C’è un mostro che dorme indisturbato, accovacciato su un fianco, imponente, sbuffa continuamente, di notte e di giorno. È un’ombra inafferrabile ed inarrestabile, una mano nera che copre l’intera città di Taranto. Una piaga che accomuna il destino di molte famiglie. Ha nome di donna, probabilmente di origine etrusca, un tempo i romani chiamavano con il suo nome l’Isola d’Elba: ILVA. ILVA in altre parole significa ferro, in altre ancora morte. Un vero e proprio Olocausto nella città di Taranto, solo negli ultimi sei anni ci sono stati 11.550 morti, una media di 1.650 morti l’anno.
La criminale gestione della famiglia Riva prima, il silenzio-assenso dei principali partiti politici sui problemi relativi all’inquinamento dell’aria e del suolo e infine l’atteggiamento cinico, spregiudicato e ricattatorio da parte della multinazionale franco indiana ArcelorMittal impongono a tutti noi una doverosa riflessione.
Polvere, scritto da Pierfrancesco Nacca e diretto da Giulia Paoletti, è il pretesto per raccontare dal punto di vista di una famiglia tarantina, gli effetti che la grande acciaieria (ILVA) provoca ai danni della città di Taranto e dei suoi abitanti. La famiglia Cataldo è composta da Mimmo, Marina e il figlio Piero, insieme vivono nel quartiere Tamburi a ridosso dell’impianto siderurgico. Mimmo lavora per l’acciaieria come operaio metalmeccanico specializzato, mentre Marina insegna nella scuola elementare Ugo De Carolis. Da qualche tempo Marina è in aspettativa perché ha riscontrato un carcinoma alla pleura (il tumore più diffuso nella città di Taranto). Piero, loro unico figlio, vive un rapporto conflittuale con il padre, lo ritiene il responsabile diretto della malattia della madre.
Questa triste vicenda viene smorzata dalla figura di un ragazzino, che non è altro che la proiezione di Mimmo da giovane, prima che diventasse uomo, lavoratore, marito, padre. Apparirà quasi ex machina all’interno della storia facendoci gustare un’ Italia del passato, una Taranto di una volta, prima dell’ avvento del grande mostro (Italsider e poi ILVA) prima dei social network. Questo Ragazzino tornerà costantemente durante la storia come una boccata d’aria buona. “Polvere” racconta la storia di una famiglia appesantita dal piombo, dal nichel, dalla diossina, dall’arsenico, dal benzoapirene. Una famiglia che fondamentalmente si ama ma è avvelenata e il veleno in circolo darà luogo ad uno scontro generazionale (tra padre e figlio) senza esclusione di colpi.
Intervistiamo la compagnia Cesare Giulio Viola, in vista delle repliche di Polvere del 22 e del 23 Novembre presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma. Scritto da Pierfrancesco Nacca, regia di Giulia Paoletti, in scena Claudio Spadaro, Marina Lupo, Andrea Lintozzi e Pierfrancesco Nacca. Scene di Alessandro Chiti, musiche di Marco Bruno, con la supervisione grafica di Paolo Passarelli.
ILVA e la città di Taranto: come e perché hai scelto di raccontare attraverso la scrittura teatrale la storia della famiglia Cataldo in relazione al problema eco-industriale di Taranto?
Risponde Pierfrancesco Nacca: Ho deciso di scrivere “Polvere” per denunciare il dramma che vive la città di Taranto, una città splendida, messa in ginocchio da un’acciaieria obsoleta che negli anni è stata gestita da gente senza scrupoli, Stato compreso. Da tarantino volevo omaggiare la mia bella città maledetta per cercare di stimolare le coscienze, perché un altro modo di vivere esiste. A Taranto, in ogni famiglia c’è almeno una persona affetta da tumore, vorrei poter dire che tutto ciò non è normale ma purtroppo a Taranto questa è la normalità. La famiglia Cataldo è la famiglia protagonista di questa storia, ho scelto questo cognome per omaggiare il santo patrono S.Cataldo, non per credenza ma esclusivamente per rispetto, lo stesso rispetto che i tarantini attribuiscono al santo. A Taranto tutti conoscono il ricatto che ci ha messi in ginocchio: lavoro o salute?
C’ è tanta rabbia ma non è veicolata a dovere, la città purtroppo è divisa tra chi non pensa minimamente che tutto questo possa essere un problema, e chi invece i danni che provoca l’Ilva, attuale (Arcelor Mittal) li paga sulla propria pelle o su quella dei propri cari. Tramite i personaggi di Polvere: Mimmo, Marina e Piero, ho voluto dare voce ai tarantini. A chi lavora per il “mostro” e non ha alternativa, a chi è colpito dalla malattia, a chi è incazzato e vuole cambiare le sorti della propria città. All’ interno del testo c’è un quarto personaggio, un ragazzino che porterà una boccata di aria buona, facendoci assaggiare una Taranto del passato, una Taranto genuina, senza industria. Con “Polvere” abbiamo vinto una residenza artistica: TRAC_Centro di residenza teatrale pugliese, che ringrazio. Potevamo scegliere tra diversi teatri e città della Puglia che facevano parte del progetto e alla fine abbiamo avuto la fortuna di poter scegliere il TaTÀ di Taranto, partner attivo della residenza che fa un lavoro eccellente sul territorio. Adesso ci siamo, debuttiamo al Teatro Quarticciolo qui a Roma, dove Veronica Cruciani ci ha voluti fortemente e noi non possiamo che esserne onorati.
In che modo la direzione registica ha interpretato la storia drammatica delle vicende tarantine dell’ILVA e della famiglia Cataldo?
Risponde Giulia Paoletti: Grazie alla residenza artistica tarantina ho potuto iniziare le prove con gli attori nel migliore dei modi per quanto riguarda la mia visione di questo progetto: avvicinare gli attori alle persone che hanno vissuto e subìto direttamente gli effetti del mostro. Il mio obiettivo primario è sempre quello di trattare i personaggi come esseri umani molto vicini a noi. In realtà non c’è molto da interpretare, nel senso che vanno riportati i fatti esattamente come accadono nella realtà, tutto sta nel volerli vedere o meno. L’idea che ho avuto come messa in scena è stata quella di dividere tutto in 3 quadri, anche a livello scenografico: il passato, il “prima della fabbrica, l’attesa di..”, il presente, dove si consumano conflitti, incontri e scontri, e un futuro o altrove, un quadro che rappresenta l’unica obbligata via d’uscita. Quello che voglio raccontare è come questa piaga si insinui prepotentemente in ogni aspetto della vita, anche familiare. Racconto di esseri umani accesi ognuno da un motore diverso ma che hanno in comune lo stesso combustibile. Inoltre l’intento è quello di mostrare come qualcosa di così nocivo e materiale possa arrivare a mettere in crisi anche i sentimenti e i legami più forti. C’è una frase del testo che racchiude questo enorme interrogativo e dal quale è difficilissimo uscirne per trovare una risposta “lavoro o salute? Scegli. Tanto poi muori comunque.” Noi, attraverso i personaggi, abbiamo tentato di dare più di una risposta con questo spettacolo, ma soprattutto attraverso Vincenzo, Pino, Giovanni… fonti preziose del nostro lavoro.
Come si è svolto il processo artistico di creazione dello spettacolo? Quali le riflessioni e le emozioni provenienti da una storia così intensa e di grande attualità?
Risponde Claudio Spadaro: Iniziare le prove a Taranto, quartiere Tamburi, è stato come inalare “Polvere” dal vivo. Ogni mattina, durante il percorso in auto per raggiungere la sala del TaTÀ, i volti dei residenti, il colore delle facciate dei palazzi e il “Mostro” che spuntava da tutte le parti, ci trasformavano, a poco a poco, nei personaggi. Si proseguiva, quindi, approfondendo intenzioni, dinamiche e stati emotivi, guidati sapientemente da Giulia Paoletti. Gli incontri con persone che si erano distinte per aver svelato i danni provocati dall’Ilva ci fornivano ulteriori informazioni. Ed emozioni. Spesso, tra noi, si discuteva sulle possibili e realistiche soluzioni del problema, complicato, molto complicato. Con Pierfrancesco queste discussioni, a volte, erano particolarmente accese. Replicavamo, con diversi argomenti, gli scontri che i personaggi, padre e figlio, avevano in scena. E vorrei ricordare che lo spettacolo, in un contesto di tragica attualità, tratta anche temi senza tempo, come quello del confronto/ scontro tra padri e figli.
Risponde Marina Lupo: Il processo creativo di Polvere è iniziato durante la nostra Residenza Teatrale, al Teatro TaTÀ di Taranto. Abbiamo lavorato al progetto proprio nel cuore del Quartiere Tamburi, all’ombra delle ciminiere. È stato un momento di condivisione, di arricchimento e a volte, anche di discussione. La città da decenni è sotto ricatto, non è facile scegliere tra salute e lavoro, per questo il sentimento che ci ha accompagnati durante tutto il percorso, è stato soprattutto la rabbia. Il senso di impotenza ha accomunato artisti tarantini e non. Polvere è una storia di ingiustizia sociale, perché è difficile decidere se morire di cancro o di fame. Il mostro, attraverso il tempo, ha cambiato solo nome e padrone. Tutti hanno anteposto produzione e profitto alla sicurezza dei lavoratori, all’ambiente, e alla salute dei cittadini in particolare dei bambini, che hanno il diritto di crescere e di vivere di un ambiente sano.
Risponde Andrea Lintozzi: Sicuramente il primo passo è stata l’analisi. Un’analisi prima del tema e poi del testo. Con l’esperienza fatta a Taranto ho avuto modo di entrare in contatto con gente che ha vissuto le problematiche raccontate nel testo. Successivamente mi sono chiesto, e ho chiesto a chi di dovere, come veniva visto questo grande evento dell’apertura della Fabbrica, quando ancora era una voce. Dovendo interpretare un ragazzo più piccolo di me in un anno che ormai non c’è più, il 1965, abbiamo cercato insieme alla regista e ai miei colleghi attori di ricostruire quegli anni passati, quelle vecchie abitudini e quei modi di dire o di fare solo con l’aiuto di piccoli gesti e di parole che si usavano prima e non più ora, in più abbiamo anche lavorato sul dialetto tarantino dato che sono romano. Le emozioni in questo spettacolo si moltiplicano ogni volta: già dalla prima lettura del testo vieni travolto da emozioni molto forti, poi con l’esperienza a Taranto parlando con gente che ha vissuto sulla propria pelle le disgrazie causate dal “Mostro”, è una dose di emozioni drammaticamente coinvolgenti e poi a tutto ciò si aggiungono quelle emozioni che emergono giorno dopo giorno in prova. Insomma dire che questo spettacolo è stato un percorso coinvolgente è dir poco.
Quali sono gli elementi musicali presenti nello spettacolo? In che modo sono stati prodotti e selezionati all’interno dell’impianto drammaturgico?
Risponde Marco Bruno, tecnico del suono: Questo prodotto è il risultato di sessioni dedicate ma del tutto spontanee, oserei dire a cuore aperto. Ho composto ad occhi chiusi, cercando di materializzare con le note qualcosa che esprimesse la purezza, la bellezza, il legame e l’amore per la nostra terra. Una matrice malinconico-sognatrice che ricrea nella mente dell’interlocutore la proiezione di quello che agli occhi dei tarantini, è la quotidianità: una miscela di consapevolezza, coraggio e rivalsa per una proiezione futura aperta a scenari di, tanto desiderata, valorizzazione del nostro patrimonio socio-culturale.
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