Case di mattoncini in pietra, portoni in legno, il profumo di tizzoni ardenti che si sprigiona dai camini, i lampioni dalle calde luci e la vita che scorre lenta: Maenza, la piccola cittadina latinense che accoglie, nel suo Castello Baronale, il reading di Iaia Forte del romanzo La Storia di Elsa Morante, sembra somigliare alla Roma d’anteguerra. Tutto bruscamente s’interrompe: cadono le bombe a San Lorenzo. Il conflitto è nel suo pieno vigore, la gente muore, gli alberi bruciano, le case sono rase al suolo. Restano polveri e ceneri, famiglie smembrate e vite distrutte. E poi c’è la fame: nemico feroce che in guerra rincorre e assassina chi, superstite, ha trovato riparo dagli ordigni ma non dalla carestia.
La Storia di una madre e di suo figlio: Ida e Useppe
Il racconto di Elsa Morante, datato 1974, è un turbinio di contrasti, una funivia che in un eterno saliscendi raggiunge ora il capolinea della delicatezza, ora quello dell’efferatezza. La furia soffia forte tra le macerie ma il popolo non si arrende, nel tentativo di ricostruire la propria vita in un abominevole carnaio. Una scrittura romanzesca che si fa onirica quando i protagonisti si rifugiano in immagini leggiadre per sfuggire alla realtà cruenta.
È l’estate del 1943, Ida, sedotta da un soldato tedesco che nel suo grembo ha trovato per una notte il miraggio d’un sollievo, cresce il suo bambino Useppe all’ombra di lampi di fuoco sferrati da implacabili Ares in divisa ed elmetto. Ida è una lupa che si avventura per le strade insanguinate a caccia della sopravvivenza di suo figlio. Disperata, strappa suo figlio, ormai troppo grande per essere allattato, dai seni avvizziti. Poi, raccoglie le sue poche forze e si rimette in cammino, perché la guerra non può toglierle anche Useppe. Ma è così che finirà e anche se le truppe hanno ormai battuto in ritirata, la scia funesta del conflitto spegne una sventurata vita, figlia di una madre addolorata e di un anonimo soldato tedesco.
L’importanza della memoria nell’operazione artistica di Iaia Forte
Per quest’appuntamento di Piccoli comuni incontrano la cultura, la maledizione della Storia piomba tra gli affreschi del maniero medievale, prendendo la voce e le movenze di Iaia Forte che si fa corpo-memoria di un orrore che non deve essere dimenticato. Il romanzo storico rivivificato dall’attrice è una campana dai rintocchi funebri che risollevano la residuale mostruosità che in noi tutti si conserva stantia. Settant’anni dopo Ares è ancora lì, tra le cornici frastagliate dei palazzi non ricostruiti nel quartiere romano di San Lorenzo, a rimembrare la fatale notte del 19 luglio ‘43.
L’operazione artistica di Iaia Forte è un atto di forza contro l’oblio. I grandi scrittori sono per lei un’arma per contrastare l’alienazione dei potenti strumenti di distrazione di massa che nel ciclone dell’intrattenimento annientano il ricordo. Dopo aver ottenuto dagli eredi la concessione per la lettura dell’opera di Elsa Morante, l’attrice conduce sul cammino della memoria i suoi spettatori, in un appassionato e delicato reading su cui sventola un figurato stendardo arrecante la scritta: ”Per non dimenticare”.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.