Sogno di volare, la non-scuola a Pompei

Giu 10, 2024

“Per tutti gli adolescenti il passaggio all’età adulta è come attraversare un fiume in piena con molte correnti e molto pericoloso. Ma per i nostri ragazzi è attraversare un fiume in piena con gente che spara da tutte e due le rive”. Le parole di Carla Melazzini, insegnante vissuta nel secolo scorso, che si leggono nelle ultime pagine del libro di Francesca Saturnino, La non-scuola di Marco Martinelli – Tracce e voci intorno ad Aristofane a Pompei (Luca Sossella Editore), rendono l’idea della sfida educativa nelle periferie. Per la scuola, ma anche per il teatro.

Sfida che il regista e drammaturgo emiliano-romagnolo ha accettato ancora una volta, ritornando a Napoli a 20 anni da Arrevuoto, con il progetto quadriennale Sogno di volare in cui gli adolescenti di Pompei hanno portato in scena le opere del commediografo Aristofane Uccelli, Acarnesi e Pluto e a cui è dedicato il testo di Saturnino, edito da Luca Sossella nel maggio scorso.

Critica teatrale, giornalista e insegnante, proprio per questo suo essere figura capace di stare sia sulla soglia e di osservare, sia di essere immersa nell’esperienza totalizzante del teatro, Saturnino ci restituisce un testo che mette in luce sia la profonda connessione tra teatro e scuola e le sue potenzialità, sia il salto in avanti che questa esperienza ha costituito per la pratica teatrale stessa del Teatro delle Albe, come si evince dalle interviste a Marco Martinelli e ad Ermanna Montanari contenute nel libro.

Sogno di volare, infatti, rappresenta per Martinelli e Montanari un ritorno e al tempo stesso un proseguimento rispetto ad Arrevuoto del 2004, di cui parlano entrambi come punto di svolta. Martinelli, raccontando come a partire da Scampia non sarebbe stato più possibile limitare l’esperienza della non scuola alle Scuole Secondarie di secondo grado, ma occorreva aprirla anche alle Medie e alle Elementari. “Adolescenti furiosi come quelli d Scampia non li avevo ancora incontrati” (p. 139). Anche i bambini piccoli sono esposti ad una violenza continua di fronte alla scuola e per strada. È il periodo della guerra tra bande Di Lauro e Spagnoli.

Altra importante novità introdotta nella non scuola dopo Scampia è quella di far lavorare insieme gruppi di adolescenti disomogenei tra loro. Martinelli viene invitato da Goffredo Fofi a portare per la prima volta la non scuola anche nelle periferie ma l’allora assessore alla Pubblica Istruzione Rachele Furfaro gli dice che a Napoli o si parte subito con qualcosa di esplosivo o il tutto rischia di arenarsi e gli propone l’idea di far partecipare giovani molto diversi tra loro. Si decide allora che gli studenti di Scampia vadano in scena insieme a quelli del liceo classico di piazza del Gesù. Funziona, nascono amori, amicizie, collaborazioni.

Terza novità determinata da Scampia, è stata quella di non limitarsi ad un solo spettacolo, ma prevedere almeno tre repliche. L’idea di un singolo spettacolo inteso come rito di iniziazione, unico e irripetibile, in quel contesto non avrebbe funzionato. Napoli è platealità. Quindi lo spettacolo è andato in scena davanti al popolo delle Vele, al Mercadante, poi è addirittura partito in tournée ed è arrivato al teatro Argentina di Roma. Una metamorfosi, insomma, a cui il Teatro delle Albe si è sentito chiamato e che nell’esperienza di Pompei sta trovando la sua continuità, grazie alla collaborazione con le istituzioni e con Ravenna Festival di cui il progetto è parte.

Altra suggestione molto forte da parte del regista è la constatazione che se, come diceva Eduardo, Shakespeare è il primo della classe di noi drammaturghi, noi italiani possiamo dire che Napoli è la capitale del teatro italiano. Ha provato, con i testi di Aristofane, a leggerli immaginando la voce di Totò e Peppino e rendevano benissimo.

Ermanna Montanari, invece, nell’intervista di Saturnino, racconta di quanto abbia trovato “la lingua di Napoli, materia incandescente, tellurica, una sfera sonora che crea il mondo” (pag. 152). E ancora: “A Napoli (…) c’è qualcosa di stonato, abissale, la presenza di un Dioniso senza organi, qualcosa che si mette di traverso (…)”. Un luogo di vitalità estrema, sempre prorompente, anche in mezzo agli estremi della violenza e della povertà, la casa di Dioniso, insomma, che dice sì all’irrazionalità della vita. Tanto che Ermanna parla di una cosmogonia vocale magica che ha a che fare con l’urlo (pag. 155). Proprio sull’urlo (della liberazione, della caduta, del parto) ha lavorato con le ragazze, soprattutto del liceo Genovesi, inizialmente più restie rispetto alle altre, abituate ad utilizzare soprattutto la loro voce sociale.

Il progetto Sogno di volare di Pompei, che ha iniziato a prendere vita nel novembre del 2021 è quindi la risultante di una lunga semina e la durata quadriennale sembra corroborare la convinzione che ci sia necessità di tempi lunghi perché dopo lo spettacolo finale si possa avere una restituzione altrettanto potente sulle persone che vi hanno preso parte. Conta, tra le scuole coinvolte, oltre al Liceo Ernesto Pascal e l’Istituto Eugenio Pantaleo di Torre del Greco, il Liceo G. de Chirico di Torre Annunziata e l’Istituto Superiore R. Elia di Castellammare di Stabia.

Ma come nasce Sogno di volare? Parte con l’intuizione del direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, di coinvolgere gli adolescenti all’interno del sito Unesco. Avverte il contrasto tra la sua bellezza artistica e paesaggistica e la sua inaccessibilità per i giovani del territorio, che vivono in contesti di degrado urbano e senza prospettive. Da qui il contatto con le varie istituzioni scolastiche e territoriali, poi la richiesta a Franco Masotti, direttore artistico di Ravenna Festival, di poter organizzare “una grande opera lirica e musicale in cui coinvolgere la popolazione soprattutto i giovani adolescenti. Gli abbiamo proposto un altro tipo di operazione” (p. 184.185). L’incontro con Marco Martinelli e il Teatro delle Albe, l’invio del film The Sky over Kibera, poi la strada, aggiunge Masotti, è stata tutta in discesa.

Ecco allora gli adolescenti, che nel Parco Archeologico per 9 mesi si esercitano e riportano in vita il livore delle commedie di Aristofane, il suo antibellicismo e il suo sarcasmo, attraverso la non scuola.

Non scuola, che come leggiamo nel Noboalfabeto, scritto da Ermanna Montanari e Marco Martinelli nel 2001 e riportato nel testo di Saturnino, è incardinata su 4 pilastri: il primo è appunto quello degli adolescenti con il loro essere meravigliosamente asini, quindi spontanei, imperfetti, arrabbiati, senza filtri. Il secondo è quello delle guide, ex adolescenti che hanno seguito il Teatro delle Albe e ai quali Martinelli/Montanari hanno affidato il passaggio del testimone per portare i laboratori nelle varie città italiane. A Pompei sono gli ex arrevuotini Gianni Vastarella, Valeria Pollice e Vincenzo Salzano.
Terzo pilastro è la tradizione degli autori classici, da “massacrare amorevolmente”: al di sotto del del testo, che dopo secoli, se lo si  rappresenta con cieca fedeltà, rischia di rimanere lettera morta, c’è l’emozione che lo ha generato e che rimane universalmente attuale: la rabbia per l’ingiustizia. Così invece, gli adolescenti e il testo, “sfregati come due legnetti” finiscono col riaccendere questa emozione.
Ultimo pilastro è la figura dell’insegnante, come “lucido testimone dello scontro in atto”. Istituzione scolastica e teatro, infatti, sarebbero antitetici: l’uno detta regole e limiti, l’altro richiama all’improvvisazione come pratica necessaria. Eppure da anni questa coppia altamente improbabile nel Teatro delle Albe funziona molto bene, perché l’insegnante collabora, assiste, ma non si sostituisce mai alle guide.

Sogno di volare è una produzione di Parco Archeologico di Pompei, in collaborazione con Ravenna Festival, Teatro Mercadante, Teatro Stabile di Napoli, Pompei Theatrum Mundi e Giffoni Film Festival. Le musiche sono di Ambrogio Sparagna, conoscitore delle tradizioni della tammurriata, le luci di Vincent Longuemare, responsabile unico del progetto Maria Rispoli.

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