Quotidiana.com, da whatsapp al lusso di coscienza, il linguaggio del pensiero a teatro

Nov 17, 2023

Fondata da Roberto Scappin e Paola Vannoni nel 2003, Quotidiana.com, associazione culturale con una forte identità teatrale e politica e oltre venti produzioni all’attivo, è stata connotata fin dall’inizio dalla ricerca di un linguaggio immediato e privo di impalcature formali.

Lontana da vincoli strutturali e semantici, la parola, nella scrittura drammaturgica di Quotidiana.com diventa allora essenziale, concentrata sul presente e sulla situazione contingente ma al tempo stesso capace di aprire i più stupefacenti paradossi per chi la ascolta. 
Attraverso dialoghi brevi e sferzanti Scappin e Vannoni duettano, polemizzano, ironizzano, senza mai lanciare messaggi o affermare tesi. Solo il dubbio trapela e il pubblico è invitato a seguirli nella loro surreale interazione.

Sulla scia del pensiero del filosofo Martin Heidegger che scriveva in Lettera sull’Umanismo nel 1947 che «Il linguaggio è la casa dell’essere e insieme la dimora dell’uomo»la ricerca linguistica di Quotidiana.com tenta di riprodurre nella sua falsa semplicità il linguaggio del pensiero, ritenuto quello più vicino all’essere.

Tra gli spettacoli più recenti: I Greci, gente seria! Come i danzatori, spettacolo vincitore, a Roma, del Premio Tuttoteatro alle Arti sceniche Dante Cappelletti 2022, che ripensa il rapporto tra il pensiero, l’astrazione e la dimensione della corporeità, ma anche il radiodramma Dialogo al limite del volto scritto per Rai Radio 3 nel 2021 in periodo pandemico, fino alla più recente trilogia 7 note in cerca d’autore.

Partiamo da Dialogo al limite del volto focalizzato sui dialoghi di una coppia in condizioni di isolamento forzato. Qual è stato l’approccio dal punto di vista tecnico per riuscire a esprimere il linguaggio del pensiero che è appunto una delle finalità del vostro modo di fare teatro?

Roberto Scappin: Per questa drammaturgia originale commissionata da Radio Rai3 abbiamo utilizzato forme di scrittura diversificate. Alcuni dialoghi nascono tramite l’utilizzo della messaggistica di Whatsapp, altri li abbiamo raccolti catturando direttamente frammenti della nostra vita in comune che abbiamo sviluppato e trascritto. I brevi soliloqui si sono articolati nella forma tradizionale davanti a un documento word del pc. Quest’ultima modalità l’abbiamo definita “lusso di coscienza”. A titolo esplicativo ecco un estratto

Spunto reale

Lei Sono andata a fare l’esame spirometrico, hanno rilevato che mi sono abbassata di tre centimetri.

Sviluppo

Lui Ora sei alta come me.

Lei Ti sei abbassato anche tu…

Lui I dischi della colonna vertebrale si disidratano e dopo i 45 anni si riducono di 0,28 cm all’anno.

Lei Per 15 anni.

Lui 4,2 cm.

Lei Mi è andata meglio del previsto.

Lui Svetti ancora.

Lei Torreggio.

Lui Il fulmine può svettare la punta del cipresso.

Lei La disidratazione dei dischi: un fulmine lento.

Come avviene il passaggio dal linguaggio del pensiero alla scrittura drammaturgica? C’è qualcosa che va irrimediabilmente perduto?

Roberto Scappin: Il passaggio avviene non censurandosi. Avviene dando credito al pensiero, anche a quello apparentemente privo di efficacia o di scopo. Dando credito alla mente, affidandosi ad essa. Lasciando a lei il compito di determinare la sorgente e la messa a fuoco, e alla nostra volontà quello di raccogliere e depositare.

Il pensiero per generare ha necessità di nutrirsi, lo studio e l’osservazione critica della realtà sono le dimensioni che determinano questo fisiologico processo. Quello che si perde viene vissuto come un’opportunità, ovvero quale naturale fase di scrematura. Il pensiero è elusivo, come un lupo. Il significato è un sasso in bocca al significante… non rinviare l’immagine acustica seppur dissonante, paradossale, o il concetto indigesto, come può esserlo un sasso.

Elaborazione della vita interiore, stare nel pensiero senza infliggere la sofferenza della convenzione, tentando di non far sfuggire all’altro le proprie parole. Esporci all’altro, affacciarsi al suo inferno o al suo enigma silente.

Veniamo ora alla trilogia intitolata 7 note in cerca d’autore e dedicata a Ibsen, Pirandello e Shakespeare. Perché la scelta di questi tre autori?

R.S. Le motivazioni della scelta non sono per noi casuali, ma parte di un processo che tentiamo di attraversare: Henrik Ibsen (A casa, bambola!) perché essendo considerato il padre della drammaturgia moderna ha fatto da innesco alla questione dei diritti e dell’intimità; Luigi Pirandello (5 personaggi in cerca di autore – O algoritmo d’autore) per la messa in discussione dell’edificio della rappresentazione e della soggettività; William Shakespeare (Quell’oscuro oggetto del desiderio) per l’articolata complessità tragica e linguistica. Cercando continuamente nuovi limiti da trasgredire.

Nel gennaio scorso avete debuttato con la prima opera della trilogia A casa, Bambola! appunto, sui diritti negati, in questo caso della donna. In che cosa siete rimasti fedeli a Ibsen e in che cosa avete sviluppato una vostra chiave di lettura rispetto al tema affrontato?

R.S. Del testo originale di Ibsen è rimasta solo la scena in cui Nora decide di lasciare il marito Torvald. Così commentava Gramsci sulle Cronache teatrali dall’Avanti, 1926-1929: «Perché gli spettatori, i cavalieri e le dame che l’altra sera hanno visto svilupparsi, sicuro, necessario, umanamente necessario, il dramma spirituale di Nora Helmar, non hanno a un certo punto vibrato simpaticamente con la sua anima, ma sono rimasti sbalorditi e quasi disgustati della conclusione?»

Non utilizziamo chiavi di lettura quando approcciamo una tematica, ma ne rimaniamo in qualche modo intrappolati, cerchiamo di affrontare il labirinto concettuale e conflittuale delle relazioni, dando libertà al linguaggio, cioè al pensiero. Quello che emerge è una sorta di magma della memoria, che concerta con lo sciame ondivago (dialetticamente) del tempo presente.

La poesia e la retorica, l’assurdo e il contingente, il comico e il tragico si danno regolare alternanza, rispettando ognuno il proprio turno. Se vogliamo individuare una chiave di lettura possiamo certamente sintetizzarla in questa battuta: “Le donne vivono tragedie sotto gli occhi indifferenti degli uomini”. L’accorgersi appunto, l’avere accortezze, l’accorciare le distanze invece che allontanarsi.

Avete pubblicato per la Titivillus di Pisa i testi della trilogia Tutto è bene quel che finisce, che contiene L’anarchico non è fotogenico, Io muoio e tu mangi sul diritto all’eutanasia e Lei è Gesù che ribalta la storia umana del Messia in una prospettiva al femminile. Come si sono sviluppati questi lavori? E voi che rapporto avete con la religione?

R.S. Ne L’anarchico non è fotogenico abbiamo elencato le cose che a nostro parere dovrebbero morire: «Dovrebbe morire l’incapacità di attuare un progetto sovversivo, dovrebbe morire il menefreghismo verso qualsiasi atto di ribellione… dovrebbe morire l’ignavia che impedisce di costruire un mondo migliore… dovrebbe morire uno sviluppo tecnologico smodato… dovrebbero morire tante strade strette su cui si fanno dei frontali micidiali… dovrebbero morire……».

In Io muoio e tu mangi, abbiamo descritto la fine reale di un corpo all’interno del reparto di geriatria di un ospedale. In Lei è Gesù abbiamo ipotizzato che a vestire i panni del Messia fosse una donna. Siamo giunti in questo caso alla conclusione che una donna non si sarebbe sacrificata sulla croce. Per salvare chi? 

Questi tre lavori hanno pochissimi elementi scenografici, significanti evocativi che alludono: due cappelli da cowboy, un trofeo, due bombette sul capo.

La cura della spiritualità associata alla vita interiore dell’individuo si può realizzare attraverso il silenzio, il cammino, il canto, il sacrificio dell’inutile, la devozione al poco; c’è la disciplina dello yoga, un complesso corpus teorico-pratico che comprende una filosofia, per altri c’è la preghiera.

Possiamo salmodiare, digiunare, dedicarci alle scritture dei mistici. Bisognerebbe trovare la via per liberarsi dai propri personali gioghi. Una fede che genera sapienza. È meglio un ateo felice e onesto che un credente infelice e disonesto.

Il vostro teatro predilige la forma dialogica, domande a cui seguono le risposte. È stata una scelta determinata dal fatto che siete una coppia, oppure ritenete anche che sia questa la forma espressiva più autentica della comunicazione teatrale, rispetto al monologo o al lavoro corale?

R.S. Il dialogo ci consente di procedere nel dubbio, di sviluppare due visioni spesso in contrasto e proprio per questo potenzialmente sorprendenti negli esiti e nelle insoddisfatte conclusioni, che non sono risposte ma temporanei approdi della mente. Un giorno abbiamo deciso di accendere una videocamera e di metterci in dialogo di fronte a questo raccoglitore immediato di dati verbali spontanei. Da questo fatto “casuale” nascono i testi dei nostri lavori.

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