Articolo a cura di Francesca Lupo
Una pioggia estiva costringe di nuovo al chiuso invernale un altro appuntamento della rassegna InChiostro. Si corre ai ripari e dal chiostro dell’Arena del Sole di Bologna si passa al foyer. Velocemente si trasferiscono i pochi oggetti di scena (due sedie e un tavolo), e dopo un check dell’audio attori e regista si riuniscono al centro della sala per un ultimo confronto. Il pubblico prende di nuovo posto, chi in piedi, chi per terra, seduti su alcune poltrone o sedie ridisposte per l’occasione oppure sul piccolo banchetto di legno vicino all’ingresso del teatro.
Il 27 giugno va in scena Paesaggio d’interni, uno spettacolo di Balletto Civile. Due coppie raccontano una storia, probabilmente la stessa. L’attenzione passa dall’una all’altra, protagoniste di due momenti diversi della breve performance. Mentre la prima coppia, composta da Francesco Gabrielli e Giulia Spattini, con in sottofondo la scena del primo incontro tra Annie e Alvy nel film Io e Annie (Woody Allen, 1977), si incontra, si scopre tra una espressione esagerata e plastica, coinvolta nell’antica pratica della seduzione, la seconda la si nota sullo sfondo, muovendosi a un tempo completamente diverso. Alessandro Pallecchi Arena ed Emanuela Serra sembrano intimi come la prima coppia, o forse ancor di più, impegnati in un contatto fisico molto ravvicinato e coinvolgente, ma poco rassicurante. La prima coppia indossa tute da tennisti, le racchette sono un prolungamento delle loro braccia, strumenti di carezze. La leggerezza della loro coreografia lascia spazio a quella intensa e passionale della seconda coppia; la messa a fuoco diminuisce sui tennisti, che rallentano i movimenti. La seconda coppia esplode sul sottofondo di un breve estratto da Il cielo sopra Berlino (Wim Wenders, 1987) e la travolgente canzone di Björk e Arca, The Gate.
Si amano carnalmente, si respingono e si trascinano, si aiutano a rialzarsi, si spingono. Si ancorano ai loro corpi per formarne uno solo, altissimi una sopra l’altro, e alle volte l’una spinge giù l’altro per prevaricarlo. Come una vera coppia, i ruoli si alternano: uno cadendo rimbalzerà come un oggetto, mentre l’altra continuerà a camminare sicura all’interno dello spazio. Ma anche lei si scaraventerà al suolo, a pochi centimetri dal volto degli spettatori che hanno trovato posto per terra. Entrambe le coppie interagiscono con le due sedie e il tavolo posti al centro dell’improvvisato palcoscenico. Se per la prima prendono la forma un piccolo campo da tennis, luogo di scambi di battute e sguardi fugaci pieni di curiosità mal celata, per la seconda non sono altro che i luoghi della vita di coppia: un letto come una stanza dove confidarsi. I quattro amanti poi si ricongiungono al centro, mescolandosi, cambiando registro di movimenti e di emozioni, forse riaccordandosi con l’intenzione della prima coppia. Sulle note di La coppia più bella del mondo, cantata da Celentano e Mori, lentamente escono di scena.
I personaggi in scena si compromettono, interagiscono, creano delle relazioni, dei passaggi. Due coppie composte da una donna ed un uomo, oltre alla diversità dettata dalla propria personalità, devono fare i conti con la differenza probabilmente più affascinante e forse incolmabile: quella di avere un corpo che occupa lo spazio in maniera completamente diversa. Quasi non ci si crede di appartenere alla stessa specie, ma addirittura un’ibridazione è possibile, attraverso una relazione, poco importa di che tipologia e con quale intensità. Nel caso di queste due coppie è l’attrazione a essere indagata, tra le infinite possibilità di incontro. E sebbene i personaggi non abbiano un nome, ognuno ha il suo margine di autonomia, permettendo allo spettatore di distinguere nettamente i tratti che ciascuna figura apporta alla coppia. Non c’è riferimento cinematografico o musicale che tenga: le storie che i quattro raccontano sono una e sono mille. Sono infinite le porte da aprire, tra lo sguardo sveglio e desideroso della tennista e l’urlo disperato e senza voce dell’uomo della seconda coppia.
L’ibridazione è il concetto chiave alla base della ricerca di Carne, condotta da Michela Lucenti, in cui inserisce il suo Paesaggio d’interni. Anche questa volta Carmelo Zapparrata conduce il dialogo con l’artista, interpellandola maggiormente come creatrice della curatela. Vengono invitati anche gli interpreti a partecipare alla discussione. Il progetto artistico Balletto Civile viene fondato nel 2003 e nei suoi vent’anni di attività ha raccolto tante personalità che ad oggi compongono una vera e propria comunità. C’è chi è rimasto, chi è andato via, chi è sempre di passaggio, ma tra le acque di questo fiume c’è una roccia, un punto di riferimento, una poetica che coincide con la visione dell’arte come impegno nei confronti appunto dell’idea di comunità, interna al gruppo, esterna al gruppo (gli spettatori), e della più universale cittadinanza. Una comunità è un insieme di singolarità diverse che solo attraverso la convivenza e l’ibridazione possono esprimersi nel migliore dei modi. Ibridazione delle personalità, ibridazione dei linguaggi.
Carne ha come obiettivo un’indagine sul dialogo tra la drammaturgia, espressione del teatro di prosa, e la coreografia. Michela Lucenti è interessata a un impiego specifico di questo strumento, la drammaturgia fisica, che nel mondo delle arti performative è ormai ben noto e rodato, ma forse ancora troppo audace per determinati lidi. È in cerca di personalità che vogliano raccontare storie, narrareun fatto, non un concetto astratto. «Carne significa fatto con il corpo […], l’elemento che non si dovrebbe mai prescindere dall’idea performativa. […] Cerco tutti i maestri, come i grandi ospiti stranieri, che partono da un concept drammaturgico, cioè guardano lo spettacolo di danza come uno spettacolo di regia, cioè dove non è secondario che cosa accade, cosa deve accadere in chi guarda ma anche qual è l’obiettivo del racconto». Il processo creativo parte sicuramente da un’idea precisa, ma anche questa è una ricerca di Lucenti, alla quale il performer risponde con i propri strumenti, creando così un’autodrammaturgia che andrà a comporsi tra le autodrammaturgie degli altri interpreti in una precisa e ben orchestrata partitura:«Non è facile trovare persone che siano disposte a lavorare in gruppo e a farlo con continuità, non come una vacanza “arricchente” per poi tornare nella danza e nel teatro. Fare un gruppo significa sacrificare buonissima parte di una riuscita personale, ma credere e guardare nel gruppo».
Paesaggio d’interni è il frutto di molti rimaneggiamenti e montaggi e secondo Maurizio Camilli, attore e cofondatore della compagnia, la sua genesi è databile intorno al 2020, durante l’Oriente Occidente Dance Festival. Precedentemente le coppie previste erano tre: la prima e la seconda possedevano già le intensioni della replica del 2023, rispettivamente, a detta di Lucenti, la prima «di una commedia», la seconda «un po’ più tragica». La terza invece si muoveva su un registro più lirico, che prevedeva come interpreti Alessandro Pallecchi Arena e la stessa Lucenti. Difatti la partitura fisica della seconda coppia era nata in origine da una creazione di Emanuela Serra e Maurizio Camilli all’interno di Madre, un lavoro della compagnia datato 2019. Anche la creazione della coreografia della prima coppia “comica” è frutto del lavoro dei due interpreti Gabrielli e Spattini, a cui Lucenti aveva chiesto «che fossero due corpi assurdi, storti, o comunque sproporzionati, che ci fosse qualcosa che tornasse non in maniera pulita, ma che fosse qualcosa che appunto le persone guardandola non capissero bene neanche se fosse il mimo, […] una specie di continuo».
Ad un certo punto la terza coppia è stata tagliata per una maggiore agilità e dinamicità della performance; difatti il vero teatro di Paesaggio d’interni è proprio la strada: «[…] arriviamo nei posti, apriamo la macchina, tiriamo fuori questo e andiamo. È proprio una specie di happening, però con una partitura in realtà precisissima. [..] È un liguaggio assolutamente coreografico nelle sue linee, solo che sono linee appunto molto gestuali. Quando abbiamo più spazio, quando lo facciamo nelle strade, allora alcune cose che noi sappiamo diventano delle vere e proprie scivolate però non ha la volontà di essere un andamento di grande danza, è proprio costruito per farlo ad un incrocio. Si chiama Paesaggio d’interni perchè è appunto l’idea di farlo in posti assurdi, di vedere un’intimità di lavoro quasi gestuale, di partitura». Emanuela Serra racconta che la difficoltà più grande è stata estrapolare la coreografia dal contesto di Madre per renderla prima autonoma e poi ben coesa con quella della prima coppia, creando effettivamente un altro progetto. Ma l’autodrammaturgia di cui parla la cofondatrice di Balletto Civile, in accordo con Lucenti e gli altri tre interpreti, comporta anche la possibilità di riconfigurarla, di ritradurla in un’altra performance e soprattutto di adattarla in altri spazi, che sia un incrocio, un chiostro, il foyer di un teatro perchè è scoppiato a piovere.
«Un attore può danzare e in che modo? E il danzatore a parte scimmiottare può recitare? C’è un teatro dove non si capisce più dove finisce una cosa e dove comincia un’altra. È una sfida. [..] siamo nell’ambito dello sperimentare qualcosa che in realtà in tutta Europa è già super sdoganato». Quella di Lucenti è una dichiarazione di intenti a cui rimane fedele all’interno della sua compagnia e all’esterno, come ricercatrice e come ospite dell’Emilia Romagna Teatro Fondazione, che ha accolto il Focus di drammaturgia fisica affiancandolo alla stagione di prosa «dando una centralità al corpo come una possibilità necessaria allo studio sia del teatro che della danza.
Quindi Carne è un’altra parte nella stagione di ERT, che invece di partire dal testo per poi fare un lavoro sul corpo, parte dal corpo per arrivare al testo, oppure parte dal corpo per finire nel corpo, parte dal corpo per stare fermo, per dialogare con la musica. È una possibilità importante in un luogo pubblico di prosa che ci sia un lavoro sul corpo». L’augurio è di una continua ibridazione di repertorio e d’avanguardia, di vecchi e nuovi artisti, di senso e di vedute, come quella che nutre Balletto Civile: innumerevoli porte che creano nuovi passaggi.
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