TITOLO TESI: Se ha i denti, non è un uccello. Canzoni per Charms
ISTITUTO: Università degli Studi di Palermo – DAMS Discipline delle arti della musica e spettacolo
AUTRICE: Francesca Lupo
Introduzione dell’autrice:
Daniil Charms è stato un poliedrico scrittore della Russia del primo Novecento. Non gode di un’eccessiva fama in ambito accademico, seppur, quasi timidamente, gli venga attribuita una certa importanza nel panorama letterario novecentesco. Una firma che nei manuali di letteratura russa gode a stento di un piccolo paragrafo d’approfondimento, pur venendogli addirittura accostata la paternità di una scrittura dell’assurdo ante litteram. Una figura liminale, per questo interessante, affascinante. E sono liminali anche i suoi scritti, sia su un piano evidentemente formale che contenutistico.
Charms sembra una lettura per stomaci forti, per chi non si vergogna di trovarsi a ridacchiare davanti ad una pagina che descrive uno strampalato dialogo tra due matti, non ben identificati, che si trovano a litigare per una sciocchezza, sfociando in una violenza goffa e proprio per questo inquietante e pericolosa. Poesia, saggistica, racconti per bambini, prosa: non importa il genere, il target, perché la sovversione, nella sua breve vita, non ha avuto argini. Come non l’ha avuta in particolare la sua prosa, nelle cui parole è impossibile non cogliere una incredibile vena performativa.
Giacco Pojero e Nino Vetri, musicisti per passione nella loro città natale, Palermo, scovano un piccolo volume nel punto vendita Sellerio di Mondello: Disastri di Paolo Nori. Nori è il trait d’union tra Charms ed i musicisti. Studioso di letteratura russa, attraverso Disastri è diventato quasi l’erede di Charms. Veste la sua scrittura, letteralmente si traveste da Charms per dar vita ad un alter ego (di entrambi), cucendo con un filo abbastanza spesso prosa, scritti autobiografici, versi, forse quelli più incisivi, creando un monstrum, sì, incredibilmente spaventoso, e geniale. Lo riscrive, è vero, ma ne coglie effettivamente l’essenza. Disastri, alla fine, è un romanzo, in cui il “vero” Charms, si nasconde negli stralci dei diari che Nori pone in corsivo tra una poesia ed un racconto breve, senza capitoli, solo spazi bianchi, da leggere tutto d’un fiato, rimanendone tramortiti.
Dalla scatola sono uscite due bolle, di Giacco Pojero e Nino Vetri, va in scena al Teatro Montevergini di Palermo nel 2011. Intervistati nel 2022, i musicisti sembrano non essersi mai lasciati alle spalle questa loro modesta ma precisa drammatizzazione di Disastri. Continuano a citarne i testi, a tradurlo anche in musica, come hanno precedentemente fatto nel 2014 con il loro album Lo sguardo di rame. Hanno adottato Daniil Charms nelle loro vite, nella loro città, nella loro arte, riconoscendo che sì, «Charms era russo fino al midollo [..] ma era anche un po’ palermitano». I suoi testi non potevano che prendere una perfetta veste carnale nei loro volti espressivi, gli occhi fuori dalle orbite, voci camuffate, ora stridule ora vibranti: due uomini, due bocce di vetro colme di quaranta litri d’acqua per restituire al pubblico, ponendole davanti ai loro visi, connotati mostruosi, di persone al limite del genere umano, perché al limite sono i personaggi di Charms.
Suoni gutturali, orecchie strappate da raptus improvvisi, il senno ed il senso ormai perduti, tanto che le parole sono orologi che non segnano più l’ora, quindi inutili. Ecco il mondo che Charms ha ritratto, chissà quanto imbruttito da allegorie. Ed è quello che Pojero e Vetri hanno messo in scena; una scena nella quale, per una assurda combinazione, si possono scorgere echi di Scaldati e di Li Bassi. Ma il lavoro di Pojero e Vetri è ben lontano dalla citazione della tradizione teatrale siciliana, semmai è pregno di onestà. Di un teatro di oggetti e vestiti trovati per caso e magicamente divenuti di scena, di staticità, se non quando imbracciano le loro fisarmoniche e traducono in note le parole del russo.
L’affascinante intertestualità è solo la superficie di Dalla scatola sono uscite due bolle, perché, successivamente, si scorge il motivo di una modesta e sincera spinta alla rappresentazione, forse la più sana, forse la più efficace: il divertimento. E di nuovo citano Charms davanti all’intervistatrice: dicono che anche per loro è stato «un attimo da cogliere. Uno, due, tre. Ecco. Non è successo niente». Invece, per chi li ha intervistati, qualcosa è successa.
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Francesca Lupo nasce a Palermo nel 1998; lì si laurea al Dams, curriculum spettacolo, scoprendo diverse realtà teatrali e cinematografiche locali, più o meno indipendenti, e collaborando con queste. Tutt’ora continua i suoi studi a Bologna, specializzandosi in discipline del teatro.

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