Della grave battuta d’arresto subita da Strabismi, a seguito della chiusura del Teatro Ettore Thesorieri di Cannara e dell’inasprimento dei rapporti con l’amministrazione locale che ha condotto alla migrazione – sarebbe più corretto parlare di epurazione – del Festival, si è raccontato nel dettaglio su queste pagine una manciata di settimane fa.
Fino a quel momento, nella conta dei danni non si poteva annoverare con reale coscienza la trasfigurazione cui il Festival Strabismi si è trovato obbligato nell’ideazione e realizzazione della sua nona edizione.
Sono diversi anni che questa redazione attraversa, e da vicino osserva, l’azione curatoriale che il collettivo di Strabismi ha operato a Cannara e nei comuni limitrofi del territorio perugino ed è frustrante ma più che mai responsabilizzante assumersi l’onere di parlare di una storia di castrazione e resistenza.
Resistere, ancor più ri-esistere, è la sfida che il festival ha raccolto chiudendo in un furgone le attrezzature e l’eredità castrata del lavoro svolto a Cannara in quasi un decennio e muovendo verso Assisi, meta inedita che, nell’accoglienza del Piccolo Teatro degli Instabili diretto da Fulvia Angeletti, si è fatta casa e rifugio.
Dal 27 al 29 settembre scorso, Strabismi ha portato in scena la giovane creatività con il solito piglio scanzonato e la concretezza di chi crede nell’importanza di generare occasioni per l’emersione artistica.
La rinuncia pare sostanziarsi nel solo mancato utilizzo del Teatro Thesorieri e nel trasloco assisano ma, a far parlare i numeri, la situazione appare più chiara: l’indisponibilità degli spazi – tra cui è da considerare oltre al teatro anche l’ostello comunale di Cannara con una capacità ospitale di circa 40 posti – ha gravato molto sul budget del festival, attestato nelle scorse edizioni (nona compresa) intorno ai 15.000 euro.

Dove c’è turismo c’è speculazione, ecco perché lo spostamento in una città come Assisi, volendo considerare i soli costi di ospitalità, ha influito pesantemente sulla ridistribuzione delle economie e sulla revisione dell’intero progetto festivaliero.
Se disponendo della cifra suddetta fino alla versione cannarese l’associazione culturale Strabismi è stata in grado di organizzare 8 giorni di festival, nel 2023 la programmazione è stata dimezzata: 4 giornate, 4 compagnie under 35 ospitate (a fronte delle 6 proposte che storicamente componevano la vetrina Exotropia), laboratori formativi eliminati.
Superando le ricadute dell’antefatto politico sull’indotto generato dal festival in una piccola cittadina come Cannara e le ripercussioni sull’intervento curatoriale del collettivo di Strabismi, vale la pena passare in rassegna gli spettacoli e gli studi ospitati.
Perché fino a pochi mesi dal suo avvio la nona edizione è stata pericolosamente a rischio ma lo sforzo profuso dalla direzione artistica e da tutto lo staff ha salvato le sorti di un evento culturale. E questa, di per sé, è già una vittoria.
Sono molte le realtà di programmazione in Italia che investono sul teatro emergente ma il tratto distintivo di Strabismi è farne il punto nevralgico della proposta artistica.
Secondo la solita modalità prevista dal bando Exotropia, la direzione artistica partecipata under 35 del festival ha selezionato gli studi di quattro giovani compagnie che, sul palco degli Instabili, hanno presentato i primi esiti della loro ricerca.
A volersi orientare nelle esperienze artistiche del teatro under 30, l’irreparabile ansia generata dallo stare al mondo, in questo mondo in cui si fatica a trovare il proprio posto, è uno dei leitmotiv.
La salute mentale è un tema caro alla generazione Z che sta facendo scuola rispetto alla cura che merita la dimensione psicologica dell’individuo.
L’isolamento dovuto alla pandemia, lo scoppio della guerra, la crisi economica, l’eco ansia stanno agendo sui momenti fondamentali che caratterizzano la crescita della persona: dal rapporto con i coetanei, passando per le relazioni sentimentali, alla proiezione e conseguente costruzione della propria vita futura.
Tutto ciò ha fatto registrare un grande aumento del disagio psicologico e dei disturbi mentali nelle nuove generazioni.
E le artiste e gli artisti, che a queste generazioni appartengono, sentono l’urgenza di parlarne.
È interessante notare come una tematica così condivisa, nel dipanarsi del racconto teatrale, paia sempre spostare l’asse sull’incipit autobiografico e dunque su una condizione individuale. Come se, anche nel farsi portabandiera di un malessere diffuso, non si riuscisse pienamente a mettere il naso fuori dalla bolla d’isolamento che a questi artisti e ai loro coetanei si è fatta tutt’intorno.
Il linguaggio, allora, viene in soccorso: un gergo quotidiano, diretto, senza fronzoli che mescola il vocabolario dell’online e quello dell’offline.
Tale operazione è il cardine del progetto di Rebecca Righetti, performer venticinquenne che in Cade la neve figurati io chiarisce, fin dall’attitudine posturale, uno stare al mondo dinoccolato, incerto, in bilico tra la fragilità dell’umano sentire e l’eroica performatività che la società richiede. Con un nostalgico invito da festa per bambini, facciamo il nostro ingresso al compleanno di Rebecca. Muovendosi tra i preparativi e la celebrazione, Righetti compone un negativo radiografico della frattura emotiva. La ricerca dell’autrice e performer romana prende il via dalla raccolta, sotto forma di interviste, delle esperienze di disagio emotivo giovanile.
Il materiale, rielaborato drammaturgicamente, assume la forma del parlato da social network e si mostra nella sua proiezione più visibile attraverso l’inesauribile produzione di meme. Meccanismo, quello dei meme, che si riflette nella scelta di registro di Cade la neve figurati io: un’ironia lapidaria a celare il malessere.

Fragileresistente della compagnia milanese Il turno di notte, non lascia dubbi fin dal titolo: ancora una volta si parla di noi, delle nostre fragilità, dell’immaginazione sotto scacco, del futuro preso a sassate. Lo studio è il secondo progetto di Silvia Pallotti e Tommaso Russi che stanno incastonando in una ricerca autoriale e nella relazione con le comunità dei propri territori di riferimento, la formula identitaria di compagnia.
L’incedere è quello del teatro di narrazione, il nocciolo della questione è la depressione di un figlio e la fatica del padre nel sostenerlo. La dichiarata critica alle storture sociali da cui scaturisce il senso di impotenza è il centro della pièce.
Notevole la partitura fisica e l’utilizzo dello spazio, ancora da sciogliere i tre piani narrativi che non sempre si intersecano in maniera agile.
Matrice Teatro è un collettivo under 30 che con Il dilemma dei cento girasoli fotovoltaici ragiona sul tema dell’ecologia e dell’ecoansia.
La crisi di una coppia è la crisi di un mondo al collasso.
In una scenografia “plasticosa” svetta una piccola serra: è il luogo in cui immaginare senza freni un’altra vita possibile. La compresenza di linguaggi (musica, video, teatro di figura) necessita di una maggiore armonizzazione ma va sottolineato un interessante lavoro sull’impianto visivo, una grande cura dell’immagine che raggiunge il suo apice nella conclusione affidata alle tecniche di teatro d’ombra.

Scroll, della compagnia L’erba cattiva, nasce da un ritrovamento: tra i cassonetti di via di Portonaccio a Roma, un’attrice della compagnia vede un vecchio quadernetto malmesso. È il diario di una donna. Fare delle storie vergate uno spettacolo è uno stimolo immediato.
Attorno a quelle pagine la compagnia si riunisce per molto tempo e cerca di indagare la vita di Silvia, autrice del diario.
L’erba cattiva però si concede la libertà dell’immaginazione e ciò che viene narrato è il risultato del vagare dentro e fuori la vita di una sconosciuta che finisce per mostrare, accidentalmente, la sua parte più intima.
Poggiandosi di fatto su una scrittura, Scroll tende a essere a tratti verboso ma lascia intravedere, in prospettiva, la possibile risposta a un’atavica questione teatrale: esiste un modo per raccontare la vita delle persone senza tradirle?
Ad aprire il festival, Silvio Impegnoso e Puscibaua, nome d’arte del cantautore umbro Nicola Papapietro, accompagnati alla chitarra dal musicista e compositore Filippo Ciccioli, che hanno debuttato con lo spettacolo concerto Nuove abitudini per la notte. Un irriverente biopic teatrale in cui viene sviscerata la fragilità della condizione d’artista.
L’ultimo giorno di programmazione del festival ha visto il ritorno di Verderame di Giulia Pizzimenti e Francesca Miranda Rossi, presentato nella sezione Exotropia in forma di studio lo scorso anno. Una nonna, una madre e una figlia, rappresentanti di tre stadi evolutivi, in termini sociali e biologici, si gettano nell’esplorazione della propria parte oscura solitamente rigettata. Come parassiti che divorano nell’invisibilità, le forze psichiche che lavorano in opposizione ai desideri si dipanano sulla scena. Indiscutibile la maturazione dello spettacolo che ha trovato un equilibrio tra l’apparato drammaturgico e scenico, supportato dalla prova d’attrice di Pizzimenti.
«Ama la mutazione. T’entusiasmi la fiamma in cui ti sfugge la cosa fervida di metamorfosi» scriveva Rainer Maria Rilke nei suoi Sonetti a Orfeo e così scriviamo noi a Strabismi Festival, con l’augurio che la decima edizione non sia un obbligato tentativo ma un volontario atto di r(i)esistenza.

Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.