Un presupposto molto semplice: Maura Teofili ha scelto di mettere a disposizione lo spazio di Carrozzerie N.O.T., da lei gestito con Francesco Montagna, per alcuni spettacoli ancora in nuce, studi con potenziale che non hanno trovato posto in altre rassegne e bandi di finanziamento. L’ultima giornata di Sciccherie vede protagonisti artisti giovani e intenzionati a mostrare al teatro loro punto di vista sul mondo.
Il primo studio in scaletta è Titolo figo*. Francesca Cordioli e Sara Todisco accolgono il pubblico stese su un fianco, sul pavimento, in una posa di apparente rilassatezza, e dai cellulari che tengono in mano e che fissano, ipnotizzate, provengono suoni familiari: sono le canzoni degli ultimi trend di TikTok. Il semplice fatto di dedicare l’attenzione, di fermarsi a pensare in un contesto performativo a un’azione a ciascuno di noi dedica ogni giorno ore, forse la fetta maggiore del proprio tempo, restituisce da subito una visione deleteria e inquietante delle nostre vite.
Quando, dopo minuti che paiono infiniti, le due performer sembrano accorgersi di spettatrici e spettatori che le osservano e, sedendosi, danno inizio all’unisono al loro monologo a due sulla procrastinazione, l’estraniamento della sala cresce. La situazione presentata è da subito chiara: due ragazze decidono di tenersi una giornata libera per portare a termine un compito, che si lascia intendere essere la scrittura dello spettacolo stesso, e per questo si riuniscono nel salotto di una delle due, ma non riescono a concentrarsi. Sono distratte dal cellulare, dalla pioggia che batte sulle finestre e dal ritmo di Singing in the rain che entra loro in testa, dal pensiero del loro programma preferito che sta per iniziare, dalla fame. Il loro flusso di coscienza, pronunciato in perfetta sincronia e accompagnato da gesti stereotipati, si ripete per diverse volte, alienante, simile a una cantilena. Le parole utilizzate sono identiche e il ritmo sempre più incalzante, ma l’attenzione dello spettatore è attirata dalle minime variazioni nell’ordine delle frasi e dalle piccole aggiunte che, ripetizione dopo ripetizione, svelano la vera ragione dell’apparente pigrizia delle due giovani artiste.
Ne risulta un ritratto accurato della generazione dei trentenni di oggi, o perlomeno di una fetta di essa, che soffoca nelle distrazioni la propria ansia esistenziale, che, non riuscendo a immaginare il futuro senza sentire il cuore accelerare, si abbandona al sollievo temporaneo che offrono i social e altre forme di intrattenimento nel tempo presente. La prospettiva di deludere le aspettative, non trovando il lavoro che società e famiglia si aspetterebbero dopo molti anni di studio, e al tempo stesso la consapevolezza di desiderare per se stessi qualcosa di diverso, un obiettivo che non si ha idea di come raggiungere, la paura di non farcela: è questo, non l’indolenza o la mancanza di iniziativa, a non permettere ai personaggi di Cordioli e Todisco di portare a avanti il loro progetto o di alzarsi da quel pavimento. Lo studio termina come era iniziato, le due ragazze tornano a stendersi e a canticchiare le musichette provenienti dai loro cellulari, ma adesso quella visione lascia addosso allo spettatore e alla spettatrice una diversa, più profonda inquietudine.
Anche Fans si apre con l’interprete, Paolo Lupidi, sdraiato sul pavimento in una posizione di riposo apparente che, come nel primo studio, simula un falso rimedio al senso d’angoscia. Se però nel caso precedente il lavoro delle due giovani artiste, paralizzato dai pensieri ossessivi, non era mai cominciato, in questo caso a sembrare impossibile al ragazzo è l’idea di fermarsi davvero anche quando, come nella finzione scenica, è malato. Lupidi racconta che nel momento in cui il suo corpo cede, in quel periodo dell’anno in cui per la troppa fatica le sue difese immunitarie si abbassano e la febbre – tanto desiderata in quanto unica scusa con la quale riesce a concedere a se stesso una pausa – arriva, la sua mente continua a ronzare come un nido di vespe. Questo fastidioso rumore che avverte nel delirio gli ricorda degli impegni che sta trascurando, delle responsabilità lavorative che il suo fisico si rifiuta di assumersi.
Fans, che prende il nome dai comuni farmaci antiinfiammatori che il protagonista usa per curare l’iperpiressia, la febbre che supera i 40 gradi, racconta del tentativo di questo giovane di tacitare il ronzio immaginario degli insetti provando a non fermarsi, a riprodurre lì, in quella camera da letto allestita sul palco, i gesti, la frenesia dei diversi lavori che svolge. Si alza quindi dal suo pouf rosso e comincia a suonare, sempre più in fretta, i campanelli che lo circondano, gli stessi con i quali i suoi responsabili richiamano la sua attenzione durante i turni al ristorante. Lupidi racconta di serate passate per strada a cercare di consegnare in tempo, prima che si raffreddino, le pietanze ordinate dai clienti intransigenti e insopportabili e di un capo tirchio, disonesto, deciso a sfruttarlo allo sfinimento. Ma il testo non perde l’occasione di sottolineare la necessità di prendere coscienza di ciò che ognuno di noi permette in maniera indebita al proprio datore di lavoro, dei meccanismi di autosfruttamento e della possibilità, mai presa in considerazione, di porre dei limiti, di uccidere quelle vespe che ci ronzano in testa.
Romantica di Martina De Santis segna invece uno stacco netto rispetto ai due studi precedenti, non solo a livello tematico ma anche dal punto di vista generazionale. Si tratta della riflessione sull’amore e sulle dinamiche di coppia di una donna single alle soglie dei quaranta cresciuta con i classici della commedia romantica, da Pretty Woman e Dirty Dancing a Harry ti presento Sally. L’attrice e autrice, sfoggiando tra scarpe calzini e abito semitrasparente ognuno dei toni del rosa, prende posto di fronte a una tendina di striscioline di plastica luccicante e svela che ha sempre pensato alla sua vita come quella di un’eroina romantica.
Il vero amore tanto atteso non sembra essere ancora arrivato, ma De Santis, che utilizza il linguaggio della stand up comedy per suscitare nel pubblico la risata dandogli in pasto una biografia un po’ reale e un po’ fittizia, non vuole arrendersi e nemmeno cambiare filosofia di vita. Cammina per le strade di Roma, ma immagina di essere nella brughiera inglese dei romanzi delle sorelle Bronte. Indossa un impermeabile beige che nell’immaginario comune richiama quello dei maniaci sessuali e che però spalanca a tradimento solo per mostrare il suo disperato bisogno d’affetto. Crede nel destino e nei biscotti della fortuna, ma li prende sempre in coppia per poter scegliere la frase che meglio si addice alla situazione che sta vivendo. Siede per ore al bar aspettando che dalla porta entri il principe azzurro, cerca tra gli scaffali del supermercato l’uomo perfetto, di cui si innamora a prima vista salvo poi scoprire che si tratta di un uomo fidanzato o di un padre di famiglia.
Romantica azzarda anche l’accenno di un’analisi dei rapporti uomo-donna e delle dinamiche di genere, citando anche bell hooks. Tuttavia questo studio, più degli altri, si presenta come il nucleo ancora informe di uno spettacolo che, si lascia intuire, sarà molto più lungo e raccoglie in ordine ancora abbastanza casuale le intuizioni dell’autrice sul tema che le è tanto caro. Così, con questo sforzo di immaginazione intorno a un’opera non finita e alle sue potenzialità, si chiude con coerenza Sciccherie.

Nata a Roma nel 1998, si laurea in Lettere all’Università di Tor Vergata e Filologia Moderna alla Sapienza, occupandosi di letterature comparate e viaggiando per studio e lavoro in Europa. Frequenta il master in Critica Giornalistica dell’Accademia Nazionale Silvio d’Amico. Appassionata di poesia e di parole, scrive per diverse testate e blog di argomento teatrale e culturale, accordando un interesse speciale alla drammaturgia contemporanea e agli studi di genere.