: la fine del testo di Gastone, satira contro l’attore viveur dell’epoca dei telefoni bianchi, recita “Rina / son per lei la cocaina / se la prende a colazione /pensando a Gastone!”. Fu l’unico a denunciare la magistratura e la polizia colluse con la dittatura, come nello sketch su Girolimoni. E tutto ciò facendo ridere e divertire il pubblico delle sue stesse sciagure, ma ricordandogli sempre – anche parlando apertamente – che era proprio il popolo, succube, timoroso, a rendersi primo complice della “tirannia”.

4 > Petrolini tenne un atteggiamento sbeffeggiante verso la dittatura fascista, che fu tollerato dal regime. In occasione della medaglia, che Mussolini gli volle conferire, ringraziò con un derisorio «E io me ne fregio!», parodia del motto originariamente dannunziano e poi fascista «Me ne frego!».

5 > Silvio D’Amico, che si recò a trovare l’attore fino ai suoi ultimi giorni. Dopo aver abusato sensitivamente di se stesso, e aver goduto in ogni modo possibile del suo successo, sul letto di malato Petrolini esclamò: “Che vergogna, morire a cinquant’anni!”.  La salma, vestita con il frac del suo notissimo Gastone, fu tumulata nel Cimitero del Verano a Roma. Il 19 luglio 1943, nel corso del primo bombardamento di Roma, un ordigno colpì la sua tomba, una cappella rettangolare, spezzando il busto di marmo e danneggiando gravemente la sua bara.

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Gastone – Ettore Petrolini

#5CuriositàSu : Scaramanzie teatrali

#5CuriositàSu : Scaramanzie teatrali

Il Dramma Scozzese

Secondo una superstizione di origine anglosassone, diffusasi in tutto il mondo, si ritiene che porti sfortuna il dramma Macbeth di William Shakespeare. Per questa ragione, gli attori evitano di pronunciarne il nome quando si trovano dentro un teatro e lo sostituiscono con l’espressione “Il Dramma Scozzese” (in inglese: “The Scottish Play”). Allo stesso modo, si crede che bisognerebbe evitare il più possibile di recitare i brani del dramma che contengono gli incantesimi pronunciati dalle tre streghe.
Nel mondo teatrale anglosassone, quando un attore pronuncia il nome del dramma in teatro, deve uscire dal teatro, ruotare su se stesso tre volte, sputare da sopra la spalla sinistra e recitare una battuta di un altro dramma shakespeariano, quindi bussare alle porte del teatro e attendere di essere invitato a rientrare.
Secondo la leggenda più diffusa, per scrivere la canzone delle tre streghe presente nel dramma Shakespeare avrebbe copiato la formula di un sortilegio da delle vere streghe, le quali avrebbero perciò maledetto il dramma per vendicarsi. Secondo un’altra versione della storia, nella prima messa in scena del dramma, sarebbero state utilizzate delle vere streghe per impersonare le tre streghe e queste avrebbero recitato sul palco delle vere formule magiche, per questo motivo, da allora l’opera sarebbe maledetta. Una diversa leggenda vuole che nella prima messa in scena del dramma l’attore protagonista che interpretava Macbeth sia morto appena prima o durante la produzione, il che avrebbe causato la sfortuna dell’opera.

Colori proibiti

In quasi tutte le tradizioni teatrali vi sono dei colori che sono considerati sfortunati e che quindi non devono essere indossati o portati dagli attori sul palco o in teatro.
Nel mondo teatrale anglosassone è considerato sfortunato il colore blu (a meno che non sia accompagnato dal color argento). Questa superstizione è dovuta al fatto che un tempo le stoffe di questo colore erano molto costose. Accadeva, quindi, che alcune compagnie teatrali, pur non molto floride, si dotassero di costumi blu per compiacere il pubblico, ma poi andassero fallite a causa della spesa eccessiva. Se però la compagnia era talmente ricca da potersi addirittura permettere finiture d’argento, allora il rischio di fallimento si riteneva scongiurato.
Nel mondo teatrale francese è considerato sfortunato il colore verde. Si crede che questa superstizione possa derivare dalla leggenda secondo la quale un costume di questo colore sarebbe stato indossato da Molière nella sua ultima interpretazione del Malato immaginario, il 17 febbraio 1673, cui seguì la sua morte poche ore dopo. Secondo un’altra ipotesi, invece, la superstizione deriverebbe dal fatto che le luci in uso nei teatri nel XIX secolo non mettevano in risalto il colore verde, che così appariva sbiadito al pubblico.
Nel mondo teatrale italiano è considerato sfortunato il colore viola. Questa superstizione deriva dal fatto che il viola è il colore dei paramenti liturgici usati in Quaresima. In questo periodo dell’anno (40 giorni prima della Pasqua) nel Medioevo erano vietati tutti i tipi di rappresentazioni teatrali e di spettacoli pubblici. Ciò comportava che questo periodo si traduceva per gli attori in un periodo di mancati guadagni.

Non dite Buona Fortuna

In tutte le tradizioni teatrali è assolutamente vietata ogni formula augurale prima dell’inizio di uno spettacolo. In compenso vengono adottate diverse alternative: nei teatri inglesi il più comune “good luck” è sostituito dall’espressione idiomatica “Break a leg!” (letteralmente “Rompiti una gamba”, l’equivalente dell’italiano “In bocca al lupo”), un po’ come in Germania dove gli attori invocano la fortuna dicendosi “Hals und Beinbruch!” (“Rompiti una gamba e il collo”).
In Italia, come in tutti gli altri Paesi di lingua neolatina, l’augurio scaramantico per eccellenza è senza dubbio “Merda, merda, merda!”, gridato all’unisono dagli attori prima di entrare in scena, e spesso accompagnato anche da goliardiche pacche sul sedere. L’origine di questa tradizione si rintraccia nel passato, quando il pubblico si recava a teatro con carrozze trainate da cavalli. Se il via vai di carrozze era notevole, lo era anche la quantità di escrementi che gli animali lasciavano sulla strada e che il pubblico, involontariamente, introduceva all’interno della sala. Così più spettatori partecipavano, più escrementi c’erano a teatro.

Attenti al copione!!

Nel mondo teatrale italiano, la caduta accidentale del copione sul pavimento del palco o per terra durante le prove è considerata di cattivo auspicio, quasi come un presagio che rappresenta metaforicamente la “caduta” dell’intero spettacolo. Se questo capita, per rimediare al danno l’attore che ha fatto cadere il copione deve subito raccoglierlo e batterlo per tre volte consecutive per terra, nel punto esatto in cui è caduto.

Non si fischia a teatro

Per gli scaramantici attori teatrali i fischi richiamano altri fischi: quelli del pubblico ovviamente. In particolare nel mondo teatrale anglosassone si ritiene che questa superstizione risalga al periodo in cui in Inghilterra i tecnici di scena, per comunicare fra di loro il cambio di una scena, si lanciavano dei brevi fischi. Di conseguenza un attore che avesse fischiato avrebbe potuto trarre in errore i tecnici, compromettendo così l’intero spettacolo.