Articolo a cura di Cecilia Cerasaro
Accompagnati dal rumore di una pioggia torrenziale che batte sul tetto dell’Angelo Mai, due attori fanno il loro ingresso sulla scena seminudi. Francesco Bianchini e Francesco Maruccia sono già entrati nella parte e saltellano lanciando lamenti come se il pavimento scottasse.
Raggiungono, su una scena spoglia ed essenziale, le loro piscinette di plastica e le poltrone gonfiabili: la sala viene catapultata in un futuro in cui la crisi climatica sta rendendo la vita sulla Terra ogni giorno più impossibile. Lao e Tom sono due adolescenti appena usciti dal liceo, ma che il drammaturgo Alessandro Berti tratteggia come molto maturi per la loro età. È la stagione più calda dell’anno, le temperature sono a malapena sopportabili e l’obiettivo non dichiarato dei due giovani sembra da subito quello di sopravvivere a queste infernali ‘vacanze’ estive. Non paiono per questo rinunciare a divertirsi e, fra sfottò e piccole confidenze, giocano a descrivere a turno immagini ‘fredde’, che siano ghiacciai, film ambientati in Siberia o gli acquapark dove fino a qualche anno prima potevano iniziare a scoprire il proprio corpo e l’altro sesso.
Sono ricordi ormai lontani. Il pubblico sente i ragazzi tossire e li guarda approssimarsi al collasso, rimbalzare nervosi da una parte all’altra della scena quasi come se volessero evadere dalla propria pelle per sfuggire al caldo opprimente. Chi guarda si stupisce nel vedere Lao (Bianchini) mettere in bocca un sorso d’acqua dalla bottiglietta che dovrà bastare ai due amici fino a sera e poi sputarlo perché il corpo non vi si abitui e finisca disidratato. La capacità dei due attori di trasmettere a chi guarda le sensazioni degli effetti devastanti del caldo sul corpo è forse l’aspetto più interessante e sorprendente della pièce. Piano piano, mentre i due adolescenti perdono coscienza per le temperature troppo elevate, lo spettatore percepisce la morte aleggiare su questa nuova generazione, che sarà forse l’ultima.
Indizio dopo indizio diventa chiaro che lì fuori, lontano da quella casa in campagna, del mondo che conosciamo non esiste più nulla. Immensi incendi hanno sterminato gran parte degli esseri umani sulla Terra e Tom (Maruccia) non può fare a meno di essere grato al fuoco che ha impedito al progresso tecnologico di distruggere la natura e la nostra specie con i suoi esperimenti. Si intuisce infatti nello spettacolo un atteggiamento ambivalente, di interesse e di paura, nei confronti delle future evoluzioni della scienza e in particolare della genetica. Gli occhi umidi di Tom rivelano il suo timore di non essere fra quel dieci per cento della popolazione ancora fertile, coloro che sono in grado di procreare senza l’aiuto della medicina: per il ragazzo anche i piaceri del sesso e dell’amore perdono di senso se non può pensarli come naturali punti di partenza per la nuova vita.
Tom – l’umanista, il poeta – non ha dubbi che tentare di piegare la natura alla propria volontà sia, nonostante i possibili vantaggi, rischioso, come dimostrano le passate catastrofi. Il futuro genetista Lao ha sul tema una visione più ottimistica e comprende che l’amico, chiuso nei suoi libri si crogiola nel finto ricordo di glorie passate e teme la scienza e le prospettive di sopravvivenza della razza umana sul pianeta perché spaventato dalla vita.
Nella pièce questo potere disturbante della vita trova la sua manifestazione corporea nell’esibizione del performer che Lao ha ingaggiato per venti minuti a poco prezzo per distrarsi dal caldo. Per quanto straniante possa risultare l’immagine di un diciottenne che utilizza un’applicazione per trovare un artista che lo intrattenga, questa possibilità non risulta così irrealizzabile nella realtà contemporanea. La comparsa sul palcoscenico del performer Giovanni Campo avvicina lo spettatore al presente, al teatro contemporaneo. La lentezza con cui il danzatore tende i legamenti e scioglie i muscoli stupiscono Lao e Tom, costretti a movimenti più veloci e febbrili dalle temperature elevate, ma anche lo spettatore abituato alla frenesia della quotidianità in questo stesso sistema economico iperproduttivo che ha determinato la crisi climatica.
Sul finale la drammaturgia inizia infatti un percorso di riavvicinamento al presente. I due amici parlano del passato, dell’opposto approccio delle loro famiglie alla catastrofe incombente: mentre quella di Lao si ritirava in campagna, diventava vegetariana e piantava alberi in una serie di tentativi di scongiurare il peggio – comportamenti che oggi Lao giudica inutili e colpevoli perché timorosi del progresso – Tom viaggiava con i suoi per vedere tutte le bellezze del mondo che presto sarebbero sparite, consumava bulimicamente energia e cibo finché questi erano ancora a disposizione. Le vacanze si chiude così senza risposte, ma con molti interrogativi sui comportamenti da adottare nel presente: il destino della Terra potrebbe essere già scritto, l’ambiente potrebbe essere già morto, ma la possibilità di salvezza esiste finchè ci sono ancora giovani a lottare per la vita.
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