Il progetto Piccoli Dei che quest’anno prende vita all’interno del Festival la macchina dei sogni, rappresenta un esperimento ludico che fa della sinergia la sua forza. Sei spettacoli tratti da racconti inediti saranno infatti messe in scena unendo l’esperienza di due autrici Martina Forti e Lorenza Cingoli, esperte narratrici di storie per l’infanzia, e due compagnie Teatro Atlante (Preziosa Salatino, Emilio Ajovalasit e Federica Castelli) che dal 2006 si occupa di formazione e ricerca nell’ambito del teatro ragazzi e con Il Teatro degli Spiriti (Salvino Calatabiano e Vito Bartucca), portatore di una tradizione di burattini che si ribellano al loro narratore per vivere di vita propria.
Gli spettacoli del progetto Piccoli Dei saranno accompagnati da un percorso all’interno del patrimonio archeologico del Museo Salinas, in cui gli spettatori potranno dare forma e identità ai personaggi scoperti, attraverso reperti reali, il tutto guidato dalla presenza trascinante di Armando Traverso.
Abbiamo parlato con loro dell’importanza di continuare a narrare seguendo i ritmi nuovi e di come l’intraprendenza dei bambini li renda davvero piccoli dei da cui prendere spunto per ricordare.
Piccoli dei è un progetto composito, che coinvolge molte persone fra autrici e compagnie teatrali, qual è la genesi di questo lavoro, come si sono incontrate le vostre realtà?
Martina Forti: Noi ne sappiamo molto poco, per noi è una sorpresa ciò che le compagnie stanno preparando, inizialmente ci è stata chiesta una proposta, e siccome tutto si svolge all’interno del museo archeologico, abbiamo pensato di far riferimento alle divinità presenti in varie forme nel museo, abbiamo dunque pensato di scrivere degli dei da piccoli, sono dunque nati questi sei racconti originali. Un racconto drammatizzato che si è poi trasformato in una narrazione per il teatro di figura.
Lorenza Cingoli: In passato siamo state abituate a vedere nostre scritture in scena perché veniamo dalla televisione, quindi ci è capitato spesso di scrivere cose che vengono recitate da attori, questa è un’esperienza nuova perché in realtà conosciamo molto poco delle compagnie e i racconti da parte nostra sono stati scritti come storie, non in forma drammatica, con dialoghi, ma in forma narrativa. Tutto ciò che è l’adattamento alla scena per noi sarà una novità.
Sicuramente abbiamo inserito la possibilità di dialoghi ed effetti sonori, ma non abbiamo scritto dei copioni, bensì appunto dei racconti.
Preziosa Salatino: L’idea è partita da Elisa Puleo, ovvero la scelta di commissionare questi racconti a delle autrici racconti dedicati ai piccoli dei e poi chiedere alle nostre due compagnie di trasformarli in brevi spettacoli teatrali, le autrici dunque noi le abbiamo conosciute solo attraverso i loro testi, man mano che preparavano i racconti, ce li inviavano e poi fra di noi abbiamo deciso come suddividerceli
Emilio Ajovalasit: è stato interessante conoscere le autrici attraverso le storie, è una commistione di linguaggi vera, loro si sono preoccupate di estrapolare quella che è l’infanzia dei miti, quindi creare una commistione di linguaggi in cui adesso sta a noi tirare fuori l’aspetto teatrale.
Il linguaggio che veniva utilizzato nei miti per raccontare le gesta degli dei era veicolato dagli aedi, cantastorie per cui la dimensione performativa era centrale, questa modalità comunicativa è entrata nel vostro lavoro? Se sì in che modo?
Martina Forti: Siamo da sempre state appassionate di questo argomento, c’era un libro che entrambe leggevamo da piccole sull’infanzia degli dei, la nostra chiave di lettura per questi racconti è stata ironica, nonostante i miti siano spesso tragici e violenti, abbiamo cercato di stemperare usando un linguaggio divertente, facendo leva sui mostri e i personaggi che si trovano nella mitologia.
Lorenza Cingoli: Il lavoro che abbiamo fatto è finalizzato a scrivere di un’infanzia, caso vuole che sia stata un’infanzia di divinità.
Abbiamo ovviamente cercato di calare nel microcosmo della storia chi guarderà lo spettacolo, che sia l’olimpo, il sottosopra, ma non abbiamo scritto in forma teatrale all’origine, in questo risiede la sorpresa delle compagnie. Noi siamo abituate a scrivere per un pubblico di piccoli, abbiamo già scritto un libro tratto dall’Iliade e dall’Odissea, siamo quindi abituate a questo tipo di approccio che è anche soprattutto linguistico, il linguaggio avvicina all’ascolto e spero lo farà anche a livello teatrale.
Preziosa Salatino: Io sto lavorando sul mito di Atena, utilizzando come tecnica quella del cantastorie, quindi stiamo utilizzando moltissimo la narrazione e la musica e questo linguaggio è influenzato dallo stile degli aedi.
Emilio Ajovalasit: Anche noi per il mito di Efesto stiamo lavorando sulla narrazione di tipo epico, però essendo uno spettacolo rivolto a un pubblico di bambini stiamo inserendo sia una personificazione dei protagonisti, sia la tecnica dei giochi di prestigio per renderla più accattivante al pubblico dei più piccoli.
Salvino Calatabiano: Per quanto riguarda me e la mia compagnia, il linguaggio del mito non è stata una novità, lo portiamo nelle scuole da dieci anni, qui c’è un doppio passaggio che avviene sempre, ovviamente quando qualcuno scrive immagina che le parole siano dette da un personaggio, con sembianze umane, anche un dio magari. Quello che avviene con i burattini è un doppio passaggio si passa da un linguaggio scritto per degli umani a dei protagonisti che umani non sono, sono alti 18 centimetri, spaziano in un boccascena largo 80 cm, non hanno fisico umano, gambe né bacini e si esprimono da burattini, ma questo avviene sempre.
Quando scrivo per i burattini leggo il testo due, tre volte poi lo chiudo e lo scrivo detto e agito da burattini. Noi abbiamo questa formula, c’è un narratore che vuole raccontare una storia, ma non ci riesce perché i burattini vivono di vita propria, vogliono raccontare la loro storia, poco importa il narratore e il racconto canonico. L’impegno è quindi quello di asportare la drammaturgia in un mondo di alieni che sono i burattini, che rivendicano sempre la loro verità e non l’hanno persa nemmeno ora.
Occupandovi da tempo di narrazione e teatro dedicato all’infanzia, avete percepito dei cambiamenti nel modo in cui i bambini si interfacciano alle storie e a un linguaggio come quello del teatro di figura?
Martina Forti: Questo è un argomento delicato, ci sono alcuni fattori che hanno modificato il tramite attraverso cui una storia arriva a un bambino, sicuramente la televisione ha molto influenzato, il linguaggio televisivo molto veloce ha dato dei ritmi differenti al racconto, abbiamo però visto, soprattutto durante degli incontri con le classi di scuole elementari, che poi alla fine i bambini vengono sempre conquistati dal racconto, soprattutto il racconto orale, se c’è un bravo narratore riesce sempre a incantarli e non distrarli, è sempre qualcosa che li trascina in un’avventura e che evoca dei mondi.
Salvino Calatabiano: Si percepisce molto ancora la potenza del burattino, mentre per gli adulti era una cosa naturale portare i bambini in un teatro di burattini e vedere i bambini stupirsi ed essere partecipi, ora c’è uno stupore da parte degli adulti che pensano di portare i bambini a uno spettacolo di burattini temendo che i bambini si annoieranno e invece rimane lo stupore, perché il burattino continua a suscitare uno stupore considerevole. Io non vengo da una tradizione di burattinai, i primi spettacoli li ho fatti senza vedere uno spettacolo di burattini, poi ho visto molti maestri burattinai, i miei spettacoli hanno dei tempi comici moderni, appartenenti alla cultura pop, molto vicina ai genitori, molti adulti vengono a vedere spettacoli di burattini e si approcciano bene ai bambini.
Il festival La Macchina dei sogni, quest’anno parte dal binomio fra individuo e società e dentro/fuori, sicuramente il progetto Piccoli dei ben si lega a queste associazioni, in che cosa risiede questo legame?
Lorenza Cingoli: Diversi protagonisti di questi racconti rientrano in questo discorso, sicuramente il racconto di Persefone che ha proprio la contrapposizione fra il sotto e il sopra indubbiamente c’è questo tipo di caratteristica, l’impatto dell’imparare, come Ermes che inventa cose appena uscito dalla culla, guardando il mondo è un inventore fin da subito, o Artemide che sceglie di vivere nella foresta e non sposarsi, fin da bambina rifiutando il palazzo dorato dell’Olimpo.
Preziosa Salatino: Per quanto mi riguarda il momento dello spettacolo è un momento che sta al limite fra dentro e fuori, separato dalla realtà extra-quotidiano, non esiste l’individuo ma il pubblico che crea comunità, negli ultimi due anni è mancato e adesso si sta ricominciando a fare comunità, quindi il fatto stesso che un gruppo di persone decida di ritrovarsi per vivere un’esperienza è un momento collettivo in cui l’individuo forma comunità, questo appartiene a qualsiasi atto teatrale. In questo caso gli elementi sono tanti, i bambini sono invitati a partecipare per un tempo lungo, cercare i miti all’interno del museo, si ritaglieranno un tempo fuori dall’ordinario in cui stare in gruppo.
Emilio Ajovalasit: In più volevo aggiungere che noi stiamo lavorando con una materia come quella del mito, che è rifatto un metodo usato dall’uomo per interpretare la realtà, quindi ancora di più significa pensare al rapporto fra il mondo e come i bambini se lo spiegano, il mito che è all’origine del teatro.
Salvino Calatabiano: Per quanto riguarda il tema dentro/fuori ovviamente nella baracca dei burattini viene evidenziato questo tema del dentro e del fuori, c’è quello che avviene dentro il teatro, c’è un mondo, ma non solo dentro, perché il teatro dei burattini è un teatro fatto di oggetti, i burattini nel mondo sono diversissimi, alcuni non hanno testa, altri sono scolpitissimi, altri sono piccoli, sono degli oggetti che dentro hanno una vita.
Le piccole divinità al centro di queste storie hanno in comune un carattere risoluto, sono in grado di risolvere i loro problemi, anche in maniera creativa e costruttiva. Credete sia una caratteristica innata dei bambini o qualcosa da recuperare?
Lorenza Cingoli: Questi sono dei, quindi chiaramente hanno una determinazione maggiore di altri nel cercare la propria strada, anche a dispetto di ciò che è stato programmato. Non saprei se è una caratteristica dei bambini di adesso, quello che posso dire è che il dubbio, una certa malinconia, appartiene ad un’età più avanzata, i bambini molto piccoli riescono ad essere più simili a piccoli dei, per quanto riguarda questo aspetto di determinazione.
Martina Forti: Se penso ai bambini di adesso secondo me, anche qui c’è un’ambivalenza, da una parte spinge ad essere sicuri, ad affrontare, ma da parte degli adulti c’è anche una tendenza a proteggere, mentre questi bambini mitologici dovevano cavarsela da soli.
Emilio Ajovalasit: Noi da quando siamo nati come teatro Atlante, ormai quasi 16 anni abbiamo affiancato attività di produzione con quella di formazione, vediamo i bambini sia come pubblico che come attori e protagonisti sulla scena, l’aspetto della creatività e del trovare soluzioni, inventarsene è proprio una caratteristica dell’infanzia, fondamentale che chi fa teatro non deve mai perdere, la capacità di creare e inventare delle soluzioni, per poter fare il nostro lavoro.
Salvino Caltabiano: Una natura fondamentale del teatro ragazzi è quella di non avere soluzioni complicate, nel teatro dell’infanzia in particolare modo se un personaggio deve volare vola, non mi creo il problema di come farlo volare e far credere al pubblico che sta volando veramente, vola. Se deve morire d’amore un burattino e lo fa spesso, si dispererà sbatterà la testa al muro senza farsi male, il bambino alza le mani e vola, non occorre che stacchi i piedi da terra, credo sia un valore aggiunto e una vicinanza tipica del teatro dell’infanzia, noi adulti abbiamo conosciuto l’infanzia ci possiamo avvicinare, il contrario sarebbe complicato, siamo noi a doverci avvicinare, con il loro aiuto. Per noi è un gioco fare finta di volare, loro volano veramente, quando portiamo gli spettacoli nelle piazze, vediamo all’inizio dello spettacolo una completa immersione della storia, il bambino inveisce contro il lupo di Cappuccetto rosso, inveisce contro la strega che fa una magia, cerca di porre rimedio alla storia, noi giochiamo ma i bambini lo prendono sul serio, nel momento in cui lo spettacolo finisce, il bambino lo sa e che quindi si è calato completamente in quella storia, si è immerso, un po’ come noi col cinema, crediamo a ciò che succede, solo che per i bambini è molto più facile.
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.