Sessuologia di una nazione – La grammatica del corpo, la politica del ridicolo

Giu 24, 2025

In un tempo in cui il corpo è campo di battaglia e linguaggio conteso, Sessuologia di una nazione: Bignami di bon ton si presenta come un gesto scenico necessario. Non una denuncia, ma un’operazione chirurgica travestita da farsa: Antonio Framarin – attore, regista e autore – affonda il bisturi in quella sovrapposizione instabile tra biologia e cultura, tra genere e ruolo, tra identità e dispositivo di potere. Il teatro diventa così ciò che Michel Foucault chiamava una “pratica discorsiva” capace di smascherare le microfisiche del controllo.

Il punto di partenza è paradossale: un embrione chiamato Emb, unico candidato all’esame per “nascere”, deve dimostrare di saper abitare correttamente le categorie imposte dal mondo. Attorno a lui, una lezione tragicomica orchestrata da un corpo docente grottesco e affilato. Il tono è satirico, ma lo scavo è profondo: cosa significa incarnare un genere? Come si determina la legittimità del desiderio? A chi appartiene davvero il corpo?

Sullo sfondo, risuonano le teorie di Judith Butler sulla performatività del genere – secondo cui l’identità non è un’essenza da esprimere, ma un atto reiterato sotto costrizione culturale – e quelle di Paul B. Preciado, per cui il corpo contemporaneo è sempre più un’interfaccia biopolitica, medicalizzata e narrata da linguaggi esterni. Lo spettacolo prende questi riferimenti e li rovescia nella macchina comica: la scena diventa un laboratorio semi-serio dove si smonta, pezzo per pezzo, il catalogo normativo dell’educazione sessuale.

Ma c’è anche qualcosa di più personale e più feroce: Framarin – formatosi tra la provincia veneta e i circuiti indipendenti di Roma – porta con sé la tensione tra il corpo pubblico e quello intimo, tra l’identità come costruzione collettiva e la vulnerabilità che ogni maschera sociale impone. La sua regia non cerca pacificazione: preferisce l’ironia disarmante, il corto circuito semantico, il piacere dell’incongruo. Sessuologia di una nazione è infatti, prima di tutto, un dispositivo critico: usa la comicità come “tecnologia del sospetto” (per dirla con Ricoeur), per rovesciare le certezze del senso comune e restituire allo spettatore non risposte, ma nuove domande.

Vincitore del Premio “La Karl du Pigné” 2024, il progetto si è affermato come una delle voci più originali e corrosive del panorama teatrale indipendente italiano. Non solo per i temi affrontati – l’identità sessuale, l’educazione, il corpo come territorio ideologico – ma per la forma in cui tutto questo viene agito, incarnato, contraddetto.
E forse è proprio qui che il teatro di Framarin trova la sua forza: non nel rappresentare, ma nel provocare. Non nel dire cosa siamo, ma nel mostrarci quanto fragili e arbitrari siano gli alfabeti con cui crediamo di definirci. Ne discutiamo in questa intervista.

Se l’embrione Emb potesse parlare prima della nascita, quale sarebbe la sua prima domanda metafisica sul Paese che lo attende?

Non tanto se potesse… perché Emb parla eccome in realtà e non solo lui, ma tutto il mondo che lo circonda e tra tutti i dubbi che gli sorgono, il primo è sicuramente: come si fa a vivere in un mondo fatto solo di regole?

Perché una lezione e perché una cattedra? La verità ha davvero bisogno di un piedistallo, o basterebbe un inciampo ben raccontato?

L’idea alla base del lavoro, parte proprio dallo scindere la verità in due: la prima è una dura lezione, impartita alla società, a tutti coloro che non si pongono più domande o che, più semplicemente, hanno rinunciato a farlo; la seconda è come un sussulto, un impeto che nasce spontaneo, ma solo dentro chi è capace di ascoltarsi veramente. Possiamo quindi distinguere chi viene istruito come fosse a lezione e chi vive la ricreazione come fosse una scuola di vita.

Che tipo di docente è la vostra Professoressa? Una sofista travestita da pedagoga o una cinica maieutica con l’orologio rotto?

La Prof, come sbadatamente viene chiamata durante tutta la lezione, incarna perfettamente lo stereotipo di chi ha rinunciato a porsi le domande ed è finito nel vivere in un limbo fatto di sterili convinzioni. Il suo orologio indica sempre la stessa ora, ma come tutti sanno, anche un orologio rotto ha ragione due volte al giorno ed é su questa verità che la Prof assume paradossalmente spessore, diventando anche pedagoga cinica e severa.

E l’alunno?

Dal canto suo, Emb è il classico alunno pasticcione ma allo stesso tempo forte della sua giovanissima età. Con energia ed entusiasmo cerca di capire tutto quello che gli viene insegnato ma, come per ogni bambino, arriva un momento in cui non importa ciò che sarà detto perchè…sta certo che farà il contrario. A scuoterlo, non sarà affatto il tradizionale suono della campanella di fine ora, ma qualcosa di molto più intimo che lo spingerà a stravolgere la sua intera carriera scolastica.

In un mondo dove tutti spiegano e nessuno ascolta, l’ascolto è ancora un atto politico o è solo una forma di nostalgia?

La parola ci offre la possibilità di comunicare e di metterci in relazione gli uni con gli altri, ma è proprio quando cala il silenzio e pare non esserci più alcuna forma di dialogo, che le persone riescono veramente ad entrare in contatto tra loro e coniare un’idioma universale senza né politica né nostalgia.

In quale momento lo spettacolo fa trattenere il respiro al pubblico e in quale lo fa dubitare di ciò in cui crede?

Una volta iniziata la lezione, sono diversi i momenti in cui chi partecipa, non ha ben chiaro cosa stia provando veramente, perché dubitare in alcuni casi vuol dire anche trattenere il respiro. Tuttavia più la spiegazione prosegue, più diventa difficile non esserne coinvolti come quando hai finito le giustificazioni e la prof decide, a sorpresa, di interrogare.

Se doveste scrivere un’appendice al vostro manuale, quale sarebbe il nuovo capitolo?

Sessuologia di una nazione: Bignami di bon ton – (S) consigliato e basta. Così, su due piedi, potrebbe essere questa…ma anche completamente diversa.

Cos’è per voi il “permalo-socialismo”? È possibile una comicità che non tema il fraintendimento e miri, invece, al pensiero critico?

Quando esprimi un’idea, non sempre chi ascolta é predisposto a capirla o rispettarla, quindi spesso si crea una distanza. Partendo proprio da questo presupposto e giocando con le parole: (s) consigliamo la visione ad un pubblico (s) permaloso. Nella maggior parte dei casi, quando le persone non capiscono o gli viene detto qualcosa di (s) comodo – ok, ora smetto – se la prendono e diventano scontrosi. L’idea che mi ha spinto a fare questa scelta, è stata quella di non voler per forza accattivarmi il pubblico ma di metterlo a nudo assieme a noi e se necessario, di criticarlo e spogliarlo di tutte quelle sovrastrutture che ci paralizzano.

Avete più fiducia nel corpo o nella parola? E sul palco, chi dei due è più rivoluzionario quando si tratta di scuotere le coscienze?

In questo lavoro, testo e parola vanno a braccetto, accompagnati dall’emozione. Tanta fatica è stata fatta nel trovare il modo che più rappresentasse quello che volevamo esprimere e altrettanta nel veicolarlo con il corpo. Sia la Prof che Emb sono rivoluzionari a modo loro, chi rompendo la catene che l’attanagliavano, chi nel coraggio di ascoltare se stesso.

Se domani doveste insegnare questo spettacolo a scuola, cosa fareste scrivere sul registro, alla voce “obiettivi dell’apprendimento”? Risveglio critico? Educazione al dubbio? Autodifesa poetica?

Forse, ci basterebbe sapere di aver alimentato un pizzico di coraggio in più a chi crede ancora nel cambiamento.

Chi sono le persone invisibili che vi hanno insegnato di più, quelle a cui forse non avete mai detto “grazie”?

Probabilmente sono quelle a cui non rivolgiamo più la parola da tempo, ma rimangono comunque indissolubilmente legate alla nostra persona.

Quale odore, suono o dettaglio quotidiano vi riporta istantaneamente dentro il teatro, anche quando siete lontani?

Non credo ci sia un richiamo più forte di un altro, ma solo una presenza costante ci accompagna e ci fa sentire parte di qualcosa.

Qual è la scena che vi fa ancora tremare un po’ le mani, ogni volta?

Direi che l’inizio è il momento in cui tutto si delinea, perciò credo che partire bene sia molto importante, ma anche quello che succede prima, non è da meno.

Se poteste custodire un solo ricordo di tutte le repliche fatte, quale scegliereste?

Credo di parlare a nome di tutti e di non sbagliarmi, se dico che sicuramente sono i momenti in cui Cecilia ci copriva le spalle, Francesca era soprattutto la Prof e Antonio, Emb a renderci complici. Credo che quei brevi momenti siano stati davvero unici, ma anche le bevute post replica.

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