Violenza, sodomia, cannibalismo, stupro, omofobia, xenofobia, razzismo. Tutto questo è Blasted (Dannati), di Sarah Kane, del 1995.Opera d’esordio della giovane autrice morta suicida a 28 anni, esponente del In-Yer-Face Theatre della Gran Bretagna degli anni’90 che utilizza la scabrosità per parlare delle questioni sociali e di cui si ricorda in questi giorni l’anniversario della nascita, avvenuta il 3 febbraio 1971 a Brentwood, nell’Essex. È stata, la sua, una stagione breve e drammatica, condivisa con autori come Mark Ravenhill ed Anthony Neilson. La definizione di In-Yer Face è del critico Aleks Sierz, che a loro dedica uno studio nel 2001, individuando una connessione col genere Pulp che si sta sviluppando nella cinematografia americana dello stesso periodo.
Senza contare l’ammirazione della Kane per l’autore Edward Bond, autore di Saved, del 1965, in cui un gruppo di operai britannici lapida un bimbo in culla. Saved è accolto da pubblico e critica con la stessa ostilità e disgusto del suo Blasted, che debutta al Royal Court Theatre Upstairs di Londra.
La vicenda ha luogo in una stanza d’albergo dove nella prima parte si consumano ripetute oscenità tra un giornalista alcolista di mezz’età e una ragazza disabile ed epilettica, mentre nella seconda ci si ritrova in uno scenario di guerra, quello della strage di Srebrenica. Anche se di fatto non ci sono riferimenti specifici, il contesto di riferimento, come ha raccontato la Kane stessa, è infatti quello della guerra nei Balcani. Mentre era ancora impegnata nella sceneggiatura, la Kane assiste ad un programma televisivo dedicato all’assedio della città bosniaca e, interrogandosi sulle possibili correlazioni tra lo stupro di una donna in una stanza d’albergo e quelli perpetrati in un contesto bellico, la risposta che si dà è sì, esistono: “uno è il seme – dichiara in un’intervista – e l’altro l’albero. Penso che i semi di una guerra su vasta scala possano sempre essere trovati nella civiltà in tempo di pace”.
La novità di quest’opera infatti non sta tanto nella sua oscenità, ma nella frattura che subisce la narrazione e che destabilizza lo spettatore. Il passaggio da un contesto intimo e privato ad uno globale, con l’irruzione del soldato in scena e col brusco passaggio da quella che sembra un’impostazione naturalista e ibseniana ad una antirealista e metaforica della narrazione stessa.
Nella seconda parte di Blasted, la camera d’albergo (peraltro lussuosa, quindi percepita come confortevole e sicura) viene fatta saltare in aria da una bomba e il pubblico partecipa ad uno stravolgimento che spazza via le azioni precedenti dei personaggi e lo immerge in un contesto di massima esposizione al pericolo, la guerra in atto, ma il tutto avviene nella medesima stanza d’albergo, in una sorta di trasfigurazione.
Ne consegue disorientamento, oltre che incapacità di immedesimazione o di empatia con i personaggi, che sfuggono alla tradizionale catalogazione duale buono/cattivo, perché intrisi di comportamenti e pulsioni estreme e contraddittorie.
Tante le suggestioni raccolte intorno alla blasfemia di Blasted che ne fanno molto di più rispetto alle diverse produzioni del movimento giovanile In-Yer-Face che ha avuto breve durata. C’è il richiamo al Re Lear di Shakespeare nella scena di violenza agita dal soldato sugli occhi del giornalista, il già citato naturalismo di Ibsen fino a Bertolt Brecht e al Teatro dell’Assurdo di Samuel Beckett sia per lo stile asciutto della narrazione sia per la scelta della coppia protagonista del dramma, Ian e Cate, antitetici ma visceralmente legati e co-dipendenti emotivamente l’uno all’altra.
A dispetto dello shock iniziale sulla critica, le opere della Kane sono state oggetto di interesse già a partire dai primi anni 2000, mentre in Italia, Blasted è arrivata sul palco nel 1997, al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino. In Gran Bretagna si sono susseguiti vari studi sulla sua drammaturgia e sull’ambiente in cui è maturata. Ad esempio quelli di Helen Iball che mette in luce l’influenza degli Hooligans di metà anni ’80, protagonisti di vari episodi di cronaca e soprattutto di Graham Saunders, autore di Love me or kill me. Sarah Kane e il teatro degli estremi del 2002 che invece fa risalire l’influenza sullo stile della Kane ai New Jacobeanists, scrittori dallo humor nero e inclini alle rappresentazioni violente, saliti all’attenzione del pubblico tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, tra i quali c’è appunto anche l’amato Edward Bond, oltre a Peter Barnes, Howard Brenton e Howard Barker, teorico del teatro della catastrofe.
Autori che la Kane aveva conosciuto all’Università di Bristol, dove nel 1992 si laurea con lode in Recitazione e successivamente a Birmingham, per specializzarsi in Scrittura teatrale col drammaturgo David Edgar. Ad essere determinante, sulla scrittura teatrale e l’approccio alla scena, è l’incontro con l’opera di Jeremy Weller, dedicata alla malattia mentale. Lei stessa soffre di una grave forma di depressione, che l’accompagnerà al suicidio, nel 1999.
Prima di allora, però, il suo talento dà forma ad altre quattro opere drammaturgiche (Phaedra’s Love, Cleansed, Crave e 4.48 Psychosis) e al cortometraggio Skin, dello stesso anno di Blasted, diretto dall’amico Vincent O’Connell. Phaedra’s Love (1996) è in scena al Gate Theatre di Londra, con un Ippolito dal moralismo ipocrita e distruttivo e nulla di innocente o poetico: anaffettivo, annoiato e ozioso, l’autrice lo traspone nella società contemporanea, intento a consumare cibo spazzatura e rapporti sessuali occasionali. Il suo supplizio, dopo la falsa accusa di violenza sessuale da parte Fedra che in realtà era stata da lui respinta, come ci si può aspettare, viene rappresentato nei minimi dettagli.
Cleansed del 1998, diretto da James Macdonald e ispirato a Frammenti di un discorso amoroso del saggista Roland Barthes, parla dell’amore negato come di una condizione di prigionia e in cui la Kane riversa sofferenze personali per l’impossibilità di vedere riconosciuta la propria diversità. Tant’è vero che secondo quanto previsto dalla scenografia, l’ambientazione più congura veniva indicata in un reparto psichiatrico, una prigione o un campo di concentramento nazista. Ancora una volta la Kane vuole denunciare che spazio privato-interiore e spazio politico-pubblico sono profondamente connessi.
Mutilazioni, morte, uso di droghe e suicidio amplificano l’atmosfera claustrofobica di quest’opera intitolata ironicamente alla purificazione. Rispetto ai lavori iniziali, si potenzia sempre di più la componente antirealistica e la possibilità di molteplici interpretazioni sia sui dialoghi che sull’impianto dell’opera drammaturgica, molto più complessa di quanto appare e dai contenuti distopici.
Crave, in scena nello stesso anno al Traverse Theatre di Edimburgo, invece, è ispirata all’opera teatrale Preparadise Sorry Now di Rainer Werner Fassbinder del 1969. Protagonisti due serial killer inglesi, Ian Brady e Myra Hindley, simpatizzanti fascisti, accusati di aver stuprato e ucciso nel 1966 cinque ragazzi minorenni. Se in alcuni momenti i quattro personaggi dialogano tra loro, in altri si rivolgono al pubblico, in altri ancora sono impegnati in monologhi, accentuando così la componente disgregativa della mis en scene e del testo stesso, con battute tratte da Shakespeare, Thomas Stearn Eliot, dalle Sacre Scritture e dai primi scritti della Kane. Infine 4.48 Psychosis, scritto tra il 1998 e il 1999 consegnato all’editore in febbraio pochi giorni prima di togliersi la vita, il 20 febbraio, a Londra. 4.48 è l’orario in cui secondo le statistiche si compie il numero maggiore di suicidi. Frammentarietà, indeterminatezza dell’ambientazione e dei personaggi, identificati con sostantivi piuttosto che con nomi propri, assenza di una struttura narrativa, dialoghi che si alternano ad elenchi e sequenze numeriche. L’assenza di struttura, sul piano linguistico, visivo e dei contenuti sembra essere la chiave di lettura di questo ultimo testo, la prefigurazione del viaggio senza ritorno che sta per intraprendere. Ma anche l’intuizione creativa del teatro che verrà, senza più la linearità narrativa ma frammenti di testo provenienti dalle fonti più disparate e l’apertura alla molteplicità di differenti visioni.
Andato in scena a pochi mesi del suo decesso, nel 2000, sempre al Royal Court Theatre a soli 5 anni dal debutto, l’Italia ha avuto occasione di ospitare la prima in Italia, diretta da Gianpaolo Sepe e tradotta da Gian Maria Cervo nell’ambito del Festival Benevento Città Spettacolo. Dopo la Toscana, è stata la Campania ad aver intercettato il coraggio e il talento di questa ragazza che a 23 anni aveva debuttato con un’opera di rottura e shockante, ma profonda. Per comprendere quanto in realtà le oscenità rappresentate fossero indispensabili a trasmettere il suo messaggio di denuncia vorrei riportare quanto scritto da Rodolfo di Giammarco in un intervento contenuto nel saggio I’m much fucking angrier than you think – Il teatro di Sarah Kane vent’anni dopo a cura di Roberto D’Avascio, del 2022. Di Gianmarco l’aveva incontrata proprio in quel di Sesto Fiorentino, cinque anni prima e l’aveva intervistata. “Mi diceva che il suo scrivere feroce aveva lo scopo di denunciare al mondo quanta ferocia c’è nel mondo. Senza sconti lei aveva fatto qualcosa di elisabettiano. Conoscete, no?, la crudeltà degli elisabettiani, di un’epoca in cui il sangue scorreva sulla scena, con violenze e cadaveri. Beh, anche il suo Blasted è gremito di sangue, morti, occhi che fuoriescono dalle orbite. E tutto questo, Sarah insisteva, le era nato d’impulso perché era stanca di dover sentire a un telegiornale gli orrori delle cronache di guerra, degli attentati, delle crudeltà umane. L’animo ferito la induceva a domandarsi Perché non facciamo qualche cosa, e li stiamo solo a sentire, questi orrori del mondo?”
Insegnante di italiano come seconda lingua, formatasi all’Università per Stranieri di Siena, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine laureata in Filosofia e Beni culturali all’Università degli Studi di Bologna, una grande passione per il teatro. Pirandello, De Filippo, Pasolini e le avanguardie del Novecento i preferiti di sempre.